nucleo comunista internazionalista
note



I FESSI SIAMO NOI (INSIEME AD ALTRI RADI MANIPOLI)

…“L’U.S.B. RINGRAZIA
IL PRESIDENTE DELLA CAMERA
PER L’ATTENZIONE DIMOSTRATA” !

Non la facciamo troppo lunga. Siamo dei microbi e lasciamo, per il veramente essenziale, la parola al Leone, in calce qui, sotto le nostre quattro righe. Non vi spaventi la data, 1940, poiché ci parla e ci illumina sulle radici della attuale, concreta, situazione. Cioè sulle radici dei “blocchi” che incatenano lo sviluppo della lotta di classe da parte proletaria, la depotenziano e addirittura, come accade, la mettono al servizio dello Stato borghese. Inoltre e soprattutto diamo per assodato d’essere, insieme a qualche altro manipolo, dei poveri fessi.

I due tragici fatti che nella piana di Rosarno, a distanza di qualche mese l’uno dall’altro, hanno “portato alla ribalta” la condizione di oppressione dei braccianti immigrati – condizione di oppressione non solo perfettamente “legale” ma necessaria per garantire la competitività delle aziende e del ciclo produttivo capitalistico – sono stati per i comunisti l’occasione, la tragica e sanguinosa occasione, per riaffermare che una tale condizione di oppressione si può svellere soltanto attraverso la messa in campo di una reale lotta di classe. Un compito certamente durissimo, talmente arduo che data la portata degli interessi in gioco e l’asprezza del contrasto di classe, esso implica, qualora effettivamente ingaggiato, anche i compiti di autodifesa (e di offesa) proletaria rispetto ad una pressione da parte borghese che si esercita articolando l’insieme delle sue strutture, legali e illegali, fino all’attacco intimidatorio armato antiproletario. Abbiamo detto che l’insieme del proletariato d’Italia deve prendere in carico una incombenza di una tale portata e lo deve fare sul piano di una assoluta indipendenza politica di classe rispetto alle frazioni borghesi che si contendono la gestione del potere e che sono l’articolazione politica del capitalismo italiano.

In tutta evidenza noi stiamo sulle nuvole, oltre ad essere quello che in premessa abbiamo detto. Chi invece, come il sindacato “alternativo” e di base USB, effettivamente, concretamente e con i piedi ben piantati per terra organizza, guida e dirige le lotte dei braccianti immigrati lo fa su tutt’altro – e contrario – piano. Cioè organizza, guida e dirige quelle lotte per farne la base di una politica di pretesa gestione “alternativa” dello Stato. In questo caso di gestione “sovranista” del paese, sul cui terreno si ritiene di sfidare il nuovo governo, facendone, così spera, scoppiare le contraddizioni interne. Le lotte e le mobilitazioni cui si chiama sono piegate ad un indirizzo politico riformista, grazie anche al quale in realtà il capitalismo italiano è in grado di sedare il conflitto di classe e di mantenerlo sotto lo stretto controllo delle sue istituzioni. La lotta di classe del proletariato è piegata, è subordinata ad una particolare politica “di riforma” borghese. Da questo punto di vista il sindacato “di base” non si differenzia affatto dai sindacati ufficiali e di regime.

I rappresentanti del sindacato “alternativo” e di base sono stati ricevuti dalla “terza carica dello Stato”, con tutti i dovuti riguardi e il rispetto del caso. (La borghesia italiana è maestra nell’arte dell’uso combinato delle buone maniere e delle cattive maniere. Nell’utilizzo combinato della melassa, della carota e del bastone) La stessa “terza carica dello Stato”, On. Fico, è stata invitata e si è poi recata in visita agli accampamenti dei proletari immigrati. In tutto questo, di per sé, non vi è nessunissimo motivo di critica e “di scandalo” da parta nostra. La critica, e la vergogna, non si appuntano sugli incontri e sulla trattativa in sé stessi con i vari livelli istituzionali dello Stato, bensì sul contenuto e sul piano di reciproca intesa di fondo, esplicitamente sabotatrice di ogni sviluppo della lotta di classe indipendente, che ha avuto modo di manifestarsi con reciproca soddisfazione fra le parti a quanto pare.

Il fatto che i discorsi nei quali si è prodotto la “terza carica dello Stato” durante la sua visita ai campi a noi facciano vomitare, non significa che non siano meritevoli di un certo rilievo ed interesse. In primo luogo bisogna dare atto e prendere atto, ancora una volta, delle capacità di adattamento del capitalismo italiano, attraverso la gamma delle sue articolazioni politiche, alle situazioni più socialmente critiche dalle quali si sprigiona il conflitto sociale di classe di cui si tratta, per il potere borghese, di prevenirne l’estensione e la radicalizzazione. In questo senso al neofita e politico “alternativo” On. Fico voto 10 e lode!

Testuale dal sito dell’USB (“Fico visita con l’USB la tendopoli di S. Ferdinando: no agli accampamenti, sì all’accoglienza diffusa Contro la schiavitù dei braccianti serve il consumo critico”, 11.06.18): “Il presidente della Camera ha voluto richiamare alle proprie responsabilità la Nazione, perché un modo condiviso di combattere le moderne schiavitù esiste, ed è a diffusione del consumo critico. Che equivale a dire di no alle merci vendute a prezzi stracciati. (…) L’USB ringrazia il presidente della Camera per l’attenzione dimostrata”.

“Modi condivisi”… “consumo critico”… altroché: lotta di classe, organizzazione indipendente di classe, andatevene a cuccare! Il tutto detto sotto il naso e con il plauso del sindacato “alternativo” e di base. Si noti fra l’altro, nel subdolo discorso della “terza carica dello Stato”, il giochino di richiamare alla responsabilità “dell’intera Nazione” l’atroce situazione di oppressione sui braccianti immigrati. Che poi è un’accusa di correità rivolta in primo luogo ai proletari tutti, notoriamente poco educati al “consumo critico” e principali fruitori di discount e merci a prezzo stracciato. Un imbonitore del genere dovrebbe essere fatto girare al largo, certamente con i riguardi dovuti alla “terza carica dello Stato”. Al contrario invece, i sindacalisti “alternativi” e di base, i quali probabilmente nemmeno si avvedono del carattere provocatorio ed antiproletario della trama del discorso svolto dall’imbonitore di Stato, vedono in questa illustre figura del Movimento 5 stelle una sorta di “sponda di sinistra” che la loro strategia da strapazzo si propone di utilizzare per prendere in castagna il nuovo governo e mettere i bastoni fra le ruote dell’asse Lega-Panstellati. Per un piatto di lenticchie così si svende l’accumulo di forza e di coscienza di classe che è il frutto più importante di una reale lotta di classe autonoma ed indipendente da ogni frazione politica borghese e da cui fra l’altro derivano – al contrario di quel che pensa il “realismo” dei riformisti in veste “alternativa” e di base – le conquiste degli obiettivi immediati della lotta, concreti e tangibili per la condizione proletaria. E non la marea di chiacchere e di melassa sparsa a piene mani dai funzionari e dai servitori ad ogni livello dello Stato borghese. Otto anni di “solenni impegni” presi, per restare nel caso di Rosarno, da ogni sorta di Istituzione e regolarmente, non per caso, disattesi sono lì – concretamente – a dimostrarlo, sulla carne viva dei braccianti immigrati.

A suo tempo, era febbraio di quest’anno nella tragica occasione della proletaria africana bruciata viva in una baraccopoli sempre nella zona di Rosarno, abbiamo detto della abominevole “spiegazione” data dagli “alternativi” di estrema sinistra raccolti nel cartello di Potere al Popolo allo stato di oppressione in cui sono costretti i braccianti immigrati: colpa della “Testarda cecità istituzionale”! (vedi: Braccianti immigrati: a otto anni dalla rivolta di Rosarno nulla è cambiato. Colpa della “testarda cecità istituzionale” (parole di potere al popolo)? O c’e’ “qualcosa” d’altro ?) Ora, in quest’ultima tragica occasione dell’assassinio a sangue freddo del giovane bracciante maliano, il sindacato “alternativo” e di base viene a precisare e completare il quadro da cui far discendere la condizione di oppressione dei lavoratori immigrati.

Testuale dal sito dell’USB (Sez. comunicati generali , comunicato del 6.06.18, “Rompere i vincoli UE per combattere le diseguaglianze sociali”): “Queste condizioni di sfruttamento inumane ed assolutamente lontane anche da una semplice parvenza di legalità sono il frutto di accordi e scelte politiche che il nostro Paese condivide con l’UE, di quei vincoli, come i trattati di Dublino, che consentono agli altri paesi europei di disinteressarsi del problema migranti. Ogni anno piovono milioni di euro dall’Europa sulle politiche agricole, ma questi non arrivano mai a chi lavora la terra…”. La condizione di supersfruttamento dei braccianti discende e dipende quindi e in primo luogo, oltre che dalle “distorsioni delle regole del mercato” dovute “all’illegalità diffusa”, dall’applicazione di una particolare politica, da una precisa scelta politica ossia quella dell’asservimento ai dettami comunitari europei. Dai cui vincoli una politica autenticamente “popolare” e “sovranista” (si dice “sovranista” per non dire apertamente “patriottica”) dovrebbe sottrarsi. Qui, secondo l’USB, è il cuore politico della faccenda a cui va ricondotta, utilizzata e canalizzata la mobilitazione dei lavoratori.

“Il nuovo governo si accorgerà di tutto questo?”; “Questa vicenda interroga il nuovo governo su come intende promuovere il cambiamento, ristabilendo dignità a chi lavora o soffiando sul fuoco della guerra fra poveri?” si domanda retoricamente l’USB, per sfidare il duo Salvini/Di Maio sul terreno della loro stessa demagogia sociale, pensando di condizionare la presunta “ala sinistra” del nuovo governo, o forse, più precisamente, la componente più “movimentista” dei 5 stelle. L’esito reale di questa “tattica” da strapazzo è quello di deprimere le spinte verso una reale lotta di classe e quello – micidiale – di disarmare il proletariato di una sua propria politica indipendente, tenendolo agganciato al carro del capitalismo, soggiogato alle politiche delle sue frazioni borghesi cosiddette “popolari”, “sovraniste”, “patriottiche”.

Noi, poveri fessi, avevamo messo in guardia dal fatto che i necessari movimenti di lotta e contestazione al nuovo governo, rappresentato come fascistoide, non finiscano per essere utilizzati come massa di manovra dalle attuali spregevoli “opposizioni” liberal-democratiche. Le “tattiche” da strapazzo degli “alternativi” e dei movimentisti dell’estrema sinistra, contrarie ad ogni serio piano politico di classe, disancorate da ogni prospettiva di rivoluzione e potere di classe, altro non fanno che aggiungere confusione alla confusione.

A maggior ragione ribadiamo la nostra messa in guardia: ci si para distintamente davanti una svolta autoritaria, necessaria alla borghesia italiana per venire a capo della crisi politico-istituzionale in atto. Attenzione: svolta autoritaria dentro il quadro democratico, non fuori da esso ma per “la difesa della Costituzione”, per “la difesa della democrazia”. Si può dire che essa – svolta autoritaria – è una necessità per la democrazia (e per il capitalismo italiano). Qualora la crisi politico-istituzionale si prolungasse in crisi sociale “calda”, ossia qualora le piazze comincino a riempirsi e non per ascoltare la multiforme gamma di ciarlatani nei comizi elettorali, essa, svolta autoritaria, potrà arrivare anche a comportare la scesa in campo delle Forze Armate (intervento che senz’altro la borghesia farà di tutto per evitare). Siamo pressoché certi che a un tale esito nessuno, nemmeno negli ambienti politici estremi, veramente ci creda, imbevuti come si è fino all’osso di spirito e mentalità “progressiva” e costituzionale, paradossalmente in specie negli ambienti dell’estrema sinistra.

Ed invece: il capitalismo italiano non avrà bisogno di un Pinochet ma di un borghese (di una forza borghese) democratico che eserciti le sue funzioni con l’autorità necessaria ai tempi e con un tangibile consenso di massa, non come per il fallito esperimento di Cottarelli il cui “governo tecnico” è durato un giorno con il sostegno di zero voti in Parlamento. E se vi sarà bisogno di qualcuno in divisa e con le stellette, costui giurerà senz’altro sulla difesa delle Istituzioni e della Costituzione “più bella del mondo”.

Sveglia e in guardia! Altroché ringraziare il presidente della Camera “per l’attenzione dimostrata”.

La parola ora al Leone, ricordando che l’articolo di cui pubblichiamo alcuni passaggi essenziali è uno degli ultimissimi atti della sua lotta politica di rivoluzionario comunista, prima di essere ammazzato.

19 giugno 2018






LEONE TROTSKIJ:

I sindacati nella fase di decadenza imperialista (1940)

Nello sviluppo, o meglio nella degenerazione delle organizzazioni sindacali moderne nel mondo intero, c’è una caratteristica comune: la loro connessione con il potere statale e la loro crescita unitamente al potere statale stesso. Questo processo è egualmente proprio dei sindacati neutrali, socialdemocratici, comunisti e “anarchici”. Questo semplice fatto dimostra che la tendenza al “crescere insieme” non dipende da nessuna dottrina particolare, ma è determinata da condizioni sociali comuni a tutti i sindacati.

Il capitalismo monopolistico non si fonda sulla concorrenza e sulla libera iniziativa privata, ma su un potere di comando centralizzato. Le cricche capitalistiche alla testa di potenti trust, cartelli, consorzi bancari ecc. considerano la vita economica dalla stessa altezza da cui la considera il potere statale; e a ogni passo hanno bisogno della collaborazione di quest’ultimo. A loro volta i sindacati dei più importanti settori industriali si trovano privati della possibilità di sfruttare la concorrenza tra aziende diverse. Devono far fronte a un avversario capitalista centralizzato, intimamente legato al potere statale. Di qui il bisogno per i sindacati – sinché si mantengono su posizioni riformiste, cioè su posizioni di adattamento alla proprietà privata;– di adattarsi allo Stato capitalista e di lottare per ottenere la sua collaborazione. Agli occhi della burocrazia del movimento sindacale il compito fondamentale consiste nel “liberare” lo Stato dall’abbraccio del capitalismo, nell’attenuare la sua dipendenza dai trust, nel tirarlo dalla propria parte. Questa posizione è in completa armonia con la posizione sociale dell’aristocrazia e della burocrazia operaia, che combattono per le briciole nella suddivisione dei sovrapprofitti del capitalismo imperialista. I burocrati operai fanno del loro meglio con le parole e con i fatti per dimostrare allo Stato “democratico” quanto siano degni di fiducia e indispensabili in tempo di pace e specialmente in tempo di guerra. Trasformando i sindacati in organismi statali, il fascismo non inventa nulla di nuovo: non fa che portare sino alle ultime conseguenze le tendenze inerenti al capitalismo. (…)

In altri termini, i sindacati dell’epoca attuale non possono essere semplicemente organismi di democrazia come erano nell’epoca del capitalismo della libera concorrenza e non possono più restare politicamente neutrali, cioè limitarsi a lottare per i bisogni quotidiani della classe operaia. Non possono essere più anarchici, cioè ignorare l’influenza decisiva dello Stato sulla vita dei popoli e delle classi. Non possono più essere riformisti, perché le condizioni oggettive non lasciano spazio per riforme serie e durature. I sindacati dei nostri tempi possono o fungere da strumenti ausiliari del capitalismo imperialistico per subordinare o disciplinare gli operai e per bloccare la rivoluzione o, al contrario, divenire strumenti del movimento rivoluzionario del proletariato.

La neutralità dei sindacati è assolutamente e irreversibilmente una cosa del passato, trascinata via unitamente alla libera democrazia borghese. (…)

Il capitalismo monopolistico è sempre meno disposto ad accettare la indipendenza dei sindacati. Esige che la burocrazia riformista e l’aristocrazia operaia che raccolgono le briciole del suo banchetto si trasformino agli occhi della classe operaia nella sua polizia politica. Se questo non avviene, la burocrazia operaia è cacciata via e sostituita con i fascisti. Sia detto di passata, tutti gli sforzi della aristocrazia operaia al servizio dell’imperialismo non possono a lungo andare salvarla dalla distruzione.

L’acutizzarsi delle contraddizioni di classe all’interno dei singoli paesi, l’acutizzarsi degli antagonismi tra un paese e l’altro, determinano una situazione in cui il capitalismo imperialista può tollerare (per un certo tempo) una burocrazia riformista solo se quest’ultima serve direttamente come piccolo, ma attivo azionista delle aziende capitalistiche, dei suoi piani e dei suoi programmi sia all’interno del paese sia su scala mondiale. Il social riformismo deve trasformarsi in social-imperialismo per prolungare la propria esistenza, ma solo per prolungarla e nulla di più. Perché si tratta, in generale, di una strada senza sblocco.

Ciò significa forse che nell’epoca dell’imperialismo i sindacati indipendenti sono in generale impossibili? Sarebbe fondamentalmente sbagliato porre la questione in questo modo. Impossibili sono i sindacati riformisti indipendenti o semi-indipendenti. Del tutto possibili sono sindacati rivoluzionari che non solo non siano azionisti della politica imperialista, ma addirittura si prefiggano il compito di rovesciare direttamente la dominazione del capitalismo. Nell’epoca della decadenza imperialistica i sindacati possono essere realmente indipendenti solo nella misura in cui siano consapevoli di essere nell’azione strumenti della rivoluzione proletaria.