nucleo comunista internazionalista
riceviamo e pubblichiamo/segnalazioni





Sui referendum di Pomigliano e Mirafiori

Risposta a un nostro lettore


Un lettore non occasionale della nostra stampa ci indirizza la mail riportata di seguito, con la quale rivolge una critica a quanto abbiamo scritto sulla Fiom nell’articolo “Per la nostra classe o per la – loro – democrazia?”. Leggiamo cosa scrive il compagno:


“Dal vostro articolo “Per la nostra classe o per la – loro – democrazia?” si legge: "La Fiom ha detto e dice NO, diamogliene atto. Con essa un numero cospicuo di operai hanno rifiutato, a Pomigliano e ancor di più a Mirafiori, il ricatto padronale e hanno scritto NO sulla scheda".

In realtà la Fiom non ha mai dato nessuna indicazione di voto ai lavoratori. Landini ha semplicemente detto che il referendum poneva dei quesiti su diritti che erano indisponibili e che quindi andava tutto rigettato perché incostituzionale. Non ha nemmeno indicato ai lavoratori l’astensione dal voto, anche perchè sono stati i sindacati firmatari dell’accordo ad indire il referendum, non la Fiat. Marchionne ha incassato l’accordo ed era un problema dei sindacati firmatari farlo digerire ai lavoratori. La Fiom, concertativa come Cgil, ha sempre usato il referendum, ma è evidente che avrebbe screditato la sua prassi sindacale e politica ad indire uno sciopero prima di qualsiasi voto. Già, avrebbe dovuto rispondere con uno sciopero generale tempestivo, e non solo di categoria, e non perdere tempo con delle rivendicazioni genericamente democratiche. La Fiom è il maggiore alleato della FIAT, anche se non lo sa. Questo sindacato va screditato in tutti gli ambiti possibili, e mi stupisce che voi non lo sappiate e che non abbiate capito che la Fiom non ha mai detto NO. La Fiom non ha mai detto: NO! Dove lo avete sentito o letto? Compagni, ho sempre ritenuto le vostre analisi interessanti e condivisibili, ma adesso mi lasciate allibito. Se mi sbaglio, chiarite. Saluti rossi.”

Considerando prezioso ogni contributo che ci giunga sul merito degli articoli, e volendo contribuire in questo modo alla presa in carico collettiva della discussione, dell’analisi, dell’elaborazione politica, scegliamo di interloquire con il nostro lettore non “privatamente” ma con una noticina sul sito rivolta a tutti.

Nel merito. Quando nell’articolo diamo atto alla FIOM di “avere detto NO”, evidentemente non ci riferiamo alla specifica indicazione di voto per e sul quesito referendario.

Questo aspetto è per noi secondario. Lo è, innanzitutto, nello scenario corrispondente alla contingenza data, dove la risposta di mobilitazione non ha assunto i contenuti e i caratteri di una decisa presa in carico della lotta per respingere l’attacco di Chrysler-Fiat, essendosi piuttosto limitata al risentito e preoccupato disappunto di una base proletaria colpita e al tempo stesso consapevole della propria attuale debolezza. Secondario (nel senso di conseguente in subordine) lo sarebbe comunque nello scenario di una vera lotta determinata a contrastare l’attacco padronale, che ben altro e ben oltre il NO schedaiolo avrebbe dovuto e dovrà mettere in campo per potersi veramente dare in quanto tale.

Nel nostro articolo scriviamo degli operai, che essi hanno avuto il coraggio (“beninteso il coraggio di un voto”) di scrivere NO sulla scheda (dove il riferimento va in specifico al voto). Della Fiom, invece, diciamo in generale che essa “ha detto NO”; mentre più oltre chiariamo che la denuncia sulla pretesa illeggittimità e incostituzionalità degli accordi separati la ha portata a dire che quegli accordi “non possono neanche essere votati”. Il che significa che nulla abbiamo omesso (quand’anche il nostro zoom risulti evidentemente centrato su tutt’altro che non sulla misurazione di opportunismi e “coerenze” al metro riduttivo delle campagne di voto).

Ci sembra chiaro, insomma, che prendiamo semplicemente atto della indisponibilità della Fiom a sottoscrivere gli accordi ricattatori messi sul tavolo da Chrysler-Fiat.

Perché lo facciamo? Perché questa è la realtà.

Realtà, aggiungiamo, che una seria battaglia di classe contro la politica bancarottiera del vertice Fiom non ha alcun bisogno di negare, avendo ben altri e fondati (il che non significa di facile ascolto e rapida “presa”) argomenti sui quali è invece necessario dare battaglia vera tra i lavoratori(quelli espressi nel nostro articolo abbiamo la presunzione di credere che, quand’anche non esaustivi, siano realmente tali, e in quanto tali almeno utili alla bisogna).

Indisponibilità a firmare, ovviamente, non significa, per tutto quanto è ancora scritto nell’articolo, coerente battaglia su posizioni di classe, perché “occorre anche sostenere lo sciopero e la prosecuzione dello scontro con una valida prospettiva di lotta: passaggio durissimo ma ineludibile”.

E’ questo il vero banco di verifica di una nostra credibile alternativa e prospettiva di lotta contro il ricatto padronale. Su di esso non soltanto l’asino-Fiom se l’è data e se la dà a gambe, perché anche vi cascano moltissimi iper-rivoluzionari, i quali, invece di andare al fondo delle questioni poste dall’attacco nudo e crudo del capitale (così parlando alla reale difficoltà dei lavoratori posti di fronte ad esso senza efficaci difese collettive), si contorcono piuttosto in complicatissimi distinguo su aspetti secondari (oltre che in ridicole tuonate a vuoto) volendosi demarcare a sinistra da una Fiom “maggiore alleato della Fiat”.

E’ indubbio che una vera battaglia di classe non avrebbe lasciato nel generico quel che andava scritto sulla scheda; ma è anche e soprattutto vero che non essenzialmente in questo si sarebbe sostanziata, perché, in una situazione di forza e comunque di protagonismo di lotta dei lavoratori (necessariamente estesi all’intero fronte intercategoriale e non circoscritti alla esclusiva risposta dei lavoratori Fiat e neanche dei soli metalmeccanici; protagonismo cui possono e debbono contribuire le forze più o meno organizzate agenti nel proletariato, ma il cui darsi non da esse dipende) avrebbe piuttosto ingaggiato lo scontro con una estesa azione di sciopero che ben avrebbe dovuto precedere e non seguire il voto stesso (come anche osserva il nostro lettore).

In effetti, ed è questo il dato, in nessun momento abbiamo visto e vediamo in campo da parte della massa operaia (riferito all’insieme della classe) la disposizione per una battaglia determinata a respingere l’attacco.

In un contesto del genere non abbiamo attribuito (come in genere non attribuiamo) grande importanza alle specifiche dichiarazioni di voto dei vari attori in scena. Così come non attribuiamo un’importanza di per sé decisiva alla stessa conta e, nel caso dato, al ragguardevole numero di NO (perché NO nell’urna non significa di per sé determinazione ad opporsi con la lotta, così come SI non significa allearsi alla Fiat). Nell’articolo in esame scriviamo a chiare note che non condividiamo per niente l’enfasi che certi “rivoluzionari” da strapazzo hanno voluto mettere sulla pretesa “svolta politica” che si sarebbe realizzata o di cui sarebbero stati forieri i NO di Pomigliano e Mirafiori. Né invero apprezziamo, in questa situazione, la corsa a rivendicare a sé quei NO, si tratti della Fiom o di quanti alla sua sinistra ne assumono l’esclusiva paternità perché ”la Fiom non ha mai detto: NO!”.

Con le specifiche del caso in relazione alle diverse situazioni in cui si vota, nostro criterio di sempre (criterio attento alla necessità di raccogliere tutte le energie dei lavoratori divise nel voto per unificarle nella lotta, posto che una determinazione della massa in tal senso sia data) si riassume nel dire che “il voto divide, la lotta unifica”: è su questo che sono centrati la nostra attenzione e il nostro intervento.

Una vera battaglia per imporre il NO con la lotta avrebbe avuto bisogno innanzitutto di una piattaforma politica adeguata e contrapposta ai contenuti e alla portata dell’attacco della Chrysler-Fiat. Non è sufficiente denunciare gli opportunismi della Fiom se e quando ci si limita a misurarli sul piano meramente sindacale (e nel sotto-riflesso elettorale a questa stregua), perché così si resta in difetto quanto a necessaria critica da cima a fondo dell’asse politico sul quale ruotano gli opportunismi della “sinistra radical–democratica” (Fiom compresa) che oggi dirige la più che debole iniziativa della nostra classe.

Ebbene i pronunciamenti dei vertici della Fiom non solo contraddicono e negano una vera piattaforma politica di lotta che si possa ritenere anche solo minimamente adeguata e contrapposta all’attacco del capitale, perché inoltre sono volti ad eludere contenuti e portata reali dell’attacco stesso. Su questo si concentra il nostro articolo e il nostro intervento.

Ma, detto e argomentato ciò della Fiom, a fronte della sollecitazione del nostro lettore, ci domandiamo anche: perché le critiche da sinistra alla Fiom e in particolar modo quelle provenienti dai settori del sindacalismo di base (che pur’esso “ha dato atto...” partecipando allo sciopero indetto dalla Fiom, e benissimo ha fatto...) si appuntano su questioni secondarie, mentre poco o nulla si dice e niente si vede cui dover dare – qui davvero! – battaglia sui contenuti messi in bella mostra in ogni volantino, manifesto, intervento con i quali i vari Landini, Rinaldini, Cremaschi hanno inteso presentare e demarcare la mobilitazione dei lavoratori metalmeccanici della Fiom?

Quali erano e quali sono i contenuti portati avanti dalla Fiom, al di là di NO veri e NO fasulli o non–NO (scontato e detto che il NO della Fiom appartiene alla seconda specie)? Quali sono stati e quali sono i contenuti dello sciopero del 28 gennaio?

Ci si accorge o no che nei discorsi dei vertici Fiom (e, invero, non solo di essi...) si parte dall’accordo separato e dal ricatto della Fiat per intonare subito dopo, alla seconda strofa, il lamentoso e stucchevole cantico della democrazia e della costituzione repubblicana da difendere in quanto oggi verrebbero messe in “gravissimo pericolo” dalle gesta sconsiderate del duo Berlusconi-Marchionne?

Che di questo si tratti non dovrebbe essere dubbio, soprattutto a fronte dell’escalation di dichiarazioni e di appelli sottoscritti dai dirigenti Fiom, in particolare a ridosso della manifestazione romana del 12 marzo, quella “a difesa della costituzione e della scuola pubblica” con piazza del Popolo piena di sventolanti tricolori e con l’adesione dei futuristi finiani (!!).

Cosa significa questo, quanto a prospettiva e visione dello “scontro” ingaggiati? Non è forse questo il nodo centrale sul piano politico e sindacale, il banco di prova sul quale i NO fasulli (quelli volti ad alimentare una fiacca opposizione interclassista “pro-democrazia e contro “gli anti-costituzionali Berlusconi e Marchionne”) possono essere volti – a ben precise condizioni – in NO veri (quelli di un’opposizione di classe in nome dei nostri interessi di lavoratori e della nostra distinta prospettiva politica contro l’intero arco dei nostri nemici – che beninteso sarebbe l’unico modo per lottare veramente contro il governo di centro- destra –)?

Noi pensiamo che, per opporre un vero NO di classe all’attacco padronale, è qui che dobbiamo aggredire la piattaforma della “sinistra” sindacal-politica ufficiale, che comprende sia i fans di Marchionne che allignano nel PD e sia i vertici della Fiom che gli si oppongono. Una “sinistra” ufficiale che, se e quando si oppone agli accordi che smantellano i contratti di lavoro, con ogni evidenza lo fa solo in quanto ben subordinato capitolo della propria generale agitazione “contro i violentatori di costituzione Marchionne e Berlusconi”. Una pseudo –“sinistra” che quando infine è costretta a chiamare i proletari a una peraltro stentata mobilitazione si premunisce di un argine preventivo contro ogni eventuale rischio di classismo, si appella a tal fine a un fronte interclassista che contenga i lavoratori, che ne comprima le genuine istanze di classe per metterle in riga con quelle rappresentate da “alleati” del calibro di Casini-Rutelli-Fini (se gli ex-democristiani e le forze dichiaratamente filo-padronali presenti nel PD ancora non bastano), che metta su basi ben precise la battaglia da dare non contro il capitalismo ma contro la “anomalia” di alcuni suoi settori e/o rappresentanti particolarmente “reazionari e antidemocratici“. Una pseudo –“opposizione” che si dispone ad alimentare, nelle aspettative delle direzioni ma anche purtroppo nelle corrispondenti illusioni della stessa massa operaia, soltanto una buona messe di consensi elettorali “per cacciar via il tiranno di Arcore” e riportare la “sinistra” in parlamento e magari al governo in nome di un capitalismo “equilibrato e democratico”... (quello che domani ci presenterebbe senza complimenti il conto della sua crisi così come fecero appena qualche anno fa il duo Prodi-Padoa Schioppa).

Una pseudo –“opposizione” che abbiamo visto andare in scena nei penosi festeggiamenti dell’ “unità d’Italia”, laddove il compito di preservare lo straccio residuo di unità organizzativa e (potenzialmente) di lotta dei lavoratori italiani contro le micidiali illusioni federaliste e secessioniste, ammesso e davvero non concesso che sia questa la preoccupazione di costoro, necessiterebbe all’opposto del deciso rilancio del programma di classe. Festeggiamenti nazional-unitari oggi peraltro ulteriormente predisponenti a convogliare la massa, tra lo sventolamento dei tricolori, verso un coeso supporto alla nuova aggressione dell’Italia imperialista alla Libia.

E’ su questi meriti che si spende il nostro articolo, perché vediamo che questi meriti sono al centro della battaglia da dare nella massa dei lavoratori, sul piano politico e su quello sindacale. Sono i meriti da prendere in carico se si vuole contribuire a una vera opposizione e a una vera battaglia contro il capitalismo e contro il governo Berlusconi che lo rappresenta, facendo piazza pulita di una ultrafinta “opposizione” di niente (ove la si ponderi dal punto di vista di un reale argine e della corrispondente prospettiva nostri) che si connota di un antiberlusconismo inter(e anti)–classista, sul cui humus di fondo purtroppo vediamo pascolare anche molti “rivoluzionari” in nome della democrazia e della “costituzione nata dalla resistenza”.

Ciò che oggi concorre a disorganizzare e disperdere la partecipazione operaia che pure si è data in alcune iniziative di lotta è questo programma (agente nel proletariato, in quanto portatovi dai PD-Di Pietro e dalla loro corte di reggicoda “più a sinistra”) di una illusoria opposizione ai pretesi artefici di una versione reazionaria del capitalismo, cui opporre la visione di un capitalismo democratico che a differenza dei primi riserverebbe attenzioni a chi è in difficoltà. Diecimila volte falso!, per un’ “opposizione” che ancora una volta punta soltanto ad utilizzare e poi spegnere la evocata partecipazione operaia contro gli antidemocratici Berlusconi-Marchionne in una futura conta di voti pro-centro/sinistra!

Ad esso noi contrapponiamo il programma di classe che invece inquadri le odierne miserrime vicende italiane nel generale contesto del capitalismo mondiale e della sua crisi, per dichiarare e propagandare tra i lavoratori la necessità della battaglia di classe contro il capitalismo e contro tutte le sue versioni, centro-destre e centro-sinistre, “reazionarie” e democratiche, “anti-costituzionali” e “costituzionalissime”, comunque in vario modo convergenti (come entrambe hanno già ampiamente dimostrato) sulla necessità di attaccare materialmente e politicamente il proletariato, per annullarne ogni capacità di reagire e poterlo spremere così come reclama la salvaguardia del profitto.

Questo è e non ce ne frega niente di “demarcare” un ette di distanza da sinistra rispetto alla Fiom su questo o quell’altro particolare (sindacal-elettoralistico), perché invece dobbiamo farci carico interamente di questo compito (per nulla facile per tutta una serie di “storiche” ragioni): il compito di rendere viva tra la massa dei lavoratori, attaccati dal capitalismo e obnubilati da lunghissimi decenni di tangibili tornaconti (in Occidente) all’interno della sua “affluenza” finalmente al tramonto, la necessità di riorientare la barra verso l’idea del socialismo, verso il programma di classe, verso l’unità internazionale dei lavoratori per potervi attingere le forze adeguate ad apprestare una difesa e una lotta efficaci.

Peraltro, come non si tratta di tuonare a vuoto “contro la Fiom” su aspetti sotto-secondari, così non si tratta di vergare bei paroloni sul socialismo (e magari anche sull’internazionalismo) così mettendosi la coscienza a posto e via. Si tratta di rendere viva la nostra prospettiva, il che si misura non nell’etichetta formale che qui e là compare, magari poi contraddetta dalla sostanza generale di fondo, ma nella coerenza complessiva dell’intervento (anche quando apparentemente si trattano “altri temi”...) e quindi nella capacità e nell’assunzione effettiva del relativo compito di dialogare e intervenire su queste basi tra i lavoratori, andando a incontrare, e non ad eludere, lo scoglio vero, quello di una tuttora perdurante disposizione dei lavoratori in Occidente, sicuramente in Italia, a non voler prendere in carico la battaglia di classe contro un capitalismo che da tempo non lascia altre vie, preclusa quella di un illusorio ritorno alle condizioni precedenti di tenuta di un qualche compromesso accettabile tra capitale e lavoro.

Certo questi scogli sono duri da affrontare e certamente non è facile conquistarsi l’ascolto immediato dei lavoratori su questi tasti (figuriamoci la delega sindacale). Meglio presentarsi come quelli che, soli!, hanno dato indicazione di votare NO al referendum, mentre la Fiom non ha avuto neanche il coraggio di farlo (il che è vero, ma i punti centrali e risolutivi – che non vuol dire né immediatamente né immediatisticamente tali – sono ben altri!).

Ingaggiando su questo piano reale lo scontro contro la politica bancarottiera della Fiom (e della Cgil e dell’intero “vivaio” – ma verrebbe da dire... mortorio – della cosiddetta “sinistra” politica), ci si avvedrebbe allora che lo stesso sentire della massa dei lavoratori era ed è tuttora alquanto lontano dalla determinazione a esprimere un NO vero contro l’attacco padronale e governativo (così dandosi da parte nostra il giusto peso ai NO messi sulla scheda); è lontano dal porsi il problema di cosa questo significherebbe, a quale scontro ci si dovrebbe attrezzare, a quali forze si dovrebbe guardare per poterle unificare e organizzare in direzione di una battaglia del genere. I comunisti di buona volontà che di questo si avvedessero, qui dovrebbero applicare le proprie energie e qui indirizzerebbero la propria battaglia (come noi nel nostro piccolo cerchiamo di fare), avendo chiare le (arretrate) basi di partenza oggi date e in vista di poterle muovere in direzione dell’effettiva necessaria presa in carico della prospettiva di classe e della corrispondente organizzazione di forze.

Insomma, la massa operaia, della Fiat, metalmeccanica e del mondo del lavoro in generale in Italia (e non solo – riferito all’ Occidente –), almeno quella che non si arrende alla pressione del capitalismo e al corrispondente “realismo” di figuri del tipo Bonanni-Angeletti (che anche questo c’è, riferito ai lavoratori), è oggi piuttosto in linea con i reali NI che esprimono le direzioni di una Fiom che pur non si dispone alla “complicità” pretesa da padroni e governi (questo è e va detto, insieme a tutto il resto). E dunque i lavoratori, quelli che non abbiano addirittura saltato il fosso per consegnare le proprie aspettative alla Lega Nord, al centro-destra e all’illusione del federalismo (questo pure si deve ancora aggiungere, tanto per dire quale è il complesso e difficilissimo quadro reale), oggi non vanno molto oltre l’orizzonte segnato dai partiti della “sinistra” (quella pseudo –“radicale” che sostiene la Fiom e quella democratica che la sostiene molto meno o per niente). Questi sono i problemi e i ritardi effettivi del nostro fronte, ritardi non circoscritti alla questione di “direzioni vendute”, perché – vecchissima questione, mai voluta considerare e apprendere anche da parte di compagni a noi vicini... –, imbrigliano il corpo stesso della nostra classe, mentre fin troppi ultra-rivoluzionari la risolvono in incoerenti ultra-critiche alla Fiom di turno (sacrosante quelle indirizzate e da indirizzarsi al suo giusto bersaglio).

Attenzione non stiamo affatto dicendo che nel quadro mondiale dato non sia contemplata la possibilità del riacccendersi improvviso dello scontro. Lo abbiamo visto nel mondo arabo-islamico, sulle cui vicende in atto rimandiamo alla serie dei nostri articoli, e lo vediamo anche nella metropoli dove recentemente si è riacceso negli Stati Uniti lo scontro sindacale con alcune massicce manifestazioni in particolare nello Stato del Wisconsin contro i progetti della amministrazione repubblicana volti a cancellare le agibilità sindacali e la contrattazione. Sul manifesto del 4 marzo viene riportato l’articolo pubblicato su un autorevole quotidiano del Wisconsin che così ha commentato: “Sabato scorso erano per strada sotto la neve con 10 gradi sotto zero almeno 100.000 persone, quando la città conta solo 200.000 abitanti. Un movimento così non se lo aspettava nessuno, neanche i sindacati: finora la gente mugugnava contro l’austerità, contro l’attacco ai diritti sindacali, ma in realtà era rassegnata, e invece ha dimostrato che può opporsi, agire, contraccare.

A prescindere dagli sviluppi immediati di queste improvvise esplosioni, noi ne traiamo la conferma che anche la massa dei lavoratori italiani, oggi rassegnata e politicamente disastrata, ha in sé la forza per opporsi, agire, contraccare. Può farlo se inizia a scrollarsi di dosso le illusioni e l’inerzia di un antiberlusconismo(o anti –“marchionnismo”, termine non da noi coniato) assunto come schermo per non guardare in faccia il reale attacco del capitale. Noi lavoriamo in questa direzione, mentre vediamo che la retorica buffonesca sulla “costituzione più bella del mondo” e sulla “specificità italiana” riferita al diavolo-Berlusconi risultano in effetti ben efficaci nel delimitare in chiave nazional-corporativa oltre che trasversal-interclassista l’ “opposizione” al governo di centro-destra e ai violentatori di costituzione di casa nostra. Tutto ciò senza che i “comunisti rivoluzionari” si diano più di tanto (o per niente affatto) la briga di contrastare tutto questo con una vera battaglia politica, piuttosto accodandosi all’andazzo generale e ritagliandosi in esso le proprie ridicole nicchie di “pressione dal basso”.

Erano e sono questi i temi centrali trattati nel nostro articolo sulla Fiat. Su questi meriti si demarca la vera battaglia di classe contro la linea bancarottiera dei vertici Fiom, in ogni sua singola espressione e nel suo complessivo significato, molto prima che si arrivi alle indicazioni di voto.

Nella fase imperialistica stramatura, infatti, non è dato un’intervento “puramente sindacale” in quanto separato e distinto dalla battaglia politica (né, francamente, lasciamo spazio alla scusa del “piano meramente sindacale dell’intervento” per legittimare per altra via il difetto di presa in carico della battaglia di classe contro la gabbia ciellenistico-costituzional-antiberlusconiana che ci ammorba da ogni pulpito dato, così di fatto e per altra via accodandovisi).

A nostro avviso anche i Sindacati di Base, pendant delle forze politiche che li sostengono, hanno troppo debolmente preso in carico questi compiti, così non demarcandosi dalla stessa Fiom e rispetto al generale quadro dell’opposizione antiberlusconiana sui contenuti che secondo noi sono veramente importanti ed essenziali.

Ad essi abbiamo dato atto a tempo debito della battaglia effettivamente significativa contro il governo Prodi, capace di raccogliere la partecipazione di larghi settori di lavoratori quando la Cgil spalleggiava vergognosamente il “governo amico”. Diamo ancora atto della positiva convergenza sullo sciopero Fiom del 28 gennaio scorso (lì superando deleteri settarismi) e della valenza del recente sciopero dell’11 marzo, che, in assenza di una credibile chiamata generale alla mobilitazione da parte di altri, ne ha preso in carico il compito, e che comunque ancora una volta ha messo in campo una capacità, parziale ma reale, di mobilitare alcuni settori di lavoratori. Soprattutto diamo atto del lavoro di collegamento e organizzazione dei settori più isolati del mondo del lavoro, quelli che più di tutti pagano l’assenza di un programma in grado di organizzare, centralizzandole, l’insieme delle forze di classe.

Al tempo stesso mille volte abbiamo richiamato l’attenzione sui limiti di un estremismo infantile che ora vediamo riprodotto in certe virulente critiche di “opportunismo” rilanciate tra sindacati di base fino a ieri uniti nella stessa organizzazione (il riferimento va a Sicobas e Slai Cobas), come anche sui limiti di un effettivo minimalismo sindacalista che traluce nelle accesissime denunce contro la Fiom e la Cgil concertative.

Se volessimo stare, tanto per dire, al piano “puramente sindacale”, diremmo che abbiamo seguito il faticoso processo di unificazione delle diverse sigle del sindacalismo di base, ma, al termine (o nel corso?) del processo (quello che ha dato vita alla nuova Unione Sindacale di Base), abbiamo visto che le sigle autorganizzate sono non meno ma più di prima, che ci sono state almeno un paio di scissioni di rilievo (attenzione: la scissione di un sindacato non può essere valutata con lo stesso metro del profilarsi di una divergenza che porta alla separazione un organismo politico prima unito), che i tronconi scissi di quanti prima stavano insieme si lanciano talvolta accuse al vetriolo che quando ci è capitato di apprenderne non abbiamo potuto in alcun modo condividere registrando un dato che per noi è di assoluta confusione, che le aumentate sigle del sindacalismo di base non sono riuscite a unificarsi neanche per lo sciopero sicché nel mese di marzo ne sarebbero stati indetti addirittura due...

Non andiamo oltre. Concludiamo richiamando tutti i nostri lettori a inquadrare questo contributo da un lato nell’ambito della cospicua serie dei nostri articoli che, sin dall’inizio della nuova legislatura di centro-destra, affrontano il merito centrale di una vera lotta di classe contro il governo Berlusconi, e dall’altro dei nostri materiali afferenti alla questione sindacale, raccolti in particolare nell’opuscolo “Contributi sulla questione sindacale (e non solo)” che quanti sono interessati ad approfondire i temi possono senz’altro richiederci.

8 aprile 2011