nucleo comunista internazionalista
CAPITALE ASSASSINO
Moussa Ba, senegalese di 28 anni, è l'ultimo
schiavo del ghetto di San Ferdinando ucciso dal Capitale: lavorava come
bracciante nei campi della piana di Gioia Tauro e la sua baracca
all'improvviso è stata coinvolta da un incendio sviluppatosi a
poca distanza. E’ la fotocopia identica di quanto accaduto
esattamente un anno fa nella stessa località, quando un altro
incendio causò la morte di una proletaria nigeriana di 26
anni, Becky Moses.
In solidarietà con la nuova vittima e i suoi
compagni, lavoratori immigrati, riproponiamo la lettura del nostro
articolo pubblicato l’11 febbraio 2018 “Braccianti
immigrati: a otto anni dalla rivolta di Rosarno nulla è
cambiato – Colpa della “Testarda
cecità istituzionale? O c'è qualcosa
d'altro?”.
Non c’è nulla da aggiungere o
modificare rispetto all’analisi delle cause e alla ricerca
dei motivi scatenanti della tragedia. Il nodo centrale rimane sempre lo
stesso: PERCHE’ nulla è cambiato?
La nostra risposta – che qui
riassumiamo – è chiaramente espressa
nell’articolo:
- L’economia
agricola di quei territori si
regge grazie al lavoro di migliaia e migliaia di braccianti immigrati.
- Il super-sfruttamento
applicato su quella
forza-lavoro è condizione necessaria per poter essere
competitivi sul mercato.
- Le implicazioni sociali
di
questa necessità
produttiva fanno sì che ogni alleviamento del
super-sfruttamento degli immigrati contrasta con gli interessi
materiali dell’economia locale e nazionale e, di conseguenza,
con quella ragnatela sociale di classe che beneficia dei profitti e
provvede alla distribuzione per il mantenimento del dominio e del
controllo sociale sull’intera società.
- A questo equilibrio
sociale sono legate anche
consistenti fasce di popolo, spesso protette da misure finanziarie
clientelari “contro la disoccupazione”, onde
evitare un lavoro di tipo schiavistico, che viene lasciato agli
immigrati: chiaro che con queste premesse sia ben difficile un legame
reale, di classe, tra la popolazione locale e gli immigrati stessi.
- In questo
quadro – dove la salute
delle aziende agricole galleggia sul filo del rasoio per restare
competitiva – la lotta di classe contro
l’oppressione collide con gli interessi della produzione e
del mercato capitalistici e rappresenta quindi un’indubbia
minaccia per l’economia capitalistica locale e nazionale.
- Nessuna forza sociale e
politica presente sulla
scena – seppur la più
“estrema” dentro il quadro borghese
– può mai schierarsi dichiaratamente contro
l’economia capitalistica, per la rovina dei livelli di
profitto e della competitività sui mercati delle aziende
agricole del “nostro Meridione” e quindi per
l’organizzazione e lo sviluppo della lotta di classe.
- Proprio per questo nulla
è cambiato,
nonostante l’indubbio impegno di associazioni di
volontariato, sindacati minori e militanti
“solidali”, data l’assenza di una vera
lotta di classe proletaria, per cancellare lo sfruttamento infernale
del bracciantato agricolo (immigrato, ma non solo) delle campagne
d’Italia.
- Tale situazione non
dipende dalla
“cecità istituzionale” (tutti sapevano,
tutti sanno, a tutti fa comodo). L’unico mezzo veramente
risolutivo non è quindi la richiesta di più Stato (la
volpe a guardia del pollaio!), ma – impresa
certamente durissima – la promozione e
l’organizzazione di una lotta, che non può essere
delegata ai soli lavoratori immigrati, contro lo strapotere dello Stato
21 febbraio 2019