Interessano a qualcuno in Italia i fatti di Siria? Diciamo pure che ad un buon 90% della cosiddetta opinione pubblica non gliene frega niente neppure di esserne “informati” (figuriamoci poi di capirci qualcosa!) vista l’incombenza dei “fatti nostri” con cui (pretendere di) fare i conti (chiudendosi illusoriamente in casa propria). Poi c’è chi se ne preoccupa seriamente, a due livelli. Ai piani alti del governo e del suo variopinto codazzo parlamentare ed a quelli dell’affarismo capitalista l’interesse è alto, e ben concreto: un’eventuale caduta del regime di Assad di cui essere co-protagonisti ci potrebbe aprire spazi inediti di espansione del “nostro spazio vitale”. Terzi insegni, per tutti. Ai piani bassi, e diciamo pure infimi, c’è anche un agitarsi frenetico di “ultra-progressisti”, ovviamente iper-umanitari (a senso unico) e persino di “compagni” che in nome della solidarietà con una pretesa, uniforme, “primavera araba” in marcia ininterrotta e sempre più esplosiva, prendono le parti della “ribellione (pardon!, della “rivoluzione”) popolare” contro i tiranni in campo in nome di un modello di democrazia occidentale da esportazione, capace, se non di mettere in causa il sistema imperialista di dominazione planetaria combinato e diseguale, perlomeno di offrire alle (sempre indistinte) “masse arabo-islamiche”, libere elezioni, parlamenti legittimi etc. etc. Insomma: una buona normalità capitalista con cui un’eventuale “Europa sociale” potrà meglio trattare (e meglio farsi i propri affari “equocompatibili”).
Poiché quest’ultimo ridotto è quello cui siamo costretti a rivolgerci per cercare di offrire un orientamento nostro, comunista rivoluzionario, in grado di ricollocarne le “buone intenzioni” (ammettiamolo pure!) su un terreno di battaglia congruo, precisiamo subito alcune cose, su cui poi ritorneremo nello specifico.
Merita o no Assad di essere combattuto e rovesciato in nome degli interessi “popolari”? Certamente sì, come meritavano di essere combattuti e rovesciati i Saddam, i Milosevic, i Gheddafi e, chissà, i banditi al potere in Arabia Saudita, Qatar etc., e, perché no?, gli Obama ed i Monti. Chi ne abbia l’uzzo ci presenti pure una classifica dei tiranni da sbirillare secondo il loro peso specifico.
A ribellarsi contro Assad e tutti gli altri già messi KO ci sono o c’erano anche settori di classe di nostro riferimento? Nuovamente sì. Discende da ciò che ogni tipo di rivolgimento contro questi, ben determinati (mai oltre essi!) regimi, vada appoggiato più o meno incondizionatamente? Per noi è evidente che no. I giusti risentimenti “popolari” – usiamo pure, nel contesto, questo termine – o riescono a darsi un proprio orientamento ed una propria organizzazione di classe finalizzati ai propri interessi, anche solo “immediati”, o sono destinati a convogliarsi dietro il carro di ben altri, antagonisti, interessi cui offrirsi come gregari e carne da cannone. Un esempio storico per tutti, a noi vicino: la famosa Resistenza a fine seconda guerra mondiale, pagata di persona in primissimo, se non esclusivo, piano dalla classe operaia in nome dell’“antifascismo” a profitto della ristabilizzazione, più che mai stritolatrice, del capitalismo, nazionale (erede del fascismo) ed internazionale (del super-fascismo stelle e strisce). Non una “rivoluzione mancata”, ma una controrivoluzione ben riuscita. Anche qui, in buon ordine: legittime aspirazioni operaie, incanalamento restauratore nell’ambito dell’ideologia e della macchina dirigenziale CLN, coi suoi capi investiti direttamente da Londra (un’abitudine!), armamento (a termine) del partigianesimo da parte degli Alleati (“democratici”, cioè – e qui aveva ragione Mussolini – ultraplutocratici ed ultradittatoriali), governi “antifascisti” antioperai puntellati da un’opposizione di “democrazia progressiva” pro-capitalista e via dicendo sino agli esiti attuali di rullo compressore antioperaio montiano (e poi ne vedremo ulteriori “belle”).
Sul Manifesto di qualche giorno fa Tariq Ali scrive: «Dall’inizio ho appoggiato pubblicamente e apertamente la rivolta popolare contro il gruppo baathista dominante a Damasco. Io sono stato contro questo regime fin da quando il golpe militare di Assad rovesciò il suo predecessore, molto più illuminato (?)». Ed ha fatto, od avrebbe – non sappiamo – “fatto bene” se nel tentativo di indirizzare questa rivolta nel giusto senso di classe. Salvo che questo “inizio rivoluzionario” anche a lui non sembra essere andato per la strada giusta (chissà se non anche per una sua stessa carenza nell’“appoggiarlo” in maniera “partigianesca” dubitabile). Di questo anche lui deve prendere atto ed è costretto ad autodifendersi da chi non lo fa nel suo stesso milieu: «Voglio così anche respingere la diffamazione esplicita da parte di alcuni che mi accusano di essere “un apologeta di Assad” come fu per quegli idioti (in via di progressiva proliferazione, n.n.) che mi tacciavano di “apologeta di Saddam” durante i preliminari dell’occupazione dell’Iraq».
La ricostruzione della vicenda siriana da parte di Tariq Ali è piuttosto curiosa. Primo tempo: sollevazione popolare, totale ed esclusiva; nessuna parte del popolo siriano – sembrerebbe – dalla parte del regime; nessuna presenza extra od anti-popolare in campo; per giunta: lotta pacifica, che al nostro sembra una buona garanzia da sottoscrivere (e perché mai una giusta lotta classista dovrebbe rinchiudersi entro questo recinto?). Secondo tempo: «una volta scattata la repressione alcuni hanno deciso che la natura pacifica della lotta non bastava più e allora sono apparsi i militari e i civili vicini alle agenzie di intelligence occidentali. Come in Libia»; ed allora ecco l’intervento esterno e «come ho già detto nel caso della Libia, una volta che la Nato (e certi paesi islamici?, n.n.) entra in gioco, vinca chi vinca, sarà il popolo a perdere». Dapprima assenza di brutti figuri controrivoluzionari all’interno e dall’esterno; poi costoro entrano stranamente in scena evocati da “alcuni” non meglio specificati dei primaverili. Noi possiamo anche convenire che non è credibile l’immagine di una rivolta anti-Assad orchestrata da cima a fondo dall’esterno, dall’Occidente e dai suoi soci locali tipo Arabia e Qatar, ma che da parte di costoro si sia scientemente giocato sin dall’inizio su fattori destabilizzanti interni per muovere le proprie truppe d’assalto all’appetitoso bottino siriano è un dato di fatto (ben chiaro sin dall’esperienza jugoslava). Ed allora va chiarito come quegli “alcuni” di cui sopra abbiano svolto già in partenza il loro ruolo di apertura all’intervento imperialista in forza di propri interessi di classe “antipopolari” cui legare un “movimento” evidentemente non in grado di affermare le proprie ragioni antagoniste. Se “sarà il popolo a perdere” non dipende da un caso (e tantomeno dall’abbandono dei metodi pacifici di lotta), ma da un preciso rapporto di forze tra le classi a noi sfavorevole cui l’“anima popolare” non ha saputo o potuto reagire sin dagli esordi della vicenda in corso.
Oggi come oggi è chiaro a tutti che la Siria è l’oggetto di uno scontro per la spartizione del paese tra potentati locali e internazionali criminali interessati alla cancellazione dell’“anomalia” di un regime in qualche modo, sia pur (molto) relativamente, autonomo e contrapposto agli interessi dei pretendenti al bottino di cui sopra, in nome di un più severo “nuovo ordine” imperialista. Valanghe di dollari, armi ed armati stranieri sono sul campo per l’operazione di rapina e schiavizzazione della Siria, e non varrà nulla una “soluzione negoziata” tra le parti in conflitto all’interno del paese, come vagheggia Tariq Ali, ma l’unica via d’uscita potrebbe esser costituita – ove ce ne fossero le forze – solo da una risposta di “popolo” all’invasione in corso ben oltre il recinto della “normalizzazione antiterrorista” di un Assad cui strappare l’insegna di difensore di una anticlassista ed antipopolare “indipendenza siriana” priva di sbocchi (e, comunque, meno indegna dell’arruolamento al carro imperialista, come nel caso del “primaverile” Morsi che se ne va in Turchia a proclamare la necessità di un intervento militare “islamico” in concorrenza con quello occidentale, il “sinistro” Hollande in primis). Nel caso che Assad resti solo sulla trincea della difesa della Siria dalle bestie pronte ad azzannarla noi non possiamo che essere incondizionatamente contro l’interventismo straniero, chiamando i proletari di qui ad opporvisi (visto, tra l’altro, lo stretto nesso che anche in casa nostra lega questo interventismo in casa d’altri con quello antiproletario in casa nostra). Quanto abbiamo già scritto sul caso-Libia valga da esempio e da orientamento.
Ovvio che gli idioti ci classificheranno pro-Assad o, come s’è letto recentemente, da “campisti”, ovvero da sostenitori di un (preteso) campo anti-imperialista composto da dittatori locali o da paesi “canaglie” tipo Cina e Russia, la cui demarcazione dal campo occidental-islamico reazionario può anche costituire un momento di utile contraddizione interna ai paesi capitalisti (a condizione di non sottoscriverla), ma del tutto contrapposta alla nostra linea. E con ciò gli idioti restano tali.
Ci duole constatare che persino l’ultima, o penultima, scissione nell’OCI che fu nostra, quando si navigava su gambe diritte, ha prodotto da parte dei dissidenti col Che fare de Il cuneo rosso un aborto di rivendicazione dell’“Intifada araba” in progress continuo ed inarrestabile che cauziona un presunto carattere esclusivamente “popolare” ed anzi, spesso “proletario”, di movimenti quali quelli libici e siriani liberi per definizione da ogni condizionamento confessionale, statalistico e pro-occidentale o pro-arabo reazionario. Ci ritorneremo sopra come merita, perché il lavoro del Cuneo, molto universitariamente dotto ed iper-documentato, con una bibliografia infinita da cui sono espunte solo le voci dissonanti (a cominciare dalla stessa Correggia o da Minucci) contiene anche ricchi e preziosi spunti di documentazione ed indagine sull’“anima popolare” presente in queste rivolte, che noi ci guardiamo bene dal negare aprioristicamente, salvo le conclusioni “partigianesche” che ne conseguono colludenti col “contropotere” reazionario in marcia e tutta la stessa impostazione teorico-programmatica, che si risolve in una sorta di ipotesi di “secondo tempo” della “rivoluzione democratica” (democrazia istituzionale!) in “ognuno” dei paesi dell’area per la realizzazione di una sorta di capitalismo nazionale equilibrato e... progressista al di fuori di ogni prospettiva internazionalista proletaria (a parte le ovvie chiacchiere sugli inarrestabili progressi in corso d’opera del “movimento” che ne verrebbe comunque e spontaneamente a capo).
L’ultimo Che fare è, forse, eccessivamente negazionista in materia, ma la risposta d’insieme agli ex non fa troppe grinze. Passi che, come scrive Il cuneo, «alla luce dei fatti, non possono risultare che ridicoli, fuorvianti e precostituiti i giudizi di chi vuol presentare gli eventi libici (e poi siriani, n.) come l’ennesima “rivoluzione colorata” pianificata dai servizi segreti (occidentali, n.) di un Chossudovsky», su cui, per altro, sino all’altro giorno si giurava. Ovvio che a spiegare le sollevazioni esistono “fattori interni”, ad esempio le conseguenze della “deviazione liberista” di un Gheddafi od un Assad. Ma è proprio sicuro che si tratti di scelte deviate interne da parte dei “dittatori” e non di cedimenti alle pressioni del centro imperialista e che risposta egemone ad esse sia quella di un “popolo” deciso a passarci sopra o non piuttosto da forze decise a lucrarne in proprio in ulteriore progressione (ovviamente caldeggiando le proteste popolari pro domo loro)? “Primavera proletaria”, o giù di lì, contro il “tradimento liberista” di Gheddafi ed Assad oppure – nei suoi elementi dirigenti – contro le loro eccessive remore alla svendita totale all’Occidente ed ai suoi manutengoli “arabo-islamici”?
Eppoi: come la mettiamo col fatto che gli Hezbollah, non molto tempo addietro presentati come una sorta di succedaneo islamico del partito comunista (cosa su cui ci permettemmo di avanzare a tempo debito qualche riservuccia) stiano dalla parte di Assad? Sono diventati antipopolari ed anti-gloriosa-imtifada-araboislamica anch’essi tutto d’un tratto? Chiediamo lumi. E sono solo volgari servi di Assad i due (ingloriosi) partiti “comunisti” presenti nel paese mentre un terzo anti-Assad ne uscirebbe immacolato a fianco dei “liberatori” (soprattutto esterni) primaverili?
Una rispostina tuttora valida ci sembra venire dalla manchette di presentazione di un articolo del Che fare n° 56, del 2001 sull’“anti-imperialismo islamico e quello comunista”:
«L’islamismo radicale proclama la guerra santa contro l’Occidente. Ma è in grado di organizzarla per davvero e di condurla alla vittoria? La nostra risposta è no. Non perché violento contro l’Occidente. Bensì perché incapace di organizzare quella mobilitazione unitaria di tutte le energie del mondo islamico e del resto del Sud del mondo che una tale battaglia richiede. Perché non vede e non vuol tagliare le radici della dominazione imperialista. Perché – al fondo – contrapposto all’unica prospettiva, quella comunista, realmente in grado di fare l’una cosa e l’altra”.
Nel caso attuale della Siria queste parole andrebbero ulteriormente rafforzate, visto che alla guerra santa contro l’Occidente si sostituisce una guerra infra moenia tra paesi “islamici” con contributo richiesto, e generosamente offerto dagli appellati, dell’Occidente, direttamente o meno che sia.
Anche Assad e “persino” Hezbollah (vedi nostro articolo sull’“assordante silenzio” di questi ultimi sul caso-Libia, a dimostrazione del rinculo rispetto allo stesso pan-arabismo nasseriano delle stesse “forze progressiste” islamiche in campo attualmente) stanno a dimostrazione di un orizzonte miserabilmente nazionalista e/o confessionale. Col che la “primavera araba” risulta piuttosto algida.
Adesso si scopre che, vada come vada, anche i salafiti costituiscono un “contenitore reazionario di un materiale esplosivo rivoluzionario”. Logici, a questo punto, quelli dell’(ex)campo anti-imperialista che ne derivano la seguente consegna: bisogna premere perché il contenitore si adegui al contenuto. Strada già tentata da costoro con la stessa Lega attraverso il pungolo del “comunismo padano”. Altri lo hanno fatto col governo Prodi, contenitore pressato e pressabile dall’ottimo contenuto “proletario”. Siamo alle solite.
Certamente “campisti” sono i tizi alla Grimaldi o alla Rinascita, da sempre impegnati a difendere presunti “socialismi nazionali” in azione, da Milosevic in qua. E, soprattutto nel secondo caso se ne capisce benissimo la logica: il “socialismo nazionale” (o nazional-socialismo) italiano a venire, per sottrarsi all’egemonia USA, ha bisogno di stringere alleanze con chi può darvi una mano, da Assad a Putin, tutto va bene, come già coerentemente proclamato dai vari filoni storici del fascismo “rivoluzionario” e, perché no?, “proletario”. La “Grande Proletaria” di nuovo in movimento! Anche Berlusconi aveva abbozzato un discorso del genere, con tutti i sotterfugi del caso, per mettersi un tantino di traverso ad interessi esteri contrari a quelli nazionali nostri, salvo poi, una volta richiamato all’ordine, trasformarsi nell’ennesimo Badoglio di turno. Eppure, se a ciò non si risponde sul terreno marxista, questa sarà una via obbligata, pena il vederci sfilato di nuovo il nostro “posto al sole”.
(Breve inciso: Rinascita ha organizzato a tempo debito manifestazioni di solidarietà, sempre in nome dell’asse “socialista” di ferro, con Gheddafi ed Assad. La nostra “sinistra rivoluzionaria” che cosa ha in mente di fare sul tema mostrando in piazza la propria faccia?)
Chi ci legge ne tiri le debite
conseguenze e, qualora non si decida a porsi sul nostro terreno, cessi almeno di recitare le solite
onanistiche giaculatorie su possibili “soluzioni pacifiche” cui, magari, sollecitare
una “diversa Europa” (col “diverso” Hollande, ad esempio?) e di
piangere post festum sull’intervento imperialista di guerra (logica prosecuzione
della sua “politica”).
5 ottobre 2012