nucleo comunista internazionalista
riceviamo e pubblichiamo/segnalazioni



RICEVIAMO E PUBBLICHIAMO

blocco_nazionale_ieriUn giovane compagno ci manda questo paio di cartoline ad eloquente “commento” dell’attuale governo di “salvezza nazionale” sortito dal cilindro della borghesia. Condividiamole e diffondiamole!

Ci aggiungiamo solo di contorno qualche “rimando storico” utile per l’orientamento di classe di fronte all’attacco politico preventivo a 360° sferrato dalla borghesia italiana contro il proletariato d’Italia.

A partire dal motto storico: “Tutto nello Stato, niente al di fuori dello Stato, nulla contro lo Stato” di mussoliniana memoria, oggi più che mai verificabile concretamente nella sua sostanza (fumo agli occhi e chiacchere a parte). A conferma della storica tesi sostenuta dalla Sinistra Comunista fondatrice a Livorno 1921 del Partito della Rivoluzione: la sostanza totalitaria del regime borghese aveva vinto la guerra, ad onta della sconfitta militare delle potenze dell’Asse, seppur avvolta in forme democratiche. Essa è “il moderno modo di essere del capitalismo, che è monopolistico, imperialistico, totalitario e dittatoriale”; “il mondo moderno si svolge inesorabilmente verso forme sempre più severe di controllo dall’alto, di complessità burocratica, di intervento statale, di impastoiamento e di soffocazione di ogni iniziativa o autonomia periferica da parte di mostruosi centri monopolistici di organizzazione (il che, bene inteso, non va constatato e giudicato dai marxisti sub specie aeternitatis per gridare allo scandalo, ma appunto analizzato come l’evolversi dei modi di essere del mondo capitalistico e non tanto dei rapporti fra borghesi e proletari, che furono e restano di spietata oppressione, ma tra borghesi e borghesi)”. (Prometeo n.3, 1946) E, si noti, che ci voleva un bel fegataccio a sostenere queste tesi marxiste e assolutamente “non orecchiabili” al senso comune “del popolo”, 1946!

“Tutto nello Stato…” ma attenzione: sì lo Stato dei manganelli, dei Tribunali speciali ecc. ecc. ma anche allo stesso tempo (“ma anche”… di veltroniana memoria. Ce ne scusiamo.) IRI cioè intervento pubblico “keynesiano” per la salvezza del sistema industriale nazionale, sviluppo dell’assistenza e della previdenza “sociali”, lavori pubblici ecc. ecc. e ovviamente proiezione imperialista della nazione.

Insomma ieri come oggi: bastone e carota, Stato sbirro e Stato scrofa-“sociale”.

Il movimento rivoluzionario di classe deve sapere afferrare per entrambe le corna la bestia borghese!

Infine un piccolo Vademecum che ci permettiamo di anticipare (pescando dall’esperienza passata) ai Landini e soci cioè all’apparato del sindacalismo di stato che, prevedibilmente, dovrà sudare sette camicie nel prossimo futuro per svolgere il proprio lavoro.


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Dal “Popolo d’Italia”, 2 settembre 1922. Titolo: “Sindacalismo”, firma: “Mussolini”.

«…Il sindacalismo tricolore dovrà seguire le traccie del sindacalismo rosso. Ad avvalorare questa conclusione, si citano episodi nei quali i fascisti – pur perseguendo fini diversi;– hanno adottato metodi identici o quasi, a quelli di ieri. Questi episodi sono in realtà sporadici e sono stati esagerati, comunque non neghiamo la eventualità che il peso di queste masse possa alterare qua e là la linea dei nostri principi. Ci vorrà un po’ di tempo prima di amalgamare… Non mancano altri motivi non meno profondi di differenziazione e si riferiscono alla lotta di classe, che per i socialisti è un pilastro delle loro dottrine, mentre per noi è un episodio che spiega certi avvenimenti della storia; della lotta di classe, che per i socialisti è una regola, mentre per noi è una eccezione. L'interessante è che nella pratica i socialisti stessi non possono ignorare che oltre agli interessi delle maestranze ci sono quelli della produzione, quelli degli elementi tecnici, quelli della nazione. Quanto al famoso agnosticismo in materia di salari, di cui l'Epoca fa pungente rimprovero all'on. Corgini, basterà dire, che questo agnosticismo non significa tendenza a ribassare i salari, ma un varco aperto nel caso in cui questa dura necessità si presenti. Il fascismo non intende promettere e tanto meno garantire un aumento indefinito dei salari, perché ciò sarebbe antieconomico sino all'assurdo. Il fascismo non accetta una falcidia dei salari che sia provocata dall'egoismo o dal capriccio dei datori di lavoro, ma l'accetta — come l'hanno accettata i socialisti, dopo scioperi catastrofici — quando è imposta dalla crisi generale dell'industria; quando, insomma, ridurre i salari è un coefficiente per salvare la produzione. In tempo di vacche grasse si possono promettere aumenti di salari, non negli attuali: ora si tratta di distribuire il sacrificio equamente sulle due parti ed è su questa linea che si tiene il sindacalismo fascista. Il quale per un altro elemento si differenzia dal sindacalismo rosso. Non è dogmatico; non è teologico; non persegue finalità remote; non intende, cioè, di sposare in anticipo un dato tipo di economia o di società. Il sindacalismo fascista si propone di organizzare nel modo più razionale e redditizio la produzione agricola e industriale. Aumentando la produzione, aumenta la massa dei beni disponibili per il consumo: aumenta il benessere collettivo. Quando il bottino c'è, niente di più naturale che sorga una rivalità d'interessi fra gli elementi che lo hanno creato; ma prima sarebbe esiziale. Il processo produttivo esige la più stretta collaborazione fra datori di lavoro e lavoratori. Il sindacalismo fascista è selettivo: non cerca le masse, ma non è così idiota da respingerle quando vengono spontaneamente a lui. Il sindacalismo fascista non lusinga il proletariato, non lo ricopre di tutte le virtù, di tutte le santità come fanno i socialisti, sempre pronti a bruciare incensi di fronte alle masse lavoratrici. II sindacalismo fascista non esclude che in un lontano domani i sindacati dei produttori possano essere le cellule essenziali di un tipo nuovo di economia, ma nega che il proletariato sia in grado oggi di creare un suo tipo di civiltà. Il sindacalismo fascista non è catastrofico, non crede cioè che il capitalismo europeo sia incapace di uscire dalla crisi attuale. Comunque l'Europa non è salvata dalle classi operaie e meno ancora dai diversi partiti del socialismo».


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Dal discorso tenuto da Mussolini a Dalmine, di fronte agli operai in sciopero, 20 marzo 1919

«Il significato intrinseco del vostro gesto è chiaro, è limpido, è documentato nell'ordine del giorno. Voi vi siete messi sul terreno della classe, ma non avete dimenticato la nazione. Avete parlato di popolo italiano, non soltanto della vostra categoria di metallurgici. Per gli interessi immediati della vostra categoria, voi potevate fare lo sciopero vecchio stile, lo sciopero negativo e distruttivo, ma pensando agli interessi del popolo, voi avete inaugurato lo sciopero creativo, che non interrompe la produzione. Non potevate negare la nazione, dopo che per essa anche voi avete lottato, dopo che per essa 500 mila uomini nostri sono morti. La nazione che ha fatto questo sacrificio non si nega, poiché essa è una gloriosa, una vittoriosa realtà. Non siete voi i poveri, gli umili e i reietti, secondo la vecchia rettorica del socialismo letterario; voi siete i produttori, ed è in questa vostra rivendicata qualità che voi rivendicate il diritto di trattare da pari cogli industriali. Voi insegnate a certi industriali, a quelli specialmente che ignorano tutto ciò che in questi ultimi quattro anni è avvenuto nel mondo, che la figura del vecchio industriale esoso e vampiro deve sostituirsi con quella del capitano della sua industria da cui può chiedere il necessario per sé, non già per imporre la miseria per gli altri creatori della ricchezza».

Ieri come oggi la risposta di classe è:

LOTTA DI CLASSE PER IL PANE!
LOTTA DI CLASSE PER IL POTERE!
PER LO SBARACCAMENTO DEL SISTEMA DI POTERE BORGHESE, PER LA DISTRUZIONE DELLO STATO!
PER L’INSTAURAZIONE DELLA COMUNE, PER LA RIVOLUZIONE PROLETARIA INTERNAZIONALE OLTRE OGNI CONFINE!


15 febbraio 2021