Un avvertimento preliminare ai lettori! Le posizioni dei due documenti che presentiamo non sono tipiche dei sindacati USA, ma sono le stesse dei sindacati socialimperialisti europei: l'unica differenza sta nel fatto che, anche tenendo conto della mancanza di una organizzazione di classe e del fatto che la classe operaia americana è stata colpita più duramente di quella europea, le dichiarazioni dei sindacati USA sono più esplicite e non ammantate dalla squallida ipocrisia dei sindacati nostrani ed europei.
Il primo documento che prendiamo in esame è del 1 marzo del 2018 e contiene una dichiarazione dell’USW (Sindacato dei Lavoratori dell'Acciaio) che è un vero inno di ringraziamento al Presidente Trump per l'imposizione di dazi sull'alluminio (10%) e sull'acciaio (25%), solennizzato dalla firma del decreto presidenziale alla compiaciuta presenza di operai metalmeccanici in tuta e con caschetto di lavoro.
L'USW ripete le dichiarazioni presidenziali, secondo cui per troppo tempo gli USA sono stati vittime (NN: !!!) “di rapaci pratiche commerciali”, senza che nessun governo precedente affrontasse il problema, sottolinea come la sopravvivenza di questi settori industriali sia vitale per la nazione americana (industria militare ed infrastrutture critiche). L'imposizione di dazi ha inoltre ottenuto un sostegno bi-partisan in seno al Congresso e l'USW si dichiara pronta a lavorare assieme all'Amministrazione “per edificare una America migliore” e “ per contribuire alla forza della nostra nazione”.
Per l’USW, infatti, “l'obiettivo è sempre stato quello di ristabilire una economia mercantile che assicuri ai nostri produttori nazionali la possibilità di ottenere un equo profitto, poiché essi investono in servizi, attrezzature e capitale umano e contribuiscono alla forza della nostra nazione”.
“L'obiettivo dovrebbe essere anche la riduzione dell'impatto negativo delle importazioni di acciaio e di alluminio, che hanno decimato la produzione negli Stati Uniti.” Il che – in linea con le promesse elettorali – implica un drastico contenimento della concorrenza cinese.
Nel documento, ovviamente, non manca uno smaccato attacco a “quei paesi che hanno creato il problema” e che sono degli “imbroglioni”, esonerando il Canada, i cui lavoratori sono legati all'USW e nei confronti del quale, comunque, gli USA vantano un surplus commerciale. E' presente però un avvertimento a Canada e Messico a non diventare paesi attraverso i quali ci possano essere delle importazioni fraudolente negli USA (8 marzo 2018-USW:”National Security Action Will promote Domestic Production and Job Creation”).
Si tratta quindi di difendere i posti di lavoro americani, in un ottica smaccatamente nazionalista.
Il secondo dei due documenti risale al 2010 ed è una dichiarazione di “solidarietà” della UAW, il sindacato Usa dell’auto, alle lotte dei lavoratori della industria automobilistica cinese per ottenere miglioramenti salariali, condizioni lavorative più sicure e per la creazione di sindacati indipendenti. Le lotte erano iniziate con uno sciopero spontaneo alla Honda nella provincia di Guangdong e da lì si erano allargate fino a coinvolgere la cintura industriale cinese del sudest.
A prima vista, il documento della UAW sarebbe encomiabile: la solidarietà del sindacato del mostro imperialista N°1 ai lavoratori cinesi! Che aspettarsi di più?
Ma... in cauda (anzi… nel testo) venenum! Il messaggio vero, il succo velenoso che si nasconde dietro la “solidarietà” dei sindacati social-imperialisti Usa è LA SOLIDARIETA’ con la propria NAZIONE, CIOE’ CON IL PROPRIO CAPITALISMO CHE VERREBBE “TRADITO” dai capitalisti delle multinazionali, che delocalizzano fregandosene della patria e dei suoi lavoratori. Inoltre dietro questa subdola “solidarietà” si nasconde un attacco ALLO STATO NEMICO E CONCORRENTE CINESE, un appello per lo schieramento contro lo Stato nemico che i vertici del sindacato social-imperialista Usa intendono inculcare e far passare ai proletari americani, mascherando questo reale messaggio dietro la “solidarietà” ai lavoratori cinesi….
Il documento parte subito all'attacco del governo cinese che ha compresso stipendi e diritti dei lavoratori, che ha manipolato la sua valuta, e che ha sovvenzionato fortemente la sua industria per attrarre investimenti esteri, tra cui, oltre all'Honda e alla Toyota, anche quelli della General Motors, della Ford e della Chrysler-Fiat, senza dimenticare quelli degli imprenditori europei (Daimler e Volkswagen).
Chiariamo subito che il governo cinese è il “comitato d'affari” della borghesia cinese e, in quanto tale, si comporta esattamente come gli altri paesi borghesi: compressione di salari e diritti dei lavoratori, ricerca sempre più sfrenata del profitto, attrazione di investimenti esteri, e... attrezzaggio sempre più serrato per la futura (anzi... è già iniziata) competizione (poi guerra commerciale) con gli altri giganti del capitalismo mondiale.
E’ altrettanto vero che il sindacato cinese ufficiale ACFTU, (All China Federation of Trade Unions) è infeudato al Partito Comunista Cinese. Ma sono forse indipendenti dal loro Stato i sindacati USA ed europei? A tal riguardo, rimandiamo a quanto pubblicato in appendice al nostro articolo (“... L'U.S.B. Ringrazia il Presidente della Camera per l'attenzione dimostrata”), un testo fondamentale del grande Leone Trotskij sul ruolo dei sindacati nel periodo imperialista. Fa poi specie che la predica giunga dal Dipartimento di Stato USA che, nel suo Rapporto Annuale (2010) sui “Diritti Umani” giudica l'ACFTU come “irresoluta ed inefficace nella protezione dei diritti e degli interessi degli iscritti”, mentre è nota la benemerita azione internazionale del Dipartimento di Stato USA nella promozione degli stessi e nella esportazione della democrazia a stelle e strisce.
In assenza di sindacati che difendano realmente i lavoratori in Cina (e altrove! NN) – prosegue giustamente la dichiarazione dell’UAW – le industrie automobilistiche globali hanno buon gioco, minacciando o attuando delle delocalizzazioni in regioni a bassi salari e a sindacalizzazione inesistente, a comprimere i salari dei lavoratori ovunque nel mondo, USA compresi. Questo è corretto e spiega la necessità materiale della unione nella lotta dei lavoratori dei diversi paesi e non della compattazione nazionale auspicata dai vertici sindacali. Quindi, questo è il punto importante: i sindacati USA manifestino una reale solidarietà nei confronti delle lotte dei lavoratori cinesi e – lo ribadiamo;– non facciano “passare” nelle loro dichiarazioni il sottile veleno del nazionalismo patriottico!
Il documento si conclude con il riconoscimento che le lotte
dei lavoratori cinesi sono alla fine dirette contro le stesse strategie
antioperaie che gli industriali attuano negli USA e con la conseguente
“invocazione” agli stessi industriali
dell'automobile ad implementare un vero sistema di contrattazione
collettiva. Traduzione: lottino i lavoratori cinesi contro il
loro governo, mentre noi sosteniamo il nostro e chiediamo agli
industriali di fare “corpo unico”, ovviamente per
il bene superiore della Patria!
1 luglio 2018
Mar 01, 2018
Contact: Holly Hart, 202-778-4383
(Pittsburgh) — United Steelworkers (USW) International President Leo W. Gerard issued the following statement following a session the President hosted at the White House with steel and aluminum industry executives. During the session, the President indicated that he wanted to impose tariffs on steel and aluminum imports to achieve the goals identified in the Department of Commerce Section 232 investigation reports.
"The steel and aluminum sectors have been under attack by predatory trade practices. For too long, our political leaders have talked about the problem, but have largely left enforcement of our trade laws up to the private sector. This is not what hard-working Americans want from their government. They expect national security, the foundation of which is built with steel and aluminum, to be protected.
"President Trump initiated action to investigate the impact of aluminum and steel imports on our national security. We applauded his action then and appreciate the attention that this issue has received in recent months. Comprehensive reports were sent to the White House and released to the public. They validated what we already knew: these sectors are critical to our nation.
"Since the President initiated action last year, workers across the country have raised their voices in calling for the need of action to ensure that our aluminum and steel sectors can survive. Our members have actively fought for action. Their voices have been echoed by a broad, bipartisan cross-section of Congress. They were joined by many of their colleagues and officials at the state and local level. Every call, letter, meeting and discussion focused on building a better America.
"The question for some time has been what action to take. Today the President announced that he wants to impose tariffs at a level of 10 percent on aluminum imports and 25 percent on steel. For the USW, the objective has always been to restore market-based economics that ensure that our domestic producers can achieve a fair return as they invest in facilities, equipment and people, and contribute to the strength of our nation. The objective should also be to reduce the negative impact of steel and aluminum imports that have decimated production in the United States. The tariff levels the President announced will help to achieve that objective.
"Secretary Ross, Ambassador Lighthizer and Director Navarro have been working hard to assess what form of relief will achieve the President's goals. As the Administration puts together the finer details about the implementation of relief, we will work with them. It will be critical to focus attention on the countries that have created the problem, and do not participate in helping to promote a solution.
"Canada is not the problem. The United States and Canada have integrated manufacturing markets and our union represents trade-impacted workers in both nations. In addition, the defense and intelligence relationship between the countries is unique and integral to our security. Any solution must exempt Canadian production. At the same time, Canada must commit to robust enforcement and enhance its cooperation to address global overcapacity in steel and aluminum.
Now, we need to work to finalize the design of relief and implement it. We are more than willing to work with the Administration to ensure that cheaters are held accountable and to resolve this quickly so that we can rebuild our nation's manufacturing sector."
[link per traduzione
sommaria]
06/23/10
The UAW today released the following statement on the labor unrest in China's auto plants:
The one million active and retired members of the International Union, United Automobile, Aerospace & Agricultural Implement Workers of America (UAW) stand in solidarity with Chinese autoworkers who in recent weeks have escalated their struggle for higher wages, safer working conditions, and the establishment of independent trade unions. The current wave of labor unrest began with a spontaneous strike at a Honda component manufacturing plant in Guangdong province and has now spread to Toyota parts plants in Tianjin and elsewhere throughout southeast China's industrial belt.
The Chinese government has used the suppression of wages and worker rights, manipulation of its currency, and heavy subsidization of industry to create an extremely attractive investment environment for foreign-based automotive manufacturers. In addition to Honda and Toyota, General Motors, Ford and Chrysler-Fiat have established profitable joint-venture operations with Chinese auto companies, as have the Europeans (Daimler and Volkswagen) and Koreans (Hyundai and Kia).
So-called "unions" in China are affiliated under the Communist Party-dominated All China Federation of Trade Unions (ACFTU), which, in turn, is heavily influenced by both domestic and foreign corporations. The maintenance of foreign direct investment apparently takes priority over the promotion of basic human rights. The 2010 U.S. State Department's Annual Report on Human Rights characterized the ACFTU as "generally unassertive and ineffective in protecting the rights and interests of members."
In the absence of real unions in China to prevent the harsh exploitation of Chinese auto workers, the global automakers are able to suppress wages and worker rights at their operations throughout the world, including here in the United States. The world's major manufacturers, regardless of country of origin, are shifting production to those locations where wages are low and unions non-existent, whether they be in China, India, Mexico, or regions of the United States. The threat, or reality, of such production transfers weakens the ability of American workers to achieve and maintain higher wages and better benefits.
The strikes and protests taking place in China now are a reaction to the same anti-worker, anti-union business strategy employed by many companies here in the United States. When American Honda, Toyota, or Hyundai workers attempt to organize, the companies threaten to fire them or move their jobs. The behavior of Toyota management in China is not much different than here in the United States where, earlier this year, Toyota decided to cease production of its profitable Corolla at its only UAW-represented plant (NUMMI) in California and to move thousands of jobs to an assembly plant under construction in non-union Mississippi.
The UAW stands in solidarity with China's autoworkers and their reasonable demands for higher wages, shorter working hours, and unions that truly represent their economic interests. We call on Honda, Toyota, and other auto manufacturers to improve the living standards of their employees by implementing a genuine system of collective bargaining.