L’editoriale della Rossanda sul Manifesto del 23 ottobre dal titolo Post-coloniali (che riportiamo qui di seguito in appendice) merita delle attente considerazioni in quanto esso non rappresenta delle “opinioni personali” dell’autrice e di quella parte del suo giornale “pluralista” che non ha trovato ragioni valide per opporsi all’aggressione contro la Libia (anzi, agli inizi: benvenuto intervento umanitario sotto egida ONU!), ma fa da megafono a tutta una serie di aberrazioni proprie di un arco amplissimo di forze della “sinistra” democratica, “radicale” ed anche “estrema” che o hanno condiviso l’aggressione (vedi vertice della CGIL e portavoce vari dell’associazionismo “pacifista”) o non hanno comunque ritenuto di dover muovere un dito per denunciarla e contrastarla (e qui ci mettiamo la stessa FIOM e la galassia dei partitini della “sinistra radicale”, o quanti ancora hanno suonato la grancassa a pro’ dei “rivoluzionari libici” cui prestare un incondizionato – pur se platonico – sostegno, magari facendo rivoltare nella tomba il cadavere di Trotzkij vergognosamente chiamato a cauzionare una simile presa di posizione).
Il tutto con un bel cambio di marcia: in passato avevamo visto molte di queste forze schierarsi in piazza contro le successive puntate a cascata della guerra infinita dell’Occidente contro le popolazioni “indisciplinate” del Sud e dell’Est del mondo, con una prima significativa puntata in Europa col caso jugoslavo; oggi le vediamo o tranquillamente sedute a sorbirsi il nuovo film horror o addirittura ad assistere goduriosamente allo scempio libico.
A dare a costoro le debite giustificazioni teoriche per quest’inversione di rotta, addirittura invocando dei principi “socialisti” (sia pur ad esclusione del marxismo), ci pensa ora la Rossanda.
Partiamo dall’inizio. Dopo essersi schierata totalmente antemarcia, da perfetta avanguardista... democratica a favore dell’intervento “umanitario” NATO, la Rossanda s’indigna ora del fatto che non sono state rispettate le “modalità” indicate per l’operazione e bacchetta i post-coloniali che “a sinistra” hanno battuto le mani finanche al gran finale da caccia alla volpe dell’accoppiata dei bombardieri NATO con la muta di cani che a terra si è scagliata contro la preda ferita facendone brandelli. Eh, no! Queste cose non si fanno. Noi neghiamo, ella scrive, che “terroristi e dittatori vadano ammazzati da prigionieri e senza processo” (come fu per Mussolini?!). Essi vanno, secondo il diritto internazionale, consegnati ad “equi ed imparziali” tribunali internazionali, e ne abbiamo già uno all’Aja, dove “democraticamente” i predatori ed assassini occidentali si arrogano il diritto di giudicare i “devianti” che recalcitrano davanti ai loro diktat. Tutto qui, e non occorrono ulteriori commenti.
Ma niente paura: la tirata d’orecchi ai post-coloniali in questa chiave serve solo a ribadire che la loro colpa fondamentale è stata quella di non essersi sin dall’inizio schierati in prima persona a favore della “rivoluzione libica”, aiutandola così a compiersi in modo pulito. Delle “brigate internazionali” democratiche (ed europeiste) avrebbero assicurato ad un tempo la vittoria della “rivoluzione” ed evitato gli odierni eccessi. Eccessi giacobini? Se così fosse, non avremmo nulla da ridire sul tiranno à la lanterne e non invocheremmo “nessuno tocchi Caino”. Meglio una giustizia sbrigativa, linciaggio compreso, che una beffa di “giustizia internazionale” affidata a predatori ed assassini in veste di giudici.
Primo punto teorico. Noi non crediamo (più) all’ossimoro delle “dittature progressiste”; e qui è d’obbligo un’autocritica relativa agli anni ’60 e ’70 “quando abbiamo creduto che alcuni paesi, specie ’arretrati’, potessero svolgere un ruolo mondiale positivo con un regime interno indecente. Famoso l’assioma dei ’due tempi’: prima demoliamo i monopoli stranieri e poi vedremo con la democrazia. Fino a sembrare una variante di socialismo l’antimperialismo”. In effetti la tradizione del Manifesto viene un po’ più da lontano, dall’adesione allo stalinismo, poi riverniciata di giallo col maoismo. Oggi se ne fa ammenda, ma non per denunziare il contenuto antimarxista di quei modelli, ma il loro difetto in “democrazia”. E qui è evidente la rimessa in causa della “dittatoriale” esperienza sovietica non di Stalin, ma di Lenin e del suo “regime interno indecente” derivante dalla pretesa stessa di una presa del potere per via e per modalità non democratiche: ogni violenza conduce di per sé all’antidemocrazia, questo il succo, come teorizzato a suo tempo dai bertinottiani “non violenti per principio” e per principio restii al concetto stesso di “presa del potere” in nome di una progressiva e democratica sempre “estensione dei diritti” e della costruzione all’interno del sistema di “nuovi rapporti sociali” equi e solidali nel quadro del sistema.
Secondo punto: abbiamo quindi del tutto sbagliato ad accreditare (ed anche qualcosa di più) i dittatori presentatisi come rivoluzionari; essi ci fanno, e ci dovevano già fare prima, tutti schifo perché nessuno di essi ha “costruito” un vero socialismo. Non è andata bene in Russia finita nello “sfascio” ed ora nelle mani di un neo-zar. Non è andata bene in Cina (il vecchio faro del Manifesto!) diventata “un gigante del capitalismo mondiale con relativo supersfruttamento della manodopera” (che forse stava meglio prima?!). Non è andata bene a Cuba, rimasta “solo antiamericana” dopo che “il modello cubano non ha funzionato” (o non è che gli USA sono rimasti anticubani visto l’egregio funzionamento del loro modello di controllo e dominio? mah!). E, soprattutto in Africa, se talora forse da qui in Occidente qualcuno corre a spartirsi il bottino di certi paesi – Libia esclusa, visto che vi si è andati solo per fare della beneficenza gratuita – è solo perché essi sono “diretti da qualche satrapo che ha preso l’eredità del colonialismo” con leader locali che “tolto di mezzo lo straniero, piuttosto che far crescere il loro paese si sono occupati di liquidare senza esitazione gli avversari interni”. Eppure il vecchio colonialismo si era gentilmente ritirato da questi paesi per lasciarli liberi di costruire, ove l’avessero voluto e potuto, il socialismo senza metterci alcun zampino in mezzo... Anche qui nessun commento, ma un semplice sospetto: non è che in quest’analisi non scorra un pizzico di sciovinismo metropolitano?
E’ una tragica realtà quella che registra il fallimento delle rivoluzioni anticoloniali del secondo dopoguerra, le quali, pur avendo inizialmente spuntato le unghie all’imperialismo grazie al risveglio, alla mobilitazione in armi e comunque alla pressione di sterminate masse di sfruttati, sono rimaste sostanzialmente isolate dalla necessaria (e purtroppo inesistente) lotta rivoluzionaria del proletariato metropolitano occidentale, così rifluendo, sotto il ritorno aggressivo dei diktat dell’ipermercato occidentale e di qualche “lieve” intromissione militare contro i “satrapi” tipo Lumumba e Castro, in regimi interni inevitabilmente borghesi dipendenti e, se pur vogliamo dirlo, dispotici per la semplice ragione dell’impossibilità di combinare una democrazia di popolo nelle condizioni a cui si trovavano soggetti.
Noi, certamente, non siamo mai caduti nelle trappole dello stalinismo né in quelle di un fasullo terzomondismo “disallineato”. Il contenuto progressivo delle rivoluzioni anticoloniali non stava nel carattere democratico dei nuovi ordinamenti (comunque infinitamente migliori di quelli che li avevano preceduti) quanto nel passaggio storico di effettive rivoluzioni di tutto il popolo per scrollarsi di dosso il giogo imperialista, ad una prospettiva di rivoluzione in permanenza a scala mondiale volta a colmare il peso dell’arretratezza ereditata e ad evitare il ritorno di fiamma del successivo turbocolonialismo occidentale cui di nuovo piegarsi. Questa la via internazionalista chiarita definitivamente da Lenin per la stessa Russia sovietica e per i paesi oppressi e/o dominati di cui si disse a Mosca e Baku.
Mille volte lo abbiamo scritto: come avrebbe potuto Gheddafi o chi per lui condurre una rivoluzione progressiva sino in fondo (e quindi iperdittatoriale contro tutti gli addentellati interni dell’imperialismo ed i superpoteri d’Occidente ad usarli come carta di riserva della loro pressione economico-militare) nel proprio meschino ridotto nazionale se nessun appoggio veniva ad esso dal proletariato d’Occidente (né d’altrove)? Se, in contemporanea, i “comunisti” occidentali potevano rimaneggiare e prostituire il programma autentico della rivoluzione internazionale di classe? Se costoro, al contrario, ben si acconciavano ai programmi di rapina e dominio del “nostro” capitalismo garantito da costituzioni e democrazie certificate?
Invero, a render doveroso l’appoggio entusiastico dei comunisti autentici ai moti di liberazione nazionale delle masse oppresse dall’imperialismo (moti a sostanziale ed obbligato contenuto immediato nazional-democratico e non certo socialista – “in ogni singolo paese”- –) non erano di certo loro supposte e inesistenti credenziali socialiste, ma la dinamica potenziale entro cui essi s’inscrivevano alla quale, non certo per colpa loro!, è mancata l’essenziale leva di riferimento di una lotta proletaria rivoluzionaria qui.
In questo senso ripetiamo che è vero che molti “comunisti” in salsa (post)–staliniana, nel denunciare l’aggressione imperialista in Libia e nel rivendicare il carattere progressista del regime di Gheddafi rispetto ai “ribelli” aggregati ai bombardieri NATO, accreditano un generico “antimperialismo” e omettono di inscrivere la denuncia dell’aggressione occidentale in una prospettiva internazionalista di classe (cui non credono affatto e men che mai s’industriano di portare avanti) accontentandosi di avvalorare ogni stato al mondo che si connoti come “altro”, ovvero semplicemente come “antiamericano”. Certuni di costoro confessano di stare dalla parte di Gheddafi nella stessa misura in cui, qui, alzano la bandiera dei “nostri interessi nazionali”...colonizzati dall’imperialismo egemone: stesso nemico, stessa lotta, da una parte la Libia dall’altra la Grande Proletaria che, con evidenti richiami ad un certo passato, ci si aspetta che ritorni in movimento! Ma è evidente che di questi “ossimori” la Rossanda se ne impipa altamente e l’argomento “marxista” (se mai!) a smentita di un siffatto antimperialismo le serve solo contro la coda esausta dei movimenti di liberazione nazionale e l’abbarbicamento ai nostri bei modelli di democrazia (armata). Dopo di che, se si tratta di difendere i “nostri interessi nazionali” l’accordo coi contraddittori di turno è possibilissimo, visto che per l’Italia e l’Europa democratiche uscire dai condizionamenti che altri ci vorrebbero dettare è opera possibile e meritoria.
Terzo punto: a missione di guerra imperialista compiuta, la Rossanda accenna al fatto, a parte la reprimenda sul Caino non consegnato al tribunale dell’Aja, che sembrerebbe davvero che vi siano “potenze predatrici estere” intenzionate a “tradire” una rivolta autoctona (!) “comprensibile e giusta”. Ma, attenzione, questo non significa che i ribelli libici abbiano fatto male ad affittarsi alla NATO; semmai, la colpa sta nell’inazione dei post-coloniali incapaci di sostenerli sino in fondo nella loro autonoma azione, liberandoli così da possibili intromissioni distorte, “successive” ai giusti bombardamenti umanitari precedenti. E qui spunta una chicca clamorosa.
“Anche noi – scrive la nostra, anzi: la loro – abbiamo dovuto contare su alleati più potenti per abbattere il fascismo. Ma qualche struttura politica, qualche partito ha innervato la resistenza che ha potuto anche presentarsi alle forze alleate come possibile nucleo di una dirigenza democratica. Queste strutture politiche dovevamo aiutarle a formarsi, accompagnarle.”
Qui la botta della Rossanda va a segno, colpisce ed affonda l’intera schiera di quanti, avendo denunciato i bombardamenti occidentali sulla Libia e bollato come affittarsi all’imperialismo l’alleanza suggellata dai “ribelli” con la NATO, giammai si azzarderebbero però ad usare lo stesso metro per la venerata resistenza partigiana che – qui non imbroglia la Rossanda – si alleò anch’essa con gli anglo-americani per sconfiggere il fascismo. E’ un nodo cruciale da sciogliere una volta per tutte.
A differenza di costoro noi abbiamo detto e diciamo, per la Libia 2011 e l’Italia del ’43-’45, che non esiste ombra di “rivoluzione” in cui il proletariato possa allearsi (come cane al guinzaglio) con l’imperialismo. E’ vero che nell’Italia del ’43-’45 esistevano consistenti reparti proletari – non del tutto immemori della tradizione del PCd’I – intenzionati , ben altrimenti che i “ribelli” libici attuali, a regolare col fascismo dei conti di classe contando su un autentico cambiamento di fondo politico e sociale da realizzare sul campo, alla jugoslava, o nell’immediato dopoguerra gettando sul piatto la propria forza (e questa sarebbe “l’altra resistenza” di cui nel bel libro del Perogalli), ma proprio l’ingabbiamento nei fronti resistenziali pro-imperialisti (magari nell’attesa di un addà venì Baffone per darci il “socialismo” anche in Italia), valse solo a smarrire nel fango le rivendicazioni di classe che pur agitavano tanti nostri ribelli, ed a consegnare l’Italietta, vinta e non “alleata”, alla restaurazione post-fascista. Il glorioso PCI poté così presentarsi ai vincitori non “come possibile nucleo di una dirigenza democratica”, ma come garante del potere borghese sans phrase da gestire “democraticamente” nelle forme istituzionali per riaffermarne la implacabile dittatura sostanziale col miraggio di una democrazia progressiva a venire (e defunta... dalla nascita). Non diciamo “resistenza tradita”, ma conato di classe mai tradottosi in movimento rivoluzionario, e proprio grazie alla Resistenza che l’ha ingabbiato e soffocato.
“Particolare” interessante: la Rossanda parla di una “qualche struttura politica”, giammai della base strutturale di classe cui essa – proditoriamente – si riferisce. Il proletariato è assente da questo discorso “istituzionale”, e ben se ne comprende il perché: ad esso va sostituito l’indifferenziato “popolo antifascista”. Nel caso libico il gioco si ripete peggiorato: nell’impossibilità e nel rifiuto pregiudiziale di fare un discorso di classe il “soggetto” di riferimento diventano... “i giovani”, perno (“sociale”?) delle istanze “democratiche universali”. (Qui ella si trova in buona compagnia: vedi certi “trotzkisti” della “rivoluzione politica e non sociale”!!!, alla faccia del maestro “sfigurato e tradito”, che adottano lo stesso schema).
Così il cerchio si chiude. Obama-Sarkozy-Cameron-Berlusconi, pur accusati di aver leso “il diritto internazionale” e, forse, sospetti di intenti predatori, vengono realmente legittimati e riconosciuti per il provvidenziale “aiuto dato ai ribelli libici per abbattere Gheddafi”, come legittimati e benemeriti furono gli anglo-americani (e Stalin) nella seconda guerra mondiale per l’Italia. Il rimprovero di fondo va solo alla “sinistra” incapace di rapportarsi da partner, col cappello dell’elemosina in mano, con gli “alleati”, dando voce istituzionale alla “primavera resistenziale” araba. E il monito vale a futura memoria: oggi incombe il caso Siria, domani quello iraniano, dopodomani – chissà!? – quello di Cuba e della Cina o della Russia coi loro “indecenti regimi interni”.
Schieramento di guerra social-sciovinista da cima a fondo!
Lasciamo la Rossanda e suoi sinistri (cioè destrissimi) argomenti e veniamo al dunque.
Per noi si tratta di chiamare sin d’ora in campo le energie disponibili a mobilitarsi contro la spoliazione in corso della Libia (un 50% del PIL nazionale andato in fumo per “liberarsi dalla tirannia”!) e le prossime annunciate puntate della guerra infinita imperialista contro gli imperi ed imperietti del Male. E’ necessaria una ripresa in carico dei cardini teorici ed operativi marxisti, capitalizzando in avanti i piccoli passi già compiuti (vedi in particolare la manifestazione di Napoli dello scorso aprile).
Per noi non esiste una vera lotta contro gli effetti della crisi capitalistica in corso
che divora l’Occidente che non abbia nulla da dire contro i crimini commessi dal proprio
imperialismo in Libia ed altrove. Non si tratta di mettere il carro davanti ai buoi né di portare avanti
la visione astratta di una lotta che abbia sin dall’inizio tutte le carte in regola col programma
del comunismo internazionalista. Diciamo, molto più terra a terra, che non ci può essere nessuna
reale identificazione del nemico che ci attacca, nessuna vera determinazione di lotta contro di esso,
nessun barlume di sia pur embrionale solidarietà tra gli sfruttati, insomma nulla di tutto quello che
caratterizza lo slancio vitale del proletariato in difesa dei propri interessi antagonisti di classe
contro il capitalismo (demo-dittatoriale qui e predatore aperto “altrove”),
se si volgono le spalle e tacitamente o meno se ne approvano i crimini odiosi
all’“esterno”. Questa la lezione del 15 ottobre a Roma e nel mondo, con
indignados zitti su questi temi che pur direttamente li riguardano. Ci astraiamo dal
“movimento” (il famoso Motore Immobile di certa filosofia)? Al contrario, lo
richiamiano ai suoi compiti e lo facciamo nel senso di partito. Senza di che nulla di serio si
potrà opporre alle misure simil-greche che ci colpiscono e sempre più ci colpiranno.
5 novembre 2011
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23/10/2011 Rossana Rossanda
“Post-coloniali?”
Qualche osservazione. Prima. Dunque l’assassinio del nemico non è un opzione perseguita dalla sola Israele ma dalle Nazioni Unite e da queste trasmessa alla Nato nell’accordo di tutti i governi. Giovedì sera, nel caos di informazioni e disinformazioni sulla fine di Gheddafi, una cosa era certa, che Gheddafi è stato catturato, ferito, trascinato per strada, linciato e, già coperto di sangue, ucciso. Dai ribelli, con la benedizione del loro comando e il "via" della Nato e dell’Onu.
Qualche mese fa gli Stati Uniti avevano spedito un commando di addestrati alla demenza, a penetrare urlando nella casa dove l’alleato Pakistan ospitava Bin Laden, e ad ammazzarlo, infermo e inerme, in camera da letto, senza che potesse far un gesto. Tutto lo stato maggiore di Obama assisteva all’operazione, il commando essendo dotato di cineprese. Obama s’è rallegrato sia dell’uccisione sia dei rottweiler del comando speciale, e nessuno si è vergognato. Che terroristi e dittatori vadano ammazzati da prigionieri e senza processo deve essere un nuovo articolo della Carta delle Nazioni Unite. Le virtuose democrazie danno licenza di uccidere piuttosto che consegnare i loro nemici al Tribunale penale internazionale, dove potrebbero rivelare i molti intrallazzi fatti assieme. Resta da qualche parte un lembo di diritto internazionale? Non lo vedo.
Seconda. Non credo da un pezzo, e l’ho scritto, alle dittature progressiste.
Come il "socialismo di mercato", sono un ossimoro che anche il manifesto ha fatto proprio. Si dà il caso che io sia fra i fondatori di questo giornale, ed è fra noi una divergenza non da poco. Viene da lontano, dagli anni ’60 e ’70 quando abbiamo creduto che alcuni paesi, specie "arretrati", potessero svolgere un ruolo mondiale positivo con un regime interno indecente. Famoso l’assioma dei "due tempi": prima demoliamo i monopoli stranieri e poi vedremo con la democrazia. Fino a sembrare una variante del pensiero socialista, l’antimperialismo. Concetto sempre più confuso dopo lo sfascio dell’Urss, la Russia restando "altro" dal comando Usa, la Cina diventando un gigante del capitalismo mondiale con relativo supersfruttamento della manodopera, Cuba restando soltanto antiamericana perché, ha detto sobriamente Fidel Castro, il modello cubano non ha funzionato.
Anche i regimi latino-americani sono in genere antimperialisti sì, socialisti no. Chissà che cosa vuol dire, in un mondo dove delle due superpotenze ne è rimasta una sola ma i candidati all’egemonia mondiale nei commerci, sulla schiena dei popoli propri e altrui, si moltiplicano. Non siamo ancora alle guerre commerciali ma alla corsa a chi arriva primo nella spartizione del bottino dei paesi terzi, diretti da qualche satrapo che ha preso l’eredità del colonialismo. Storie bizzarre di degenerazione, specie in Africa, dove diversi leader anticolonialisti, tolto di mezzo lo straniero, piuttosto che far crescere il loro paese si sono occupati di liquidare senza esitazione gli avversari interni.
Terza. Che una parte consistente dei relativi popoli sia venuta a sentirsi oppressa è non solo comprensibile ma giusto. Che nelle rivolte di una popolazione giovane, nella quale un pensiero politico non ha potuto circolare, si inseriscano le potenze predatrici esterne era da attendersi. Non è stata la sinistra ad abbattere i dittatori. Essa non abbatte più nessuno. La mancanza di un pensiero e una struttura capace di assicurarsi libertà politica e protezione sociale, si rivela drammatica una volta abbattuto o fuggito il "tiranno", perché c’è sempre un esercito, o una nuova borghesia, un vecchio fondamentalismo pronti a prenderne il posto. I popoli in rivolta sono presto spossessati, vedi Tunisia e Egitto.
L’Europa lo sa, ma di quel che succede sull’altra sponda del Mediterraneo si occupano gli affaristi, non i residui delle sinistre storiche né i germogli della sinistra nuova che cercano di emergere fuori dai muri delle istituzioni. Un vecchio amico ha protestato quando chiedevo che si riformasse qualcosa come le Brigate internazionali – ma che dici, la rivoluzione spagnola era una cosa seria, queste rivolte sono derisorie. Non ne sappiamo molto e ce ne importa ancora meno.
Anche noi abbiamo dovuto contare su alleati più potenti per abbattere il fascismo. Ma qualche struttura politica, qualche partito ha innervato la resistenza che ha potuto anche presentarsi alle forze alleate come possibile nucleo di una dirigenza democratica. Queste strutture politiche dovevamo aiutarle a formarsi, accompagnarle. Invece ieri sulla Tunisia, oggi sulla Libia, domani magari sulla Siria diamo i voti a chi sia il peggio: Gheddafi o la Nato? Il meglio ai non europei non appartiene.