nucleo comunista internazionalista
note




ULTIME DALLA JUGOSLAVIA

A) IL KOSOVO VERSO L’“INDIPENDENZA”

Dopo le recenti elezioni in Kosovo, che hanno registrato l’affermazione al vertice del potere di un autentico criminale “indipendendentista”, già a capo delle famigerate bande dell’UCK (generosamente coltivate e nutrite dall’Occidente), la strada verso la secessione della regione dalla Serbia si profila ormai come un fatto scontato. Vero che Putin recalcitra, ma certamente non potrà scendere militarmente in campo per tamponare non tanto gli ultra kosovari quanto chi ci sta dietro e manovra la danza. Vero che anche in qualche settore della borghesia europea affiorano dei dubbi sulle conseguenze disastrose della cosa (disastrose soprattutto perché a risultato sottozero per essa), ma tanto più da simile soggetto non c’è nulla di serio da aspettarsi. E notiamo, tra parentesi, l’allegra indifferenza sostanziale del nostro governo di “centro-sinistra”, già da parte sua presente sul campo contro gli interessi delle popolazioni locali –tanto albanesi che serbe– e neppure in grado di svolgere un’azione autonoma per sé. Dall’”estrema sinistra” ciò che rimane di radicale sono le bocche e le mani cucite. Un richiamo (tardivo e tutt’altro che filantropico) arriva, semmai, da settori di borghesia nostrana, come si vede dalle attente e preoccupate cronache del Sole 24 Ore: il pantano prima ed il fuoco poi del Kosovo chiaramente ci minaccia, perché l’ulteriore incasinamento balcanico, compresi i suoi risvolti di “penetrazione islamica nel continente”, sembra fatto apposta per complicare il cammino dell’Europa unita. Da qui una certa “comprensione” per i diritti statuali serbi, entro cui (teoricamente) potrebbe ben starci una diffusa autonomia regionale kosovara. Ma come arrivarci? Buio oscuro.

La borghesia serba, d’altro canto, non potrà spingersi –crediamo- oltre certi livelli di impuntatura verbale di principio e ben difficilmente arriverà a difendere i “propri diritti” con le armi. Da essa, quindi, infinite proposte ed avance all’Europa, e non solo, destinate a non sortire nulla di significativo, anche ammesso e non concesso che formalmente la via verso la secessione, che è già un dato di fatto, venga ritardata sulla carta (e non certo nei fatti).

Qual è la nostra posizione in merito?

Ci guardiamo bene dal contrapporre alla spinta secessionista un “diritto statuale” serbo che troverebbe la sua giustificazione in “analoghi” esempi altrove presenti in Europa: quello della Spagna sui territori baschi, ad esempio, o quello dell’Italia sul germanicissimo Alto Adige. L’analogia è di facciata: paesi capitalisticamente forti, imperialisti, possono benissimo imporre il proprio controllo statuale, sia pure attraverso inevitabili accomodamenti, su porzioni del proprio territorio a preponderanza od anche assoluta presenza allogena. Ciò non è consentito alla Serbia per comprensibilissime ragioni contrarie. Della questione non vale neppure la pena discutere se non per mostrare la montagna di ipocrisia dei nostri cultori del “diritto” a bilance truccate.

Ma, a parte ciò, saremmo noi, perlomeno idealmente, dalla parte della Serbia? No, perché la soluzione del problema-Kosovo non risiede affatto in una questione di diritti da parte di uno Stato su una parte del “proprio” territorio, quand’anche nata storicamente come cuore di esso Stato (come nel caso del Kosovo, culla della rinascita serba). Un tentativo (borghese pur sempre, ma a forte presenza di spinte di classe da parte degli sfruttati, e non ignobile nei suoi punti di partenza, potenzialmente aperti ad una diversa soluzione proletaria del problema) fu quello dello jugoslavismo titoista di “fratellanza ed unità”, pluralismo e coesione soprannazionali. Va capito come mai questo tentativo sia poi abortito a causa delle contraddizioni interne del regime titoista e della decisiva pressione imperialista straniera. Resta di fatto che nessuna delle parti politiche serbe ha neppur lontanamente tentato di riprendere quel discorso, e tantomeno di portarlo avanti. Milosevic si limitò alle “legittime ragioni” del serbismo, per quanto tutt’altro che genocide nei confronti dei kosovari, come vorrebbe una fetida letteratura pro-imperialista nostrana (con tanto di echi nella sinistra “estrema”). I suoi avversari e successori sono sulla stessa linea. Gli sparuti gruppi “comunisti” presenti in Serbia, per quel che ne sappiamo de visu, non sanno fare altro di meglio, se non attraverso lo spruzzo di qualche prezzemolo “sociale”. E tutto questo non ha potuto che rinfocolare, sul versante opposto, una risposta kosovara arroccata in contrapposizione a quella “serbista” (non diciamo che sia venuta dopo e di conseguenza, ma semplicemente secondo una stessa logica controrivoluzionaria di fondo).

Poiché i concorrenti al gioco che contano sono questi non possiamo che limitarci a delle controsuluzioni ipotetiche, di principio, evocare dei “se” (per noi equivalenti ad un programma che, prima o poi, dovrà esserci e non solo in via d’ipotesi).

L’attuale situazione economico-sociale in Kosovo mostra plasticamente alla popolazione sfruttata di questa regione la realtà affermatasi in seguito ai grandi trionfi “indipendentistici”(rimandiamo ancora una volta alle attente note del Sole-24 Ore): deterioramento a tutti i livelli degli standard di vita precedentemente acquisiti nel corso dell’esperienza jugoslava, cambio delle guardia non dalla borghesia “belgradese” ad una autentica borghesia nazionale, ma lotta tra poteri clanistici e mafiosi, delinquenziali, e il tutto nell’ambito di una vera e propria colonizzazione del territorio da parte dell’Occidente, USA in primissimis. Questa situazione non poteva che incrinare il “blocco nazionale” interclassista creatosi “spontaneamente” (si fa per dire!) in un primo tempo, e rimettere in campo una sia pur embrionale e confusa risposta di classe espressasi anche in primi esempi di scioperi contro il nemico di casa propria. La diserzione di massa dalle recenti elezioni da parte del nostro “popolo” ne è un’altra prova testimoniale: non andiamo a votare perché non ci riconosciamo in nessuna delle forze politiche presenti e non abbiamo nessun altro referente contrario in cui riconoscerci a sua volta.

Se esistesse una, sia pur piccola, forza comunista in Serbia ed in Kosovo essa sarebbe chiamata a far leva su questi dati di fatto per riprendere coerentemente un discorso di fratellanza quantomeno, al livello di partenza, jugoslavista di classe, denunziando ogni e qualsiasi discorso nazionalista borghese, tanto a Belgrado che a Pristina, e la manomissione imperialista che sta a monte e che, ove non affrontata e battuta (compito inconcepibile alla sola scala locale), è tale da impedire di per sé ogni vera indipendenza nazionale, tanto serba che kosovara (o persino jugoslava, come nelle illusioni –allora- dello stesso Tito). Compito certamente non facile, ma il solo in grado di offrire un’autentica via d’uscita allo storico dramma balcanico. Ogni altra strada porta inevitabilmente ad ulteriori impantanamenti, sin dentro le file di coloro che generosamente si agitano “anti-imperialisticamente” a difesa della Serbia in quanto (vero fin qui!) direttamente nel mirino criminale dell’Occidente: non solo nessun risultato neppure a questo (sottoborghese) livello, ma, in compenso, la diffusione di messaggi controrivoluzionari all’interno dello stesso campo “anti-imperialista”!

Un “se” campato in aria? Per nostra esperienza diretta possiamo dire di aver parlato con più di un proletario kosovaro tutt’altro che disattento ad un discorso di fratellanza di classe, anche se magari col richiamo illusorio al vecchio jugoslavismo di quel dì. Allargare il contatto con questi nostri compagni, socializzarli, organizzarli per vie non chiuse nazionalmente, è un compito sin da oggi possibile già qui, in Italia. Diamo una voce a questa presenza, sin qui “muta” (in buona parte anche per una sordità nostra)! Su questo c’impegniamo sin d’ora, come lo siamo da sempre!


Lubiana

B) TOH! LA SLOVENIA SI RIMUOVE!

In una precedente nota abbiamo affrontato il tema di una certa ripresa di classe in Slovenia sotto l’aspetto dell’opposizione all’invadenza NATO. Oggi possiamo registrare la prima scesa in campo della classe operaia slovena a difesa dei propri interessi sindacali e politici immediati con un poderoso sciopero ed un’ancor più clamorosa manifestazione di piazza a Ljubljana: 70.000 presenze proletarie vere (niente a che fare con le cifre gonfiate di certe manifestazioni di qui!), con bandiere rosse, pugni chiusi, cartelli di fiera contestazione ad una politica da parte dei governanti locali doppiamente borghese reazionaria: primo, per l’attacco diretto alle condizioni di vita dei lavoratori “di propria iniziativa”; secondo, per la connessione tra quest’attacco ed il supino conformarsi ai diktat dei veri padroni ipercapitalistici occidentali (non due cose, ma le due facce di uno stesso problema). Questa splendida dimostrazione di forza si collega, da parte sua, a tutto un ribollire di analoghe iniziative che registriamo un po’ in tutto l’Est europeo (le più recenti notizie in proposito le abbiamo dalla Romania, dove tutta una serie di scioperi ha ancor più direttamente, se non con pari compattezza, rimesso in discussione lo strapotere delle aziende occidentali delocalizzate, quelle italiane in primo luogo). La sbornia nazionalistica, con le sue promesse di un radioso avvenire in progress per i paesi di “nuova indipendenza” non si può dire che abbia mai scaldato veramente gli animi dei proletari di questi paesi, che però l’hanno, in un primo tempo, quantomeno subita senza risposte adeguate (una sorta di... fumo passivo!). Oggi cominciamo ad entrare in un’altra fase. E qui, di nuovo, come sopra, richiamiamo alla necessità di una prospettiva nostra, di cui non ci stancheremo mai di studiare i primi, necessariamente contorti, passi ed alla quale, ancor di più, inchiodiamo la responsabilità storica dei primi nuclei politici di classe destinati ad emergerne ed a farsene carico per dirigere il movimento spontaneo.

30 novembre 2007