nucleo comunista internazionalista
note




FERTILI TERRENI PER I
“PONTI LANCIATI A SINISTRA”
DA RINASCITA

Rinascita, “quotidiano di liberazione nazionale” di nuova destra, ha finalmente azzeccato l’indirizzo appropriato per i suoi tentativi di “ponti lanciati a sinistra”, intesa questa in senso latissimo.

Per chi conosce la storia politica dell’Italia (e non solo di essa), non è certo una novità quella di forze dichiaratamente “nazionali” e di destra che si rivolgono a “sinistra” (nel senso più ampio e finanche ormai improprio del termine) rivendicando l’esistenza di un comune terreno di iniziativa e la necessità di “unificare le forze”.

Una strategia questa che punta ad arruolare nello schieramento potenzialmente “avversario”, e a tutto campo nel proletariato, forze disponibili ad aggregarsi al programma della “rinascita nazionale”, previo svilimento dei contenuti di classe (se necessario – e nel caso che ora diciamo non lo è affatto –) a più che generica denuncia delle sozzure del capitalismo (rigorosamente altrui), in funzione del depotenziamento preventivo di ogni battaglia di classe effettiva (esiziale a quel programma), per orientare la barra della più ampia e “coesa” raccolta di forze verso l’obiettivo della grandezza della comune e unica nazione (intesa questa come Italia ed Europa).

Figuriamoci che in passato il citato “quotidiano di liberazione nazionale” ha lanciato ponti anche al nostro marxistissimo che fare (invitiamo i lettori a leggere sul sito la nostra “Risposta a Rinascita”, ottobre 2000). Più di recente abbiamo letto di altre organizzazioni di sinistra estrema (si fa per dire) che hanno rifiutato pubblicamente pubbliche offerte di interlocuzione e dialogo lanciate ad esse dalle colonne di Rinascita (non irrilevante questione è andare poi a vedere se i “comunisti” del caso gliene abbiamo dato reale motivo).

Accade ora che nelle pagine centrali di Rinascita del 14 marzo 2013 vediamo incorniciato tra il faccione di Mazzini e il proletariato di Pellizza da Volpedo la riproduzione integrale di un articolo di Alfredo Reichlin pubblicato recentemente da l’Unità. Il titolo di Rinascita è “Giuseppe Mazzini, autocritica di un (post) comunista”, mentre il breve commento introduttivo dei “nazional-destri” segnala che con questo articolo, di un autore vicino a Giorgio Napolitano”, “l’analisi marxista giunge a Mazzini con 165 anni di ritardo”.

Cosa ha scritto Alfredo Reichlin su l’Unità?

Costui, in evidente scompenso per un risultato elettorale che non consegna lo scettro alla rinnovata alleanza PD-Monti (possibilmente senza Berlusconi), ne deriva l’allarme per una “situazione di pericolo” che va affrontata prendendo atto che la questione veramente nuova, che interroga la politica, è la crisi della nazione italiana”, una crisi che riguarda le basi stesse dell’unità del paese e la sua cultura identitaria”.

Basta questo incipit per far drizzare le antenne a tutti i “comunitaristi” in circolazione, a quanti intervengono sul disagio sociale, che oggi è reso più duro dall’atomizzazione dovuta all’azzeramento dell’organizzazione di classe già in piedi e data, per rilanciare su queste ceneri la prospettiva di un nuovo e diverso approdo e riparo “comunitari”, che non porti più le stimmate e i contenuti di “una parte” – il proletariato –, soluzione questa che si sarebbe rivelata fallace, bensì quelli del “tutto” – la nazione –, rediviva trincea di lotta e di radioso avvenire (di cosa? di effettiva emancipazione sociale per gli sfruttati cui ci si rivolge, o non piuttosto di scampoli di illusoria emancipazione da conquistarsi attraverso la supremazia su altri popoli cui invece negarla in premessa e nei fatti? n.n.).

Secondo Reichlin occorre oggi, vieppiù dopo questo “terremoto elettorale”, “pervenire a una qualche idea dell’interesse generale”. E l’interesse generale starebbe nella “nostra (nostra dell’Italia, n.n.) partecipazione al processo di unificazione dell’Europa”, senza la quale si andrebbe incontro a “un drastico impoverimento” a causa dell’ avvento di nuovi mondi e nuove potenze che pretendono una redistribuzione del potere e della ricchezza mondiale”. Se l’“ex ricca Italia” non “guarda in faccia” queste “nuove sfide”, avverte Reichlin, si va incontro all’impoverimento”. E “quale meravigliosa prova di moralità sarebbe quella di impoverire quelli che verranno dopo di noi?” La mia moralità (?!?!, n.n.) mi impone di guardare in faccia la realtà e di capire che il Paese (P maiuscola nel testo, n.n.) così com’è non regge”.

Quindi l’interesse generale, al metro dei Reichlin, sarebbe quello di evitare l’impoverimento della “già ricca” Italia.

Come? Unificandosi nella nazione Europea per poter respingere la pretesa di “nuovi mondi e nuove potenze” di redistribuire potere e ricchezza nel mondo. Sic!

Ora, finanche il panegirico di Reichlin sottende e ammette chiaramente non già il dato di una distribuzione della ricchezza e del potere nel mondo per cui tutti ne abbiano di che vivere e partecipare ai generali destini della specie che tutti insieme ci riguardano, il che dovrebbe corrispondere all’idea di “moralità” da preservare e difendere contro eventuali “pretese immorali”, bensì il fatto (esso sì immorale) di ricchezza e potere concentrati in una minoritaria parte (dove si alloca anche l’“ex ricca Italia”) e abbondantemente negati alla più gran parte che rimane (e che ora, qui e là, guarda caso “pretende”...).

La “meravigliosa ipocrisia” di Reichlin e relativa corte di nazional-comunisti (finalmente Rinascita li ha trovati – o ritrovati – e può coccolarseli senza temere rifiuti) fa sì che essi ci si presentino bensì affettando angoscia se “altri italiani che verranno dopo di noi” saranno più poveri, ma del tutto incuranti di povertà e quant’altro siano imposti e/o negati a – molti di più – non italiani nel mondo. Che anzi un mondo siffatto è necessario per garantire alla “già ricca” Italia i suoi standard, e deve essere preservato, piazzando più in alto il rango dell’Italia – da qui la necessità dell’Europa – in una confermata catena di nazioni dominanti e dominate.

Va da sé, inoltre, che la pelosissima “moralità” ostentata da costoro subordina senza ripensamenti eventuali parzialissime “emancipazioni” dalla povertà per gli stessi italiani al previo rispetto dei sacri canoni dello sfruttamento garantito agli italianissimi padroni, da moderare semmai negli eccessi individuali, ma a cui consegnare in quanto classe ogni esclusivo potere sulla società.

Che poi il disegno politico dei nazional-comunitaristi speculi sulla crescente sofferenza del proletariato presentando il programma di rinascita nazionale come l’unica concreta possibilità di alleviarne le pene, mentre altri, i comunisti veri non contaminati dal veleno del nazionalismo, verrebbero nel caso indicati come i responsabili della mancata salvezza “del proprio popolo”, questo fa parte dello scontro che si prepara e che noi combatteremo sulla diversa e contrapposta trincea dell’internazionalismo di classe che, oltre le francescane povertà, punta a cancellare dalla faccia della terra la disuguaglianza, lo sfruttamento, la sopraffazione tra le classi e le nazioni, per una nuova storia della specie che possa infine meritare l’aggettivo di umana.

Avvicinandoci al succo distillato da Reichlin, le ragioni della sconfitta elettorale del Partito Democratico sarebbero “le stesse che ripropongono la grande questione del ruolo e della funzione nazionale... che cadano sulle nostre spalle dato che le classi dirigenti italiane non sembrano in grado di pensare il Paese (maiuscola d’obbligo, n.n.)”: vecchia logora canzone e corrispondente melensa scenografia di un partito nato bensì, in anni lontanissimi, per portare avanti le istanze del proletariato rivoluzionario, e che invece di lì a breve, nel cataclisma generale della sconfitta del movimento comunista mondiale, ha scoperto di dover “risollevare dal fango la bandiera nazionale lasciatavi cadere dalla propria inetta borghesia”, per assumerla d’allora in poi esso stesso come propria (caricandone la croce sulla schiena del proletariato... altro che “le nostre spalle”!). Laddove è per noi chiaro che il “partito nuovo”, sulle basi cui contribuì Gramsci e con la definizione poi trasmessa dal più allineato (alla “patria socialista” casa madre) Togliatti, ha rappresentato il ribaltamento del programma e della prospettiva della Rivoluzione Proletaria.

Insomma il PD avrebbe perso non già putacaso perché, come è all’evidenza di tutti, si è caricato e ha caricato fin troppo sulle nostre spalle le “responsabilità nazionali” di una politica di austerità e sacrifici, ma perché – udite udite!– “siamo stati distanti dal popolo, perché il popolo non è solo una massa di individui, è la nuova idea di sé che bisogna offrire agli italiani investiti da sfide così grandi e difficili”. E ancora: “non siamo apparsi come il partito del rinnovamento perché rinnovare significa guidare il popolo italiano in una nuova storia”.

E dove va a parare cotanto caricamento di pesi (su spalle che, se riferite alla corte dei Reichlin, hanno sopportato nulla più che il peso delle prebende statalistiche intascate per una vita intera)?

Reichlin sembra credere che se il PD fosse veramente “apparso” agli italiani come “il partito del rinnovamento” e avesse dato “al popolo” “la nuova idea di sé”, allora, gli italiani lo avrebbero seguito nell’urna pronti a un doppio e triplo peso di sacrifici per potersi unificare come Italia all’Europa. Questo è il senso dell’articolo, signori anti-montiani e “anti-eurocrati” di Rinascita!

La quale Rinascita, però, mette in secondo piano questa concretissima sostanza (che contraddice tutto quello che il “quotidiano di liberazione nazionale” va scrivendo ogni giorno), e non si trattiene dall’evidenziare con doppi e tripli grassetti le finali confessioni dell’autore: “Io, sedicente marxista, avevo un certo disprezzo per Mazzini. Sbagliavo. Oggi mi colpisce molto il suo discorso quasi religioso sulla rivoluzione italiana come ’rivoluzione civile’ e il fatto che concepiva il patriottismo repubblicano italiano come un pezzo fondamentale dell’Europa. Parlava di un mito. Ma i miti sono necessari. Che cosa è il PD se non è percepito come un partito necessario perché ’partito della nazione’?”.

Sbaglia, peraltro, Rinascita anche quando scrive che “l’analisi marxista giunge a Mazzini con 165 anni di ritardo”. Sbaglia in molteplici sensi.

Sbaglia, innanzitutto, perché a ricongiungersi a Mazzini non è l’analisi marxista (attestata al sacrosanto disprezzo di Carlo Marx per la battaglia di intrighi posta in essere da Giuseppe Mazzini contro la conoscenza e la diffusione del programma comunista tra il nascente proletariato italiano), ma – per l’appunto – il sedicente marxismo (e anti-marxismo reale) di Reichlin e compagnia.

Sbaglia, perché questo “sedicente marxismo” non ci ha messo 165 anni, ma molti di meno, sia per rinnegare le proprie origini e riscoprirsi “partito della nazione”, e sia, conseguentemente, per “giungere a Mazzini”.

Già nel 1936 si poteva leggere su “Lo Stato Operaio”, rivista del PCd’I (non ancora ribattezzato PCI ma già convertito alla nuova catechesi), precisamente nel n. X di novembre 1936 nell’articolo di R. Grieco “La politica della riconciliazione e della unione del popolo italiano”, che “popolo e nazione” sono “termini propri della rivoluzione proletaria, la quale vince solo in quanto popolare e nazionale” (si leggano più ampi riferimenti sul nostro articolo “Fascisti rossi e nazional-comunisti: penoso smarrirsi dei confini tra comunismo e ideologia borghese”, settembre 2010).

Mentre è del 10 marzo 1946 la lezione tenuta dal ministro di grazia e giustizia Togliatti alla Normale di Pisa dove interveniva a inaugurare un istituto di studi intitolato a Mazzini. Il tema della lezione fu quello della “riforma sociale” e Togliatti intese “salutare con simpatia l’iniziativa che voi avete preso di fondare questo istituto dedicato al nome del nostro grande riformatore sociale Giuseppe Mazzini”. Chi vuole può facilmente documentarsi.

Volendo tornare all’oggi, vediamo per cosa ci si appella al “discorso quasi religioso” e ai “miti patriottici” del “grande riformatore”.

Oggi, viene al dunque Reichlin, “il pericolo è grande”, con la “divisione tra Nord e Mezzogiorno” e le regioni del Nord dirette da un partitino che gioca irresponsabilmente a fare del Nord uno Stato indipendente”. Quindi “è giusta una linea di responsabilità ’nazionale’ (virgolette nel testo, n.n.) e di larga apertura verso tutti i mondi vitali del paese”, una “linea nazionale, non Grillo, che richiede grandi riforme essendo ineludibile lo sforzo di portare in una Europa rinnovata la nazione italiana la quale senza questo passaggio decade”.

Insomma, la parte del PD “vicina a Napolitano” manda a dire: niente grilli per la testa, alleanza obbligata con Monti, e con quali altri “mondi vitali del paese” se non con un recuperato PDL, o parte di esso (magari con un Berlusca defilato), per una “linea di responsabilità nazionale”?

Che gli “anti-eurocrati” di Rinascita, che si atteggiano a più coerenti oppositori dell’attuale quadro politico, e prima di esso del governo e dell’agenda Monti e della Grande Coalizione che li ha sostenuti, incornicino di punto in bianco nelle pagine centrali questo messaggio politico di Reichlin-Napolitano, la dice lunga sul connaturato trasformismo dei campioni del “socialismo nazionale”. Grandi anatemi oppositori, denunce a 360 gradi su tutto (senza mai troppo dettagliare meriti e men che meno prospettiva), per poi al momento giusto serrare il raccolto di ascolto e consensi, ribaltando determinate premesse e irregimentando gli incauti al carro di una “linea nazionale” declinata con tutta l’enfasi necessaria per imporre a chiunque (anche e soprattutto a chi a sinistra se ne è fatto più o meno consapevolmente ammaliare) la necessità di sottomettervisi “responsabilmente”.

Se ne prendano per tempo le dovute misure.

19 marzo 2013