Pubblichiamo anche noi la nota di Marinella Correggia, collaboratrice (quasi ex) del Manifesto dal titolo Libia, il silenzio dei pacifisti ha ucciso. Con qualche commento nostro a prefazione.
Perché lo pubblichiamo? Perché si tratta di uno sfogo particolarmente accorato e robusto da parte di una delle tante sincere pacifiste, sempre presenti in prima linea nelle occasioni di protesta contro le sempre più frequenti esibizioni belliciste che ci toccano da vicino, nei confronti dell’assenza del “movimento pacifista” (in verità: talora di presenza sul fronte opposto) sulla questione-Libia.
La Correggia non mostra esitazione alcuna nel denunziare la sostanza dell’interventismo occidentale contro Gheddafi, senza farsi in nessun modo imbrogliare dai raggiri pro –“primavera araba” in salsa libica su cui sono vergognosamente caduti certi pretesi marxisti (cui auguriamo che i bengalini regalino qualche barile di petrolio a compenso dei servigi resi). E ciò, ovviamente, senza prendere assolutamente le parti di Gheddafi come campione di tutte le libertà o, addirittura, del socialismo, come capita a certi altri “marxisti” capovolti. Per lei, come per noi, il problema è molto semplice: siamo di fronte ad un’aggressione imperialista a scopi di rapina e dominio ai danni non di un “dittatore”, ma di un intero paese e di un più complesso sistema di relazioni internazionali da sottoporre al proprio strettissimo controllo. Questo i “pacifisti” dovevano comprendere e su questo mobilitarsi. Ed invece... Ed invece silenzio assoluto se non addirittura – ed al Manifesto ne sanno qualcosa – aperture all’intervento occidentale, epperciò anche “nostro”, secondo i buoni incoraggiamenti di Napolitano, per “pacificamente proteggere la popolazione civile” libica dalle atomiche, dalle armi chimiche e dai... viagra di Gheddafi. Neppure un balbettio per dire: invece di spendere questi soldi per l’operazione NATO destiniamoli alla nuova manovra finanziaria per evitare ulteriori tartassamenti a danno dei nostri cittadini “più deboli” (classica risorsa demagogica del riformismo piccolo-borghese!).
Questa vibrata protesta di una sincera pacifista merita tutto il nostro rispetto ed incoraggiamento, anche perché non si limita al lamento, ma propone delle cose da fare per spezzare questo muro di omertà guerraiol-pacifista, anche se non si tratta delle nostre cose. Le vecchie barbe marxiste cui ci atteniamo scrupolosamente ci hanno insegnato due cose, apparentemente in opposizione tra loro, per chi non conosce la dialettica. La prima: che una vera, calda aspirazione pacifista può agire da lievito all’emergere di un programma e di un’azione comunisti, rivoluzionari tra le masse. Quindi: evviva le prese di posizioni alla Correggia! La seconda: che ciò può darsi solo attraverso una lotta implacabile all’ideologia ed alle organizzazioni pacifiste, destinate, in quanto tali, soltanto ad aprire utili voragini a favore del controcampo bellicista, giammai silenzioso e... disarmato. Quindi: nessuna concessione alle scappatoie “alternative” sempre alla Correggia.
Lo straripante movimento pacifista di anni addietro in Italia doveva, pertanto, costituire un campo d’intervento e di battaglia politica da parte dei marxisti autentici, ed in questo senso ci siamo mossi irridendo alle critiche “interne” (dell’allora OCI) dei “concretisti” che ci accusavano di “esternità” al movimento e di velleità partitiste nei confronti di esso, entro cui si sarebbe trattato soltanto di esserne parte servile in attesa dei suoi autonomi sviluppi ulteriori. I quali ultimi sono stati, coerentemente a ciò, lo svuotamento pieno dei suoi stessi presupposti “ideali” iniziali. Non c’è scampo: anche una lotta, a suo modo estremamente significativa e persino esemplare come quella del “No DalMolin”, abbandonata alla sua “spontaneità” (= alla controdirezione borghese), doveva afflosciarsi nella petizione ambientalista, paci-localista, ed all’illusoria alternativa elettoralistica “antiberlusconiana”; dopo di che ci si tiene il Dal Molin, possibilmente potenziato, con tanto di costruzione nei dintorni di finti villaggi talebani destinati all’esercizio delle “forze antiterrorismo”.
La Correggia scrive: “Adesso mi rendo conto che l’unica cosa da fare in tutti i modi sarebbe stata una campagna a marzo per appoggiare la proposta di Chavez e dei paesi dell’Alba, accettata dalla Libia: mediazione fra le parti e invio di osservatori ONU i quali avrebbero visto che non c’erano affatto i 10.000 morti tra i manifestanti (...) togliendo la scusa per l’intervento”. Una “soluzione”, tra l’altro mancata, e non a caso, che fa a pugni con la puntuale analisi dei dati di fatto in corso. Non c’erano già all’inizio “parti” tra cui mediare supposte come esclusivamente interne alla Libia, ma una sola parte – sempre quella! –, imperialista, dotata di un suo ben preciso disegno (anche ammesso che delle contestazioni interne a Gheddafi potessero avere “di per sé” delle giustificazioni se – e così non è mai stato – svincolate dall’intromissione imperialista). Ridicolo l’appello all’ONU per l’invio di “osservatori imparziali” a togliere di mezzo la “scusa”, quando il ruolo di questa congrega di briganti è quella di una feroce parzialità a prescindere (oggi per la Libia e già domattina per la Siria e poi per l’Iran e domani... lasciamo all’immaginazione!). D’accordo che Chavez, assieme a Castro, non abbia aderito all’opera di sciacallaggio in corso ed, anzi, Chavez, come abbiamo appreso da Telesur (che raccomandiamo ai compagni di seguire di tanto in tanto), abbia coerentemente affermato che l’attacco occidentale alla Libia non rappresenta soltanto un’aggressione, dai materiali motivi ben comprensibili, a questo paese, ma un’operazione piratesca a valenza internazionale contro l’insieme dei paesi non allineati e... da stendere. Da buon rappresentante di un’istanza nazional-rivoluzionaria democratico borghese – non è un insulto, attenti! – egli fa quel che può dal suo ridotto punto di vista, per l’appunto, nazionalista. Troppo poco, per noi, trattandosi di un fronte internazionale di classe su cui coerentemente posizionarsi, anche e proprio per offrire una prospettiva liberatrice alle stesse forze “anti-imperialiste” di paesi come quelli dell’Alba.
L’unica cosa che si deve fare è quella di
chiarire la sostanza del conflitto planetario in atto cercando di convogliare le forze disponibili
sul terreno di un programma comunista internazionalista, quali che ne siano le tragiche
difficoltà del momento, nel tentativo di attizzare qui, dove sta il nemico
principale, un movimento antibellicista in quanto anticapitalista. L’incendio
“localizzato” attualmente in Libia non è che è il pallido prologo di ciò che ci
attende dietro l’angolo e che sin d’ora riguarda anche il nostro paese,
inevitabilmente coinvolto in questo giro infernale come pedina di un mostruoso conflitto
planetario di interessi capitalistici omicidi. Non basteranno onesti e parlanti pacifismi, ma
schieramenti proletari internazionalisti che dicano apertamente: guerra alla guerra, lotta
implacabile al capitalismo, rivoluzione proletaria. Nessuna linea “mediana” è
possibile. Sussulti generosi, come questo della Correggia, varranno se si sarà in grado di
imboccare questa sola strada. Come da vecchia insegna: socialismo o barbarie!
12 settembre 2011