nucleo comunista internazionalista
note



Settembre 2008

LA SUPER-CRISI FINANZIARIA SEGNA UNO SVOLTO STORICO, E’ LA FINE DEL CAPITALISMO AS WE KNOW IT
IL CAPITALE HA FATTO IL GIRO DEL MONDO, HA COLLEGATO NELLE SUE RETI TUTTO IL PIANETA PER RITORNARE AL CAPOLINEA DI FRONTE ALLE SUE CONTRADDIZIONI CHE L’USO DELLA DROGA FINANZIARIA HA POTUTO SOLO RIMANDARE
L’AUT-AUT E’ POSTO: DECIDERA’ LA GUERRA O LA RIVOLUZIONE?




heartfield “Per anni nessuno ha mai messo in discussione il fatto che le obbligazioni del tesoro Usa fossero l’unico parcheggio praticabile per il surplus di capitale, il mercato più ampio e liquido del mondo. Ma, i tempi presto cambieranno.”
(Jim Willie sulla “Hat Trick Letter”, agosto 2008)

Il capitale che pensavamo fosse lì, se n’è andato.”
(Un broker a Wall Street, 18.09.2008)

“C’è poco da fare: il ritorno alla salute richiede prima o poi una inevitabile distruzione vera di valori fittizi.”
(G. Alvi su Il Giornale, 22.09.2008)

“Abbiamo compiuto passi decisivi per prevenire una severa distruzione dell’economia americana.”
(George Bush, discorso all’Onu, 23.09.2008)

“Portando soccorso all’America in un momento di difficoltà, Tokio si conferma, nel suo interesse, come il miglior partner di Washington in un’Asia instabile. Se una montagna di denaro sta trasvolando il Pacifico in direzione Wall Street, ieri mattina qualcosa di più pesante ha terminato la traversata in direzione opposta: la portaerei Uss George Washington – 97 mila tonnellate e più di 70 aerei da Top Gun è entrata nella nuova base permanente di Yokosuka. ‘Gli Stati Uniti non hanno miglior amico al mondo del Giappone’: l’ha detto l’ambasciatore Thomas Schiffer davanti al mostro galleggiante che viene a difendere il Sol Levante e gli interessi a stelle e strisce in Asia. E con questo a riaffermare che l’impero americano non si misura con la precaria contabilità di Wall Street.”
(Il Sole/24 Ore, 26.09.2008)



Il terremoto finanziario di questo settembre 2008 segna senza dubbio uno svolto storico. E’ - come avverte una borghesia quasi sotto shock, sgomenta nel vedere piegato sulle ginocchia il formidabile bastione americano del suo ordine - la fine del capitalismo as we know it, come l’abbiamo conosciuto finora. Precisiamo: come in particolare QUI nell’Occidente l’abbiamo conosciuto finora. Finora, cioè per tutta una lunga fase storica di pace e prosperity borghesi QUI, per “NOI”.

Bush, il comandante in capo, dichiara di fronte all’alta platea dell’Onu che si tratta di “prevenire una severa distruzione dell’economia americana”. La scena è clamorosa e ci vorrebbe una potenza che a noi poveri cristi manca per fissarne e trasmetterne l’allucinante messaggio. Ora è il moderno Shylock, armato fino ai denti ma straziato dall’esaurirsi della dose, a dover chiedere, umiliandosi pietosamente, aiuto: “Procuratemi, vi scongiuro, altre ‘iniezioni di liquidità!’, altre dosi di credito/debito”. In altri continenti, giovani e rampanti signori del business, del denaro, del capitale suoi fratelli di sangue, suoi fratelli di classe – magari dagli occhi a mandorla – avrebbero forse a disposizione la dose necessaria, il plusvalore e il sangue vivo prelevato dalle masse e dal proletariato necessario a quel mostruoso corpo infetto per trascinarsi ancora “vivo”. Ma ora, le stesse regole del business e dell’usura di cui il vecchio satrapo è maestro gli si ritorcono contro: “Mister Shylock, tu cosa puoi darci in pegno?”.

Un mese e mezzo prima il corpo drogato dell’America aveva subito una stoccata da una lama acuminata con la precisa e perfetta parata-risposta russa alla sua ennesima provocazione criminale ordita nel Caucaso. Un clamoroso scacco militare, politico, psicologico anche, accusato in profondità – e le antenne di Wall Street devono averlo ben registrato – dall’indiscusso guardiano dell’ordine capitalistico mondiale.

Nella stessa seduta dell’Onu, fischiano alle orecchie americane le parole del presidente iraniano: “l’impero Usa è giunto al capolinea!”, così come quelle insidiose del socio-alleato europeo che per bocca di Sarkozy pretende di voler “regolare il capitalismo” e sfodera la sua vena “sociale”, cosa che ne fa (o ne dovrebbe fare a rigor di logica) un autentico campione per una “sinistra” (italiana ed europea) altrettanto traumatizzata (dato che quello in atto è il crollo anche del suo mondo, del suo “habitat” nel quale è cresciuta e nel quale annaspa, e si affanna a proporre le sue “alternative”), soprattutto se il discorso “sociale” della borghesia europea si concreterà – come i fatti reclamano – nella presa di distanza e nell’autonomia a tutti i livelli dal socio d’oltre oceano messo alle corde.

La super-crisi finanziaria in atto annuncia di trasmettersi e rovesciarsi su tutti i piani ed a scala planetaria; i suoi prolungamenti si daranno sul piano della crisi economica, sul piano politico e degli schieramenti militari fino ad una aperta crisi sociale. E’ l’annuncio della fine di un assetto, di un ordine del capitalismo mondiale as we know it giacché i rapporti di forza fra Stati e blocchi di interessi capitalistici sono mutati. E se è vero che tutte le borghesie hanno come vitale interesse la difesa dell’ordine di un sistema generale al quale tutte sono collegate e da cui dipendono, altrettanto è che gli equilibri e “le regole del gioco” as we know it non valgono più.

Esattamente come non valgono più niente i giganteschi ammassi di “titoli”e di tutta l’infernale e dannata gamma di certificati di debito/credito che se ora si rivelano puro valore fittizio, espressioni numerarie e cartacee di una massa di capitale morto, sono però serviti, per una lunga fase, nella loro funzione di droga iniettata nelle vene del capitalismo mondiale, a garantire e trascinare orribilmente sin qui, seppur certo in maniera via via più precaria ed incerta, l’ordine, la stabilità, la pace sociale dentro le metropoli. Sono serviti a narcotizzare le masse, sono serviti a rinviare, nel cuore del sistema, l’esplodere del contrasto e dell’antagonismo di classe di un proletariato cui il Capitale ha creduto di “togliere l’anima” traendolo a sé, legandolo a sé, pretendendo di trasformare lo schiavo salariato in libero cittadino-proprietario-consumatore e investitore persino. Finendo invece per ridurlo, oggi, alla condizione di “nullatenente debitore, ossia possessore negativo, proprietario sotto-zero”. Qui parla Bordiga, anno 1957. Che egli prosegua: “Ma intanto sono lì il pacchetto di azioni, la casa, la macchina, tutto l’installamento domestico, che danno la sensazione di un possesso e di un godimento conquistato e mettono buona dose alla psicologia piccolo-borghese e codina, incoraggiata da tanti altri bolsi aspetti del costume e della mentalità americana, di anno in anno più disgustosi”.

Ed ancora, tenetevi forte: “Esso integra (esso modernissimo sistema, ndr) la funzione conservatrice di tutte le ‘conquiste’ che nei paesi più ricchi, primissima e fin dai tempi di Marx ed Engels l’Inghilterra, furono caldeggiate dai socialisti legalitari e poi dai vari partiti cattolico-sociali e demo-sociali, e hanno ravvolto il proletariato salariato nella rete assistenziale e previdenziale con le cento forme assicurative contro la malattia, invalidità e vecchiaia e con la pestilenziale burocratica macchina che sopra vi si incrosta, penetrando di pus piccolo-borghese le file delle organizzazioni operaie, che ormai sotto tutti i cieli e su tutti i fronti non ingaggiano più lotte, anche per conquiste immediate e minime ma piatiscono concessioni e tutele, e frammentarie elemosine”. “Tutto l’armamentario attraverso il quale il lavoratore deve essere condotto a sentire come reali quei bisogni illusori che lo spingono a sottoscrivere gli impegni all’acquisto di montagne di merci, dovrà in un non lontano avvenire cedere all’eloquenza dei fatti, e l’artificiosità del meccanismo economico, sboccare in una violenta irreparabile dissoluzione, che secondo ogni probabilità prenderà proprio le mosse da quel paese ove se ne vogliono, ai fini della controrivoluzione mondiale, concentrare i benefici”. (1)

Ebbene, eccolo qui, fresco del 1957, l’esatto stato dell’arte cui è giunto, nel suo cuore malato, il capitalismo, e ci siano perdonate le lunghe citazioni. Cosa e come potremmo noi dire di più e di meglio?

I gangsters del dollaro (e dell’Euro), della deregulation e del “libero mercato” procedono nel giro di alcune convulse ore a colossali nazionalizzazioni (avevano appena finito, da ultimo, di vomitare la loro rabbia e le loro minacce contro la povera e minuscola Bolivia di Evo Morales reo di voler procedere a “nazionalizzare” le principali risorse energetiche del suo piccolo paese); invocano e varano in stato di emergenza “piani di salvataggio” in cui allo Stato viene accollato un debito spaventoso, in cui la massa di capitali movimentata è superiore a quella degli impegni presi dallo Stato americano con la politica del New Deal dopo il crollo del ’29.

E’ solo e semplicemente un servizio reso alle lobby degli speculatori, alla cerchia dei finanzieri e delle banche, una manovra per garantire comunque, nonostante il crack, i giocatori d’azzardo di Wall Street e dei bastardi loro consimili delle Borse Valori che punteggiano il pianeta e che per un paio di decenni hanno menato la loro folle danza?

No, no signori, che vi apprestate a propinarci la “vitalità” di un “capitalismo della produzione”, di un capitalismo “sano” in quanto basato “sul lavoro” (ovviamente “sul lavoro di tutti”, padroni e salariati, ognuno al posto che gli compete nell’“interesse comune di tutti”, con ad ognuno riconosciuto “il giusto profitto” ed “il giusto salario”) ed in quanto debitamente “regolamentato” a tagliarne gli eccessi e le escrescenze finanziarie speculative. Qui, primariamente è il banco che si tratta di salvare non tanto il baro di professione. Siamo cioè davanti al disperato tentativo di scongiurare il crollo catastrofico di tutto quell’armamentario che materialmente lega lo schiavo salariato al capitale ed allo Stato “di tutti”, siano pure le reti di una protezione sociale e di un welfare sbrindellate dalle “riforme” precedenti però ancora presenti “a garanzia” per la massa degli schiavi salariati, che è la base fondante dell’ordine sociale, della conservazione sociale. Possiamo anche essere d’accordo con quanti nel campo del mondo del lavoro, svelando la tecnica con cui è avvenuta l’enorme “creazione” di valore artificiale vengono a denunciarla come “la più grande truffa della storia ai danni del mondo del lavoro dipendente” (abbiamo sott’occhio un documento del Direttivo Nazionale Fisac/Cgil, il sindacato dei bancari) ma solo in un preciso ed inequivoco senso e cioè che “la più grande truffa della storia”, se proprio vogliamo chiamarla impropriamente così, è il capitalismo stesso. Risiede nel meccanismo stesso del capitale giunto allo stadio più che senile. Perché invece, se nel denunciare “la truffa”, si dà o si lascia intendere che essa è stata ordita “per l’avidità” di finanzieri e capitalisti e che quindi una regolazione di tali “istinti selvaggi e perversi”, un’altra politica davvero “sociale”, sarebbe stata (sarebbe e sarà, per i riformisti comunque mascherati) possibile, auspicabile e necessaria allora in verità siamo di fronte ad una ennesima mistificazione, ad un’ennesima truffa ai danni della classe lavoratrice chiamata subdolamente a “governare” il capitale e non a distruggerlo e ad aprire così la strada ad un’altra epoca per la classe lavoratrice stessa e per l’umanità intera.



Le onde sismiche che hanno investito il sistema finanziario mondiale sono tanto stupefacenti per intensità, potenza distruttiva e velocità con la quale si scaricano e polverizzano masse gigantesche di valori fittizi ossia di capitale che non può più, non riesce più a valorizzarsi – dunque muore – quanto è inaudita la quantità di stupefacenti cui l’organismo del capitalismo HA DOVUTO ricorrere per prolungare la orribile agonia, ché di questo si tratta. Vi HA DOVUTO ricorrere in dosi sempre più massicce e sistematiche non da ieri o dall’altro ieri, non dall’imbroglio dei subprime o da quello precedente della cosiddetta new economy, ma dalla metà degli anni ’70 perlomeno, tentando con ciò di sfuggire alla sua crisi storica che in quegli anni si è manifestata, esattamente come la corrente marxista, in perfetta coerenza di dottrina ed in perfetto isolamento, aveva studiato e previsto.

Il capitalismo poi ha fatto il giro del mondo, ha collegato nelle sue reti tutto il pianeta. Con l’uso esasperato della droga finanziaria e quella dell’imperialismo ha scaricato sulle periferie la crisi e sedato il conflitto di classe all’interno delle metropoli ed è infine ritornato, oggi, al capolinea davanti alle sue intrinseche contraddizioni che la spaventosa massa di valori fittizi – ripetiamo: capitale che non riesce e non può più valorizzarsi – segnala. “Questa pletora di capitale monetario attesta semplicemente il limite della produzione capitalistica”, dice il nostro buon vecchio Marx.

La borghesia, attonita e sgomenta per essere ad un passo dalla bancarotta del suo sistema, farfuglia scomposta qualcosa di fronte alla super-crisi che si para davanti.



In America e non solo, i “veri liberisti” contestano sconcertati l’amministrazione Bush: “Sono manovre da governo cinese, da governo socialista!”. Bisognerebbe porre francamente non solo ai cow-boys delle praterie ma alla vasta massa popolare e proletaria raccolta anche dietro le insegne repubblicane, il seguente quesito: “Chi vi ha ridotto in mutande, chi ha polverizzato le vostre proprietà, chi sta ipotecando il vostro lavoro, il vostro futuro? I “comunisti” forse? O “la colpa”, “il male” è solo e semplicemente annidato nei covi degli speculatori di Wall Street che voi giustamente odiate?” Già sentiamo, qua e là, più di qualcuno mestare nel torbido: “Sono i circoli oscuri di una finanza cosmopolita, avida e senza-patria, ad averci portato alla rovina: risaniamo la nostra Patria e ritorniamo al ‘vero e sano’ spirito del capitalismo!”. Discorso “seducente” il cui sbocco è l’intruppamento della classe lavoratrice “per la salvezza e la rigenerazione” della Patria che prelude all’intruppamento del proletariato, aggiogato e usato come carne da macello, sul fronte della guerra imperialista. Ed ancora, e forse prima, bisognerebbe ricordare a quella massa popolare come solo “grazie” a quella serie di “bolle speculative”, di manipolazioni di valori fittizi, essa abbia potuto sin qui “godere della sua libertà” ossia godere per il suo livello di consumo e di “benessere” i quali grondano tanto di droga finanziaria quanto del sangue delle guerre necessarie per tenere sotto il tallone paesi e popoli ribelli delle periferie.

Proletario d’America, fratello di classe, nel mentre sei richiamato dalle cose nel campo della lotta e del protagonismo sociale, apri gli occhi, usando il tuo spirito pragmatico, davanti AI FATTI prima ancora che davanti all’“astratta predicazione” di un pugno di marxisti. Hai nelle tue mani una forza immensa se ti risollevi e ti muovi finalmente in quanto classe di fronte ad un mondo in sfacelo e la tua scesa in campo, la tua azione giungerà come una scarica elettrica a galvanizzare il campo degli sfruttati di tutto il mondo. Non cadere ancora una volta nelle mani delle mille sirene della borghesia!



Ma a imperversare è l’orgia della “regolamentazione”. Ci vogliono delle regole perdio! Quelle di prima o erano sbagliate o non sono state fatte rispettare o non c’erano proprio. E ci vogliono dei controllori che controllino e qualcuno che controlli i controllori... Una larva, il segretario generale dell’Onu, dice che “c’è bisogno di una nuova visione della governance e dell’etica degli affari, con più compassione e meno fede cieca nella magia del mercato”. zivilisert In Germania che pure non è un paese di pagliacci la Die Zeit (18/9) titola a nove colonne: “Zivilisert den Kapitalismus!”. Che cosa ci sia dietro a questa “opera di civilizzazione” a cui si vota la borghesia europea ce lo spiega con concetti e parole molto semplici il giornale del padronato italiano che dopo aver riportato di come “persino alti banchieri parlano di pazzi pericolosi in giro per Washington” (Il Sole/24 Ore, 18/9) scrive: “Gli errori americani si traducono in minor reddito e minore sicurezza in Europa e questo produce rancore. Il rancore si esprime già nella critica alla politica e al capitalismo americano”. Cosa ronzi per la testa di questa subdola razza di “anticapitalisti”, di “regolatori del mercato”, di “riformisti sociali” europei è esplicitato nitidamente: “Per diversi anni l’economia Usa risentirà della crisi e gli europei potrebbero trovarne ragione di profitto, sia sul mercato Usa sia nelle relazioni globali”. Ma che bel quadretto: branchi di lupi, intanto che indossano il manto “sociale” e di “civilizzatori del capitalismo” addirittura, trescano di affari futuri al capezzale se non al funerale del loro fratello.

Attorno a che cosa vanno azzannandosi i lupi borghesi, qual è l’oggetto della disputa?

E’, in ultima istanza, la ridefinizione della gestione e spartizione della massa di profitto generato dagli schiavi salariati.

Dove, alla fine, la borghesia potrà trovare e sanzionare il suo nuovo equilibrio sarà sui campi di battaglia, segnando col sangue delle masse e del proletariato internazionale le nuove sfere d’influenza: questo è lo scioglimento borghese che la super-crisi finanziaria preannuncia. As we know.

Talune menti, non bacate ma pensanti e razionali dentro l’ottica borghese, arrivano già sin d’ora ad invocare, presentando la cosa quasi come una operazione “tecnica”, una “distruzione vera di valori fittizi” (concetto ed espressioni perfettamente marxisti!) non vedendo – a ragione – altre vie d’uscita dal punto di vista dell’economia capitalistica. Ma questa evocata e per taluni già invocata “distruzione vera”, significa una cosa sola quando una massa di fallimenti e bancarotte anche clamorose non è più sufficiente a “sanare” un organismo super-dopato: GUERRA. Distruzione su vasta scala di uomini e cose. Ed è questo in effetti, dal punto di vista dell’economia capitalista, il vero “scopo” della guerra. L’unica via di uscita che questo sistema sociale conosca, sentita come obbligata e “naturale” e persino ovvia, giunti ad un certo punto di saturazione, da questa Civiltà. A nobilitarne lo “scopo”, la gelida e razionale determinazione economica, verranno poi i poeti a cantarla, i preti a benedirne le bandiere, i patrioti a gridare all’“aggressore”, le croc business erossine a lavorare per “la vittoria” lenendo le ferite “dei nostri ragazzi”, e i resti dei pacifisti ad oltranza verranno ad imprecare sull’“ignavia e sulla ferocia connaturate al genere umano”...



Trema la terra sotto i piedi. Alcuni alti borghesi, sollecitati da una sorda inquietudine si sentono in dovere di evocare e di rispondere ad un morto. A quello che loro considerano un cane morto, dato cento e cento volte per morto e sepolto. Il nome di Karl Marx, del red terror doctor, ritorna sulle prime pagine. (Editoriale del Corriere, 8/09/08) Per dirne che cosa e per lanciare quale messaggio? Quali spettri volete scacciare via, voi che possedete tutto: denari, armi, una schiera infinita di lacchè al vostro servizio?

Viene scritto: “Dalla comparsa del Manifesto del Partito Comunista (1848) a oggi, il capitalismo ha attraversato una decina di crisi, le più gravi delle quali sono state quelle del 1929 e la crisi odierna. A ogni crisi, i nemici del capitalismo ne hanno annunciato la fine e ne hanno attribuito la causa al mercato. Che, poi, vuol dire all’avidità dei capitalisti”, ma: “Il capitalismo non è crollato, mentre sono crollati, o si sono ad esso convertiti, i sistemi negatori del mercato e a direzione politicamente centralizzata dell’economia”.

Insomma, la situazione è sì gravida di pericoli ma...calma e sangue freddo e vediamo di non perdere la testa. Soprattutto il richiamo è “ad attenersi ai fatti”, i quali attestano secondo lor signori che “il capitalismo e il mercato rimangono il ‘modo’ migliore per produrre (e consumare) ricchezza”.

Atteniamoci ai fatti, e lasciamo stare la presunta imputazione “all’avidità dei capitalisti” che non è mai stata propria del marxismo per marchiare a sangue e condannare il sistema sociale borghese (questa semmai è una classica “imputazione” che i cristiano-sociali, i demo-sociali, i riformisti in generale indirizzano al capitalismo proprio al fine di “correggerlo”, di renderlo “più equo”, laddove il marxismo dice: distruzione e superamento del sistema della merce, del salariato, del denaro).

Innanzi tutto “il fatto”: nonostante le sue crisi cicliche il capitalismo è ancora in piedi. E’ un dannatissimo fatto, come anche vero è che fior di combattenti hanno atteso e visto arrivare la rivoluzione liberatrice dovendone incassare l’amara sconfitta, a cominciare da Marx (1848, 1871). Ma, primo: in linea generale il capitalismo HA la sua soluzione all’esito catastrofico insito nel suo essere, alla dannazione cui è condannato cioè il DOVER continuamente crescere, DOVER continuamente valorizzarsi pena la morte, e abbiamo appena detto qui sopra quale sia. Secondo, venendo in particolare alla presente crisi epocale in atto: è un fatto che in vasti territori del pianeta il capitale cresce, si accumula, si valorizza sprigiona insomma una sua vitalità storica e pensiamo solo al dinamismo del possente polmone capitalistico cinese. Tutto questo non solo è vero ma il marxismo non adulterato l’aveva ben messo nel conto se nel 1954 Bordiga poteva scrivere a proposito della utilità storica della accumulazione del capitale: “fatto positivamente affermato in tutta un’epoca, che per l’Occidente ci sta dietro alle spalle, ma che per l’Oriente vive con assoluto diritto e inarrestabile efficienza”. (Cfr. Vulcano della produzione o palude del mercato) Il dato di fatto è però che oggi il Vulcano della produzione cinese è collegato alla Palude del mercato americana, essi sono interdipendenti. La catastrofe finanziaria dell’uno non può che coinvolgere e trascinare l’altro nella conseguente catena di crisi economica-politica-sociale.

La Cina “comunista” estrema àncora di salvezza per il capitalismo occidentale in agonia? Qualcuno lo dice esplicitamente: “Se i cinesi entreranno davvero a Wall Street, vorrà dire che la globalizzazione funziona. Pechino ha tutte le risorse per garantire il salvataggio delle istituzioni finanziarie”. (Il Sole, 21/9) In effetti già da anni la borghesia cinese, fra i principali sottoscrittori e proprietari dunque del debito americano, svolge obiettivamente la funzione di puntello essenziale della fortezza Usa senza il quale quella marcia struttura avrebbe già da lunga pezza ceduto. Essa, puntellando l’America, ha intenso preservare il suo proprio sviluppo capitalistico, il suo proprio equilibrio sociale interno.

Ma la furia dell’epocale ciclone alzatosi nell’agosto del 2007 a spazzare le Borse e che si è caricato via via in questi mesi di potenza distruttiva, viene ora a spezzare il “circolo virtuoso” della globalizzazione, quel cerchio magico per i capitalisti di ogni razza e colore.

E dunque, signori borghesi, torniamo a bomba: il cozzo violento fra blocchi di interessi capitalistici è segnato e lo sapete bene, per Voi rientra nell’ordine naturale delle cose. Tanto è vero che nel Vostro “attenervi ai fatti” ne dimenticate perlomeno due di non irrilevanti fatti, capitati nel 1914-1918 e nel 1939-1945. Dopo di che “il capitalismo ancora è in piedi” e per Voi non può certamente che rimanere “il modo migliore di produrre e consumare ricchezza”, alla faccia della fame che contorce lo stomaco di milioni di esseri umani nel Vostro mondo super-tecnologico e super-drogato.

Non è il sangue, l’orrore, la distruzione a turbarvi, è bensì il ritorno in campo, determinato dall’eloquenza dei fatti, del soggetto che nessuno osa nemmeno nominare, quasi che lo stesso semplice nome ne evochi la potenza: il proletariato, ma massa dei senza riserva o addirittura a riserva negativa che il capitale ha preteso di legare a sé e di tenere sotto narcotico.



“Amaro e pesante è il risveglio di un drogato” scrivemmo un anno addietro all’esplodere della bolla immobiliare, ciò vale non solo per la massa attonita e traumatizzata del ceto medio, vittima immediata più di ogni altro del processo di distruzione di valore fittizio in atto, ma anche e non ce lo nascondiamo per il proletariato d’Occidente.

Dinnanzi alle masse traumatizzate ed impoverite d’Occidente si apre un’epoca i cui caratteri sono segnati, e noi, ancora una volta siamo solo umili trascrittori: “La crisi del ’29 era di disoccupazione e bassi prezzi; la grande crisi che verrà tra alcuni anni avrà le maledizioni della sovraproduzione folle e della minaccia di guerra: disoccupazione e spietato rialzo dei prezzi. Oggi si scherza ancora, ma già le teorie del pieno impiego e del benessere tremano sulle fondamenta”. (Programma Comunista n.12, 1958)

Siamo pienamente consci che non esiste alcun automatico e meccanicistico passaggio crisi-lotta sociale-rivoluzione di classe. Così come siamo consci della nostra, evidente, debolezza per non dire nullità e non parliamo, si capisce, della nostra minima sigletta di organizzazione.

Noi accogliamo con sommo piacere il terremoto finanziario in atto pur avvertendo come sia terribile e pauroso il rumore dei passi chiodati che esso annuncia. Ma non era forse altrettanto orribile e pauroso, per la maggioranza dell’umanità, il tempo passato della “pace” e della prosperity riservato ai bianchi occidentali?

Le spaventose convulsioni di un mondo borghese che cade a pezzi devono infonderci energia e fiducia. La piena fiducia nel proletariato e nella Rivoluzione della classe degli schiavi salariati e degli oppressi la quale, sola, potrà sbarrare il corso già segnato della presente super-crisi. Essa in effetti già vive e pulsa – certo disorganica, disorganizzata, “incosciente di sé” - come una forza “anonima e tremenda” fra le masse e gli schiavi delle periferie solo a saperla vedere e “sentire”.

La massa di filistei piccolo-borghesi, la massa degli intossicati e dei narcotizzati dalle briciole lasciate cadere dal padrone sotto la tavola, non vede niente, non “sente” niente come non ha visto arrivare la bufera e non se ne capacita.

Forza e fiducia invece: con coerenza e serietà lavoriamo a riappropriarci della teoria, del programma, del Partito di classe!



7 Ottobre 2008




(1) Le citazioni sono dai nn 3 e 4 del 1957 di Programma Comunista. Questi articoli fanno parte di un lavoro sistematico – il Corso del capitalismo mondiale nell’esperienza storica e nella dottrina di Marx – che ha abbracciato due anni, dal 1957 al 1959, condotto dai militanti rivoluzionari nella situazione più sfavorevole di fronte ad un sistema borghese che marciava a gonfie vele, “rigenerato” dal macello imperialista. Si è allora ingaggiata una battaglia teorica, con le armi della critica marxista, contro le teorie della prosperità e del welfare trionfanti negli Usa e dall’altro lato contro la pseudo alternativa del “socialismo di mercato” – una autentica bestemmia – del blocco russo.
Questo enorme lavoro è stato raccolto in un volume dai compagni del P.C.Internazionale-Il Partito Comunista (la cui impaginazione troviamo, ci consentano i compagni, non del tutto ordinata il che rende difficoltosa la consultazone).
Sollecitiamo lo studio e l’assimilazione di questa aspra opera che è, come tutti gli studi e i lavori teorici del marxismo, un’arma.
Segnaliamo inoltre in particolare – a parte l’ovvio rimando all’opera di Marx – gli scritti di Bordiga raccolti nel volume “Vulcano della produzione o palude del mercato” (Ed. Iskra, 1980) di cui abbiamo alcune copie disponibili.
Utilissimo anche il libro “La crisi storica del capitale drogato” del 1978 (Ed. 19/75). Si tratta di un lavoro in cui vengono sviscerati i meccanismi di fondo che hanno portato alla crisi storica degli anni ’70 ed i “rimedi”, come appunto quello della droga finanziaria, messi in atto dal capitale nella sua orrenda agonia. Il volume si deve ad un gruppo di internazionalisti, prima denominatosi “Filo del Tempo” poi “Edizioni 1975”, raccolto intorno al compagno Roger Dangeville, profondo conoscitore di tutta l’opera di Marx-Engels.
Ci piace riportare le battute finali del libro:
L’oro e le ricchezze del capitalismo non sono che orpelli luccicanti, i suoi valori sono in sfacelo, la borghesia drogata balla, si abbuffa, fornica davanti e di dietro, sbraita e reprime andando in senso opposto alla storia: è diventata pazza e si rovina con le proprie mani. In questo colare a picco, risuona l’enorme risata omerica del vecchio Marx”.
Essendo il libro praticamente introvabile chi ne fosse interessato si faccia vivo ai nostri indirizzi e vedremo in qualche modo di metterlo a disposizione.