Le
dichiarazioni dei governanti
occidentali sullo scontro in Venezuela grondano falsità e spudoratezza.
Ogni
commento dei politici di destra e di “sinistra”, ogni cronaca della
stampa nostrana
è un travisamento dei fatti e un oggettivo incitamento alla paventata
guerra
civile, con l’aspettativa che l’innalzamento delle tensioni faccia
crescere
l’ola internazionale di indignazione contro Maduro, inducendolo a
mollare
l’osso del potere politico nelle mani delle opposizioni. Se il “mite”
Gentiloni
scrive letterine a doppie mani con lo spagnolo Rajoy per consigliare
vivamente
Maduro perché ceda alle pretese delle destre, Trump impone sanzioni e
minaccia
interventi militari diretti contro il governo bolivariano.
Dal
1998 la Presidenza della
Repubblica è in mano al partito chavista (Partito Socialista Unito del
Venezuela - PSUV), confermato da tutte le elezioni presidenziali
tenute, e
soprattutto dall’oceanica mobilitazione che nel 2002 pose fine al colpo
di
stato delle destre riportando Chavez in trionfo al palazzo Miraflores.
Il
partito chavista ha invece perso le elezioni parlamentari del 2015 che
hanno
consegnato alle destre la maggioranza dell’assemblea legislativa.
Favorite dalla
crisi, che ha messo a durissima prova il consenso popolare al governo
chavista,
le destre hanno intensificato l’agitazione di piazza reclamando
l’uscita di
scena di Maduro (la “salida”). Con l’elezione della nuova assemblea
costituente
Maduro rilancia l’iniziativa politica del governo, esautorando di fatto
l’assemblea legislativa controllata dalle destre, e puntando a
contenere lo
scontento delle masse con la promessa che il rilancio della
“rivoluzione
bolivariana” valga a lenire e superare l’acuto disagio delle classi
povere. In
linea con quanto già scritto (leggi l’articolo
Venezuela
del 17/07/17)), noi non riconosciamo ovviamente alcuna
capacità taumaturgica alla nuova assemblea, e staremo a vedere in che
direzione
i “costituenti” orienteranno i propri passi. Vero è che
i “principi della rivoluzione bolivariana”
sono esattamente quelli che nel ventennio alle spalle hanno condotto il
Venezuela all’attuale drammatico collo di bottiglia. Annotiamo peraltro
che il
tentativo di Maduro è passato pur sempre per una nuova chiamata alle
urne, tra
l’altro in un passaggio difficile per il governo, che, pur presente
l’intento
dichiarato di recuperare l’originario spirito riformatore chavista,
avrebbe
potuto raccogliere nondimeno la disaffezione delle masse confermandosi
consensi
maggioritari alle destre. La consultazione
elettorale per la nuova assemblea, orientata a rilanciare quella
rivoluzione
bolivariana che destre e sponsor imperialisti vogliono archiviare,
viene
decisamente osteggiata dalle opposizioni e dai loro sponsor
internazionali,
secondo i quali la nuova assemblea è “illegittima”, Maduro “avrebbe
dovuto prima
indire un referendum”, comunque è “una forzatura”… .
Nulla
da ridire invece sul
“plebiscito” organizzato dalle opposizioni per votare la sfiducia a
Maduro. Al
riguardo la stampa nostrana rilancia tutte le falsità delle opposizioni
mescendo
come oro colato ai lettori le bugie degli anti-chavisti. Sono stati
presi per
buoni gli oltre 7 milioni di votanti nella consultazione anti-Maduro
spacciati
dalle opposizioni, quando Geraldina Colotti sul manifesto
del 18/07/17 ha evidenziato che i seggi allestiti dalle
opposizioni avrebbero potuto ricevere al massimo 2 milioni e mezzo di
votanti; sono
state finanche pubblicate foto che taroccano per elettori della
consultazione
anti-Maduro le file per la simulazione di voto per la assemblea
costituente (consultazione
anti-Maduro e simulazione del voto “istituzionale” si sono tenuti lo
stesso
giorno, il 16/07, mentre le elezioni per la costituente il successivo
30/07).
Nel voto per la costituente, boicottato dalle opposizioni, il governo
Maduro ha
vantato la partecipazione di oltre 8 milioni di votanti (il 41% degli
elettori), dato successivamente messo in
discussione dalla società che
gestisce
il voto elettronico in Venezuela che -da Londra- ha dichiarato gonfiato di “almeno un
milione di voti” il
numero di Maduro. Noi annotiamo innanzitutto un’astensione che va molto
oltre
l’elettorato orientato a favore delle opposizioni; in secondo luogo il
consenso
parziale ma non del tutto irrilevante catalizzato dalla proposta di
“rilancio
della rivoluzione bolivariana”; infine la scarsa consistenza di truppe
al
seguito delle opposizioni, che si presentano più che altro come un
affollato
stato maggiore di alte gerarchie industriali e di chiesa, spalleggiato
dai vari
Gentiloni d’Occidente che incalzano
Maduro
sul “rispetto dei diritti umani, la libertà degli oppositori politici
(golpisti
già amnistiati da Chavez, n.n.), la libertà di manifestare…”. Altro
falso
macroscopico della stampa nostrana riguarda l’ostensione dei morti
degli
scontri in Venezuela. Il Corriere della Sera del 31/07/17 compone a
lato un
riquadro dove allinea 118 omini per esaltarne l’elevato numero
(riferito ai
soli ultimi 4 mesi, datosi che le guarimbas
di piazza fomentate dalle opposizioni con relativi morti vanno avanti
dal
2014). Ovviamente il Corriere della Sera attribuisce queste morti alla
polizia
del “dittatore”, quando invece è risaputo, ma non ne troverete traccia
negli
articoli del Corriere della Sera, che la metà dei 120 morti del più
recente
periodo li hanno fatti le bande criminali al servizio delle
opposizioni, con
numerosi attivisti e candidati per la costituente chavisti vittime di
attentati, linciaggi e roghi.
Tutto
ciò detto e da dirsi quanto
a fatti nudi e crudi, nulla è più lontano dalle nostre intenzioni che
opporre
al quadretto del Corriere della Sera, quello di un’ opposizione
democratica e
pacifica duramente repressa dal dittatore (Maduro come Assad… ), il
santino
(che sarebbe altrettanto falso) del governo Maduro che rispetta le
regole della
democrazia contro i colpi bassi delle opposizioni, cui è invece
concessa (dagli
sponsor imperialisti) ogni licenza di crimine. Niente è più lontano da
noi
dell’idea di una democrazia come presunto valore universale (la banale
petizione
della “democrazia di tutti e per tutti” a prescindere dalla divisione e
dagli
antagonismi di classe e dalla dominazione dell’imperialismo). Nulla da
noi è
più distante di quella pseudo-“sinistra” che brandisce la democrazia
come
bandiera di battaglia politica in specifico contro i dittatori di turno
e senza
neanche trattenersi dal plaudire più o meno sguaiatamente alla sua
importazione
da parte del proprio imperialismo. Ne consegue che neppure minimamente
pensiamo
a Maduro come campione di “democrazia popolare” contro la aggressione
imperialista (più che reale) in corso. Sappiamo piuttosto che la
democrazia
formale è “un lusso che solo le metropoli
imperialiste possono permettersi” (Trotzkij). Un lusso che,
nella crisi,
subisce continui tagli nelle stesse metropoli. Se finanche Renzi si
mette sotto
le scarpe le famose regole (ad esempio abolendo la legge sui voucher
per
evitare il referendum salvo riapprovare subito dopo la legge che li
reintroduce; e ben altri esempi potrebbero essere ricavati dalla più
recente
attualità domestica, vedi il foglio di via alla giornalista Marinella
Correggia
per aver esposto uno striscione contro Trump in visita nella capitale),
figuriamoci che uso possano fare delle regole democratiche il governo e
più
ancora le opposizioni di un paese come il Venezuela (lo testimonia
anche
l’eccezionale volubilità delle diverse istanze della magistratura
venezuelana
che un giorno arrestano i leaders delle opposizioni e il giorno dopo li
rilasciano). Invero, come non è possibile “il socialismo in un solo
paese”,
così neanche è data la possibilità di una piena e libera indipendenza
nazionale
di un paese arretrato entro le spire opprimenti dell’ordine
imperialistico. “Gli stati nazionali delle
nazioni arretrate
non possono contare a lungo su uno sviluppo democratico indipendente.
Circondata da un capitalismo decadente ed intricato nelle
contraddizioni
imperialiste, l’indipendenza di uno Stato arretrato non può essere che
semi-fittizia, e il suo regime politico, sotto l’influenza delle
contraddizioni
di classe interne e della pressione esterna, cadrà inevitabilmente in
una
dittatura eretta contro il popolo…” (Trotzkij, La
guerra imperialista e la rivoluzione mondiale, 1940). A
maggior
ragione le direzioni di una rivoluzione nazional-democratica
anti-imperialista
(“rivoluzione” promossa dall’alto nel caso del Venezuela, e lasciamo
perdere il
socialismo) sarebbero chiamate a imporre ferree regole dittatoriali di
accentramento assoluto del potere politico, potendo solo in tal modo
comprimere
le mille spinte centrifughe delle consorterie borghesi interne che
agiscono
come terminali e cavalli di Troia della pressione esterna
dell’imperialismo. Su
questo versante invece il governo chavista risponde fin troppo
debolmente agli
attacchi delle opposizioni, puntando a contenerle per evitare l’innalzamento della
temperatura sociale (suscettibile
di mettere in moto la temuta contro-attivizzazione proletaria di
classe), e le proteste
dei potentissimi sponsor imperialisti contro gli “eccessi della
repressione”. Una
debolezza che a nostro avviso incoraggia l’audacia criminale degli
oppositori,
e, lungi dal prevenirle, prepara le esplosioni ulteriori. Massima è
sempre stata,
invece, la chiusura di ogni spazio di organizzazione indipendente e di
agibilità
in proprio del proletariato con l’obiettivo perseguito dal governo
chavista di prevenire
l’emergere di una reale opposizione interna di segno proletario. E’ su
questo
versante che il governo Maduro si mostra del tutto intransigente, non
tollerando che la
propria base risponda agli
attacchi delle destre sullo stesso terreno della mobilitazione di
piazza e
della dispiegata autodifesa (semmai il governo ha organizzato da ultimo
esercitazioni militari che inquadrano una limitatissima rappresentanza
di
“civili” nei ranghi e sotto i comandi dell’esercito). La base chavista
mal
digerisce la sostanziale impunità garantita ai leaders delle
opposizioni, e viene
subito ammonita dal governo se poco poco si azzarda a prendere
l’iniziativa e a
travalicare gli argini tracciati, come si è visto quando una
contestazione
chavista sotto al parlamento controllato dalle opposizioni è degenerata
in
scontri, passandosi alle vie di fatto una volta tanto non su iniziativa
delle
opposizioni ma dichiaratamente contro di esse. Ne ha riferito il manifesto
del 6/07/17: Maduro ha
annunciato l’avvio di un’inchiesta, dichiarando “non
avallerò manifestazioni violente”.
Resta,
a conferma dell’ipocrisia
dell’imperialismo e dell’inconsistenza della “democrazia” come preteso
“valore
universale”…, il sostegno garantito dai “nostri” governi imperialisti
agli Al
Sisi, ai monarchi sauditi e quant’altri noti “campioni di democrazia”
ad essi
alleati ne puntellano l’ordine di classe e il dominio imperialistico
nel mondo.
Quegli stessi governi occidentali che, girata pagina, indossano la toga
di
giudici universali (e all’occorrenza la divisa di importatori) di
democrazia, e
ammoniscono Maduro (dopo Saddam, Milosevic, Gheddafi, Assad…),
richiamandolo
minacciosamente al “rispetto” dei “diritti politici” delle opposizioni
golpiste
e dei voleri delle alte gerarchie del capitale e di Chiesa ad essi
allineate.
Sul Corriere della Sera del 13/02/16 abbiamo letto l’editoriale di
Sergio
Romano che sul caso Regeni
e sui “metodi del governo egiziano”
invita a “non dimenticare
che l’Egitto sta combattendo contro un mostro” (il
radicalismo islamico e
l’Isis, n.n.), che l’Egitto “si sta
difendendo da un’organizzazione terroristica che considera Roma uno dei
suoi
prossimi obiettivi”, sicché nessun richiamo sulla democrazia
e sul
“rispetto dei diritti politici delle opposizioni” deve essere
indirizzato a un
Al Sisi, pienamente giustificato piuttosto, perché “piaccia
o no, l’Egitto in questo momento è un alleato non un nemico”.
Con il che si chiude il cerchio dell’ipocrisia dei governanti
occidentali, veri
super-dittatori che affamano e aggrediscono i paesi non
sufficientemente
sottomessi ai propri diktat, senza farsi minimo problema di devastare e
insanguinare
il pianeta con ogni sorta di aggressione e distruzione pur di tenere
saldo
nelle proprie mani il dominio sul mondo.
Il
4 agosto Papa Bergoglio ha
preso ufficialmente posizione sulla crisi Venezuelana dopo il voto del
30
luglio per l’elezione dei membri della assemblea costituente voluta da
Maduro.
Nota è la posizione di Papa Bergoglio a favore del dialogo tra governo
e
opposizioni e noti sono i tentativi per una mediazione per comporre la
crisi
ponendo fine alle violenze. Una posizione finora molto diversa da
quella dei
governi occidentali, che supportano tutte le più spregiudicate
iniziative e
pretese delle opposizioni, e anche da quella delle alte gerarchie della
Chiesa
venezuelana, non allineata alla Santa Sede e schierata con il cartello
delle
opposizioni (la Mesa de la Unidad Democratica) nel reclamare la
“salida” di
Maduro. Nel giorno in cui il presidente della neo-eletta assemblea
costituente
ha aperto i lavori dichiarando che “il
popolo del Venezuela insedia la sovrana e plenipotenziaria assemblea
costituente, nuovo organo che lotterà contro
l’oppressione straniera e contro la
borghesia nazionale”, il comunicato della Santa
Sede ha formulato una
esplicita richiesta di “sospensione dei
lavori” della nuova assemblea, che -si legge nella nota
pontificia- “anziché favorire la
riconciliazione e la
pace” alimenterebbe “un clima di
tensione e di scontro”. Claudia Fanti sul manifesto
del 5/08/17 riferisce che la nota della Santa Sede “arriva
a chiedere a tutti gli attori
politici, ma in particolare al governo, di assicurare il pieno rispetto
dei
diritti umani e delle libertà fondamentali… invitando in particolare le
forze
di sicurezza ad astenersi dall’uso eccessivo e sproporzionato della
forza”.
Quindi
anche Papa Bergoglio
accede alla tesi secondo la quale l’assemblea costituente rappresenta
in ogni caso
una “forzatura” che non favorisce la “composizione pacifica” dello
scontro.
Indubbiamente la volontà del governo di non cedere alle opposizioni, di
rimettere al centro l’azione politica di un’assemblea a maggioranza
chiavista
con pieni poteri, di rilanciare le riforme bolivariane, prelude
all’acutizzarsi
dello scontro. Viene al dunque la posizione del pontificato Bergoglio
che in
mille occasioni si spende a favore delle ragioni delle classi sfruttate
del
mondo intero, non mancando talvolta di chiamare per nome le
responsabilità del
capitalismo. Quelle ragioni e istanze sono alla base delle aspettative
che
larghe masse venezuelane hanno riposto nel corso politico chavista,
come è
chiaro che sull’altra sponda dell’ipotetica mediazione ci sono le
contrapposte
istanze di sfruttamento e di dominio politico delle classi più ricche
del
Venezuela e dei poteri forti del mercato mondiale, mille volte
bacchettati dal
Pontefice. A scatenare le violenze e negare “la pace” sono le forze
politiche e
le classi sociali che convergono nel cartello della MUD e che vogliono
porre
fine con ogni mezzo alla politica riformatrice promossa dal chavismo.
Cosa
significa il richiamo di Papa Bergoglio? Si possono spendere belle
parole sui
“diritti umani e sociali” delle classi più povere e all’occorrenza
denunciare
l’avidità del sistema capitalistico che li calpesta, ma occorre poi
recedere da
ogni anche timido e incoerente tentativo concreto di promuoverli, così
accontentando i poteri forti, pur di garantire il “bene supremo della
pace”? La
posizione di classe in Venezuela non passa certo per l’iter tracciato
dalle
direzioni chaviste, cioè per il voto, l’insediamento e il lavoro
costituente
della nuova assemblea dai quali attendersi un secondo tempo della
rivoluzione
bolivariana che sollevi le masse diseredate dalle sofferenze che
attualmente le
colpiscono (e a questa stregua non staremo noi a chiedere che
l’assemblea
prosegua a pieno ritmo i suoi lavori a petto della “sospensione”
richiesta da
Bergoglio); certamente, però, non passa neanche per la mediazione
caldeggiata
dal Papa, chiamato dai fatti a prendere atto che una concreta politica
di
limitata riforma e redistribuzione sociale in un paese come il
Venezuela ha
scatenato l’odio e la violenza di una muta di cani in loco e
nell’intera
“comunità internazionale” con gli imperialisti a suonare le trombe e
muovere i
fili. Dica dunque il Pontefice come possono avanzare e affermarsi le
istanze di
giustizia sociale contro questo muro d’odio di classe. Noi crediamo che
le
masse sfruttate in Venezuela, facendo tesoro dell’esperienza e delle
promesse
che il chavismo non è stato in grado di mantenere, non debbano delegare
all’assemblea costituente la salvaguardia dei propri interessi
attendendo che
da essa gli cadano in grembo le soluzioni ai propri problemi, ma
debbano
organizzarsi e disporsi alla lotta per preservare quel che è stato
ottenuto (e
che la muta di cani di cui sopra rivuole indietro con gli interessi), e
debbano
necessariamente radicalizzare l’iniziativa e la lotta di massa ben
oltre e
necessariamente travolgendo gli argini segnati dalla “rivoluzione
bolivariana”,
sia denunciando le politiche interclassiste e i compromessi a perdere
che il
governo chavista va promuovendo con i settori di borghesia che si
mostrano
interessati a questa o quell’altra collaborazione (fino a quando ne
vedano un
congruo ritorno), sia richiamandosi e collegandosi alla necessità non
della
mera solidarietà ufficiale di questo o quell’altro Stato progressista
dell’America Latina ma di un fronte internazionale di classe
nell’intera area
che moltiplichi la forza e l’impatto della lotta delle masse sfruttate
in ogni
paese costringendo la borghesia ad arretrare dalle proprie pretese.
Dietro
lo scontro che si appunta
contro il governo bolivariano, un governo democratico-borghese
riformatore (per
riforme tutte interne al tracciato capitalistico, e nondimeno
coraggiose in un
contesto in cui storicamente la borghesia e gli imperialisti sono
abituati a
imporre i propri interessi di rapina senza il benché minimo riguardo
per la
condizione delle classi sfruttate), si agita un più profondo scontro di
classe
che ci riguarda direttamente e che attraversa l’intera società e tutte
le
classi del Venezuela. Che non si tratti di una mera crisi politica
ricomponibile con negoziati tra il partito chavista e la MUD Papa
Bergoglio può
comprenderlo anche guardando dentro la sua Chiesa. Se la Conferenza
Episcopale
venezuelana è schierata con la MUD, se l’arcivescovo di Caracas, Jorge
Urosa
Savino (quello che già ebbe a benedire il colpo di stato del 2002),
ritiene
“illegale e illegittima” la assemblea costituente perché “non convocata
dal
popolo”, e se ancora la Compagnia di Gesù è “schierata apertamente
contro il
governo Maduro”, nondimeno è ancora Claudia Fanti sul manifesto
del 5/08 a smentire il cardinal Urosa Savino secondo il
quale “la bocciatura del progetto di
Maduro unirebbe tanto i vescovi quanto i preti delle comunità più povere”.
Noi
proseguiamo e concludiamo
questa nota trascrivendo l’ultima parte, eloquente per i riferimenti
riportati,
del citato articolo di Claudia Fanti, dove si legge che “decisamente
in controtendenza rispetto alla posizione della Compagnia
di Gesù… il gesuita Numa Molina, parroco della storica chiesa di San
Francisco
a Caracas, contesta gli inviti della gerarchia alla disobbedienza
civile e alle
proteste pacifiche, quando ‘tutti sanno quale significato assumono in
Venezuela
tali proteste, una delle quali ha dato vita nientedimeno che a un colpo
di
Stato, quello dell’11 aprile 2002’ “ (il premier Gentiloni,
che reclama il
rispetto dei diritti politici e la libertà di manifestare per le
opposizioni,
se ne faccia un bel quadretto). Il gesuita Molina “denuncia
il silenzio assordante dei vescovi sulle innumerevoli
conquiste sociali realizzate dal governo bolivariano; sottolinea
l’assenza
clamorosa di una qualsiasi parola di condanna nei confronti delle
ripetute
violazioni dei diritti umani da parte dei gruppi armati
dell’opposizione,
giunti perfino a bruciare vive più di venti persone sospettate di
appoggiare il
governo; pone
l’accento sulla sintonia
pressoché totale tra la Conferenza Episcopale e i partiti
dell’opposizione
della MUD, confermata dal sostegno dei vescovi al plebiscito farsa
convocato
dall’opposizione il 16 luglio scorso, quando molte parrocchie sono
arrivate a
cedere i loro spazi per consentire la consultazione delle destre,
questa sì
chiaramente illegale”. La voce di Numa Molina non è isolata.
La Fanti
prosegue citando “una recente nota dell’Ordine
delle Religiose del Sacro Cuore,
molto attive in Venezuela a fianco della popolazione più povera, le
quali
offrono un quadro decisamente
alternativo
a quello trasmesso dall’informazione ufficiale: ‘Venti anni fa -recita
la nota-
tutto quello che oggi manca si trovava facilmente sugli scaffali, ma la
maggior
parte dei venezuelani e delle venezuelane non poteva permettersi di
acquistarlo’. E, se ora scarseggiano
beni essenziali, spiegano le religiose, la colpa non è di
Maduro, ma di
‘un’industria capitalista borghese’ che
‘non produce a sufficienza perché non vuole farlo’, spinta solo dalla
volontà
di rovesciare un governo legittimo che ha osato promuovere educazione,
sanità
gratuita, diritti del lavoro, salariali e sociali, e restituire
autostima e
dignità alle maggioranze povere del Paese. Più che la mancanza di
alcuni
alimenti e forniture mediche e medicine, ci preoccupa -conclude la
nota- la
certezza che un eventuale trionfo dell’industria capitalista, per
qualunque
via, significherà la perdita della maggiore quantità di sicurezza
sociale,
salariale ed educativa di cui abbiamo mai goduto’ “.
E’
noto che al cartello della MUD
(Mesa de la Unidad Democratica) partecipano anche forze di cosiddetta
sinistra
(fino al settembre 2014 ne avrebbe fatto parte finanche “Bandiera
Rossa”,
gruppo “marxista-leninista” ed ex-guerrigliero -sic!?-). Tal genere di
aberrazioni a parte (non nuove per chi non dimentica i “marxisti”
presenti
nell’UCK, cavallo di Troia dell’aggressione imperialista alla
Jugoslavia e al
Kosovo), sussiste poi in Venezuela -su un piano diverso, certamente, ma
doverosamente avvertiti delle aberrazioni di cui sopra…- un’area di
sinistra
che si oppone a Maduro rifiutando l’alleanza con le destre coalizzate
nella
MUD. Ne danno ampio conto gli articoli del manifesto
che dà spazio in particolare alle posizioni del gruppo Marea
Socialista e alla Piattaforma
a difesa della Costituzione. Ribadito in generale che
l’eventuale
concomitanza/alleanza di oppositori di sinistra con le destre e i loro
sponsor
imperialisti costituisce
un’aberrazione
assoluta e inemendabile (dietro la quale si trincerano fin troppi
“internazionalisti” in cerca di giustificazioni “classiste” per
mettersi alla
coda della crociata democratica contro i dittatori che l’imperialismo
decide di
sbirillare), non ci sarebbe neanche bisogno di stabilire demarcazioni
tra
oppositori di “sinistra” che finiscono per allearsi con l’ultra-destra
borghese
e quelli che non lo fanno, tanto è ovvia la differenza quanto naturale
dovrebbe
essere l’incompatibilità, se non fosse per le argomentazioni ambigue e
reticenti spese dalle opposizioni di sinistra in parola, ovvero da chi
intenderebbe tracciare una prospettiva suppostamente più avanzata
rispetto al
chavismo, che affoga in difficoltà propedeutiche alla bancarotta, ma, a
corto
di ogni zenith di riferimento della prospettiva in questione, non
riesce a far
altro che l’eco “di sinistra” alle opposizioni ultraborghesi.
Noi
ci collochiamo nel campo
inequivoco di una opposizione di classe che in Venezuela è chiamata a
mettere
in fila -ciascuno al posto che gli compete- tutti i suoi nemici, ovvero
la canaglia
alto-borghese, creola e di più recente importazione (non ultima quella
di
provenienza italiana), che da sempre domina il paese in combutta con
gli
imperialisti occidentali, gli imperialisti desiderosi di togliersi dai
piedi
Maduro e ristabilire le precedenti linee di trasmissione dei propri
diktat e
relativi affidabili referenti, e il governo chavista, che, se ha
avviato una
politica che punta a riconquistare margini di autonomia nazionale
dall’imperialismo varando sul fronte interno le note riforme sociali,
non per
questo ha in programma di eliminare l’oppressione e lo sfruttamento di
classe,
ponendosi pur esso -con l’apparato statale di cui ha il controllo- come
argine
invalicabile contro qualsivoglia tentativo delle classi sfruttate di
orientarsi
in questa direzione. Di Marea Socialista
leggiamo che si tratterebbe di chavisti contrari a Maduro, integratisi
nel 2008
nel PSUV (Partito Socialista Unito del Venezuela, il partito chavista)
dal
quale sono usciti nel
2015, che non
avallano alleanze con la MUD e sono in qualche modo collegati al
Segretariato
Unificato della IV Internazionale. In un loro appello del 31/07/17 si
legge di
due “cupole politiche (il PSUV e la
MUD, n.n.) che si apprestano al negoziato
con il grande
capitale e aprono la porta
a un periodo di saccheggio imperiale e alla predominanza del capitale
finanziario e mafioso”. L’elezione della costituente è
denunciata come “frode colossale, collasso del
paese,
bancarotta di uno stato corrotto, smantellamento della Repubblica,
dissoluzione
della Nazione la cui integrità è messa a rischio…”. Alla MUD
si rimprovera
“l’incapacità, la superbia, l’elitarismo
manifesto e la sua sfacciata apertura ad uno scontro violento e
all’ingerenza
americana… “ (nessun riferimento esplicito agli interessi di
classe che la
MUD rappresenta, se pecca della MUD è di essere “incapace”!, n.n.),
mentre
l’appello si rivolge “ai giovani e agli
studenti che, con coraggio, difendono il loro futuro nelle strade,
nelle università
pubbliche, in quelle private e persino in quelle governative,
nonostante la
continua rappresaglia e le intimidazioni” (francamente
ambiguo, posto che
le “guarimbas” di strada rappresentano innanzitutto la protesta della
gioventù
borghese prevalentemente localizzata nei quartieri bene della
capitale). Condivisibile
la denuncia sulla burocratizzazione, sul decreto dell’Arco Minero
dell’Orinoco,
sulle Zone Speciali, etc., ma, sommando il tutto, i conti non tornano
sugli spruzzetti lanciati con
enfasi da Marea Socialista,
alquanto reticente
sulla MUD e sulle proteste di strada da essa impulsate, e innanzitutto
poco
credibile alla luce dell’entrismo
nel
PSUV fino all’altroieri per accorgersi solo adesso che trattasi di una “cupola”
che al
pari della MUD offre il paese al “saccheggio
imperiale e al capitale finanziario e mafioso”.
Quanto
alla Piattaforma a difesa della Costituzione,
il portavoce Edgardo
Lander spiega in dettaglio perché Maduro ha violato a più riprese la
costituzione del 1999: la nomina irregolare di giudici del Tribunale
supremo di
giustizia da parte dell’Assemblea dimissionaria dopo la vittoria delle
destre
nel 2015; la cancellazione del referendum di revoca presidenziale; la
sospensione delle elezioni dei governatori (previste per dicembre
2016); l’aver
-nel marzo 2016- esautorato il Parlamento (che si rifiutava di
rimuovere tre
deputati la cui nomina era stata invalidata per frode, e boicottava
apertamente
presidenza della repubblica e Tribunale supremo di giustizia, n.n.),
governando
da allora per decreto in stato di emergenza per un periodo di tempo
superiore a
quanto previsto e consentito (leggi sul manifesto
del 13/08/17). Tralasciamo di trascrivere le ulteriori irregolarità
relative
alla convocazione delle elezioni per l’assemblea costituente, e
domandiamo a
Lander perché omette di ricordare che le opposizioni sin dal 2014 -ben
prima
della vittoria elettorale del 2015- avevano avviato (in verità
ri-avviato) le
proteste di piazza con l’obiettivo dichiarato di estenderle fino a
poter
ripetere il golpe del 2002? Che significa bacchettare Maduro su questa
o
quell’altra procedura incostituzionale, se si fa finta di non vedere
che le
destre, con la forza che gli proviene da un ampio fronte di supporters
(e che
supporters!) internazionali, hanno rimesso in moto (dal 2014!)
un’iniziativa
che punta nuovamente al golpe, boicottando la dialettica istituzionale
per
paralizzare la macchina statale e fomentando l’escalation delle
violenze di
piazza? Contro le quali noi non ci sogniamo minimamente di “aderire
a soluzioni repressive” affidate
allo Stato venezuelano (come Lander rimprovera a certa “sinistra
schierata acriticamente con il chavismo”), e non certo perché
la repressione dello Stato chavista andrebbe a colpire “dinamiche
sociali complesse e spesso contraddittorie” (la stessa
enfasi ambigua di Marea Socialista
su
“giovani e studenti che difendono il
futuro nelle strade e nelle università… private… contro le rappresaglie…”).
L’offensiva della destra borghese vuole defenestrare Maduro per
sottomettere il
proletariato, e ne chiama in causa la risposta di lotta a difesa del
proprio
destino e dei propri interessi di cui si tratta e decide, mentre lo
Stato
chavista, cui il proletariato malauguratamente delegasse la risposta
alle
destre rinunciando al protagonismo di classe in proprio, alla buona
occorrenza
rivolgerebbe la repressione dei suoi apparati -questa volta senza
tentennare né
temere proteste internazionali- contro una classe che già oggi è
chiamata a
rispondere a viso aperto all’offensiva borghese e all’aggressione
imperialista
con una ripresa di lotta che necessariamente vada oltre l’orizzonte, i
metodi e
le soluzioni chavisti, mettendo in discussione su queste basi di classe
il
governo Maduro.
Gli
“errori” di Maduro non stanno
nelle violazioni costituzionali che impedirebbero di dialogare con le
anime
belle dell’opposizione. Nessun lume viene acceso al riguardo dalla “riflessione
critica” sul chavismo di
Luciana Castellina che sul manifesto
del 2/08/17 rivolge un accorato invito a “non
chiudere gli occhi”. Questa sinistra anti-MUD, nel momento in
cui l’intero
establishment d’Occidente si solleva contro Maduro, non può esimersi
dal
replicare la propria critica ritrita, vuota di spirito e di contenuti
di
classe, con la quale nello specifico imputa anch’essa al chavismo le
infinite
“carenze democratiche” di cui si è detto, e ancora di non aver saputo
sottrarre
il Venezuela alla mono-produzione del petrolio, avendo bensì
redistribuito “generosamente” la
ricchezza (derivante
da una rendita petrolifera in contrazione, n.n.), ma senza essere stato
“abbastanza accorto nel produrre la ricchezza
necessaria”. A conti fatti si imputa a Chavez-Maduro di non
aver posseduto
la bacchetta magica, e si mescola in un maleodorante pout
pourri ”la mancata
diversificazione dell’economia, la metastasi della corruzione, il
collasso
dell’economia formale, il dilagare del mercato nero, l’impunità, le
divisioni
interne…” (lo fa Claudia Fanti sul manifesto
del 1/08/17, mettendo tutto insieme difetto di bacchetta magica,
magagne reali,
boicottaggi dell’ “industria capitalista
borghese”…). Le conclusioni della “riflessione critica” della
Castellina
sono disarmanti: posto che “nessuna
rivoluzione resta vincente e fedele alle sue intenzioni”
(!?), quel che
serve è “creare cultura, organizzazione,
costruzione di canali di partecipazione (tutto in astratto,
n.n.) che consentano di assumere
responsabilità
di lungo periodo, strategia (quale? nessun accenno lo
chiarisce, n.n.)”, perché
“l’obiettivo è vincere la transizione a
una società superiore (quindi in Venezuela sarebbe pur
sempre in corso una
non meglio specificata transizione, n.n.) non
la guerra civile imposta dal nemico” (se è imposta dal nemico
e l’obiettivo
non è di vincerla, rimane solo garantire la de-escalation
contro l’opposta volontà di scontro finale, oppure perderla: è la
“linea
Bergoglio, n.n.).
L’errore
dei chavisti e dei loro
critici di sinistra sta nel respingere la prospettiva della rivoluzione
di
classe internazionale e nel concepire come possibile non diremo il
socialismo
(che non di questo si tratta né in Venezuela né altrove, altro che
“transizione”…) ma anche soltanto un processo di riforme sociali
avanzate nel
chiuso della rivendicata indipendenza di un singolo paese che punti a
sottrarsi
per tal via alla dominazione imperialista che storicamente lo soggioga,
mentre
il capitalismo imperialista continua a svilupparglisi tutto intorno e
all’interno.
Il ripudio dell’internazionalismo di classe e la corrispondente
illusione di
una via nazionale e di tante singole vie nazionali indipendenti e non
interferenti l’una con l’altra (salva la solidarietà ufficiale
formalizzata tra
Stati e governi progressisti) comporta conseguenze molto concrete. Il
governo
chavista, cui si imputano atteggiamenti dittatoriali, impernia invece
la sua
politica sulla collaborazione di un “blocco sociale” nazionale
interclassista,
e non a caso “la base chavista denuncia
il ruolo della cosiddetta ‘boliborghesia’ (cioè borghesia bolivariana),
costituita
da alti funzionari di imprese pubbliche e dell’apparato statale,
militari di
altro grado e alcuni imprenditori arricchitisi all’ombra delle
istituzioni”, mentre “Maduro potrà
avere le migliori intenzioni,
ma a imporsi è una lobby molto forte di mafie interne al governo,
legate alle
banche e alla rendita petrolifera” (è Claudia Fanti che sul manifesto
del 1/08/17 cita “il
rivoluzionario critico Roland Denis”).
Su questa china, mentre vengono a mancare le risorse per alimentare le
riforme,
la “rivoluzione bolivariana”, incalzata dalla crisi e dalla riduzione
della
rendita del petrolio, ha registrato non pochi significativi passi
all’indietro:
“dalla creazione delle Zone Economiche
Speciali -parti del territorio nazionale amministrate da capitali
stranieri-
all’espansione dell’estrattivismo verso nuove frontiere, a cominciare
da quella
del mega-progetto dell’Arco Minero dell’Orinoco, che apre quasi 112
mila km
quadrati, pari al 12% del territorio, allo sfruttamento di oro,
diamanti,
coltan, ferro e altri minerali, autorizzando, in cambio di entrate
monetarie a
breve termine, la distruzione irreversibile di una zona coperta da
foreste
tropicali e savane…”,
con buona pace
dei propositi di difesa ambientale e dei diritti delle popolazioni
indigene. Ecco perché il chavismo
perde consensi
nella fasce sociali diseredate, chiamate ora dalla MUD a mobilitarsi ai
propri
comandi; esse vedono che, a dispetto delle privazioni di cui soffrono,
il
gigantesco apparato militar-burocratico preserva le proprie condizioni,
mentre
il governo “concede accesso alle risorse
petrolifere e minerarie a multinazionali a condizioni (lavorative
e
salariali, n.n.) che non si differenziano
da quelle dei governi neoliberisti” (Edgargo Lander sul manifesto
del 13/08/17). A fronte di
questa complessa situazione l’assemblea costituente dà mostra di voler
rilanciare in avanti il programma di riforme sociali: Miguel Angel
Nunez,
direttore dell’Istituto Universitario Latinoamericano di Agroecologia,
parla
addirittura di “superamento ‘dell’attuale
modello di coesistenza tra proprietà statale e proprietà privata’
secondo ‘una
concezione più avanzata’ del modello socialista, centrata non tanto
sulla
proprietà statale quanto su quella sociale dei mezzi di produzione”
(Claudia Fanti, manifesto del
1/08/17). Le opposizioni di destra e con esse l’imperialismo affilano
le armi
per tornare a colpire il governo Maduro contando sul crescente
disincanto delle
masse che hanno dato ancora una volta (parziale) fiducia alle promesse
rinnovate
dal chavismo. Guai se il proletariato non comincerà a mettere in campo
il
proprio indipendente protagonismo, che contrasti l’offensiva delle
destre e
dell’imperialismo senza delegare il compito allo Stato, mettendo a
fuoco e
misurandosi per tempo in questa necessaria ripresa di iniziativa e di
lotta con
gli argini repressivi che il governo bolivariano è pronto ad alzare
contro la
mobilitazione di classe.
11
settembre 2017