nucleo comunista internazionalista
note





SVILUPPI VENEZUELANI


GLI IMPERIALISTI GIUDICI E TUTORI
DI DEMOCRAZIA NEL MONDO

Le dichiarazioni dei governanti occidentali sullo scontro in Venezuela grondano falsità e spudoratezza. Ogni commento dei politici di destra e di “sinistra”, ogni cronaca della stampa nostrana è un travisamento dei fatti e un oggettivo incitamento alla paventata guerra civile, con l’aspettativa che l’innalzamento delle tensioni faccia crescere l’ola internazionale di indignazione contro Maduro, inducendolo a mollare l’osso del potere politico nelle mani delle opposizioni. Se il “mite” Gentiloni scrive letterine a doppie mani con lo spagnolo Rajoy per consigliare vivamente Maduro perché ceda alle pretese delle destre, Trump impone sanzioni e minaccia interventi militari diretti contro il governo bolivariano.

Dal 1998 la Presidenza della Repubblica è in mano al partito chavista (Partito Socialista Unito del Venezuela - PSUV), confermato da tutte le elezioni presidenziali tenute, e soprattutto dall’oceanica mobilitazione che nel 2002 pose fine al colpo di stato delle destre riportando Chavez in trionfo al palazzo Miraflores. Il partito chavista ha invece perso le elezioni parlamentari del 2015 che hanno consegnato alle destre la maggioranza dell’assemblea legislativa. Favorite dalla crisi, che ha messo a durissima prova il consenso popolare al governo chavista, le destre hanno intensificato l’agitazione di piazza reclamando l’uscita di scena di Maduro (la “salida”). Con l’elezione della nuova assemblea costituente Maduro rilancia l’iniziativa politica del governo, esautorando di fatto l’assemblea legislativa controllata dalle destre, e puntando a contenere lo scontento delle masse con la promessa che il rilancio della “rivoluzione bolivariana” valga a lenire e superare l’acuto disagio delle classi povere. In linea con quanto già scritto (leggi l’articolo Venezuela del 17/07/17)), noi non riconosciamo ovviamente alcuna capacità taumaturgica alla nuova assemblea, e staremo a vedere in che direzione i “costituenti” orienteranno i propri passi. Vero è  che i “principi della rivoluzione bolivariana” sono esattamente quelli che nel ventennio alle spalle hanno condotto il Venezuela all’attuale drammatico collo di bottiglia. Annotiamo peraltro che il tentativo di Maduro è passato pur sempre per una nuova chiamata alle urne, tra l’altro in un passaggio difficile per il governo, che, pur presente l’intento dichiarato di recuperare l’originario spirito riformatore chavista, avrebbe potuto raccogliere nondimeno la disaffezione delle masse confermandosi consensi maggioritari alle destre. La  consultazione elettorale per la nuova assemblea, orientata a rilanciare quella rivoluzione bolivariana che destre e sponsor imperialisti vogliono archiviare, viene decisamente osteggiata dalle opposizioni e dai loro sponsor internazionali, secondo i quali la nuova assemblea è “illegittima”, Maduro “avrebbe dovuto prima indire un referendum”, comunque è “una forzatura”… .

Nulla da ridire invece sul “plebiscito” organizzato dalle opposizioni per votare la sfiducia a Maduro. Al riguardo la stampa nostrana rilancia tutte le falsità delle opposizioni mescendo come oro colato ai lettori le bugie degli anti-chavisti. Sono stati presi per buoni gli oltre 7 milioni di votanti nella consultazione anti-Maduro spacciati dalle opposizioni, quando Geraldina Colotti sul manifesto del 18/07/17 ha evidenziato che i seggi allestiti dalle opposizioni avrebbero potuto ricevere al massimo 2 milioni e mezzo di votanti; sono state finanche pubblicate foto che taroccano per elettori della consultazione anti-Maduro le file per la simulazione di voto per la assemblea costituente (consultazione anti-Maduro e simulazione del voto “istituzionale” si sono tenuti lo stesso giorno, il 16/07, mentre le elezioni per la costituente il successivo 30/07). Nel voto per la costituente, boicottato dalle opposizioni, il governo Maduro ha vantato la partecipazione di oltre 8 milioni di votanti (il 41% degli elettori), da vanity fairdato successivamente messo in discussione dalla società che gestisce il voto elettronico in Venezuela che -da Londra- ha dichiarato  gonfiato di “almeno un milione di voti” il numero di Maduro. Noi annotiamo innanzitutto un’astensione che va molto oltre l’elettorato orientato a favore delle opposizioni; in secondo luogo il consenso parziale ma non del tutto irrilevante catalizzato dalla proposta di “rilancio della rivoluzione bolivariana”; infine la scarsa consistenza di truppe al seguito delle opposizioni, che si presentano più che altro come un affollato stato maggiore di alte gerarchie industriali e di chiesa, spalleggiato dai vari Gentiloni d’Occidente che  incalzano Maduro sul “rispetto dei diritti umani, la libertà degli oppositori politici (golpisti già amnistiati da Chavez, n.n.), la libertà di manifestare…”. Altro falso macroscopico della stampa nostrana riguarda l’ostensione dei morti degli scontri in Venezuela. Il Corriere della Sera del 31/07/17 compone a lato un riquadro dove allinea 118 omini per esaltarne l’elevato numero (riferito ai soli ultimi 4 mesi, datosi che le guarimbas di piazza fomentate dalle opposizioni con relativi morti vanno avanti dal 2014). Ovviamente il Corriere della Sera attribuisce queste morti alla polizia del “dittatore”, quando invece è risaputo, ma non ne troverete traccia negli articoli del Corriere della Sera, che la metà dei 120 morti del più recente periodo li hanno fatti le bande criminali al servizio delle opposizioni, con numerosi attivisti e candidati per la costituente chavisti vittime di attentati, linciaggi e roghi.

Tutto ciò detto e da dirsi quanto a fatti nudi e crudi, nulla è più lontano dalle nostre intenzioni che opporre al quadretto del Corriere della Sera, quello di un’ opposizione democratica e pacifica duramente repressa dal dittatore (Maduro come Assad… ), il santino (che sarebbe altrettanto falso) del governo Maduro che rispetta le regole della democrazia contro i colpi bassi delle opposizioni, cui è invece concessa (dagli sponsor imperialisti) ogni licenza di crimine. Niente è più lontano da noi dell’idea di una democrazia come presunto valore universale (la banale petizione della “democrazia di tutti e per tutti” a prescindere dalla divisione e dagli antagonismi di classe e dalla dominazione dell’imperialismo). Nulla da noi è più distante di quella pseudo-“sinistra” che brandisce la democrazia come bandiera di battaglia politica in specifico contro i dittatori di turno e senza neanche trattenersi dal plaudire più o meno sguaiatamente alla sua importazione da parte del proprio imperialismo. Ne consegue che neppure minimamente pensiamo a Maduro come campione di “democrazia popolare” contro la aggressione imperialista (più che reale) in corso. Sappiamo piuttosto che la democrazia formale è “un lusso che solo le metropoli imperialiste possono permettersi” (Trotzkij). Un lusso che, nella crisi, subisce continui tagli nelle stesse metropoli. Se finanche Renzi si mette sotto le scarpe le famose regole (ad esempio abolendo la legge sui voucher per evitare il referendum salvo riapprovare subito dopo la legge che li reintroduce; e ben altri esempi potrebbero essere ricavati dalla più recente attualità domestica, vedi il foglio di via alla giornalista Marinella Correggia per aver esposto uno striscione contro Trump in visita nella capitale), figuriamoci che uso possano fare delle regole democratiche il governo e più ancora le opposizioni di un paese come il Venezuela (lo testimonia anche l’eccezionale volubilità delle diverse istanze della magistratura venezuelana che un giorno arrestano i leaders delle opposizioni e il giorno dopo li rilasciano). Invero, come non è possibile “il socialismo in un solo paese”, così neanche è data la possibilità di una piena e libera indipendenza nazionale di un paese arretrato entro le spire opprimenti dell’ordine imperialistico. “Gli stati nazionali delle nazioni arretrate non possono contare a lungo su uno sviluppo democratico indipendente. Circondata da un capitalismo decadente ed intricato nelle contraddizioni imperialiste, l’indipendenza di uno Stato arretrato non può essere che semi-fittizia, e il suo regime politico, sotto l’influenza delle contraddizioni di classe interne e della pressione esterna, cadrà inevitabilmente in una dittatura eretta contro il popolo…” (Trotzkij, La guerra imperialista e la rivoluzione mondiale, 1940). A maggior ragione le direzioni di una rivoluzione nazional-democratica anti-imperialista (“rivoluzione” promossa dall’alto nel caso del Venezuela, e lasciamo perdere il socialismo) sarebbero chiamate a imporre ferree regole dittatoriali di accentramento assoluto del potere politico, potendo solo in tal modo comprimere le mille spinte centrifughe delle consorterie borghesi interne che agiscono come terminali e cavalli di Troia della pressione esterna dell’imperialismo. Su questo versante invece il governo chavista risponde fin troppo debolmente agli attacchi delle opposizioni, puntando a contenerle per evitare  l’innalzamento della temperatura sociale (suscettibile di mettere in moto la temuta contro-attivizzazione proletaria di classe), e le proteste dei potentissimi sponsor imperialisti contro gli “eccessi della repressione”. Una debolezza che a nostro avviso incoraggia l’audacia criminale degli oppositori, e, lungi dal prevenirle, prepara le esplosioni ulteriori. Massima è sempre stata, invece, la chiusura di ogni spazio di organizzazione indipendente e di agibilità in proprio del proletariato con l’obiettivo perseguito dal governo chavista di prevenire l’emergere di una reale opposizione interna di segno proletario. E’ su questo versante che il governo Maduro si mostra del tutto intransigente, non tollerando  che la propria base risponda agli attacchi delle destre sullo stesso terreno della mobilitazione di piazza e della dispiegata autodifesa (semmai il governo ha organizzato da ultimo esercitazioni militari che inquadrano una limitatissima rappresentanza di “civili” nei ranghi e sotto i comandi dell’esercito). La base chavista mal digerisce la sostanziale impunità garantita ai leaders delle opposizioni, e viene subito ammonita dal governo se poco poco si azzarda a prendere l’iniziativa e a travalicare gli argini tracciati, come si è visto quando una contestazione chavista sotto al parlamento controllato dalle opposizioni è degenerata in scontri, passandosi alle vie di fatto una volta tanto non su iniziativa delle opposizioni ma dichiaratamente contro di esse. Ne ha riferito il manifesto del 6/07/17: Maduro ha annunciato l’avvio di un’inchiesta, dichiarando “non avallerò manifestazioni violente”.

Resta, a conferma dell’ipocrisia dell’imperialismo e dell’inconsistenza della “democrazia” come preteso “valore universale”…, il sostegno garantito dai “nostri” governi imperialisti agli Al Sisi, ai monarchi sauditi e quant’altri noti “campioni di democrazia” ad essi alleati ne puntellano l’ordine di classe e il dominio imperialistico nel mondo. Quegli stessi governi occidentali che, girata pagina, indossano la toga di giudici universali (e all’occorrenza la divisa di importatori) di democrazia, e ammoniscono Maduro (dopo Saddam, Milosevic, Gheddafi, Assad…), richiamandolo minacciosamente al “rispetto” dei “diritti politici” delle opposizioni golpiste e dei voleri delle alte gerarchie del capitale e di Chiesa ad essi allineate. Sul Corriere della Sera del 13/02/16 abbiamo letto l’editoriale di Sergio Romano che sul caso  Regeni e sui “metodi del governo egiziano” invita a “non dimenticare che l’Egitto sta combattendo contro un mostro” (il radicalismo islamico e l’Isis, n.n.), che l’Egitto “si sta difendendo da un’organizzazione terroristica che considera Roma uno dei suoi prossimi obiettivi”, sicché nessun richiamo sulla democrazia e sul “rispetto dei diritti politici delle opposizioni” deve essere indirizzato a un Al Sisi, pienamente giustificato piuttosto, perché “piaccia o no, l’Egitto in questo momento è un alleato non un nemico”. Con il che si chiude il cerchio dell’ipocrisia dei governanti occidentali, veri super-dittatori che affamano e aggrediscono i paesi non sufficientemente sottomessi ai propri diktat, senza farsi minimo problema di devastare e insanguinare il pianeta con ogni sorta di aggressione e distruzione pur di tenere saldo nelle proprie mani il dominio sul mondo.

LO SCONTRO DI CLASSE
ATTRAVERSA LA CHIESA CATTOLICA

Il 4 agosto Papa Bergoglio ha preso ufficialmente posizione sulla crisi Venezuelana dopo il voto del 30 luglio per l’elezione dei membri della assemblea costituente voluta da Maduro. Nota è la posizione di Papa Bergoglio a favore del dialogo tra governo e opposizioni e noti sono i tentativi per una mediazione per comporre la crisi ponendo fine alle violenze. Una posizione finora molto diversa da quella dei governi occidentali, che supportano tutte le più spregiudicate iniziative e pretese delle opposizioni, e anche da quella delle alte gerarchie della Chiesa venezuelana, non allineata alla Santa Sede e schierata con il cartello delle opposizioni (la Mesa de la Unidad Democratica) nel reclamare la “salida” di Maduro. Nel giorno in cui il presidente della neo-eletta assemblea costituente ha aperto i lavori dichiarando che “il popolo del Venezuela insedia la sovrana e plenipotenziaria assemblea costituente, nuovo organo che lotterà contro l’oppressione straniera e contro la borghesia nazionale”, il comunicato della Santa Sede ha formulato una esplicita richiesta di “sospensione dei lavori” della nuova assemblea, che -si legge nella nota pontificia- “anziché favorire la riconciliazione e la pace” alimenterebbe “un clima di tensione e di scontro”. Claudia Fanti sul manifesto del 5/08/17 riferisce che la nota della Santa Sede “arriva a chiedere a tutti gli attori politici, ma in particolare al governo, di assicurare il pieno rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali… invitando in particolare le forze di sicurezza ad astenersi dall’uso eccessivo e sproporzionato della forza”.

Quindi anche Papa Bergoglio accede alla tesi secondo la quale l’assemblea costituente rappresenta in ogni caso una “forzatura” che non favorisce la “composizione pacifica” dello scontro. Indubbiamente la volontà del governo di non cedere alle opposizioni, di rimettere al centro l’azione politica di un’assemblea a maggioranza chiavista con pieni poteri, di rilanciare le riforme bolivariane, prelude all’acutizzarsi dello scontro. Viene al dunque la posizione del pontificato Bergoglio che in mille occasioni si spende a favore delle ragioni delle classi sfruttate del mondo intero, non mancando talvolta di chiamare per nome le responsabilità del capitalismo. Quelle ragioni e istanze sono alla base delle aspettative che larghe masse venezuelane hanno riposto nel corso politico chavista, come è chiaro che sull’altra sponda dell’ipotetica mediazione ci sono le contrapposte istanze di sfruttamento e di dominio politico delle classi più ricche del Venezuela e dei poteri forti del mercato mondiale, mille volte bacchettati dal Pontefice. A scatenare le violenze e negare “la pace” sono le forze politiche e le classi sociali che convergono nel cartello della MUD e che vogliono porre fine con ogni mezzo alla politica riformatrice promossa dal chavismo. Cosa significa il richiamo di Papa Bergoglio? Si possono spendere belle parole sui “diritti umani e sociali” delle classi più povere e all’occorrenza denunciare l’avidità del sistema capitalistico che li calpesta, ma occorre poi recedere da ogni anche timido e incoerente tentativo concreto di promuoverli, così accontentando i poteri forti, pur di garantire il “bene supremo della pace”? La posizione di classe in Venezuela non passa certo per l’iter tracciato dalle direzioni chaviste, cioè per il voto, l’insediamento e il lavoro costituente della nuova assemblea dai quali attendersi un secondo tempo della rivoluzione bolivariana che sollevi le masse diseredate dalle sofferenze che attualmente le colpiscono (e a questa stregua non staremo noi a chiedere che l’assemblea prosegua a pieno ritmo i suoi lavori a petto della “sospensione” richiesta da Bergoglio); certamente, però, non passa neanche per la mediazione caldeggiata dal Papa, chiamato dai fatti a prendere atto che una concreta politica di limitata riforma e redistribuzione sociale in un paese come il Venezuela ha scatenato l’odio e la violenza di una muta di cani in loco e nell’intera “comunità internazionale” con gli imperialisti a suonare le trombe e muovere i fili. Dica dunque il Pontefice come possono avanzare e affermarsi le istanze di giustizia sociale contro questo muro d’odio di classe. Noi crediamo che le masse sfruttate in Venezuela, facendo tesoro dell’esperienza e delle promesse che il chavismo non è stato in grado di mantenere, non debbano delegare all’assemblea costituente la salvaguardia dei propri interessi attendendo che da essa gli cadano in grembo le soluzioni ai propri problemi, ma debbano organizzarsi e disporsi alla lotta per preservare quel che è stato ottenuto (e che la muta di cani di cui sopra rivuole indietro con gli interessi), e debbano necessariamente radicalizzare l’iniziativa e la lotta di massa ben oltre e necessariamente travolgendo gli argini segnati dalla “rivoluzione bolivariana”, sia denunciando le politiche interclassiste e i compromessi a perdere che il governo chavista va promuovendo con i settori di borghesia che si mostrano interessati a questa o quell’altra collaborazione (fino a quando ne vedano un congruo ritorno), sia richiamandosi e collegandosi alla necessità non della mera solidarietà ufficiale di questo o quell’altro Stato progressista dell’America Latina ma di un fronte internazionale di classe nell’intera area che moltiplichi la forza e l’impatto della lotta delle masse sfruttate in ogni paese costringendo la borghesia ad arretrare dalle proprie pretese.

Dietro lo scontro che si appunta contro il governo bolivariano, un governo democratico-borghese riformatore (per riforme tutte interne al tracciato capitalistico, e nondimeno coraggiose in un contesto in cui storicamente la borghesia e gli imperialisti sono abituati a imporre i propri interessi di rapina senza il benché minimo riguardo per la condizione delle classi sfruttate), si agita un più profondo scontro di classe che ci riguarda direttamente e che attraversa l’intera società e tutte le classi del Venezuela. Che non si tratti di una mera crisi politica ricomponibile con negoziati tra il partito chavista e la MUD Papa Bergoglio può comprenderlo anche guardando dentro la sua Chiesa. Se la Conferenza Episcopale venezuelana è schierata con la MUD, se l’arcivescovo di Caracas, Jorge Urosa Savino (quello che già ebbe a benedire il colpo di stato del 2002), ritiene “illegale e illegittima” la assemblea costituente perché “non convocata dal popolo”, e se ancora la Compagnia di Gesù è “schierata apertamente contro il governo Maduro”, nondimeno è ancora Claudia Fanti sul manifesto del 5/08 a smentire il cardinal Urosa Savino secondo il quale “la bocciatura del progetto di Maduro unirebbe tanto i vescovi quanto i preti delle comunità più povere”.

Noi proseguiamo e concludiamo questa nota trascrivendo l’ultima parte, eloquente per i riferimenti riportati, del citato articolo di Claudia Fanti, dove si legge che “decisamente in controtendenza rispetto alla posizione della Compagnia di Gesù… il gesuita Numa Molina, parroco della storica chiesa di San Francisco a Caracas, contesta gli inviti della gerarchia alla disobbedienza civile e alle proteste pacifiche, quando ‘tutti sanno quale significato assumono in Venezuela tali proteste, una delle quali ha dato vita nientedimeno che a un colpo di Stato, quello dell’11 aprile 2002’ “ (il premier Gentiloni, che reclama il rispetto dei diritti politici e la libertà di manifestare per le opposizioni, se ne faccia un bel quadretto). Il gesuita Molina “denuncia il silenzio assordante dei vescovi sulle innumerevoli conquiste sociali realizzate dal governo bolivariano; sottolinea l’assenza clamorosa di una qualsiasi parola di condanna nei confronti delle ripetute violazioni dei diritti umani da parte dei gruppi armati dell’opposizione, giunti perfino a bruciare vive più di venti persone sospettate di appoggiare il governo;  pone l’accento sulla sintonia pressoché totale tra la Conferenza Episcopale e i partiti dell’opposizione della MUD, confermata dal sostegno dei vescovi al plebiscito farsa convocato dall’opposizione il 16 luglio scorso, quando molte parrocchie sono arrivate a cedere i loro spazi per consentire la consultazione delle destre, questa sì chiaramente illegale”. La voce di Numa Molina non è isolata. La Fanti prosegue citando “una recente nota dell’Ordine delle Religiose del Sacro Cuore, molto attive in Venezuela a fianco della popolazione più povera, le quali offrono un quadro decisamente alternativo a quello trasmesso dall’informazione ufficiale: ‘Venti anni fa -recita la nota- tutto quello che oggi manca si trovava facilmente sugli scaffali, ma la maggior parte dei venezuelani e delle venezuelane non poteva permettersi di acquistarlo’. E, se ora scarseggiano  beni essenziali, spiegano le religiose, la colpa non è di Maduro, ma di ‘un’industria capitalista borghese’ che ‘non produce a sufficienza perché non vuole farlo’, spinta solo dalla volontà di rovesciare un governo legittimo che ha osato promuovere educazione, sanità gratuita, diritti del lavoro, salariali e sociali, e restituire autostima e dignità alle maggioranze povere del Paese. Più che la mancanza di alcuni alimenti e forniture mediche e medicine, ci preoccupa -conclude la nota- la certezza che un eventuale trionfo dell’industria capitalista, per qualunque via, significherà la perdita della maggiore quantità di sicurezza sociale, salariale ed educativa di cui abbiamo mai goduto’ “.

NULLISMO POLITICO
DEL CHAVISMO CRITICO E DI SINISTRA

E’ noto che al cartello della MUD (Mesa de la Unidad Democratica) partecipano anche forze di cosiddetta sinistra (fino al settembre 2014 ne avrebbe fatto parte finanche “Bandiera Rossa”, gruppo “marxista-leninista” ed ex-guerrigliero -sic!?-). Tal genere di aberrazioni a parte (non nuove per chi non dimentica i “marxisti” presenti nell’UCK, cavallo di Troia dell’aggressione imperialista alla Jugoslavia e al Kosovo), sussiste poi in Venezuela -su un piano diverso, certamente, ma doverosamente avvertiti delle aberrazioni di cui sopra…- un’area di sinistra che si oppone a Maduro rifiutando l’alleanza con le destre coalizzate nella MUD. Ne danno ampio conto gli articoli del manifesto che dà spazio in particolare alle posizioni del gruppo Marea Socialista e alla Piattaforma a difesa della Costituzione. Ribadito in generale che l’eventuale concomitanza/alleanza di oppositori di sinistra con le destre e i loro sponsor imperialisti  costituisce un’aberrazione assoluta e inemendabile (dietro la quale si trincerano fin troppi “internazionalisti” in cerca di giustificazioni “classiste” per mettersi alla coda della crociata democratica contro i dittatori che l’imperialismo decide di sbirillare), non ci sarebbe neanche bisogno di stabilire demarcazioni tra oppositori di “sinistra” che finiscono per allearsi con l’ultra-destra borghese e quelli che non lo fanno, tanto è ovvia la differenza quanto naturale dovrebbe essere l’incompatibilità, se non fosse per le argomentazioni ambigue e reticenti spese dalle opposizioni di sinistra in parola, ovvero da chi intenderebbe tracciare una prospettiva suppostamente più avanzata rispetto al chavismo, che affoga in difficoltà propedeutiche alla bancarotta, ma, a corto di ogni zenith di riferimento della prospettiva in questione, non riesce a far altro che l’eco “di sinistra” alle opposizioni ultraborghesi.

Noi ci collochiamo nel campo inequivoco di una opposizione di classe che in Venezuela è chiamata a mettere in fila -ciascuno al posto che gli compete- tutti i suoi nemici, ovvero la canaglia alto-borghese, creola e di più recente importazione (non ultima quella di provenienza italiana), che da sempre domina il paese in combutta con gli imperialisti occidentali, gli imperialisti desiderosi di togliersi dai piedi Maduro e ristabilire le precedenti linee di trasmissione dei propri diktat e relativi affidabili referenti, e il governo chavista, che, se ha avviato una politica che punta a riconquistare margini di autonomia nazionale dall’imperialismo varando sul fronte interno le note riforme sociali, non per questo ha in programma di eliminare l’oppressione e lo sfruttamento di classe, ponendosi pur esso -con l’apparato statale di cui ha il controllo- come argine invalicabile contro qualsivoglia tentativo delle classi sfruttate di orientarsi in questa direzione. Di Marea Socialista leggiamo che si tratterebbe di chavisti contrari a Maduro, integratisi nel 2008 nel PSUV (Partito Socialista Unito del Venezuela, il partito chavista) dal quale sono usciti  nel 2015, che non avallano alleanze con la MUD e sono in qualche modo collegati al Segretariato Unificato della IV Internazionale. In un loro appello del 31/07/17 si legge di due “cupole politiche (il PSUV e la MUD, n.n.) che si apprestano al negoziato con il  grande capitale e aprono la porta a un periodo di saccheggio imperiale e alla predominanza del capitale finanziario e mafioso”. L’elezione della costituente è denunciata come “frode colossale, collasso del paese, bancarotta di uno stato corrotto, smantellamento della Repubblica, dissoluzione della Nazione la cui integrità è messa a rischio…”. Alla MUD si rimprovera “l’incapacità, la superbia, l’elitarismo manifesto e la sua sfacciata apertura ad uno scontro violento e all’ingerenza americana… “ (nessun riferimento esplicito agli interessi di classe che la MUD rappresenta, se pecca della MUD è di essere “incapace”!, n.n.), mentre l’appello si rivolge “ai giovani e agli studenti che, con coraggio, difendono il loro futuro nelle strade, nelle università pubbliche, in quelle private e persino in quelle governative, nonostante la continua rappresaglia e le intimidazioni” (francamente ambiguo, posto che le “guarimbas” di strada rappresentano innanzitutto la protesta della gioventù borghese prevalentemente localizzata nei quartieri bene della capitale). Condivisibile la denuncia sulla burocratizzazione, sul decreto dell’Arco Minero dell’Orinoco, sulle Zone Speciali, etc., ma, sommando il tutto, i conti non tornano sugli spruzzetti lanciati con enfasi da Marea Socialista, alquanto reticente sulla MUD e sulle proteste di strada da essa impulsate, e innanzitutto poco credibile alla luce dell’entrismo nel PSUV fino all’altroieri per accorgersi solo adesso che trattasi di una “cupola” che al pari della MUD offre il paese al “saccheggio imperiale e al capitale finanziario e mafioso”. 

Quanto alla Piattaforma a difesa della Costituzione, il portavoce Edgardo Lander spiega in dettaglio perché Maduro ha violato a più riprese la costituzione del 1999: la nomina irregolare di giudici del Tribunale supremo di giustizia da parte dell’Assemblea dimissionaria dopo la vittoria delle destre nel 2015; la cancellazione del referendum di revoca presidenziale; la sospensione delle elezioni dei governatori (previste per dicembre 2016); l’aver -nel marzo 2016- esautorato il Parlamento (che si rifiutava di rimuovere tre deputati la cui nomina era stata invalidata per frode, e boicottava apertamente presidenza della repubblica e Tribunale supremo di giustizia, n.n.), governando da allora per decreto in stato di emergenza per un periodo di tempo superiore a quanto previsto e consentito (leggi sul manifesto del 13/08/17). Tralasciamo di trascrivere le ulteriori irregolarità relative alla convocazione delle elezioni per l’assemblea costituente, e domandiamo a Lander perché omette di ricordare che le opposizioni sin dal 2014 -ben prima della vittoria elettorale del 2015- avevano avviato (in verità ri-avviato) le proteste di piazza con l’obiettivo dichiarato di estenderle fino a poter ripetere il golpe del 2002? Che significa bacchettare Maduro su questa o quell’altra procedura incostituzionale, se si fa finta di non vedere che le destre, con la forza che gli proviene da un ampio fronte di supporters (e che supporters!) internazionali, hanno rimesso in moto (dal 2014!) un’iniziativa che punta nuovamente al golpe, boicottando la dialettica istituzionale per paralizzare la macchina statale e fomentando l’escalation delle violenze di piazza? Contro le quali noi non ci sogniamo minimamente di “aderire a soluzioni repressive” affidate allo Stato venezuelano (come Lander rimprovera a certa “sinistra schierata acriticamente con il chavismo”), e non certo perché la repressione dello Stato chavista andrebbe a colpire “dinamiche sociali complesse e spesso contraddittorie” (la stessa enfasi ambigua di Marea Socialista su “giovani e studenti che difendono il futuro nelle strade e nelle università… private… contro le rappresaglie…”). L’offensiva della destra borghese vuole defenestrare Maduro per sottomettere il proletariato, e ne chiama in causa la risposta di lotta a difesa del proprio destino e dei propri interessi di cui si tratta e decide, mentre lo Stato chavista, cui il proletariato malauguratamente delegasse la risposta alle destre rinunciando al protagonismo di classe in proprio, alla buona occorrenza rivolgerebbe la repressione dei suoi apparati -questa volta senza tentennare né temere proteste internazionali- contro una classe che già oggi è chiamata a rispondere a viso aperto all’offensiva borghese e all’aggressione imperialista con una ripresa di lotta che necessariamente vada oltre l’orizzonte, i metodi e le soluzioni chavisti, mettendo in discussione su queste basi di classe il governo Maduro.

Gli “errori” di Maduro non stanno nelle violazioni costituzionali che impedirebbero di dialogare con le anime belle dell’opposizione. Nessun lume viene acceso al riguardo dalla “riflessione critica” sul chavismo di Luciana Castellina che sul manifesto del 2/08/17 rivolge un accorato invito a “non chiudere gli occhi”. Questa sinistra anti-MUD, nel momento in cui l’intero establishment d’Occidente si solleva contro Maduro, non può esimersi dal replicare la propria critica ritrita, vuota di spirito e di contenuti di classe, con la quale nello specifico imputa anch’essa al chavismo le infinite “carenze democratiche” di cui si è detto, e ancora di non aver saputo sottrarre il Venezuela alla mono-produzione del petrolio, avendo bensì redistribuito “generosamente” la ricchezza (derivante da una rendita petrolifera in contrazione, n.n.), ma senza essere stato “abbastanza accorto nel produrre la ricchezza necessaria”. A conti fatti si imputa a Chavez-Maduro di non aver posseduto la bacchetta magica, e si mescola in un maleodorante pout pourrila mancata diversificazione dell’economia, la metastasi della corruzione, il collasso dell’economia formale, il dilagare del mercato nero, l’impunità, le divisioni interne…” (lo fa Claudia Fanti sul manifesto del 1/08/17, mettendo tutto insieme difetto di bacchetta magica, magagne reali, boicottaggi dell’ “industria capitalista borghese”…). Le conclusioni della “riflessione critica” della Castellina sono disarmanti: posto che “nessuna rivoluzione resta vincente e fedele alle sue intenzioni” (!?), quel che serve è “creare cultura, organizzazione, costruzione di canali di partecipazione (tutto in astratto, n.n.) che consentano di assumere responsabilità di lungo periodo, strategia (quale? nessun accenno lo chiarisce, n.n.)”, perché “l’obiettivo è vincere la transizione a una società superiore (quindi in Venezuela sarebbe pur sempre in corso una non meglio specificata transizione, n.n.) non la guerra civile imposta dal nemico” (se è imposta dal nemico e l’obiettivo non è di vincerla, rimane solo garantire la de-escalation contro l’opposta volontà di scontro finale, oppure perderla: è la “linea Bergoglio, n.n.).

L’errore dei chavisti e dei loro critici di sinistra sta nel respingere la prospettiva della rivoluzione di classe internazionale e nel concepire come possibile non diremo il socialismo (che non di questo si tratta né in Venezuela né altrove, altro che “transizione”…) ma anche soltanto un processo di riforme sociali avanzate nel chiuso della rivendicata indipendenza di un singolo paese che punti a sottrarsi per tal via alla dominazione imperialista che storicamente lo soggioga, mentre il capitalismo imperialista continua a svilupparglisi tutto intorno e all’interno. Il ripudio dell’internazionalismo di classe e la corrispondente illusione di una via nazionale e di tante singole vie nazionali indipendenti e non interferenti l’una con l’altra (salva la solidarietà ufficiale formalizzata tra Stati e governi progressisti) comporta conseguenze molto concrete. Il governo chavista, cui si imputano atteggiamenti dittatoriali, impernia invece la sua politica sulla collaborazione di un “blocco sociale” nazionale interclassista, e non a caso “la base chavista denuncia il ruolo della cosiddetta ‘boliborghesia’ (cioè borghesia bolivariana), costituita da alti funzionari di imprese pubbliche e dell’apparato statale, militari di altro grado e alcuni imprenditori arricchitisi all’ombra delle istituzioni”, mentre “Maduro potrà avere le migliori intenzioni, ma a imporsi è una lobby molto forte di mafie interne al governo, legate alle banche e alla rendita petrolifera” (è Claudia Fanti che sul manifesto del 1/08/17 cita “il rivoluzionario critico Roland Denis”). Su questa china, mentre vengono a mancare le risorse per alimentare le riforme, la “rivoluzione bolivariana”, incalzata dalla crisi e dalla riduzione della rendita del petrolio, ha registrato non pochi significativi passi all’indietro: “dalla creazione delle Zone Economiche Speciali -parti del territorio nazionale amministrate da capitali stranieri- all’espansione dell’estrattivismo verso nuove frontiere, a cominciare da quella del mega-progetto dell’Arco Minero dell’Orinoco, che apre quasi 112 mila km quadrati, pari al 12% del territorio, allo sfruttamento di oro, diamanti, coltan, ferro e altri minerali, autorizzando, in cambio di entrate monetarie a breve termine, la distruzione irreversibile di una zona coperta da foreste tropicali  e savane…”, con buona pace dei propositi di difesa ambientale e dei diritti delle popolazioni indigene. Ecco perché il chavismo perde consensi nella fasce sociali diseredate, chiamate ora dalla MUD a mobilitarsi ai propri comandi; esse vedono che, a dispetto delle privazioni di cui soffrono, il gigantesco apparato militar-burocratico preserva le proprie condizioni, mentre il governo “concede accesso alle risorse petrolifere e minerarie a multinazionali a condizioni (lavorative e salariali, n.n.) che non si differenziano da quelle dei governi neoliberisti” (Edgargo Lander sul manifesto del 13/08/17). A fronte di questa complessa situazione l’assemblea costituente dà mostra di voler rilanciare in avanti il programma di riforme sociali: Miguel Angel Nunez, direttore dell’Istituto Universitario Latinoamericano di Agroecologia, parla addirittura di “superamento ‘dell’attuale modello di coesistenza tra proprietà statale e proprietà privata’ secondo ‘una concezione più avanzata’ del modello socialista, centrata non tanto sulla proprietà statale quanto su quella sociale dei mezzi di produzione” (Claudia Fanti, manifesto del 1/08/17). Le opposizioni di destra e con esse l’imperialismo affilano le armi per tornare a colpire il governo Maduro contando sul crescente disincanto delle masse che hanno dato ancora una volta (parziale) fiducia alle promesse rinnovate dal chavismo. Guai se il proletariato non comincerà a mettere in campo il proprio indipendente protagonismo, che contrasti l’offensiva delle destre e dell’imperialismo senza delegare il compito allo Stato, mettendo a fuoco e misurandosi per tempo in questa necessaria ripresa di iniziativa e di lotta con gli argini repressivi che il governo bolivariano è pronto ad alzare contro la mobilitazione di classe.

11 settembre 2017