nucleo comunista internazionalista
riceviamo e pubblichiamo/segnalazioni



ACCORDO SULLA
RAPPRESENTANZA
SINDACALE

Riceviamo e pubblichiamo il commento di un delegato della Unione Sindacale di Base che ci scrive sull’ “accordo sulla rappresentanza” sottoscritto da Cgil-Cil-Uil e Confindustria.


Quel che il compagno scrive è sostanzialmente condivisibile.

I governi di Grande Coalizione (tecnici e poi di larghe intese) sono stati imposti dalla crisi per realizzare senza troppe storie le politiche in cui si concretizza la stretta del capitale contro i lavoratori e l’intero proletariato. La ritrovata “unità sindacale” tra Cgil-Cisl e Uil, che suggella archiviandola l’inconcludente “resistenza” già messa in campo dalla Cgil e dalla stessa Fiom, completa il giro di vite sul piano sindacale con un accordo “sulla rappresentanza” che definisce le condizioni attraverso le quali il sindacalismo confederale si rende disponibile ad accompagnare le politiche di lacrime e sangue. Con questo accordo Cgil-Cisl-Uil si impegnano e impegnano tutte le proprie articolazioni categoriali e territoriali senza esclusioni di sorta a legittimare davanti ai lavoratori “i sacrifici mai come oggi necessari e imposti dalla situazione”, puntando a cancellare l’agibilità sui posti di lavoro di ogni voce contraria, rendendo più arduo per i lavoratori organizzare la difesa dei propri interessi e la lotta contro l’offensiva padronal-governativa destinata a proseguire e incrudirsi. A Cgil-Cisl-Uil e a quanti vi si vorranno accodare il padronato e lo Stato riconoscono la “rappresentatività” del mondo del lavoro, negata a chiunque altro non si sottometta agli stessi protocolli.

Occorre quindi denunciare, come fa il compagno della USB, il senso generale di questo accordo e il corredo di clausole studiate ad arte per discriminare e negare ogni spazio a chi non si allinea entro i ranghi di Cgil-Cisl-Uil e quindi dichiaratamente contro il sindacalismo di base. A maggior ragione la denuncia è necessaria laddove, a dare retta ai soddisfatti commenti di un Landini, si vorrebbe far credere che l’accordo restituisca ai lavoratori il diritto di decidere, ristabilendo quella “democrazia sindacale” a lungo invocata dal vertice della Fiom. Le cose stanno esattamente all’inverso e l’ipocrisia di quanti sul fronte padronale, politico e sindacale hanno osannato “l’accordo storico” deve essere sbugiardata davanti ai lavoratori!

La discriminazione contro i sindacati di base (e contro ogni istanza organizzata diversa dai “sindacati firmatari...”) si rinnova anche attraverso la mancata disponibilità del padronato, soprattutto nel settore privato, a trattenere dalle buste paga dei lavoratori le quote dell’iscrizione per tradurle alle casse degli apparati sindacali. Posto che la “rappresentatività” (...“dei firmatari della presente intesa”) verrebbe misurata attraverso le deleghe ricevute e accettate dal padronato e rilevate dall’INPS, anche per tal via si punterà a disconoscere l’esistenza e la rappresentatività effettiva delle istanze non sottomesse ai diktat padronali.

Fermo questo ci permettiamo di osservare che a nostro avviso stona alquanto la rivendicazione di un presunto “diritto alla ritenuta sindacale in busta paga”, peraltro nell’ambito di una generale petizione dei cosiddetti “diritti sindacali riconosciuti dalla Costituzione” che verrebbero negati dall’accordo.

Il meccanismo attraverso il quale il padrone si rende disponibile a raccogliere le quote e a tradurle al sindacato francamente si addice molto poco a un vero sindacato di classe. Il sindacato alle sue origini, quando rappresentava realmente la primaria istanza di organizzazione dei lavoratori e lo strumento della propria difesa “di classe”, poteva sognarsi ma anche tanto meno desiderare un servizio di tal genere (il padrone come tramite tra lavoratore e sindacato, il padrone garante dell’afflusso di entrate al sindacato, etc. etc.). E’ un meccanismo questo che a nostro avviso costituisce un effetto e fattore agente non secondario dell’addomesticamento dei sindacati da tempo trasformati in burocrazie di supporto della complessiva macchina politica al servizio dei capitalisti, che non a caso si rendono generalmente disponibili al servizio.

Una richiesta del genere, quindi, pur presente la discriminazione detta (da denunciare per il giusto), appare nondimeno stonata, e certo non connota l’idea e la sostanza del sindacato di classe.

La Fiom, esclusa dal “diritto alle trattenute in busta paga” per la mancata sottoscrizione degli accordi in Fiat, ha perso l’occasione per ricordare a se stessa, ai lavoratori e al padronato cosa è una vera organizzazione del proletariato. Se avesse inteso intraprendere questa strada indubbiamente sarebbe andata incontro a difficoltà aggiuntive in generale e nella raccolta delle quote, ma avrebbe anche avuto la possibilità di raccogliere veramente la sfida lanciata dal padronato, di impegnarsi a fondo per rinsaldare il legame con e tra i lavoratori, così contribuendo a rimettere in campo l’orgoglio di una vera indipendenza della classe operaia e del suo protagonismo sul piano dell’organizzazione e della lotta.

Invece, dopo una mitragliata (a salve) di “cause” davanti ai Tribunali, palliativo di una lotta inizialmente evocata ma poi sostanzialmente dismessa, il vertice della Fiom ingrana ora una plateale e (per chi avesse remore di coerenza) imbarazzante retromarcia, mostrando di voler tornare nel porto tranquillo del ruolo del “sindacato istituzionale”, il “sindacato” che, a ben determinate condizioni e posto che non si riesce a eliminarlo del tutto, viene accettato e riconosciuto da padroni e Stato se e in quanto sottomesso e funzionale agli “interessi del capitalismo nazionale”.

Vano, peraltro, è appellarsi alla “legge dello Stato” che secondo il compagno che ci scrive (e secondo molti altri a sinistra) avrebbe regolato in ben diverso modo la questione, e soprattutto lo avrebbe fatto in “un quadro che rispetti la costituzione italiana e le sue previsioni in tema di libertà sindacale”. Sia perché la costituzione borghese e repubblicana tutela innanzitutto la proprietà e la libertà dei padroni di perseguire i profitti senza guardare in faccia a nessuno (questa è la realtà consacrata a dispetto di qualche frase tanto altisonante quanto priva di concreti effetti di sorta), sia soprattutto perché nessuno Stato, legge o costituzione borghesi hanno mai garantito e mai garantiranno quello che i lavoratori hanno potuto e possono conquistarsi e preservarsi solo con la dura lotta.

21 giugno 2013



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Ad una prima sommaria lettura il Patto sulla Rappresentanza nei luoghi di lavoro sottoscritto ieri a tarda sera tra Confindustria e CGIL CISL e UIL non si discosta dalle anticipazioni già circolate e che molto allarme avevano già giustamente sollevato nelle settimane scorse, tanto da indurre il Forum Diritti/Lavoro a convocare una prima Assemblea pubblica di discussione sulla questione. La definizione di "governissimo sindacale", utilizzata da molti per definire questo Patto che va ben oltre la definizione di criteri di verifica della rappresentanza sindacale, e’ assolutamente adatta a definire la volontà delle parti sottoscrittrici di escludere qualsiasi altro soggetto dalla rappresentanza del mondo del lavoro e di costituire un blocco di potere da proteggere da ogni eventuale incursione del conflitto, mettendo assieme in una innaturale alleanza padroni/lavoratori in un "Patto tra i produttori" utile solo a garantire pace sociale di fronte ai sempre più avanzati processi di riorganizzazione produttiva.

Sul piano pratico si stabilisce che possano partecipare alla contrattazione nazionale di categoria solo quelle organizzazioni, aderenti alle confederazioni firmatarie dell’accordo – che diventa pertanto il primo ostacolo da superare: o sottoscrivi o neanche partecipi – che abbiano almeno il 5% degli iscritti e il 5% dei voti alle RSU. Sembrerebbe la fotocopia della normativa già esistente nel pubblico impiego ma non è così. Infatti nel settore privato non a tutte le organizzazioni sindacali e’ consentito ottenere dalle aziende il diritto alle ritenute sindacali in busta paga, essendo questo privilegio riservato, dopo i disastrosi Referendum del 1995, alle sole organizzazioni sindacali firmatarie di CCNL applicati in azienda. Quindi ad esempio la USB e’ fuori dalla possibilità di far pesare le adesioni alla propria organizzazione sindacale in quanto ai nostri iscritti non vengono operate le ritenute sindacali in busta paga ma siamo costretti ad operare il tesseramento attraverso strumenti non riconosciuti dall’accordo. In tal caso la USB per dimostrare di avere il 5% medio tra iscritti e voti dovrebbe ottenere il 10% dei voti perché impossibilitata a far valere i propri iscritti che non possono essere certificati dalle aziende all’INPS, ente che sembrerebbe deputato alla raccolta dei dati, in quanto non operate dalle stesse e comunque non rientranti nella categorie "ritenute sindacali" che è la dizione precisa utilizzata nell’accordo.

Il tratto centrale dell’accordo riguarda però "l’esigibilità degli accordi". I sottoscrittori hanno individuato una formula che impedisce a chiunque di mettere in discussione gli accordi sottoscritti dal 50% +1 delle organizzazioni ammesse alle trattative e validate dal 50%+1 dei lavoratori interessati. Quale sarà lo strumento attraverso cui si farà la verifica del gradimento dell’accordo e’ demandato alle categorie (sic!). Le sanzioni e le clausole che riguarderanno questo punto ( per semplificare, le punizioni per chi oserà contestare l’accordo) saranno anch’esse stabilite sul piano delle categorie, probabilmente commisurate al tasso di conflitto che ogni categoria esprime, più pesanti ad esempio nei trasporti e meno nei tessili e così via. Ogni organizzazione firmataria del Patto dovrà garantire il pieno rispetto di tutti i suoi contenuti e quindi qualunque organizzazione sindacale abbia intenzione di partecipare alle RSU, e per farlo dovrà sottoscrivere l’accordo, acconsentirà automaticamente all’auto limitazione della propria autonomia di giudizio sull’accordo raggiunto e quindi ad intraprendere eventuali iniziative di lotta per contrastarlo, pena l’applicazione delle sanzioni stabilite dalle categorie (ovviamente di CGIL CISL e UIL).

È altamente probabile che questo continuo rimando alle categorie sia il tributo che la CGIL ha dovuto pagare per avere il placet anche della FIOM che condividendo alla fine questo orrendo accordo, si garantisce il rientro in pompa magna tra gli attori sindacali "graditi" ai padroni e volta pagina rispetto al tanto sbandierato conflitto, molto spesso evocato, quasi sempre affidato alla magistratura.

È evidente che questo accordo cerca di evitare che sia una legge a stabilire regole certe per tutti, non scritte "pro domo sua" da chi ha tutto l’interesse a garantirsi ancora e per sempre il monopolio della rappresentanza sindacale, per definire un quadro che rispetti la Costituzione italiana e le sue previsioni in tema di libertà sindacale.

La cosa più grave e’ che questo accordo prescinde totalmente dal concetto delle garanzie e delle libertà democratiche per le lavoratrici e i lavoratori nei luoghi di lavoro e ancora una volta affronta il problema delle regole della rappresentanza unicamente dal punto di vista delle organizzazioni. Lo tsunami che ha travolto la politica evidentemente non è stato sufficiente a far capire a Camusso, Angeletti, Bonanni, Landini e Squinzi che non è più tollerabile la privatizzazione della democrazia e della rappresentanza, sia essa politica o sindacale.

Toccherà alle lavoratrici e ai lavoratori ricordarglielo dando vita anche nella sfera del mondo del lavoro ad una vera e propria rivolta.


L. T. 01-06-2013