nucleo comunista internazionalista
note



POTENZIALITA’ E PROBLEMI INNANZI ALLA NUOVA TORNATA
DI LOTTA DI CLASSE IN FRANCIA

marx ou creve

Non serve dire dell’importanza del movimento di lotta e rivolta sociale in atto in Francia, impegnato con rinnovato vigore a contrastare e battere in piazza il governo Macron, e in prospettiva a rovesciare in piazza il suo governo “dei ricchi”. Ben oltre i confini di Francia, la lotta di classe in corso è un esempio concreto ed una scarica di energia per tutto il proletariato internazionale. In particolare provvidenziale per noi, boccheggianti nella palude-Italia nelle cui acque stagne e melmose possono al momento sguazzare solo tinche e sardine (noi pensiamo che qui tutto precipiterà all’improvviso, e saranno dolori…). Non fosse che per il solo esempio di determinazione nella lotta che il proletariato francese ci sta dando (da un anno ci sta dando!) diciamo: Merci camarades, Merci proletari e fratelli di classe francesi!

Per prima cosa cerchiamo di imparare qualcosa dalla lotta di classe in corso. Cerchiamo di mettere a fuoco le potenzialità e le problematiche che si parano innanzi ad essa. Indipendentemente se il torrente di rivolta sociale esaurirà in breve la sua piena dopo la grande giornata di lotta di giovedì 5 dicembre per essere incanalato e fatto refluire, come senz’altro è nei piani delle dirigenze sindacal-politiche, centrale “rossa” CGT in testa, che pur hanno preparato e convocato la mobilitazione generale. O se al contrario si verifichi un possibile “débordement” e allargamento del movimento di lotta che accentuerebbe e precipiterebbe i caratteri, le potenzialità e le problematiche comunque tutte già poste dal corso della crisi sociale.

Prima osservazione di carattere generale, terra-terra. I “capi operai” riformisti comunque connotati, le dirigenze dei sindacati ufficiali, nel nostro caso la dirigenza CGT (in Italia i Landini e soci) non solo possono ma a un certo punto devono organizzare e promuovere la lotta. Quando nella pentola la pressione sale fino al livello di guardia ed occorre aprire una valvola di sfogo. Pompieri erano quando sabotavano le lotte e sudavano sette camicie a scongiurare che la classe operaia organizzata si unisse alla rivolta dei Gilet gialli (è la storia dei capi CGT e degli altri compari dal fatidico sabato 17 novembre 2018, nel primo mese da quella data in particolare quando la tensione sociale in tutto il paese si tagliava col coltello e la borghesia francese si è trovata presa in contropiede), pompieri sociali rimangono quando debbono promuovere e provare a dirigere la lotta di classe piegandola a scopi di “riforma” e conservazione borghese. Senza volere e dovere insultare nessuno, esse dirigenze riformiste svolgono semplicemente il loro lavoro con più o meno coerenza a seconda del mutare delle circostanze sociali e politiche nelle quali operano, sempre in difesa degli interessi generali del capitalismo nazionale: dunque, pompieri e cani pastore delle masse anche quando si ritrovano ad essere “sulle barricate”. (Nel caso italiano, l’ultimo esempio in grande stile di tale mutevole adattamento alle circostanze sociali e politiche fu quello del “capo operaio” Cofferati, un pompiere sociale capace di convocare e guidare le greggi a milioni nelle piazze.) Se, quindi, dal punto di vista di chi intende sovvertire il presente intollerabile stato di cose, si pensa di aggredire il problema rappresentato da questi organizzatori di sconfitte, da questi servi del capitale all’interno della classe proletaria (CGT francese come CGIL italiana) e di batterli fra le masse imputando ad essi solo e principalmente il sistematico pompieraggio e sabotaggio delle spinte spontanee alla lotta, ci si sbaglia di grosso.

Altra connessa osservazione, sempre terra-terra. “Qualcosa”, e “qualcosa” di fondamentale è cambiato rispetto all’epoca che abbiamo alle spalle. Che, grazie a Dio (e alla buona e cara nostra Vecchia Talpa), abbiamo definitivamente alle spalle, nel bene e nel male e noi non siamo affatto nostalgici. L’epoca in cui, per fare alla rinfusa un paio di esempi che ci vengono in testa, una CGT (e un PCF) poteva portare a Parigi 100.000 siderurgici dalla Lorena (anni ’80), farli pure sfogare mettendo a ferro e fuoco la capitale, rimanendo nel pieno controllo politico di quella dura lotta di classe. L’epoca in cui (1972) una CGIL (e un PCI) poteva far calare 50.000 operai dal triangolo industriale su Reggio Calabria per stroncare una volta per tutte quella rivolta popolare guidata dai brutti ceffi neofascisti del “boia chi molla” in una operazione d’ordine (borghese) di cui si teneva perfettamente in mano le redini. Che cosa di fondamentale è cambiato? Il fatto che il “normale” e tradizionale sbocco politico indotto necessariamente dalle lotte immediate di classe e che nell’epoca alle spalle era (nel nostro occidente) “il governo delle sinistre”, “il quadro politico da spingere in avanti” e quant’altro in fatto di avanzamento “progressista”, si è dissolto. E’ stato raso al suolo dal procedere delle cose. Quanto sarebbe meno complicato oggi, per i guardiani dell’ordine costituito interni alla classe, per esempio quelli della CGT, piegare la lotta di classe (a cominciare dal controllo fisico delle piazze) agli scopi per cui svolgono più o meno egregiamente il loro mestiere in presenza di uno straccio di “alternativa politica” non diciamo “alla Mitterand” ma persino “alla Hollande” prima maniera! Ed invece, grazie a Dio, queste “alternative” non esistono più, sono state disperse e annientate dalla cruda prova dei fatti che hanno spennato e lasciato in brache di tela i proletari. Non solo, ma la lotta e la rivolta sociale che un tempo il riformismo tradizionale era maestro nel padroneggiare e talvolta persino a sollecitare, è una bomba che in Francia, dal sabato 17 novembre 2018, gli è scoppiata in faccia. Essa è scoppiata fuori e contro le indicazioni ed il controllo del riformismo tradizionale, avversata e giudicata con disprezzo e vero e proprio odio di classe dalla feccia sociale e politica della “sinistra progressistaalla Manifesto per capirci. Disprezzo e odio di classe peraltro e giustamente ricambiati dalla massa dei gueux cioè “dei poveracci”, dei “morti di fame”, cioè di quella fetta di proletariato, brutta sporca e cattiva, scesa in lotta un anno fa. Essa, rivolta sociale dei gilet, ha ceduto in dote, ha trasmesso alla rinnovata tornata di lotta di classe in corso la coscienza sedimentata in uno strato di massa del proletariato francese che per contrastare il governo e per vincere è necessario uscire dal quadro rituale e tradizionale in cui la lotta di classe è, appunto, stata inquadrata. A cominciare dal far pesare davvero la propria Forza nelle dimostrazioni di piazza che non debbono essere più impotenti processioni, sfilate di greggi anche giganteschi ma pur sempre di pecore condotte e votate a inesorabile tosatura. Che invece è necessario battersi con determinazione jusq’au but e non farsi espropriare la gestione della lotta da nessun “capo”, da nessuna direzione ufficiale. “On lache rien”, “non si deve lasciare, cedere niente” dicevano i gilet a significare la spinta e la necessità di andare oltre il piano della mediazione e della concertazione col “governo dei ricchi” che anzi si trattava, e si tratta, di cacciare attraverso “la convergenza delle lotte”. Non affidando e consegnando questo compito centrale e decisivo ad alcuna forza attualmente presente sul mercato politico borghese, nemmeno quella “patriottica e sovranista” di una Le Pen né tantomeno a un Mélenchon trombone spompato del “patriottismo e sovranismo” di sinistra. Bene. Rimane però il macigno che già si era posto sulla strada dei gilet e che si staglia ancora più nitidamente innanzi alla nuova tornata di lotte di classe: “la convergenza delle lotte” può anche portare alla caduta del “governo dei ricchi” ma CHE COSA METTERCI AL SUO POSTO? La risposta è sostanzialmente la stessa che demmo un anno fa (vedi “La gente, la nostra gente ne ha pieni i coglioni… una prima cronaca politica”): NESSUNO LO SA! Nemmeno le avanguardie proletarie spontanee di massa che da un anno si battono e tengono le piazze.

Ultima considerazione, sempre semplice e banale. Questa vitale carica spontanea che preme per una radicalizzazione e per una “convergenza delle lotte” (dei gilet, degli ecologisti, dei lavoratori sindacalizzati occupati e non, dei movimenti femministi, degli immigrati ecc. Abbiamo sentito una compagna al microfono di una assemblea di massa dopo la giornata “storica”del 5 dicembre: “Nel nostro movimento di lotta c’è posto per tutti, esclusi flics et patrons”. Tutti addosso al “governo dei ricchi”, esclusi poliziotti e padroni) non si incaricherà di spazzare via le “alternative riformiste” che si propongono come sbocco politico al movimento di lotta e rivolta sociale. La semplice somma e radicalizzazione delle lotte non cesserà di riprodurre e riproporre innanzi alle masse una rinnovata gamma di “soluzioni riformiste” contro le quali l’organizzazione politica dei rivoluzionari, il Partito della Rivoluzione è chiamato ad incrociare le lame della lotta politica nel mentre opera per “la convergenza delle lotte” e la radicalizzazione del movimento attorno al perno rappresentato dalla classe operaia organizzata (e la giornata del 5 dicembre è venuta a ricordarne il peso decisivo qualora qualcuno lo avesse dimenticato o addirittura lo negasse) e all’asse centrale della soluzione rivoluzionaria: proletariato-socialismo versus borghesia-barbarie capitalistica (e dunque: potere di classe del proletariato versus potere della borghesia; La Comune, potere proletario centralizzato e organizzato versus “governo dei ricchi” e Stato borghese macchina di oppressione di classe) attorno cui ricondurre e far “convergere” le più diverse oppressioni generate dal presente ordine sociale di classe.

Tutto molto “in generale” e campato per aria? Veniamo allora al particolare e fresco di giornata post 5 dicembre, “al concreto” come si dice.

Di fronte al rinnovata carica del movimento di lotta e rivolta sociale si stanno infatti proponendo rinnovati sbocchi politici di “riforma”, e non potrebbe essere altrimenti. Insidiose soluzioni di “riforma”, di “alternativa politica” e conservazione borghese al punto di domanda grande come una casa di cui sopra. Per esempio quelle lanciate al movimento dal tandem sovranista Le Pen (destra-“fascista”)/Mélenchon (sinistra-“antifascista”) che per il momento marciano ancora separati ma che dovrebbero per coerenza formalizzare l’intesa politica, data la comune base politica e i comuni “ideali” (la salvezza e il benessere della Patria e del popolo francesi minacciate dal “liberismo” e dal governo “dei ricchi” notoriamente cosmopoliti senzapatria…).

Per il momento separati ma già mescolati insieme nella piazza del 5 dicembre dalla quale il trombone “patriota di sinistra” Mélenchon riconosce che: “M.me Le Pen sta facendo un progresso in direzione dell’umanesimo” (Corriere della sera, 6/12/19). Signori sovranisti di destra e di sinistra, Madame Le Pen e Monsieur Mélenchon, abbiate coraggio e siate coerenti una buona volta: mettetevi insieme! La gara fra chi è più, fra chi è “veramente patriota” fatevela dentro un recinto politico e organizzativo comune, se non altro per chiarezza per coerenza per igiene politica! La cosa ci farebbe un grandissimo piacere e favore: il proletariato rivoluzionario dovrà così tirare una volta sola la corda del cesso borghese per espletare la sua norma igienica rispetto a un “fronte sovranista” finalmente unito oltre gli steccati destra/sinistra. Come si dice sia in Francia che in Italia: “interessi di sinistra e valori di destra” (il movimento “patriottico” fondato recentemente in Italia dal “filosofo marxista” Fusaro ha copiato letteralmente il suo motto fondativo da un analogo gruppo politico francese da tempo esistente).

Alla piazza del 5 dicembre la patriota Le Pen ha lanciato un’esca davvero insidiosa e seducente. Essa ha proposto che sia tutto il popolo francese – ricchi e poveracci “morti di fame”, borghesi e proletari – a decidere con un referendum della proposta di riforma pensionistica messa in cantiere da Macron. Cosa pretendere di più di fronte alla massima espressione democratica del referendum? Fra l’altro la “soluzione” proposta dalla Le Pen raccoglie e concretizza una delle rivendicazioni principali dei gilet, quella del RIC ossia la possibilità per i cittadini (ricchi e poveracci, borghesi e proletari) di ricorrere sistematicamente alla consultazione referendaria sulle più svariate materie. Ingenuamente i gueux pensavano o pensano tutt’ora di poter effettivamente “contare qualcosa” nella società, di non farsi prendere sistematicamente per il naso dal potere “dei ricchi” ricorrendo sistematicamente al meccanismo della consultazione democratica. Invece la borghesia anche attraverso il meccanismo democratico riesce a beffarli sistematicamente, evirandoli della loro Forza sociale di classe.

Si tratta per i borghesi sovranisti intanto di svuotare le piazze e di bloccare la radicalizzazione dello scontro sociale, in attesa di riempiere le urne e battere il “governo dei ricchi” con una valanga di carta, una valanga di schede. Come, di norma, vada a finire lo sa bene la classe operaia italiana a cui il referendum del 1984 ha sancito il taglio della scala mobile cioè il taglio del salario. Ma anche quando, le rare volte, la massima consultazione democratica “sancisce” – sulla carta – la sconfitta “dei ricchi” della borghesia, essa riesce a imporre comunque, in un modo o nell’altro, le sue necessità. Basta pensare alla vittoria popolare di Pirro nel referendum indetto da Tsipras in Grecia.

Ma, oltre il piano della contesa sulla rivendicazione immediata data in pasto “alla consultazione del popolo” l’agitazione dell’esca democratica mira al precipuo fine politico generale della borghesia: castrare la lotta di classe, scongiurare che essa si ponga sul terreno da essa temuto della mobilitazione e della pressione di piazza extraparlamentare.

Ed allo stesso precipuo fine politico mira l’agitazione del borghese patriota Mèlenchon incentrata sulla denuncia delle violenze poliziesche contro la gente inerme (nient’affatto inerme invece e per fortuna, al contrario di come presenta le cose il demagogo populista) che protesta nelle piazze. Al contrario di quello che può apparire, le litanie e i piagnistei reiterati di questo trombone, non sono una copertura e “una giustificazione” della violenza di classe esercitata nelle piazze da una parte dei proletari. Sono invece una maniera indiretta e subdola per negarne la valenza. Si critica la violenza poliziesca in quanto provoca e moltiplica la presenza dei branchi di lupi proletari che, secondo le prediche del sovranista di sinistra, vanno isolati dalla massa del proletariato la quale deve essere tenuta o ricondotta allo stato di gregge.

Bisogna essere coscienti, e certamente le avanguardie del proletariato francese lo sono, che una volta eventualmente al governo simili tromboni borghesi pacifisti e “di sinistra” (al governo magari insieme, come ci auguriamo, coi sovranisti di destra) non avranno alcuna esitazione a usare le maniere forti contro il proletariato, tanto quanto e peggio del “governo dei ricchi” di Macron, qualora richiesto dagli interessi “della Patria” cioè dall’interesse generale del capitalismo francese.

Bisogna sapere e cominciare a metterlo in conto fra le masse, come certamente lo sanno e mettono già in conto le avanguardie proletarie di Francia, che come esiste un governo “dei ricchi” contro il quale dare addosso, può esistere – ECCOME – “in alternativa” un governo “non dei ricchi” per così dire, altrettanto borghese ed anti-proletario. Proprio in Francia un governo certamente “non dei ricchi” come fu quello del Fronte Popolare 1936, non esitò ad aprire il fuoco sui proletari quando questi minacciarono il débordement dell’ordine borghese. Ed esso dopo aver realizzato una serie notevole di concessioni economiche in favore della classe lavoratrice, la condusse disorientata e disarmata politicamente al macello della guerra imperialista. Più ancora, certamente un governo “non dei ricchi” fu quello del Fronte Popolare di Spagna con ministri persino anarchici e “trotzkisti” al suo interno che non esitò a massacrare i proletari insorti, in primo luogo anarchici e “trotzkisti”, nel maggio 1937.

Storia del passato che non c’entra un tubo con la presente e “concreta” attualità di cui stiamo parlando? Può essere. Intanto però vi è, pressante e concreto, un compito politico a cui l’avanguardia proletaria non può sin da ora sottrarsi e cioè battere fra le masse l’agitazione dei borghesi populisti di destra e “di sinistra” contro il governo “dei ricchi” e denunciare che cosa si nasconde, e non può che nascondersi, dietro alla loro “alternativa” politica di un “governo popolare non dei ricchi”.

Noi Nucleo, noi Nucleo-nulla, non siamo certamente in grado, né abbiamo la pretesa, di indicare o di “suggerire” qualcosa a qualcuno. Meno che mai alle reali avanguardie proletarie di Francia. Vi è però una questione “sindacale” e politica al tempo stesso a nostro giudizio assai rilevante e dirimente che vorremmo segnalare ad esse. Una concreta rivendicazione che dovrebbe essere agitata fra la massa del proletariato francese e attorno alla quale fare i conti, fra gli altri, coi patrioti sovranisti di destra e di manca.

Parliamo della rivendicazione, sino ad ora del tutto ignorata anche dall’avanguardia proletaria che pur giustamente agita i temi dello sfruttamento ecologico, di genere ecc., del ritiro immediato delle truppe da tutte le missioni militari all’estero dell’imperialismo francese. Per la borghesia la montagna di risorse e di quattrini inghiottiti dalle missioni in difesa “della libertà e della democrazia” in giro per il mondo non sono certo spese ed inaudito spreco antisociale da tagliare e su cui lesinare poiché, per essa, sono investimenti necessari. Quelle enormi poste passive iscritte al bilancio dello Stato, garantiscono indispensabili ritorni tanto sul piano economico (il controllo delle risorse e lo sfruttamento dei paesi e dei popoli tenuti sotto il tallone del capitale imperialista) da cui possono derivare le briciole anche per la classe lavoratrice francese, che sul piano politico generando e fomentando di continuo presso i popoli sottoposti sentimenti di naturale avversione e di odio verso “il popolo dominatore”. Generando e fomentando di continuo la divisione dentro il campo del proletariato internazionale, fra le fila del fronte dei gueux di ogni razza e colore.

I gueux di Francia, anche su questo tema cruciale e dirimente, hanno esattamente un interesse di classe opposto a quello “dei ricchi” e del governo borghese, tanto sul piano dei quattrini che lo Stato rastrella dalle loro tasche che su quello politico generale dell’unità dei guex, dei proletari, di ogni razza e colore. Perché dunque non porre con forza in una campagna condotta fra le masse, la questione, la rivendicazione concreta del ritiro immediato delle truppe francesi dall’Africa, DALLA SIRIA e ovunque nel mondo esse si trovino?

Noi pensiamo che il solo porre a livello di massa questa rivendicazione avrebbe un impatto notevolissimo anche all’esterno della Francia. Tanto fra le masse dei popoli dominati che fra la classe lavoratrice degli altri Stati imperialisti. Pensiamo all’impatto che si produrrebbe qui nell’Italia imperialista dove, osceno spettacolo a cui siamo costretti ad assistere, le nostrane destre sovraniste/patriottiche giocano la carta bastarda dell’agitazione anti-francese (“i francesi che ci fregano in Libia, che sfruttano le loro ex colonie africane….”) cercando addirittura di presentare questa loro bastarda agitazione “patriottica” con una patina “anti-imperialista”.

Ritiro delle truppe da ovunque… DALLA SIRIA sottolineato per un motivo. Triste, amaro, doloroso. Un motivo di totale sbandamento contro-rivoluzionario. Che ci rattrista, ci colpisce ma non ci sorprende più di tanto. Abbiamo infatti letto degli appelli redatti da taluni volontari francesi inquadrati nelle milizie curde del Rojava rivolti “alla Francia”, allo Stato francese, affinché intervenga in protezione delle “forze democratiche” in Siria aggredite dalla “Turchia fascista”. Altroché … ritiro della forza imperialista francese! L’esatto contrario: accorata richiesta di intervento e protezione della “rivoluzione del Rojava” rivolto al proprio imperialismo democratico! Non ci sorprende se, nella mancanza di ogni e qualsiasi riferimento di classe ed alla classe internazionale, pretendendo di contribuire ad una “rivoluzione” – democratica, ecologista, femminista e quant’altro – all’ombra dei cannoni e dei dollari del super-imperialismo americano ci si ritrova nel totale sbalestramento quando questi “si ritira” dal campo. Come non ci sorprenderà se una analoga richiesta di intervento e “protezione” giungesse all’Europa e all’Italia imperialista da parte della borghesia curda e delle milizie al suo servizio.

Sommariamente abbiamo squadernato l’intreccio di problematiche che la grande giornata di lotta del 5 dicembre pone davanti al proletariato di Francia, alle sue avanguardie e a tutti noi. La strada è tortuosa e in salita ma è aperta: Marx ou crève!

11 dicembre 2019


P.S. Una nota di dettaglio infine, doverosa per un motivo… d’onore diciamo così. Per l’onore dei gueux. Con l’operazione militare messa in atto a Parigi il 21 di settembre il governo Macron ha imposto la sua legge. La legge del più forte. Indubbiamente ha vinto (sino ad ora) la battaglia per il controllo dei Campi Elisi decretandone l’inagibilità alla comunità di lotta dei guex (ne abbiamo parlato in un articoletto). Un rinnovato movimento di lotta potrà sfidarlo e batterlo anche sul piano simbolico della “riconquista” dei Campi Elisi. Lo si deve alle migliaia e migliaia di gueux che, qualsiasi idea essi abbiano avuto in testa non ci importa, si sono battuti sui Campi. Hanno avuto la forza ed il coraggio di osare, arrivando per un pelo, perlomeno in una occasione (sabato 1 dicembre 2018) a cogliere il memorabile obiettivo. Quello di mettere il sale sulla coda di Macron dentro casa sua, all’Eliseo. Per l’onore dei gueux, non lo dimentichiamo!