nucleo comunista internazionalista
materiali teorici





appendice n. 1

BREVE VADEMECUM
SULLA QUESTIONE NAZIONALE

Completiamo la nostra risposta/commento agli scritti comunitaristi e “anti-imperialisti –(italiani)” opponendo alle tesi in essi espresse, in entrambi i casi lontanissime dal marxismo che pur ambiscono di ”rivitalizzare”, una piccola sintesi delle tesi marxiste sul tema della questione nazionale. In questo modo non pensiamo affatto di crogiolarci in esercizi dogmatici, perché invece siamo convinti di rafforzare così l’indirizzo della nostra azione politica in tutti gli scenari di cui è gravida la crisi del capitalismo, soprattutto in quelli massimamente turbinosi e molto lontani –inizialmente– dalla nostra soluzione di classe.

Il diffondersi di una confusione formidabile sulla questione nazionale infatti, n.n. è senza dubbio molto conveniente al gruppo dei piccoli borghesi nazionalistici che stanno scindendo il proletariato”: così scriveva Lenin nel 1914 contro quanti negavano il diritto delle nazionalità oppresse di separarsi dallo Stato che le opprimeva e di costituirne uno proprio indipendente. Scriveva pochi anni prima della rivoluzione d’Ottobre, nella quale il suo/nostro partito avrebbe dimostrato la bontà di teoria, programma e azione propri, riuscendo a unificare e dirigere il moto rivoluzionario del proletariato (multinazionale) russo, saldandolo alle istanze di liberazione nazionale dei tanti popoli che già vivevano rinchiusi nella prigione dello zarismo.

Che nel marxismo la questione nazionale non costituisca un assoluto, che essa sia subordinata alla questione operaia è cosa indiscutibile. Ma è altrettanto indiscustibile che il marxismo è lontanissimo dall’ignorare i movimenti nazionali, che invece valorizza e appoggia nella prospettiva della rivoluzione socialista, definendone i contenuti e la funzione progressivi in una ben determinata fase storica.

Secondo Marx – così riassunto da Lenin – la classe operaia ”non può farsi un feticcio della questione nazionale, perché lo sviluppo del capitalismo non ridesta necessariamente a vita indipendente tutte le nazioni. Ma, dal momento che sono sorti dei movimenti nazionali di massa, infischiarsi di essi, rifiutarsi di appoggiare quanto vi è in essi di progressivo significa in realtà cedere ai pregiudizi nazionalistici e, precisamente, riconoscere la “propria” nazione come “nazione modello”... ovvero come nazione che possiede il privilegio esclusivo della formazione dello Stato”.

In genere i cultori borghesi della questione nazionale la assumono esattamente come un assoluto riferito alla “propria” nazione. Il programma nazionale della borghesia rivendica con enfasi i “diritti” della “propria” nazione come “nazione modello”, la sua prerogativa di esistere e di spadroneggiare dove gli sia dato, infischiandosi all’occorrenza di riconoscere pari diritti ad altre nazioni e calpestandole ove necessario. Oltre a ciò, da parte borghese non ci si perita di chiarire quale sia l’origine della questione nazionale, quale il suo contenuto più ampio, quali gli sviluppi, quale la soluzione e neanche se di questione bisognosa di soluzione si tratti.

Lo Stato nazionale, come dovrebbe essere noto, non è categoria né immanente e né eterna nella storia umana. Esso trova una collocazione precisa nelle vicende terrene in quanto Stato tipico e normale del periodo capitalistico, in quanto forma di Stato che meglio corrisponde alle condizioni moderne. Dunque alla base della nostra teoria della questione nazionale c’è la considerazione dei potenti fattori economici che hanno generato la tendenza a costituire lo Stato nazionale. Economicismo? No, la realtà storica. Prima che quei fattori iniziassero a premere sulla storia degli uomini, lo Stato-nazione non si era rivelato ad essi indispensabile e non aveva regolato sempre e comunque la vita della specie, presentandosi piuttosto per lunghissime fasi storiche come una eccezione. Soprattutto, aspetto per noi decisivo, mai si erano dati prima di allora movimenti nazionali di massa.

E’ nel periodo della vittoria definitiva del capitalismo sul feudalesimo che in tutto il mondo compaiono sulla scena storica i movimenti nazionali. “La base economica di questi movimenti sta nel fatto che per la vittoria completa della produzione mercantile è necessaria la conquista del mercato interno da parte della borghesia, l’unificazione politica dei territori la cui popolazione parla la stessa lingua, la soppressione di tutti gli ostacoli che si frappongono alla sviluppo di questa lingua e al suo fissarsi nella letteratura...”.

Precisamente nel capitalismo in sviluppo si manifestano due tendenze e due corrispondenti fasi storiche successive.

La prima è quella del crollo del feudalesimo, in cui si ridesta la vita nazionale e si risvegliano movimenti che ingaggiano la lotta contro l’oppressione nazionale puntando a costituire Stati indipendenti. E’ questo il periodo nel quale i movimenti nazionali diventano per la prima volta nella storia movimenti di massa. Sono movimenti popolari diretti dalla borghesia nel contesto della rivoluzione che travolge gli ostacoli feudali e il cui programma comprende la trasformazione borghese e democratica degli Stati. La costituzione dello Stato nazionale è una delle rivendicazioni democratiche nelle quali il marxismo riconosce l’espressione storica della lotta delle masse popolari guidate dalla borghesia contro il feudalesimo.

Nella fase successiva, quando gli obiettivi della prima fase sono conquistati, si manifesta la tendenza mondiale del capitalismo a sviluppare e intensificare ogni specie di rapporto tra le nazioni, a distruggere le barriere nazionali, a cancellare le differenze nazionali creando l’unità internazionale del capitale. Tipica di questa seconda fase è l’assenza di movimenti democratici borghesi di massa. In questa fase entra in campo il proletariato come protagonista diretto e primario dello scontro e ne escono i movimenti popolari diretti dalla borghesia. Ciò perché gli obbiettivi democratici che li avevano spinti in avanscena sono stati conquistati, lo Stato nazionale è stato costituito ed è compiuta la fase in cui la costituzione e l’indipendenza dello Stato nazionale si ponevano come parte di un complessivo programma democratico all’ordine del giorno della rivoluzione borghese e anti-feudale. Inoltre la borghesia, a fronte della nuova insorgenza proletaria, deve necessariamente ricollocare se stessa nello scontro politico: non più a dirigere il moto delle masse a sostegno del proprio programma, sì invece a contrastare l’organizzazione e il moto di massa proletari (sempre a sostegno di quel programma, ma con altri mezzi, non più con la rivoluzione ma con la contro-rivoluzione).

Quanto detto evidentemente non si realizza nello stesso tempo e allo stesso modo in ogni parte del pianeta. Noi sosteniamo che tuttora in una parte di esso la rivoluzione democratica non ha potuto realizzare ovunque e compiutamente, contro l’asfissiante dominazione imperialista e nonostante le rivoluzioni anti-coloniali del secondo dopoguerra, il suo programma storico, ivi compresa la rivendicata costituzione dello Stato nazionale, che ad esempio vediamo cancellato e negato in Palestina.

Quanto detto si realizza nell’Europa occidentale nell’arco che va dal 1789 al 1871: è questa la fase storica delle rivoluzioni democratico-borghesi in questa area avanzata. Dopo di che nell’Europa capitalisticamente sviluppata si entra in quel secondo periodo segnato dal nuovo protagonismo in proprio (non più soltanto in appoggio alla borghesia) della classe proletaria, dalla lotta di classe tra borghesi e proletari, dalla tendenza del capitalismo che inizia a creare l’unità internazionale del capitale stesso avvicinando le nazioni e superando le barriere nazionali prima conquistate.

Questa tendenza del capitalismo avanzato costituisce uno dei fattori principali per la sua trasformazione in socialismo. Ma poiché il socialismo è ancora di là da venire, il capitalismo continua a imporre la sua regola che è quella di un sistema fondato sull’antagonismo insolubile tra le classi e tra le nazioni.

A questa stregua, se il marxismo si è detto – riconosce la legittimità storica dei movimenti nazionali, parimenti esso è inconciliabile con il nazionalismo sia pure nella sua forma più giusta, più pura, raffinata e civile; così come sono inconciliabilmente avverse le parole d’ordine del nazionalismo borghese e dell’ internazionalismo proletario, che corrispondono a due grandi schieramenti di classe e ne esprimono le due linee politiche antagoniste sulla questione nazionale.

Il principio del nazionalismo borghese consiste nello sviluppo della nazionalità come assoluto al quale subordinare ogni altra istanza. Esso, si è detto, riferisce questo sviluppo alla “propria” nazione, come suo esclusivo privilegio se occorre, finanche comprensivo del diritto di opprimere altre nazioni. In tal senso il programma borghese, se è in grado di realizzare la pace nazionale all’interno dei grandi stati capitalistici dove sia stato possibile portare fino in fondo la rivoluzione democratica spazzando via il feudalesimo con le trasformazioni più radicali (Lenin cita tra altri il caso della Svizzera), non è in grado però di realizzare la pace nazionale allargata alla scala del mondo intero, dove invece perpetua la divisione nazionale e, con la corsa concorrenziale al profitto, le discordie nazionali, la rissa nazionalistica, il dissidio nazionale insolubile e le guerre.

Il marxismo denuncia lo sciovinismo esclusivista di cui si alimenta il nazionalismo borghese e in tal senso riconosce il diritto di autodecisione per tutte le nazionalità. Ma al tempo stesso subordina la questione nazionale alla prospettiva e al programma del socialismo. Ciò significa che non formula un programma nazionale per così dire “positivo” per ogni e ciascuna nazione, ovvero non assume la difesa dello sviluppo nazionale di ogni nazione sempre e comunque; il suo programma positivo è il socialismo al quale associa la rivendicazione “negativa” che riconosce il diritto delle nazioni a separarsi, che non significa promuovere la separazione comunque. Soprattutto non significa negare una valutazione autonoma dell’opportunità in ogni singolo caso della separazione statuale in base alle condizioni e agli interessi generali della lotta di classe del proletariato per il socialismo.

Quando, nella debita fase storica, il proletariato appoggia la borghesia nella questione nazionale lo fa, quindi, solo in una determinata direzione, perché il riconoscimento della legittimità storica dei movimenti nazionali si limita strettamente a ciò che in essi vi è di progressivo. La borghesia cerca soltanto privilegi o vantaggi esclusivi per la propria nazione (cioè per se stessa), mentre il proletariato è interessato alla pace nazionale. La borghesia pone sempre in primo piano e incondizionatamente le sue rivendicazioni nazionali, mentre il proletariato deve avere a cuore lo sviluppo del protagonismo politico della propria classe, ostacolato dalla borghesia per subordinare i proletari agli “obbiettivi della nazione”. La politica proletaria di riconoscimento dell’autodecisione non significa, quindi, realizzabilità di ogni rivendicazione nazionale, ma garanzia di un massimo di uguaglianza e di pace nazionale. Con questo programma politico il proletariato punta a costruire la più ampia unità della propria classe internazionale oltre e contro le divisioni nazionali (1).

Il capitalismo quindi risolve la questione nazionale solo molto parzialmente. La risolve per gli Stati e negli Stati più sviluppati, mentre perpetua la divisione e il dissidio tra le nazioni alla scala più ampia, nello scontro che si rinnova tra le stesse nazioni avanzate e soprattutto nel rapporto di esse con le nazioni dominate.

Il socialismo promuove le condizioni che consentano di porre veramente fine alle discordie nazionali. Il suo fine consiste nell’abolizione del frazionamento dell’umanità in piccoli Stati, nella fine dell’isolamento delle nazioni, nell’avvicinamento di esse e nella loro fusione. Ma a questa fusione delle nazioni non si potrà giungere se non attraverso un periodo transitorio di completa liberazione di tutte le nazioni oppresse in cui sia riconosciuta ad esse la libertà di separazione.

Infatti è un’utopia e una menzogna quella che accredita l’unione pacifica delle nazioni con presunti eguali diritti sotto l’egida dell’imperialismo ed è un punto essenziale del nostro programma quello che mette in evidenza e in primissimo piano la differenziazione delle nazioni in dominanti e oppresse, “differenziazione fondamentale, essenzialissima ed inevitabile nell’epoca dell’imperialismo”. Da qui la consegna per il proletariato dei paesi imperialisti di esigere la libertà di separazione politica delle colonie e delle nazioni oppresse dalla “propria” nazione.

Ma ancor qui, altro aspetto decisivo nella battaglia di ieri e in quella di oggi, la dimostrazione che il marxismo, tutt’al contrario di quanto sentenziano certi suoi più che superficiali critici, riconosce bensì e anche difende lo spirito progressivo della concentrazione economica e politica e l’avvicinamento tra le nazioni non certo dal punto di vista imperialistico sì invece da quello ad esso irriducibilmente nemico, non sulla base della violenza capitalistica e imperialistica ma attraverso la libera unione dei proletari di tutti i paesi in lotta per il socialismo.

Se le grandi nazioni europee nell’epoca del capitalismo progressivo e delle trasformazioni democratiche radicali hanno potuto costituire i propri stati nazionali secondo le frontiere naturalmente date (quelle determinate – dice Engels – “dalla lingua e dalla simpatia della popolazione”), invece il capitalismo reazionario e imperialistico sempre più nega e spezza le frontiere nazionali “determinate democraticamente”. Ecco perché il socialismo, che pure punta alla fusione delle nazioni dal punto di vista della rivoluzione, ereditando un giorno le frontiere imposte dall’imperialismo “non rinuncerà a determinarle democraticamente” e dunque, mentre escluderà ogni incorporazione con la forza di intere nazioni, rispetterà l’autodecisione politica. Quindi poi renderà possibile dal punto di vista economico la completa soppressione del giogo nazionale e l’assoluta eliminazione di ogni attrito nazionale, procedendo in questo modo verso l’avvicinamento e la fusione.

Ultimo cardine di metodo: ”il marxismo per analizzare una questione esige assolutamente che essa sia collocata in un quadro storico determinato”. E’ quello che volutamente omettono quanti rilanciano un programma nazionale in un paese avanzato e imperialista come è l’Italia d’oggi, tralasciando di conoscere e considerare l’intero corso storico e quasi disponendosi a un nuovo Risorgimento ugualmente all’ordine del giorno della storia nell’anno 1848 e nel 2010.

Noi concludiamo invece questa sintesi ricordando ancora che, in base a questo metodo, Lenin, scrivendo alla data del 1916, individuava tre tipi di paesi. L’Europa occidentale e gli Stati Uniti d’America, dove il movimento nazionale borghese progressivo già allora era terminato da lungo tempo e che già allora (come ancor oggi) opprimeva altre nazioni. L’Europa orientale, l’Austria, i Balcani e soprattutto la Russia, nei quali il primo scorcio di ventesimo secolo (1900) aveva particolarmente sviluppato i movimenti nazionali democratici borghesi e acutizzato la lotta nazionale. Infine i paesi coloniali, come la Cina, la Persia, la Turchia e tutte le colonie dove i movimenti democratici borghesi erano appena all’inizio o ancora lontani dall’essere terminati.

Un quadro, dunque, che esclude da quel dì in Italia movimenti nazionali di massa che possano essere valorizzati e assunti come progressivi (nella fattuale esistenza prima ancora che nei voti di chicchessia). Una ricognizione che nell’epoca imperialistica “pone categoricamente il compito della lotta contro lo sciovinismo e il nazionalismo nei paesi avanzati... contro gli opportunisti che abbelliscono la guerra imperialistica, la guerra reazionaria, applicandovi il concetto della difesa della patria”.

Mentre i nostri rivitalizzatori di marxismo gira gira è infine lì che vanno a parare.


NOTE

(1) Quanto alla parola d’ordine della difesa della cultura nazionale essa esprime soltanto una gretta concezione borghese della questione nazionale. Nella realtà non esiste una cultura nazionale extra-classista, esiste bensì una cultura nazionale che è la cultura della classe dominante. E dunque in ogni nazione esistono semmai due culture nazionali, quella della classe dominante e quella del proletariato. La nostra parola d’ordine è quella della cultura internazionale del movimento operaio mondiale che non è a-nazionale, ma non assimila una data cultura nazionale nel suo complesso, perché prende da ogni cultura nazionale soltanto i suoi elementi coerentemente orientati al socialismo.

19 giugno 2010


(da "che fare" n. 53 dell’ottobre 2000)



QUESTIONE NAZIONALE: MARXISMO E ANTI-MARXISMO, RIVOLUZIONE E CONTRO-RIVOLUZIONE


appendice n. 2

RISPOSTA A “RINASCITA”
(da che fare n. 53 ottobre 2000)