nucleo comunista internazionalista
note





Ancora su Gaza, Palestina, Medio Oriente

Alcuni appunti su anti–imperialismo,
“stati proletari”, internazionalismo

Abbiamo letto un “pezzo” di Fulvio Grimaldi (“Questione nazionale e internazionalismo: oggetti smarriti”) relativo alla questione di Gaza. Scritto col sangue agli occhi (giusto atteggiamento!), ispirato alla più profonda e piena adesione alla causa dei palestinesi (ed è anche la nostra ispirazione!), pieno di sacrosanti anatemi contro l’ambiguo “pacifismo” delle prefiche antibelliciste (ma non sia mai, per i suddetti, anti–israeliane!) e la loro sequela di “soluzioni possibili” (due popoli due stati, un Bantustan ed una potenza imperialista fianco a fianco!) nonché le loro vive raccomandazioni a “non esagerare” nella solidarietà coi palestinesi sino al punto di bruciare le bandiere di Israele, di equiparare metodi nazisti hitleriani e metodi (“sproporzionati”?) israeliani, come da breviario alla Manifesto.

Tutto questo ci starebbe bene, ma... e veniamo ad uno scomodo “ma”.

Grimaldi si indigna contro quelli che parlano di messaggio internazionalista verso i proletari ebrei. Entità inesistente, egli subito dichiara. Ed avrebbe ancora ragione se con ciò volesse dire che la solidarietà comunista con la causa palestinese non può farsi vincolare dalla precondizione dell’entrata in campo (che, per ora, effettivamente, non si dà) del “fantomatico” proletariato ebraico. Per spiegarsi meglio egli usa questo esempio: forse che rispetto alle SS i “resistenti” (i gloriosi resistenti italiani di picista memoria!) avrebbero dovuto “dialogare” con Kesselring? No, caro amico, questo va da sé. Solo che, sulla base di una effettiva politica comunista internazionalista, avrebbero dovuto lanciare un messaggio di fraternizzazione ed unità di classe coi proletari tedeschi intruppati nelle divisioni naziste (quelli, non a caso, che sino al ’33 seppero tener alta la consegna di classe ed anche dopo dimostrarono –scomoda Comune di Berlino del ’53– di farsene carico, ahinoi!, contro lo stalinismo “liberatore”!). Strano, per uno come lui, che non tenga presente le stesse politiche “fraternizzanti” col soggetto di cui sopra (per scopi non precisamente congrui con la nostra prospettiva!) da parte di certe stesse forze staliniste, in Jugoslavia in particolare, dove la lotta di liberazione nazionale seppe attrarre a sé elementi disertori del nazismo in campo tedesco o del fascismo italiano occupante (nell’illusione che potesse riaprirsi un ciclo di lotte comuniste internazionaliste, il che esulava –non dispiaccia al nostro interlocutore– dalle “capacità” del titoismo, per non parlare di Baffone).

A questo elementare deficit di marxismo si ricollega tutto il resto. La “causa palestinese” è vista come un affare interno di un “popolo solo” (regredendo rispetto al socialismo in un solo paese di staliniana memoria). Neppure un accenno al fatto che il presunto “popolo” unidimensionale palestinese si va, esso stesso, diversamente ed antagonisticamente posizionando su linee di classe che comportano o una prospettiva rivoluzionaria d’area contro le stesse borghesie arabe interne o una prospettiva di sconfitta frontale a tutto campo. Facile stare con Hamas rispetto ai “quisling” tipo Abu Mazen. Ma sarebbe bene comprendere come questi ultimi non rappresentino una semplice “invenzione” sovrimposta da parte di Tel Aviv, ma l’espressione autentica di interessi di frazioni borghesi endogene compartecipi dell’ordine colonialista del sistema mondiale egemone. Anche in questo caso “il nemico principale è in casa nostra” ed implica un orientamento di classe che, per forza di cose, non può essere rinserrato al semplice quadro palestinese (presuntemente unipolare), ma coinvolge l’assetto di classe dell’intera area arabo–islamica, la cui “solidarietà” con la “causa palestinese” non a caso si ferma agli interessi borghesi dei singoli stati, e vale zero o giù di lì. Che poi questa prospettiva implichi direttamente una linea comunista internazionalista anche e soprattutto a partire da qui, dal centro imperialista decisivo (sempre che il proletariato di qui sappia fare il suo mestiere!, o dovremo disinteressarcene, vista l’attuale sordità?) sfugge completamente al nostro.

In realtà, siamo alla solita ripetizione terzomondialista: oggi nel mondo chi si muove sono “popoli” e Stati “anti–imperialisti”, Chavez in testa (popolarissimo tra i populisti palestinesi, e non ce ne stupiamo od indigniamo affatto!). Grimaldi arriva a questa “bella” conclusione: oggi come oggi non esiste un proletariato mondiale, visto che i proletari d’Occidente fanno schifo, ma paesi proletari che combattono (il che è vero!, ma...) con cui noi, quattro gatti “rivoluzionari”, solidarizziamo su questa stessa base. Sarebbe il caso di ricordargli che l’”invenzione” degli “stati proletari” anti–imperialisti va attribuita proprio al fascismo (l’Italia “proletaria”!, ovviamente nella lotta per un proprio “posto al sole”!, e con tanto di filo–arabismo peloso: l’’Italia “spada dell’Islam” di mussoliniana memoria). Con un ulteriore sforzo di recupero della storia –vera–, Grimaldi dovrebbe arrivare alla conclusione che l’attuale sistemazione neo–colonalista imperialista del Medio Oriente si deve proprio alla vittoria delle...”democrazie” antifasciste, gloriose resistenze comprese, e ci sarebbe qualche utile conclusione “retrospettiva” da trarre.

Il dato curioso di tutte le grimaldate è che esse mettono capo alla stessa finalità dichiarata dai collitorti che egli sonoramente schiaffeggia (sempre a pienissima ragione!): una sistemazione democratica della regione a suon di stati sovrani indipendenti nell’ambito di una equa revisione degli attuali assetti imperialistici, chiamati a farsi indietro di un po’. La differenza tra lui egli altri sta unicamente nei mezzi di lotta intravisti come necessari e sulle modalità della nostra solidarietà lontana qui, ridotta ad una sorta di tifo per le squadre del cuore. Troppo poco per la nostra visione socialista, incongruente con una visione nazionalista “ognuno per sé ed Allah per tutti”mentre parrebbe poter rimanere in piedi un imperialismo mondiale corretto democraticamente (una follia in termini!) e troppo per la realtà della situazione attuale che, precisamente in forza dei rapporti imperialistici determinati, giammai potrebbe permettere l’esistenza indipendente, a latere, di stati, per quanto democratico–borghesi (tutt’altro che il socialismo!), di tipo neorisorgimentale.

Non ci stupisce che di fronte a questo capovolgimento generale dei criteri marxisti alcuni “comunisti rivoluzionari” innalzino le barricate. Purtroppo leggiamo disgraziatamente delle prese di posizione dei residui apostati della “sinistra comunista italiana”, tipo Programma Comunista e consimili che, in nome dell’”internazionalismo”, si dissociano dalla lotta palestinese in quanto “interna” al gioco imperialista (enormità che Bordiga avrebbe bollato a sangue). Questa critica del “solidarismo” interclassista non arriva neppur lontanamente ad intendere la prospettiva dell’incontro tra la lotta di Gaza, che materialmente va scompaginando il fronte “nazionale” nel senso di classe e il riemergere qui, su cui siamo tenuti a lavorare, della nostra prospettiva comunista internazionalista. Essa addirittura pretenderebbe il disimpegno dei palestinesi “coscienti” dalla lotta in armi contro l’occupante imperialista, il boicottaggio degli “sforzi bellici” degli oppressi e finisce per preconizzare addirittura scenari di guerra civile contro Hamas! Siamo alla pura follia. Qualche altro “estremista” scrisse in passato che la rivendicazione palestinese per un proprio stato costituiva il massimo della controrivoluzione: vista la fortuna di non avere ancora tale stato come mai si potrebbe lottare per tale scopo “di per sé” borghese, e quindi reazionario?! Non c’è bisogno di commenti...

Quello che “l’incandescente risveglio delle masse palestinesi” (e, di seguito, di tutta l’area) è destinato a far saltare è proprio l’egemonia delle corrotte ed impotenti borghesie interne, come già ben dimostra l’esautorazione sul campo degli eredi di Arafat (su cui in tanti volevano sino ad ieri farci giurare); è proprio la prospettiva “finale” di una risistemazione democratica dell’area incompatibile con il dominio imperialista; e da qui il riemergere obbligato della prospettiva nostra, mondial–socialista. Hamas non è di certo il terminal di questa lotta, ma un passaggio entro cui si raggruppano e definiscono le nostre forze nel fuoco di una battaglia tuttora necessariamente ma vitalmente “spuria” da un punto di vista astratto “di classe”.

La nostra battaglia qui per la solidarietà incondizionata con le masse sfruttate ed oppresse palestinesi non ha lo scopo di arruolare forze armate in appoggio ad esse (che se la sanno bene districare da soli, sotto questo aspetto), ma di aprire un fronte di classe qui capace di intendere il nesso esistente tra quella e la “nostra” lotta proletaria: il deficit di solidarietà coi palestinesi fa un tutt’uno con quello della nostra capacità qui di combattere il nemico “di casa”. Non se ne esce ognuno per proprio conto e a nulla valgono i voli lirici per le vere lotte degli “altri” scapolando da questo problema di fondo. Tutto qui.

29 gennaio 2009

 


 

Come utile materiale di studio e riflessione, presentiamo tre articoli tratti da Programma Comunista del 1958, anche a dimostrazione dell’interesse e della passione con cui la sinistra comunista (diversamente dagli attuali epigoni ) ha sempre seguito le vicende del Medio Oriente.