nucleo comunista internazionalista
note




COME SEMPRE E PIU’ CHE MAI:
O PREPARAZIONE ELETTORALE
O PREPARAZIONE RIVOLUZIONARIA

A proposito del referendum appena delibato ci tocca prendere in considerazione quello che nel “nostro” ambiente (vale a dire quello dei compagni che tuttora si richiamano a presupposti “idealmente” comunisti) se ne trae come lezione, e lo facciamo rispetto ad un documento dei nostri ex-OCI di quello che chiamiamo il Cuneo rosè. (*)

Nessun tipo di ripicca “personalistica” perché sappiamo benissimo trattarsi di compagni la cui via è lastricata di buonissime intenzioni, come ci insegna il Vangelo e perché la loro analisi è quella più sapientemente articolata nel saper accortamente girare la frittata per non farne sentire il sapore di bruciato. Andiamola a vedere.

La prima, grossa, scoperta “analitica” è quella che riguarda la composizione sociale del No e del Sì dalla quale si fa derivare automaticamente il valore dirompente del No. Hanno votato No in massa i giovani (per poco non si dice la classe dei giovani), gli “sfavoriti” dalla crisi, “la parte più informata, attiva, cosciente, combattiva degli operai e dei lavoratori salariati” sempre in quanto “composizione sociale”, anche se – poi si riconosce –"non politicamente connotato in senso di classe” (alla faccia dell’informazione, dell’attività e della combattività... latitanti).

Non c’è bisogno di essere marxisti per arrivare a tanto, come dimostrano le concordanti analisi “compositive” della stampa borghese qui citate: “A dire no sono stati giovani, disoccupati e meno abbienti” come espressione di “tutta la protesta per una crisi che non accenna ad esaurirsi” (Il Sole – 24 ore) o: “Torna la vecchia classe sociale perché l’ascensore sociale che aveva generato crescita e benessere si è bloccato” (Libero). E con Libero arriviamo immediatamente al punto: c’è un’area sociale in ebollizione in conseguenza non di “politiche arbitrarie”, ma di un blocco del meccanismo capitalista ed è evidente che quest’area interessa immediatamente noi comunisti, ma proprio per tirarla fuori dal pantano di una generica “protesta sociale” schedaiola ed interclassista e portarla ad aggredire precisamente l’ascensore bloccato di cui sopra con tutti i suoi boys a tutela.

Il giornale borghese forcaiolo ben interpreta il sotterraneo agitarsi delle mille contraddizioni del sistema; non si spaventa del tipo di composizione sociale né la esorcizza, ma, in direzione inversa alla nostra, si pone il compito di orientarla a destra (ben badando acché l’ascensore non subisca danni irreversibili). E proprio una certa politica di destra ha massicciamente connotato il No proprio per cavalcare e dirigere l’onda della protesta entro i confini della conservazione sociale. Chi parla incautamente di “composizione sociale” buona, come “cosa nostra”, perlomeno potenzialmente, dovrebbe rispondere a queste semplici domandine: “giovani, disoccupati, meno abbienti” stavano tutti o in gran parte assieme alla “parte informata, attiva etc. etc.” della nostra classe oppure esprimevano la loro protesta anche, e non in infima misura, sotto altre bandiere, magari quelle di una Meloni o un Salvini al posto dei Fassina, Fratoianni o altri della Banda Sfigati? Per quali motivi questa “composizione sociale” non si è data un’identità propria di classe, ma si è sciolta nel “popolo” degli anti-renziani di tutte (e le peggiori!) risme?

D’accordo che i “poteri forti” internazionali stavano dalla parte di Renzi data l’esigenza che oggi s’impone al nostro come e più (dati i ritardi accumulati) di arrivare ad una stretta centralizzatrice in grado di prendere decisioni tempestive e vitali per un miglior funzionamento del sistema. Ma dalla parte del No stavano in prima fila non certo innocenti sostenitori dell’agorà democratica, ma dei pessimi figuri e delle orripilanti caste (burocrazia, magistratura, pletora dei professionisti della politica) interessati in primo luogo alla propria sopravvivenza tarpando le ali a Renzi “mai avvertendo solidarietà per i proletari” (su ciò siamo perfettamente d’accordo salvo le conclusioni che se ne tirano) per sfruttarne il legittimo anti-renzismo pro domo sua battendo sulla grancassa populista. Doppia trappola per il nostro campo. Primo: il No alla riforma-Renzi complica la via verso un attrezzaggio del potere politico all’altezza dei compiti che gli si impongono. Secondo: le forze borghesi che si candidano a sostituire Renzi ed i suoi (e nessuna di esse, a cominciare dal M5S, sta fuori da questo recinto) se chiamate a gestire il “ricambio” dovranno fare i conti con le esigenze che il sistema impone in una situazione di ulteriore ritardo accumulato e di prevedibile marasma parlamentare ed a pagarne le spese sarà proprio la nostra “composizione sociale” rimasta, nel frattempo, senza un visibile orizzonte politico di riferimento.

E’ vero che in molti passaggi si dice correttamente che al No sociale non abbia “sostanzialmente” corrisposto un No “politicamente connotato in senso di classe” e si mette altrettanto correttamente in guardia contro future derive elettoralesche magari “per rilanciare ipotesi simil-Syriza, come se l’ingloriosa fine di quell’esperienza non avesse insegnato nulla”. (Qui una doverosa parentesi: ci vuole un’abbondante faccia di bronzo per dar lezioni sulla fine di “quell’esperienza” dopo averla sostenuta all’inizio e in corso d’opera e persino nella sua fase pre-agonica in occasione della resa ai diktat EU-FMI all’indomani della “vittoria” referendaria dando degli “estremisti infantili” a quanti, come noi, cui bastava l’inizio della cosa per trarne delle... sperimentali lezioni).

Ma tante belle indicazioni si intersecano con altre opposte. Qualche esempio. “Resta il dato, interessante per noi, di un No sociale (..) andato al di là di quello politicamente organizzato” (frase difficile da decifrare). Il 4 dicembre Renzi chiedeva una delega per sé, ma ha ricevuto in faccia la sberla di un “rifiuto di massa” in cui “non è stata data una delega a qualcuno”. Al contrario è stata data una doppia delega: all’“arma” schedaiola – secondo un’inveterata abitudine referendaria a “dare la voce al popolo” per farlo vincere e poi ritirarsi silenzioso; al cartello di partiti politici rispetto ai quali, scusateci, Renzi può ben ergersi a voce della “sinistra”. Il No, pur con tutti i suoi cosiddetti “limiti” da cui ci si smarca, ha comunque “espresso” (risultato del fatto che nelle urne “il popolo si esprime”!) “un corale No ai potenti” e può servire da “incoraggiamento” per andare oltre visto che il primo No, quello sociale, “può, a determinate condizioni, (..) evolvere nel secondo”, quello politico. Già Turati e Kautsky avevano scoperto questa legge evolutiva e meritano di avere dei seguaci.

E a questo punto occorreva una nuova stoccata agli “estremisti infantili”. Sentite il ragionamento contro chi si è rifiutato di partecipare al voto arroccandosi a sterili petizioni di principio (vi anticipiamo i termini cui inchiodarci). “Il referendum ha forse deviato e spento dentro le urne un moto di piazza che minacciava (minacciasse, n.) se non lo stato almeno l’esecutivo e la ’pace sociale’? Oppure...(vedi sopra, n.)”. Di sicuro non c’era in atto alcuna pre-rivoluzione né qualcosa di anche lontanissimamente paragonabile. Ma questo formidabile argomento può altrettanto bene essere applicato alle elezioni sans phrase come quelle che incombono alle porte. Forse che partiti e partitini “di sinistra” ed ultra che scenderanno in gara saranno imputabili di deviare e spegnere chissà quali incendi? No, si limiteranno a spargere sistematicamente proprio il tema della “libera espressione popolare” su cui lucrare come argine preventivo contro un eventuale, futuro “protagonismo” proletario. Contro questa morfina occorre reagire anche e soprattutto prima del verificarsi di veri scontri di classe ed in vista di essi. D’altra parte in più di un’occasione gli attuali estensori della nota di cui ci occupiamo hanno “letto” in questa chiave certi risultati elettorali, da quello che premiò l’Ulivo di Prodi a quello di Syriza ed anche spingendosi oltre, vista ad esempio la “composizione sociale del fu-voto ad Obama”, sempre usando chiavi sociologiche da “esperti” dottorali in scienze dell’... espressione. Chi ha chiamato da comunista a disertare le urne può essere definito “passivo” (come fanno i nostri) solo percorrendo sino in fondo la logica demo-elettorale e quella del “meno peggio” comunque da sostenere (e basterebbe leggere proprio le righe di appello al No dei nostri cui abbiamo già in precedenza fatto riferimento: roba che sarebbe andata bene sull’Unità di tempi anti-leggetruffa). Serietà vuole che di fronte all’aut aut “o preparazione rivoluzionaria o preparazione elettorale” non si giochi alle tre carte accettando di fatto la seconda via, ma non rinunciando a proclamarsene “idealmente” estranei in quanto supercomunisti in attesa dell’evento evolutivo per cui la specie Turati dà luogo ad una nuova specie Lenin.

Noi, “passivisti”, ci siamo rivolti ai proletari “più avanzati” propensi al No in assenza di una loro presenza di classe “a latere” dicendo: ma davvero pensate che la “sconfitta del renzismo” ottenuta sulla base di quest’oscena alleanza schedaiola possa restituirvi qualcosa di quanto in questi anni avete perso all’ombra della Costituzione Riconquistata esimendovi dall’entrare direttamene in lotta per i vostri interessi e con un vostro programma? Oppure che “comunque” la sconfitta renziana potrà per virtù propria evolvere verso la vostra entrata in scena? (Cari proletari, se non vi decidete a muovervi da voi stessi, inutile aspettare che la pedata d’avvio ve la diano D’Alema, Cuperlo, Brunetta, Salvini e compagnia brutta!). Ma se la situazione complessiva è quella di un immobilismo proletario complessivo vi sono anche esempi di settori in lotta come quello dei lavoratori della logistica attorno al SI Cobas, giustamente portati ad esempio dai nostri critici. A questi lavoratori, faticosamente ed inopportunamente trascinati dalle loro direzioni nell’agone referendario, noi ci limitiamo a dire: tenete ferma la vostra postazione di lotta con cui noi saremo sempre attivamente solidali, non permettete che essa si interrompa o sfilacci in vista di chissà che liberatorii esiti usciti dalle urne e, in vista del post, vi chiediamo: in che misura la mobilitazione per il No cui siete stati indotti vi ha apportato un allargamento del vostro fronte di lotta (posto che quanto a risultati tangibili derivati dalla vittoria del No ne intascherete zero se non peggio)?

Tutto qui e ognuno al suo posto.


PREGHIERA DEL BUON DEMOCRATICO:

PADRE NOSTRO,

DACCI OGGI LE NOSTRE ELEZIONI QUOTIDIANE

Chiusa la “polemica” con i soggetti di cui sopra consideriamo un po’ nel concreto i risultati del referendum del No “senza deleghe”, “corale” contro “i potentati” etc. etc. Ci siamo: la sconfitta del progetto renziano non apre affatto le porte ad un ripristino di chissà quali prerogative costituzionali al cui fuoco scaldarsi, non ci restituisce affatto i “tesori” del welfare state dei bei tempi che furono, ma si limita a riproporre la solita competizione elettorale solo che, stavolta, essa si svolgerà nella peggiore delle condizioni sia per il capitale che per noi. Bocciate le norme sul premio di maggioranza ed il ballottaggio e premiata così la rivendicazione degli antirenziani di una “rappresentatività” su base proporzionalista pressoché pura (ci manca solo l’abbassamento del quorum allo 0,05% per permettere un posticino anche ai partitini comunisti, del lavoro od altro) ci troviamo di fronte ad una gara tra tre blocchi sostanzialmente di pari forza elettorale con la logica conseguenza che, ad urne chiuse, si dovrebbe andare ad una sorta di grosse Koalition tra soggetti certamente non all’altezza della sperimentata macchina tedesca in materia: posto che il M5S dichiara di voler fare tutto da sé, senza alleanze con chicchessia (poi si vedrà...) non resterebbe in campo che un governo “unitario” PD-Centrodestra che dovrebbe addossarsi tutti i compiti sin qui lasciati a metà, se non inevasi, secondo un piano unico e senza troppi complimenti per nessuno quanto a tagli e tirate di cinghia: da dove e come cominciare nell’aleatorietà dell’alleanza e con tutte le prevedibili ricadute quanto al “consenso”? Brutta gatta da pelare! Di sicuro le “riforme” richiesteci (da precisi nominativi internazionali e da anonime leggi di mercato) ne verrebbero provvisoriamente intralciate con tutte le conseguenze del caso: ulteriori lacrime e sangue in prospettiva di cui sappiamo con certezza quali ne saranno i destinatari primi.

In più si aggiunge a questo fosco quadro la crisi che sta attraversando il PD. “Forti” del plebiscito antirenziano cui hanno irresponsabilmente concorso salgono oggi sulla scena infiniti soggetti pretendenti al trono o disposti, com’è più probabile, vista la relativa solidità del blocco renziano, alla costituzione di un partito “di sinistra” alternativo. A questa prospettiva stanno guardando SI e “possibili” vari, vecchie cariatidi tipo D’Alema (il signore della guerra anti-Jugoslavia), potentati locali tipo Emiliano e tutta una caterva di “ultraminoritari” ultrasinistri in cerca di un carro su cui montare. E su che base si dovrebbe dare la scissione? Quella del rifiuto di un congresso anticipato del partito (che se si facesse entro i tempi richiesti servirebbe solo a mandare a casa queste mezze calzette) e del tipo di legge elettorale proposto dai renziani. Nientepopodimeno! E il programma alternativo? Chi se ne fotte!, è un insignificante dettaglio. Risultato: il conseguimento perlomeno di un 10% dei voti od anche qualcosa di più. Il che servirebbe solo a rendere più pressante il disegno di una grosse Koalition spostata a destra, ma fatte salve alcune poltrone per gli “alternativi”. Questa l’evoluzione cui va incontro il “corale No ai potentati” espressosi nel referendum.

L’ultimo tentativo di “scissione” in nome degli interessi di classe di cui meritasse interessarsi attivamente per un intervento nostro fu quello di Rifondazione Comunista. Di fronte alla coerente presa d’atto da parte dell’allora direzione del PCI che la Grande Coop Rossa andava trasformata in una Società per Azioni per meglio competere sul mercato su cui sin dagli inizi togliattiani ci si era affacciati c’era ancora una possibilità di reazione da parte di consistenti settori proletari per non ammainare la bandiera rossa. Ma l’unica possibilità per mettere positivamente a frutto questa possibilità stava nella critica spietata della “tradizione” che, non casualmente, aveva portato dagli “eroici furori” classisti dell’immediato dopoguerra all’occhettismo attraverso un continuo, progressivo ingresso entro il sistema borghese da “gestire” in maniera “demoprogressista”. Disgraziatamente – e lo era già da noi messo in conto – i generali del nuovo partito non andavano più in là di una ripresa del togliattismo “duro” rievocando una fase di crescita capitalista intrecciata a lotte operaie con l’effetto di produrre insieme welfare e ipnosi riformistica in una fase in cui venivano definitivamente meno i presupposti di ciò. Da qui la progressiva scivolata del PRC da tuttora rappresentante di concrete petizioni immediate proletarie a semplice “coscienza critica” del capitale alla cui parte “buona” si potevano offrire all’occorrenza voti e ministri in funzione di parafulmine contro la parte “cattiva” del sistema. Meno scontato era il fatto che alla reazione alla messa in liquidazione del vecchio PCI non corrispondesse uno scatto in avanti di qualche significativo settore almeno di questo partito su cui s’è cercato da parte nostra di lavorare. E questo, tra parentesi, lo si deve anche ai giochi di prestidigitazione di certi entristi il cui bla bla “rivoluzionario” ha permesso di salvarsi l’anima (si fa per dire) e bloccare ulteriormente un processo di chiarificazione comunista.

L’attuale ipotesi di scissione dal PD è assolutamente priva di basi su cui potersi definire come forza alternativa di sinistra: dove sarebbe il suo “popolo”? e cosa gli si andrebbe a proporre? Dei falsi simulcri di “rappresentanza” elettoralesca? E per farne che cosa all’atto pratico? Gente che ha sottoscritto tranquillamente, tanto per dire, il “risanamento” del governo Monti-Bruxelles-FMI che “risanamento proletario” sarebbe in grado di disegnare? Una vera lotta di classe extra-isituzionale ed antisistema? Via, non scherziamo!

Di fronte a questo nullismo suicidatario cui non mancherà il generoso concorso di tanti fessi “antagonisti”, è ovvio che possa crescere ulteriormente l’ondata di destra che, nelle sue punte più virali, ha perlomeno un programma populista da presentare alla famosa “composizione sociale” in subbuglio, nel nome di una riscossa nazionale in grado di ricomporre un fronte unitario interclassista.

E’ quanto sta succedendo in varie parti d’Europa ed oltre: vedi la valanga Le Pen, la Brexit, i risultati elettorali olandesi, danesi, svedesi, norvegesi ed austriaci ed ora anche tedeschi e, infine, Trump. Giustamente (stavolta) il documento del Cuneo mette in rilievo il tentativo di una “nuova”, ipercentralizzante, destra borghese populista di raccordare a sé un proletariato “nazionale” (dentro lo Stato, nulla al di fuori di esso, come icasticamente diceva il duo Benito-Adolfo) sulla base di una divisione e scomposizione di esso, in primis tra “lavoratori nazionali” ed immigrati, tra settori passibili di protezione e paria, per la causa del “nostro capitale”.

Da qui non ci si schioda a suon di referendum costituzionali od anti-voucher (l’ultima trovata CGIL!). Questa la sfida da accettare da parte delle ridottissime schiere comuniste in campo e chi non lo capisce si eserciti pure in tutti i suoi contorsionismi “progressisti” ormai definitivamente cancellati dalla storia.


(*) cfr. “Dopo il referendum” dal sito “Il pungolo rosso” 12/12/2016.
Sarebbe bene, turandosi il naso, andare a rileggersi quanto pubblicato sullo stesso sito per la campagna “per il No di classe”, in particolare “Riforma costituzionale. La posta in gioco siamo noi”, sullo stesso sito, 14/11/2016. Questa robaccia di propaganda “per un No di classe” (!!!) inizia così: “Un Senato non-eletto, composto da una cricca di notabili delle regioni. Una camera ai comandi dei governi, che si scelgono presidenti della repubblica e corti costituzionali. Accentramento di competenze ora regionali, come energia e ambiente. Via gli strumenti di democrazia diretta come i referendum abrogativi...” e via continuando con altre perle democratoidi e controrivoluzionarie. Rileggetevelo e ognuno giudichi da sé....


11 febbraio 2017