nucleo comunista internazionalista
note



I SAAKASH...VILI DI CASA NOSTRA

Gli avvenimenti georgiani hanno prodotto nella politica italiana molto sonno della ragione e susseguenti mostri. Non solo in senso antiproletario (questo andava da sé!), ma anche in direzione del più squallido accodamento alle direttive USA ed ai suoi schemi di “democratico” imbottimento propagandistico dei crani lobotomizzati –tale, perlomeno, la speranza di Bush– delle masse. Era troppo sperare (lo diciamo da un punto di vista borghese, non nostro, sia ben chiaro!) che gli avvenimenti georgiani servissero da occasione per uno schieramento se non di rottura (impossibile allo stadio attuale!) di relativa e sempre maggior autonomia economico-politico-militare dell’Europa rispetto al super-big USA? Pare proprio di sì se si gira lo sguardo alle prese di posizione di qui sia di destra che di “sinistra”; e spesso peggio ancora a “sinistra”.

bandiera bruciata

Due giorni di pulizia etnica georgiana hanno fatto fuori perlomeno 2000 cittadini osseti (senza distinzione di sesso ed età: tutto molto democratico) su un insieme della popolazione di questa regione di circa 100.000 abitanti o poco più (non abbiamo sottomano dati freschissimi). Come dire che se qualche potenza “democratica” volesse colpire l’Italia dovrebbe far fuori, nello stesso torno di tempo, 1.200.000 italiani. Un’inezia, vero? Tant’è: nessuna immagine di questa immane tragedia è apparsa sui nostri schermi, così come, per altri versi, si è fatto poco o nullo caso dei 90 civili massacrati in Afghanistan dai nostri “demo-pacificatori”. E’ ovvio: tutti gli occhi erano puntati sulla tenebrosa oppressione cinese in Tibet, sulla quale, sgonfiatasi la bufala sui massacri pre-olimpici, se n’è oggi inventata una nuova. 140 tibetani uccisi freschi di giornata. Lo attestano le parole del Dalai Lama giromondista (cui mancano solo le visite ai paesi martoriati dall’imperialismo USA-NATO); anzi, poi s’è corretto, del suo nutrito entourage. Dove? Come? I satelliti spia occidentali che permettono di leggere dall’alto il giornale che un tizio seduto sulla panchina di un parco sta sfogliando non ci hanno fornito immagini in merito. Che caso fortuito! Che peccato! Degli altri massacri, quelli veri, accertati e documentati doviziosamente si potrà sempre dire che si tratta di illazioni non veritiere. Se a Kabul si lamenta l’eccidio di 50 bambini in un colpo solo, e lo stesso Karzai è costretto a fare la voce grossa, si dirà che no, si trattava di “talebani”. In miniatura, se si vuole, così come un sionista commentò l’assassinio di bambini palestinesi: non erano, ma sarebbero diventati inevitabilmente dei terroristi se lasciati crescere. Quanto alla stringente documentazione russa sul macello osseto si potrà dire che trattasi di falsi da set cinematografico, perché no? Ma poi non è neppure il caso di scender tanto nei dettagli; basti dire che la reazione di Mosca è stata “spropositata”.

Casini, da buon cristiano cattolico, ha subito scartato il problema inesistente dell’azione georgiana per passare alla critica della reazione: “Putin si comporta da bullo di quartiere”. Ai danni, evidentemente, dei bravi boys georgiani. Alla sanguinaria provocazione USA-Georgia Putin non ha porto l’altra guancia né altre parti anatomiche. Siamo abituati ai meteorismi boccali di Casini e non ci facciamo neppure più caso. Ma sulla stessa falsariga ecco tutta una serie di compari, compresi molti “insospettabili”. Lo zar Putin, ecco il nemico da colpire, in quanto non incline al senso delle proporzioni (ci sarebbe piaciuto ne avesse dato invece prova acconcia!). Persino Il Manifesto –su cui pure, dobbiamo riconoscerlo– si sono lette analisi contraddittorie tra loro, alcune delle quali non spregevoli, non si vergogna di ricorrere al proprio creatore di titoli “originali” e scrive: Mosca cieca. Quale divertimento! Quale saggezza! L’Unità, giornale fondato da Gramsci e comprato da un altro sardo, Soru, non si limita ad inveire contro lo zar, ma sfodera l’asso antiberlusconiano più becero: il PDL non si muove contro il Cremlino! Berlusconi continua a dichiararsi amico di Putin, oh vergogna delle vergogne! “Noi avremmo fatto di più e meglio”. Un’occasione mancata per Bush! L’Europa catto-PD titola: la Russia ha ormai nel mondo un solo amico, Berlusconi, e Il Riformista scrive: “Putin uber Alles”, con Berlusconi suo compare, tipo Mussolini-Hitler. Fassino amaramente s’interroga: come mai questo governo “tresca” con i nuovi zar (quelli da cui il PCI prendeva direttive e soldi)? Forse perché Berlusconi è diventato (borghesemente) meno cornuto di voi!

Dappertutto lo stesso linguaggio mediatico, lo stesso servilismo nei confronti degli USA che teme persino di abbozzare una propria (borghesissima ed imperialista, va da sé) linea italiana ed europea scostandosi da quella che è stata un’aggressione USA non solo all’Ossezia del Sud ed alla Russia, ma alla stessa Europa.. “Dov’è la vittoria? Le cinge la chioma, che schiava degli USA Iddio la creò”: ci permettiamo di suggerire questa attualizzazione dell’Inno di Mameli! Per estremo paradosso, qualche traccia di cronaca ed interpretazione dei fatti meno corriva la abbiamo trovata più su certi numeri del Giornale (forse perché amico dell’amico dello zar?!) che su certi fogli centro-sinistri. Il più spinto nel chiamare all’allarme perché tra poco avremo i russi in casa è stato il Liberal del casiniano Adornato, uno della stessa covata dei due di cui diremo in appresso.

Il culmine di questa linea la troviamo in un eloquentissimo pezzullo (Corriere, 8 agosto) di due nouveaux philosophes francesi, André Glucksmann e Bernard-Henry Lévy, sionisti sino al midollo e sino al midollo vessilliferi di proclami di guerra. (Ci dispiace dover ricordare che si tratta di ebrei e con ciò non intendiamo affatto confondere le mascalzonate di alcuni tristi figuri con la posizione di un intero popolo, ma ci è d’obbligo sottolineare lo sfrenato furore di chiamata imperialista alle armi di cui si fa sempre più artefice una fetta non marginale di ambienti ebraici proprio perché, su questa strada, non si potrà non mettere in conto una reazione a catena da parte degli sfruttati che rischia di coinvolgere proprio l’intero popolo ebraico, e sarebbe una ben triste conclusione! Perciò chiamiamo, nel comune interesse dell’umanità, gli ebrei di retti sentimenti a far sentire sempre più alta la voce della propria dissociazione da consimili covi di vipere! Ci basterebbe anche qualcosa in meno degli ebrei del tipo Marx, Luxemburg, Trotzkij...)

Putin è il nostro principale nemico (in compagnia della Cina, sottinteso). Tanto ignobile da parlare di “genocidio” in Ossezia del Sud, anziché di democratica operazione di ristabilimento delle regole, mentre «non si era nemmeno degnato di pronunciare questa parola nel cinquantesimo anniversario di Auschwitz». Che ci azzecca?, direbbe uno di nostra conoscenza. Ci azzecca sì, perché l’alibi di Auschwitz, “l’industria dell’Olocausto” –come ha scritto un altro ebreo, ma di tutt’altra pasta– deve servire a coprire gli olocausti di oggi. I criminali imperialisti sono abituati a recitare il memorial della Shoà (di cui, tra l’altro, furono complici) di sessant’anni e passa in qua per coprirsi le spalle rispetto alle loro attuali e quotidiane Shoà. Tutto qui.

La Russia post-caduta del muro, scrivono ancora i nostri due, era un’altra cosa, perché l’avevamo messa KO, si sperava per sempre. «Nel 1989 Gorbaciov si era rifiutato di spedire i carri armati sovietici contro la Polonia di Solidarnosc»!!! (c’è qualche confusione sulle date e sulle circostanze storiche, ma pigliamola con... nuova filosofia). «Eltsin si è guardato bene, cinque anni dopo, di permettere alle divisioni russe di penetrare in Jugoslavia per appoggiare Milosevic». Certo, si è limitato, da buon amico messo spalle al muro, a guardare le divisioni NATO entrare in quel paese per strangolarlo e frammentarlo a proprio uso e consumo. Putin stesso non ha osato attaccare la Geogia e l’Ucraina comperate dall’Occidente visto che, sino a ieri l’altro, “noi” abbiamo saputo fare la voce grossa a suon di dollari e cannoni. «Oggi tutto traballa». L’Orso e il Dragone ricominciano a giocare in proprio, minacciano –una volta si diceva onestamente così– i nostri “spazi vitali” sempre più estesi, i nostri “giardini di casa”. Dove andremo a finire? Come mai permettiamo alla Russia si rimanere nel G-8? «Che cosa aspettano Unione Europea e Stati Uniti per bloccare l’invasione (!!!) della Georgia, Paese amico dell’Occidente?». Ne va dei nostri stessi destini a venire. Eppure nemmeno Sarkozy e la Merkel osano dichiarare guerra al nemico. (Fossimo in loro, permetteremmo a Glucksmann e Lévy di crearsi una piccola legione straniera da spedire subito sul fronte di guerra da essi propugnato! Tanto sano ardore “libertario” non può essere compresso. Armatevi e partite, miei prodi!). Come fidarsi, si prosegue, dell’«autocrazia putiniana nata per grazia degli oscuri attentati che insanguinarono Mosca nel 1999». Ne abbiamo scoperta una nuova! Come possiamo fidarci di un Medvedev che evoca Monaco, insinuando «che la Georgia, con i suoi 4,5 milioni di abitanti, sia la reincarnazione del Terzo Reich»? Caso mai lo sarà l’Ossezia del Sud coi suoi 100.000 abitanti! Logico, no? «E’ venuta l’ora di cambiare metodo», «l’Europa che è stata edificata contro la cortina di ferro, contro i fascismi di ieri e di oggi (tipo Iraq, Iran, Palestina, Afghanistan etc.etc., n.), contro le sue stesse guerre coloniali (divertentissima questa!, n.) (..) si ritrova oggi sull’orlo del coma. 1945-2008: vedremo sancire la fine della nostra breve storia comune nelle olimpiadi del terrore in atto nel Caucaso?» (trascurando la medaglia d’oro conquistata nella disciplina sportiva del terrore da parte di Saakashvili e del suo trainer Bush).

Di fronte a questa merda spicca un volo d’aquila il pezzo sul Corriere dello stesso giorno a firma Sergio Romano (a parte il titolo appiccicatogli: Le paure di uno zar). Il Romano prende atto, innanzitutto, della realtà dei fatti, procedendo da un po’ più lontano, e da buon europeista (in senso classico, borghese) denunzia il recto ed il verso della medaglia confezionata dagli USA: aggressione a tutto campo, alla rinascente Russia ed alla zoppicante Europa. Quali, dunque, i nostri interessi nella faccenda? Lo lasciamo parlare diffusamente da sé:

«Voglio soltanto ricordare che non è possibile trattare con un grande Stato senza cercare di comprenderne le percezioni, le ambizioni e le paure. Putin è uno zar (e dagli!, n.) restauratore e modernizzatore. Vuole restituire ai suoi connazionali l’orgoglio perduto. Vuole preparare il suo paese ad affrontare le sfide del futuro. Vuole instaurare un sistema economico che assicuri la prosperità e la crescita civile della società russa (non male per uno zar!, n.). Per raggiungere questo scopo non poteva permettere che le maggiori risorse naturali della nazione (soprattutto petrolio e gas) restassero nelle mani di oligarchi o di società straniere che hanno conquistato (leggi: depredato, n.) pezzi di ricchezza russa nel momento della sua maggior prostrazione. Per sbarazzarsi di questi corsari dell’economia ha agito senza scrupoli. Ma non è stato più spiccio e spregiudicati di quanto lo siano state le sue vittime (vittime tra virgolette, n.). Putin sperava di realizzare questi obiettivi in un clima di cooperazione internazionale con gli Stati Uniti, l’Europa, la Cina e le altre maggiori potenze», dando ampie prove (qui ben elencate) di “disponibilità”, sino alla creazione nel 2002 del Consiglio NATO-Russia. «Molti sperarono (io fra questi) che la vecchia NATO, costituita per contrastare un nemico ormai defunto, si sarebbe trasformata sino a diventare l’organizzazione per la sicurezza collettiva dell’intero continente europeo». Cos’è, invece, successo? Gli USA hanno attaccato l’Iraq e, in sintonia con ciò, si è fatta via via più pressante la spinta verso Est, incorporando direttamente repubbliche ex-sovietiche. Ai primi avvertimenti di Mosca gli USA (Europa a rimorchio) «hanno rincarato la dose con due iniziative obiettivamente anti-russe».

«In primo luogo gli Stati Uniti hanno messo all’odg l’ingresso nella NATO della Ucraina e della Georgia. In secondo luogo hanno cominciato a trattare con la Polonia e la Repubblica Ceca (così “svincolate” dall’ambito d’azione europea, n.) l’installazione di basi antimissilistiche che sono teoricamente anti-iraniane e concretamente anti-russe». Poi si è proceduto direttamente all’”americanizzazione” del Kosovo. «Quando qualcuno a Mosca, dopo lo scoppio della crisi georgiana, ha proposto la convocazione del Consiglio NATO-Russia, la NATO ha risposto con la convocazione di un Consiglio Atlantico che ha accusato Mosca di aver fatto un uso sproporzionato della forza; quasi che non vi fossero state altre circostanze recenti –i 78 giorni durante i quali la NATO ha bombardato la Serbia, i 35 giorni durante i quali Israele ha bombardato il Libano– in cui l’uso della forza poteva essere considerato, da altri punti di vista, “sproporzionato”. E più recentemente, infine, gli USA, per strappare alla Polonia una base missilistica, le hanno promesso una fornitura di missili Patriot: un’arma che, per la sua gittata, può essere usata solo contro i missili russi. (..) Dando i Patriot alla Polonia gli USA hanno implicitamente ammesso che il loro “scudo” è anti-russo. Ciò che dovrebbe maggiormente sconcertare gli europei è il fatto che tutto questo avvenga in una situazione in cui Russia e UE hanno eccellenti ragioni per andare d’accordo. (..) Oggi, dopo la fine della guerra fredda, occorre una Comunità euro-russa per gli idrocarburi e lo sviluppo. Se imboccheremo questa strada persino gli USA (se non questa presidenza, la prossima) scopriranno che vi sono altri modi per vivere con la Russia e, alla fine, ce ne saranno grati».

In realtà, una cooperazione Russia-UE di questo tipo si scontrerebbe con gli interessi USA che non per “errore” si muovono aggressivamente su tutta la linea, contro i popoli islamici, la Russia, la Cina e, per tagliarne preventivamente le ali, l’Europa stessa. La “gratitudine” sognata dal Romano in vista di un mondo armonico nel vantaggio di tutti non è inscritto nel DNA dell’imperialismo. A parte ciò, il discorso è euroborghesemente nitido, nel rispetto dei fatti e del portafoglio. E’, infatti, bastata qualche timida mossetta da comprimario da parte di Sarkozy (ed anche Berlusconi) per assistere ad un richiamo all’ordine senza precedenti da parte del Pentagono ed esso ha già trovati pronti a rispondere i vari Casini, Calderoni e centro-sinistri (nel semi-ammutolimento di quel che resta della “sinistra radicale”) o, come in Francia, i critici “di sinistra” di Sarkozy che gli imputano troppa arrendevolezza alla Russia, com’è stato inizialmente nel tentativo di definire un’azione europea un po’ alla Romano, mentre la resa totale va regalata ai soli USA. A questo sbracamento non ci saranno che due risposte alternative possibili per uscirne nel nostro continente: o la ripresa del movimento comunista internazionalista o quella di una nuova destra nazional-europea che risollevi la bandiera della lotta alla –si diceva una volta, non del tutto erroneamente– “demoplutocrazia imperialista”, ovviamente per un nostro “posto al sole”. In entrambi i casi, avremo scenari sempre più arroventati e prossimi allo scontro. Vediamo, per quel che ci riguarda, di arrivarci non in stato di catalessi o da zombi, ma da combattenti.

28 agosto 2008