Non dovrebbe neppure essere il caso di premettere che noi ci sentiamo a fianco degli interessi più profondi dei rom e, di conseguenza, contro ogni discriminazione ed atteggiamento escludente nei loro riguardi. Tocca farlo perché, in questi ultimi tempi, sta dilagando un’ondata di appassionato schieramento (a parole) pro–rom dal carattere non solo astratto, “ideale”, e quindi del tutto inconcludente, ma anche, al fondo, reazionario. La chiave di questo sviscerato amore sta essenzialmente nell’occasione che si vuol cogliere di sollevare un’utile ondata di indignazione contro il governo, obiettivo per il quale tutto fa brodo. Non che questo governo non meriti anche su questo punto la nostra più netta opposizione, ma in maniera e per fini nostri, serii e non fanfaroneschi.
Parliamo di “umanitarismo” reazionario per due ben precisi motivi. Il primo: si parte dall’apologia di una mitica “cultura rom” cui assicurare, per definizione, “eguali diritti di espressione” accanto alla “nostra”e molto si abusa a vanvera della stessa nozione di “popolo”, usata senza criterio. Orbene, con buona pace di certi “multiculturalisti”, dobbiamo dire che questa “cultura” è, per ragioni storiche di lontano accumulo, estremamente povera ed arretrata; il che non significa dire che va negata, vilipesa o compressa, ma, al contrario, marxisticamente, aiutata ad uscire dalle secche della propria miseria –materialmente definita–, a confrontarsi e connettersi a livelli superiori socializzabili. Non siamo per le “riserve indiane” in cui ogni e qualsiasi entità possa starsene in disparte nella propria “autonoma” miseria. Intendiamo perseguire la socializzazione di una ricchezza realmente umana, frutto della storia universale e continua nel tempo e nello spazio, frutto dello sviluppo capitalistico e contro le sue regole, e questo orizzonte indichiamo (e ci indichiamo) anche per il “popolo rom”, sulla base, tra l’altro, di alcuni assaggi in positivo già tentati qua e là (persino in termini democratico–borghesi e non espressamente socialisti,come vedremo, e che spetta al comunismo portare sino in fondo ed oltre). Ciò non piacerà a certi idealisti da strapazzo per cui lo stesso marxista è “razzista”, in quanto materialista storico “antiromantico” (merce a buonissimo mercato). In secondo luogo, e di conseguenza: quasi nessuno dei recentissimi innamorati (platonici) della causa rom dimostra di conoscere realmente le condizioni di vita di questa popolazione e tantomeno di proporre delle concrete vie di uscita all’oggettivo stato di degrado entro cui esse si dibattono.
Il nostro amore autentico, socialista, per i rom in carne ed ossa (e non da figurine da Epinal) rifugge da entrambe queste secche deleterie. Volete un esempio di vera partecipazione umana al problema? Prendete i film di Kusturica sul tema (a cominciare dal mirabile Tempo dei gitani, da vedersi possibilmente nell’edizione integrale o lo stesso Gatto bianco gatto nero, favola sì, ma realistica) o lo splendido Gipsy magic macedone . Nessuna valanga di edulcoranti, ma la realtà delle cose, con tutte le sue miserie e tutte le possibilità di riscatto. Lo stesso dicasi, per altri versi, per l’azione di volontariato di molti gruppi cattolici (siamo alle solite!), che, poiché ci stanno dentro ed agiscono concretamente per uscire da una condizione di degrado non indulgono alla “poesia” ed alle buone chiacchiere da salotto, ma prendono di petto sul serio le situazioni reali, come abbiamo registrato in certi articoli di Famiglia Cristiana (più marxista di certe famigliole “comuniste”). Su questa base (come scrive Enzo Mazzi sul Manifesto dell’8 luglio) si può e si deve dire che “dobbiamo dire “basta” con l’assistenzialismo compassionevole” e vanno impulsate e valorizzate, invece, le esperienze autentiche in cui “anche i rom (..) stanno smettendo di piangersi addosso e da eterne vittime incominciano ad orientarsi verso il riscatto” (che è non solo riscatto da un’oppressione statale esterna, ma dalla propria interna condizione culturale, cioè materiale, in senso ampio). Valgono nulla, da questo punto di vista, le chiacchiere e, magari, le pseudo–rilevazioni secondo cui il problema non esiste, perché si tratta di semplici “cittadini come gli altri”, per di più spesso “cittadini italiani a tutti gli effetti” (e questo sarebbe un salvacondotto?) –salvo quelli sostanziali–, dediti come tutti gli altri ad un onesto lavoro (si è scoperto persino un massiccio “proletariato rom”!), senza mendicanti, furti e rapine, senza sfruttamento dei bambini, senza spaccio di droga, senza condizioni di inferiorità della donna etc. etc., senza parlare dell’aspettativa media di vita, estremamente bassa. Un idillio turbato solo dai cattivi destri, in particolare i leghisti. Nessun problema al di fuori di questo! Troppo comodo e falso. Poi si scopre (leggiamo dal Manifesto, che persino nelle sedi di Rifondazione arrivano dei compagni incazzati con gli zingari: problema di semplice percezione distorta della sicurezza, mai così sicura come oggi, a sentire certi balordi). Ebbene sì, un problema (non generalizzabile ad un “popolo” e tanto meno inscritto in una qualche sua “predisposizione razziale a delinquere”) esiste. Non è che noi intendiamo “toccare Caino” intendendo Caino come sinonimo dei rom: al contrario! Caino è il capitalismo, ma dalle conseguenze di esso intendiamo riscattare i nostri fratelli rom che vi soggiacciono, “immediatamente” come protagonisti per il pubblico.
In un’altra occasione affronteremo a fondo la questione rom nella storia (crediamo, immodestamente, di saperne qualcosa per averla studiata sul serio, e con l’amore di cui sopra). Ci limitiamo come anticipo a brevissime note. Un tentativo di “integrazione” dei rom alla maniera borghese risale già a Maria Teresa d’Austria, coi metodi dell’assolutismo illuminato, e si risolse fondamentalmente in uno scacco: questo popolo, da sempre abituato a vivere separato dalle altre comunità ed ai margini di esse, nella propria pretesa di costituire una comunità di veri uomini (rom = uomo; il gadgiò, il non zingaro è un non–uomo.disprezzabile; come dice un proverbio rom, “se Dio non avesse voluto che i gadgé fossero tosati non li avrebbe fatti nascere pecore”) non poteva accettare un tipo di assimilazione escludente rispetto al proprio essere. In tempi più vicini, la rivoluzione d’Ottobre aprì ai rom la possibilità di un riscatto autentico che ne salvasse lo “spirito” particolare (traghettandolo oltre). Trattandosi di un “popolo”, per quanto “senza storia” in termini marx–engelsiani, ne andavano valorizzate le caratteristiche positive, le capacità creative, a cominciare dal riscatto della propria lingua, da far uscire dal ristretto della tradizione orale e da assumere come lingua finalmente scritta (scusate se è poco!). Si parte da quello che c’è: un’eccellente tradizione di lavoro artigianale da ramai o tessitrici, di allevamento di cavalli, di giostrai e circensi, di musicanti impareggiabili, di girovaghi a vario titolo (venditori ambulanti, raccoglitori di “superfluo” gettato nelle immondizie etc. etc.). Con delle vere case, nella misura del possibile –quindi con una sedentarizzazione della popolazione–, con delle scuole in cui la lingua rom assuma una propria dignità accanto a quella o quelle ufficiali, con un avvio a dei lavori in grado di oltrepassare i limiti della piccola produzione indipendente condannata a morte dal processo di socializzazione del lavoro capitalista e socialista. Senza di ciò, nessuna via d’uscita. (Si pensi proprio al venir meno, nella società attuale, dei vecchi tipi di attività proprii dei rom con tutte le ricadute negative del caso in termini di ulteriore marginalizzazione e degrado). Su questa strada si conseguirono dei reali successi, parzialmente e, per ovvia disgrazia!, garantiti anche da regimi borghesi “popolari” alla Tito in Jugoslavia. Scuole rom, giornali e radio–televisioni rom, teatri rom etc. etc. Di questo poteva giustamente vantarsi non solo Tito (che ebbe tra i suoi, nella lotta di liberazione nazionale, persino un generale rom, con annesse truppe volontarie pop–rom), ma lo stesso vituperato Milosevic o l’ultravituperato Ceaucescu. Nulla di simile da noi, nella nostra civilissima Italia, fascista o post–fascista o... ulivista. Qui sta il punto! E, a proposito, giriamo una domandina agli attuali innamorati dell’ultima ora (antiberlusconiana): in Kosovo la popolazione rom è stata drasticamente decimata fisicamente e gettata fuori casa con numeri da far accapponare la pelle; c’entrano forse qualcosa in tutto questo i fautori (di “sinistra”, con controfirma dilibertiana) della guerra contro la Jugoslavia? E poi, ipocritamente, ci si indigna della presa delle impronte digitali!
La “ristrutturazione capitalista europea” all’Est ha praticamente esautorato i rom dal loro precedente status in qualche modo “garantito”. Tanto per dire: dalla Slovenia, iper–avanzata ed iper–democratica, e perciò iper–razzista, ci arrivano in Italia torme di rom già lì condannati all’emarginazione assoluta e che qui trovano degli spazi “alternativi” di sussistenza egualmente ultra–emarginata. Idem dalla Romania, dei cui rom abbiamo personalmente constatato la predisposizione acquisita in seno all’aborrito regime di Ceaucescu (per il quale,ovviamente, non nutriamo alcuna particolare simpatia) ad una via “integrata”, che qui viene a cozzare con le “nostre” regole del gioco. Ed è anche vero che la parte delinquenziale della popolazione rom trova in Italia un comodo approdo, vista la commistione tra discriminazione razzista ed assenza di leggi repressive ad hoc (classico bastone più carota). In altri paesi d’Europa la questione è “risolta” secondo il principio della “tolleranza”... emarginante. Posti di sosta ben amministrati, con tutti i “confort” d’uopo, a differenza delle nostre schifezze, qualche tentativo di scolarizzazione flessibile e, sempre, un monitoraggio poliziesco occhiuto. Lo abbiamo registrato in Francia, per non parlare della Spagna zapaterista dove gli zingari non assimilati (la maggioranza, a vero dire, tanto che s’è smarrito l’uso della propria lingua) vivono in condizioni di merda.
Se veramente si volesse risolvere il problema–rom in Italia occorrerebbe un piano complessivo di riscatto degli oppressi a partire da un’azione decisa del proletariato in quanto tale, che, ove ci fosse, non avrebbe alcuna difficoltà ad incorporare nella propria lotta di liberazione il comune destino dei rom. Tutto questo manca ed, allora, siamo alle solite litanie “antirazziste” (in realtà super–razziste) a puri fini elettorali (e non si sa neppure bene a favore di chi, visto che i “proletari rossi” di Ponticelli, roccaforte ulivista, vanno a bruciare gli accampamenti rom...”da sinistra”). Poi, magari, si scopre (stiamo alle indagini dell’Espresso) che la Lega a Verona sta risolvendo il problema–rom in maniera molto “progressista”, e così quella famigerata trevigiana rispetto agli immigrati (“miglior tasso di integrazione”!). Ovvio che noi ci facciamo un baffo di queste “soluzioni”, sempre e comunque emarginanti.
Vorremmo concludere con una considerazione. Qualcuno di noi, perlomeno, è a contatto diretto con la popolazione rom e ne conosce davvicino le potenzialità di riscatto cui manca “solo” un lavoro conseguente nostro. Potremmo citare a iosa esempi in questo senso, ben oltre l’orizzonte locale economista toccato dal succitato Mazzi (non lo diciamo in senso critico: lui ha esposto un caso emblematico, e gliene sia dato atto). Nessun popolo della terra è escluso dal nostro orizzonte ed ognuno di essi ha qualcosa da apportarci come collettivo. Chi vuole ci interroghi pure su questi temi nel concreto e noi saremo lieti di offrirgli tutte le nostre (parzialissime) conoscenze in merito. Se le forze ci sorreggeranno, pubblicheremo sul tema un lavoro specifico, i cui dati primo ci vengono dalla nostra fedeltà al marixsmo, secondo (e di conseguenza) da un rapporto “carnale” con la realtà rom in oggetto. Niente a che fare coi “romantici” innamorati dei rom così come sono, così come sono costretti ad essere, finché non li hanno sotto casa in carne ed ossa, con tutte le loro miserie e le inevitabili (e disturbanti) conseguenze di esse. “Razzista” il PDL? D’accordo. Ma, nel frattempo, in cosa si è dimostrato concretamente alternativo il fronte di “opposizione”? Lo schifo romano, e generale in Italia, è nato con Alemanno o non c’entrava prima il festivaliere Veltroni? (E dove stava Bertinotti?). “Contro le impronte digitali”! Benissimo; ma tutti voi avete marchiato a fuoco questa gente da sempre, ed è qualcosa di peggio delle impronte, che –secondo certe subdole teorizzazioni– potrebbero persino essere indirizzate al “meglio” per gli interessati. Purtoppo, quando ci capita di discutere nel merito concreto delle situazioni non ci troviamo di fronte le “anime belle” della “sinistra”, ma soggetti (ahinoi!) cattolici che si sporcano le mani. Non sporcarsi la “coscienza” grazie a qualche “dichiarazione di principio” altamente “democratica” non costa nulla, non serve a nulla e, francamente, ci fa un po’ schifo.
30 luglio 2008