nucleo comunista internazionalista
note




La realtà delle cose dietro i luoghi comuni

1) “IL RADICAMENTO SUL TERRITORIO”

La lezione più istruttiva ricavata dalla “sinistra alternativa” dal grande risultato della Lega sembra ridursi a questo: la Lega ha saputo radicarsi sul territorio, parlare alla sua (che poi, in larga misura, è anche la nostra) gente, mentre noi non l’abbiamo saputo fare. Quindi: se vogliamo risalire la china occorrerà provvedere in tal senso. Giusto. Salvo una cosa: che questo “radicamento” non si riduce ad un metodo di marketing a contatto con la gente, col “pubblico”, con i “consumatori” di un dato prodotto omologo in concorrenza con un’altra ditta, bensì implica un programma alternativo, un altroconsumo (per dirla secondo la sloganistica attuale). Non siamo alla lotta per “quote di mercato” e basta, ma a quella per la direzione del movimento. Ed allora... Primo: occorre capire perché questa nostra gente (questa nostra classe) abbia potuto trovare delle risposte “soddisfacenti” (senz’altro reazionarie, e del tutto provvisorie) nella Lega a partire da sue esigenze reali, che profondamente c’interessano e coinvolgono, proprio in assenza di una nostra conseguente risposta di classe. Il “radicamento” può avvenire solo su queste basi. Chi ha costantemente e persino coerentemente, a suo modo perseguito il disegno di una gestione capitalista della società che di fatto colpiva il proletariato, ma in cambio  gli prometteva una sorta di Dispotismo Illuminato capace, nel libro dei sogni, di ridistribuirgli delle briciole, purché esso rimanesse passivo ai margini, non si lamenti dello “sradicamento sociale”: egli stesso si è sradicato dal “suo” terreno di elezione.

Andremo adesso a dirgli:stiamo dalla vostra parte, vi vogliamo “coinvolgere”, “farvi partecipi”? E di che cosa? Del rilancio di un “dialogo” con il PD? Con Rutelli? “Bisogna ripartire dal basso”, si dice, e s’intende:per restare in basso. Basti scorrere le pagine delle lettere al Manifesto da parte di molti militanti delusi, e francamente stroncati, che dichiarano di non voler staccare la spina, ma anzi lottare per la ripresa. “Disgraziatamente” (per chi non ne capisce le ragioni), molti di costoro adombrano la necessità di “superare” proprio quelle che dovrebbero essere le nostre ragioni di forza, quelle del comunismo. Abbiamo perso per l’ancoramento antistorico al “vetero”, si dice, mentre è stato esattamente l’opposto: l’ancoramento al presunto “nuovo”, di borghesia riverniciata in chiave “alternativa”. Perché, scrive una compagna al Manifesto, anche voi non cambiate la dizione “quotidiano comunista” e non ci scrivete “per un altro mondo possibile” capace di coniugare le “varie realtà”, le varie e molteplici esigenze sociali (femminismo, ambientalismo, l’immancabile differenza sessuale, il creativismo personale etc. etc.). Siamo alla teorizzazione della frantumazione... differenziale di ciò che per noi costituisce un insieme coeso di fattori antagonisti legati alla prospettiva del socialismo. Nessuno dà una risposta a ciò, se non nello stesso senso distruttivo. E, su questa base, ci si potrà sì radicare (sempre aleatoriamente) a petizioni atomizzate, individualistiche, della “gente”, non a ciò che ci preme. Un esempio particolarmente “piccante” di tutto ciò lo abbiamo registrato ultimamente da parte di Nicolino Vendola, candidato in pectore al rilancio (nel burrone!) della “sinistra radicale”: costui ha diligentemente accompagnato la “propria gente” a rendere omaggio alla mummia di padre Pio dichiarando che tocca ai “comunisti” stare col “proprio popolo”, i cui impulsi “naturali” (cioè indotti dalla presente società) hanno sempre e comunque un “grande valore simbolico” da assumersi in proprio, sempre a pro del suddetto “radicamento”. L’episodio, nel suo piccolo (od infimo) è sommamente istruttivo.

[Si veda in proposito la notizia Ansa del 24.4.2008 "Dal Vescovo a Vendola, emozione nella cripta", che ci limitiamo a pubblicare senza necessità di ulteriori commenti!]

Radicarsi sul territorio significa per noi  ritessere il filo di un antagonismo conseguente che accoglie ed organizza tutti gli episodi di lotta reale tra le classi attorno ad un programma comunista e ad esso è capace di offrire i suoi strumenti di aggregazioni: luoghi di dibattito politico serio, sedi in cui i militanti possano trovarsi assieme e socializzare a tutti i livelli ed a tutte le età (i “vecchi” partiti comunisti avevano le proprie camere del lavoro, le proprie scuole di partito, i propri circoli sportivi, le proprie strutture per la gioventù e persino l’infanzia etc.: questo il tessuto da ricostruire). Radicarsi sul territorio significa seminare in proprio sul territorio ed allargarne gli spazi. Ci fa ridere Giordano che dice: “eppure noi c’eravamo laddove le cose si muovevano” (citando il movimento per la pace o il gay pride, indifferentemente). Sì, non solo “i movimenti” non sono destinati a scomparire, bensì a dilatarsi, ma in essi  bisogna esserci per legarli assieme e dirigerli in un unitario e conseguente fronte di lotta antagonista e non per timbrare il cartellino di una “presenza” in cambio del quale chiedere poi in contraccambio dei voti utili (ci risiamo!) che, poi, magari debbano servire al rovesciamento del nocciolo antagonista che vi sottende (come nel caso emblematico del movimento no war). Se il terreno è aleatorio e il seme sterile c’è poco da sperare quanto alla presa delle radici!




 2) “LO STRAPOTERE DEI MASS–MEDIA”

Una delle spiegazioni ricorrenti riguardo al ritorno alla grande di Berlusconi consiste, “a sinistra”, nella teorizzazione dello strapotere determinante dei mass-media. Spiega il buon Travaglio, emblema supremo dei “fighetti incazzati” di questa parte: è ovvio che Berlusconi dovesse vincere, visto che è il proprietario di tre televisioni e di organi di stampa che danno la dritta, anzi la impongono alla “gente”. Una marea di fessi patentati dell’”area” applaude e sottoscrive convinta.

Noi neghiamo da cima a fondo questa pretesa “analisi”.

Da un semplice punto di vista di rilevazione dei fatti notiamo le seguenti cose: a) una buona parte dei mass-media dipinti come puro monopolio berlusconiano si era, in realtà, data anima e corpo alla propaganda per la controparte PD, dal Corsera alla Repubblica-L’Espresso e comprese certe reti RAI, spesso con argomenti suggestivi (e tutt’altro che infondati: a questo riguardo possiamo solo dire che un Blob ben fatto, più i Ballarò ed Annozero –della cui ”partigianeria” siamo ben lungi dallo scandalizzarci- battono massmediaticamente KO i vari Fede, Blob autogolistico involontario); b) in occasione delle precedenti elezioni, “vinte” da Prodi, non ci risulta che Berlusconi fosse sprovvisto dei mezzi messi oggi in campo.  La stessa Confindustria (che non sarà un mass-media, ma “forse” conta qualcosa) era sfuggita alle sue grinfie mass-mediatiche. E allora? C’è qualcosa che non quadra, e serve solo a due scopi: primo, a mettere in sordina le ragioni profonde della sconfitta del PD soprattutto nei settori sociali che per noi contano, e che si vuol ridurre ad una massa di babbei che si fanno incantare (a differenza degli intellettuali intelligenti) dalle bubbole mass-mediatiche del buon Silvio; secondo, a scavare un ulteriore fossato di disprezzo nei confronti di essi, gli abbindolabili per natura, ritagliandosi per sé un proprio spazio elitario.

In effetti, se veramente le cose stessero come qui le si dipinge non ci sarebbe mai più occasione di riscatto per la nostra parte (di cui a costoro frega zero!). Non possiamo, infatti, immaginarci che potremo battere la destra borghese (ed il resto di essa) solo a condizione di esserci previamente impossessati dei mass-media. Proletariato = nullatenenza e, di per sé, non “emittenza” (TV o carta stampata) da qui sino allo scontro frontale che, per noi, comunque si darà. Il messaggio “travagliato” è chiaro: siete destinati a fare i fessi da qui all’eternità, mentre a noi spetta il compito di salvarci l’anima! (Tra parentesi: il recente successo della Lega a tutto può attribuirsi salvo che ad una sua presa sui mass-media, semmai scatenati contro di essa all’unisono, non senza qualche “complicità” berlusconiana nell’affare; e questo già la dice lunga sullo “strapotere dei mass-media”: in questo caso si tratta di un settore politico-sociale opposto al  nostro, ma la lezione da trarre, e lucrare per noi, è evidente).

Le cose non stanno affatto così. L’antagonismo sta alla radice dei fatti reali, certamente manipolabili sino ad un certo punto dalle varie propagande nemiche, ma destinato comunque ad esplodere al momento opportuno. I bolscevichi non godevano di un particolare accesso ai mass-media dell’epoca. Gli spartachisti cominciarono la loro attività con un bollettino semiclandestino prima di portare in piazza delle masse. I rivoluzionari cinesi, jugoslavi, cubani, congolesi idem. In Venezuela (lo diciamo senza alcuna attribuzione socialista a Chavez!) i mass-media erano monopolio totale della reazione quisling pro-USA. In Paraguay il vescovo rosso ha vinto senza disporre di alcun pesante appoggio mass-mediatico (ma col “radicamento” di cui sopra). Quando lo scontro viene al dunque le notizie volano e si depurano rapidamente della crosta di menzogne borghesi. Come si trasmise in tutta Europa, ed altrove nel mondo, l’eco dell’Ottobre? Se ne facciano una ragione questi sociologhi da strapazzo!  Nessuna forza mass-mediatica al mondo può fermare l’onda della rivoluzione quando essa è determinata a manifestarsi! In piazza e sul territorio si crea allora la nostra rete di comunicazione, il nostro esercito di classe.

Non diciamo con questo che sia indifferente la questione della proprietà dei mass-media, più o meno monopolio di una parte della borghesia (e tutta o quasi dell’insieme di essa, salvo i ridotti spazi militanti cui possiamo riferirci e nel cui novero possiamo includere, tra varie virgolette, anche fogli lontanissimi dalle nostre posizioni di fondo). Solo che una battaglia su questo terreno non può svolgersi in nessuna occasione attraverso una sorta di “concorrenza mercantile”, tanto meno affidata alla “regolamentazione democratica” da parte dello Stato. Anche noi comunisti abbiamo un problema di “comunicazione” mass-mediatico, ma su tutt’altro terreno di battaglia. Non siamo “opinionisti” –con la pretesa, magari, di esser messi a “pari condizioni di mercato”- né pretendiamo “opinionare” i nostri consumatori. Siamo, saremo -se sapremo esserlo-  una forza in grado di trasmettere sul terreno dello scontro di classe il nostro “messaggio” antagonista, diffonderlo e dirigerlo come massa. Tutto ciò sfugge, e non a caso, agli “antiberlusconiani” dell’opposta sponda.

Cari compagni!, non vi lasciate incantare ed abbattere da queste sirene. Se oggi siete “muti” non è perché vi manca la base mass-mediatica su cui agire, ma perché siete senza un’organizzazione, senza un programma. Datevi, diamoci questi strumenti e vedrete di colpo come si potrà contare sul serio, voce del proletariato contro voce del padrone!

10 maggio 2008