nucleo comunista internazionalista
note




DUE NOTE SUL PARTITO COMUNISTA DEI LAVORATORI

1. A PROPOSITO DI “TRANSIZIONE”

Un giovane compagno molto impegnato politicamente e che segue, tra le altre cose, anche il nostro sito, ci scrive: da tempo, sempre fra tante altre cose, partecipo alla vita di sezione del locale PCL, il cui asse programmatico portante è costituito dalla ricerca di un “programma di transizione” capace di condurre in avanti una massa tuttora in ritardo; voi che ne pensate?

Subito una premessa. Riconosciamo, innanzitutto, che nel PCL ferrandiano – distante da noi le mille miglia – si ritrova, accanto a soggetti francamente meno presentabili, un certo numero, non esagerato, ma comunque significativo, di bravi compagni proletari quotidianamente impegnati in battaglie di classe vere (e assai meno in logorree intellettualoidi o presenzialismi elettoralistici) cui ci sentiamo, ovviamente, vicini ad onta della distanza di cui sopra dal “loro” partito. Questo vale anche per altre organizzazioni politiche, ancor più abissalmente lontane dalle nostre – vedi persino taluni raggruppamenti “post”-stalinisti –, ma, in ogni caso, i compagni del PCL hanno in più dalla loro, rispetto a queste ultime, perlomeno un barlume teorico-programmatico di riferimento al marxismo (ultimi spiccioli dell’autentica e copiosa eredità di Trotzkij) altrove del tutto assente.

Ma... E a questo punto cominciano i guai.

Il problema della “transizione” è, ovviamente, da sempre ed in ogni occasione connaturato all’agire dei comunisti. Il lavoro da farsi è da sempre ed in ogni occasione quello di far avanzare la coscienza e l’organizzazione dei proletari. Ciò che per definizione spetta al partito. Tanto più per un Trotzkij, il quale, estremizzando, per tutta la sua vita ha visto completamente (se non di più) presenti le condizioni oggettive della rivoluzione ed “unicamente” assente la condizione soggettiva del partito.

Successivamente al trionfo dello stalinismo occorreva assicurare all’ala marxista del bolscevismo la possibilità di una “transizione” in avanti per il ripristino dell’autentico partito comunista. Trotzkij fece, giustamente (come anche la Sinistra Comunista “italiana”), il possibile e l’impossibile a tal fine attraverso un iniziale lavoro di “frazione”, di “opposizione di sinistra”. Rivelatosi questo, alla lunga, non più praticabile entro od ai margini di quel che, ipoteticamente, rimaneva da salvarsi del PCb e dell’Internazionale, la tappa “transitoria” ulteriore divenne, di necessità, quella della costituzione delle proprie forze in partito alternativo, mettendo a frutto tutte le acquisizioni conseguite nel corso della battaglia precedente. E, per quanto riguarda Trotzkij, siamo alla Quarta Internazionale. Ma come far sì che le esangui forze in campo di essa riuscissero a trascinare in avanti le masse ridando ad esse un vero partito rivoluzionario all’altezza dei suoi compiti storici?

Qui comincia un cammino in discesa di espedienti “tattici” allo scopo di incunearsi tra le masse ed influenzarle “dall’interno” del loro status reale. Non potendo farlo in seno ai partiti “comunisti” stalinizzati – ai quali, comunque, si continuava a guardare come terreno privilegiato di riferimento ed ai quali, anche, si rimaneva tuttora ancorati in qualche modo grazie alla “difesa incondizionata dell’URSS” –, si tentò, vanamente micidialmente, la via dell’“entrismo” in vari partiti “socialisti” abilitati a fungere da trampolino di lancio della “transizione”. Di questi partiti si accreditava la presenza (reale) tra le masse, tanto più in quanto le masse stesse (altrettanto vero) si mettevano in movimento, con in più la “democrazia interna”, in antitesi col dittatorialismo staliniano. Non è qui il caso di soffermarci su questa questione, che va posta in altra sede analitica e che, comunque, la storia ha definitivamente sciolto in senso opposto alle sia pur generose speranze di Trotzkij (da parte sua mai responsabile di riabilitazione teorica – ma anche la pratica val qualcosa... – della socialdemocrazia tradizionale). Avviciniamoci al presente.

Nel secondo dopoguerra, la IV Internazionale, rivelatesi fallaci tutte le attese di una riedizione dell’Ottobre – a nessunissima scala, né locale né, tantomeno, internazionale – e constatata la marginalità operativa del movimento “trotzkista”, pensò bene di estremizzare ulteriormente gli elementi più insidiosi del precedente entrismo del grande Leone (oggettivamente, allora, campati meno in aria e soggettivamente preservati da ogni sbracamento teorico-programmatico “ad uso tattico”), cercando di reinfilarsi “in profondità” (testuale!) nell’alveo dei partiti stalinisti e, ove non bastasse, in certe sue “correnti”, addirittura in quello del “socialismo” nenniano e persino in quello saragattiano (incredibile dictu!, ma, ad esempio, il rifondarolo Libertini ne sapeva qualcosa). La “transizione” diventava la parola d’ordine dello spingere in avanti nel PCI le “anime” più (stalinisticamente) risolute. Risultati: “transitoriamente” zero; programmaticamente e teoricamente: un macello. Oggetto di un “altra” storia, da non dimenticare: il tentativo di appoggiarsi per la “transizione” al titoismo e poi, persino, ai rapportatori segreti dei crimini di Stalin del PCUS, con tanto di lettere ai “compagni” di esso...

Arriva il ’68 e “si cambia musica”, ma sempre sullo stesso registro, alla ricerca perenne della “leva di massa” su cui far perno. Infine ecco la “grande occasione”: la rottura di Rifondazione col vecchio PCI autosquagliantesi. Vecchi stalinisti alla Cossutta, radicalriformisti sindacaleggianti alla Bertinotti, residui sessantottini “esodati”, fenomeni da baraccone sex-alternativo etc. etc. I “trotzkisti” di Ferrando sono della partita, senza tema di vergogna (la “tattica”!, “quanti delitti nel tuo nome”!). Fino, almeno, alla conclusione improduttiva di quest’esperienza (l’adesione al governo Prodi!) con l’estromissione – in pratica – della pattuglia “trotzkista” dallo stesso rimanente del PRC stesso più obbligata che pianificata “transitoriamente”. Senza masse “conquistabili” ed a prezzo dello sputtanamento di ogni e qualsiasi coerente programma comunista.

A questo punto il PCL opera l’ennesima “scissione” per ripresentarsi, discutibile vergine, in proprio. Ma pagando un ulteriore prezzo: la IV “centrista” si scinde per l’occasione in vari tronconi: accanto al PCL gli “alternativi” di un’altra “concorrente” IV, i “maitiani”, la “sinistra critica”, Falce e Martello (collegata agli entristi del Labour Party!) e...chissà chi altri. Resta un pugno di compagni, persino combattivi (come abbiamo scritto all’inizio), ma in brache di tela. Resta un (sia pur encomiabile “di per sé”) attivismo operaista, ma senza uno straccio di teoria e programma antagonisti sul terreno del marxismo.

E arriviamo, allora, al “concreto programma di transizione” messo in atto. Siamo, francamente, al ridicolo. In una situazione in cui s’impongono ai militanti comunisti il compito di offrire ai proletari un indirizzo rivoluzionario inequivocabile e, contemporaneamente, di essere presenti in ogni sia pur minimo spiraglio di lotta antagonista a partire da una situazione di massimi debolezza e dissesto del “movimento”, non si offre alcun appiglio teorico per la ripresentazione di un autentico programma comunista di rovesciamento rivoluzionario della società presente, rimanendo ancorati ad una visione perfettamente “stalinista di sinistra” del “post-capitalismo” (non a caso la produzione teorica del PCL vale zero su questo terreno e rimastica il peggio della vecchia visione delle “acquisizioni dell’Ottobre” di classica memoria, anche a stalinismo storico morto e sepolto); in contemporanea si propone un “programma di transizione” spaccamontagne per traghettare accortamente (ah, l’“intelligenza tattica”!) le masse verso la rivoluzione (che sta sempre dietro l’angolo). Ai compagni già convinti della meta da raggiungere tale “programma” può anche piacere, rappresentando come sta un buon 90% della rivoluzione in questione, dalla nazionalizzazione delle banche e delle industrie vitali al super-controllo operaio e la consegna del potere politico nelle mani del “popolo” attraverso un “vero governo operaio”. Ci mancano appena due o tre cosette che è meglio non anticipare (verranno poi “da sé”, una volta avviata la “transizione”!): l’assalto rivoluzionario, il partito comunista che non spartisce il potere con altri soci di “governo operaio”, l’orizzonte di un’autentica socializzazione in senso marxista – cosa alquanto distante dalla nazionalizzazione/statalizzazione –, un richiamo forte all’internazionalismo etc. etc.

Cioè: mancano esattamente i cardini del reale ed integrale programma comunista da propagandare, con provvisori esiti ultraminoritari e non di massa, mentre sono presenti in ultra-esubero delle parole d’ordine di supposta agitazione (e concrezione organizzativa) distanti anni luce dalla situazione presente in cui si dibatte la nostra classe. Che senso ha proporre ai lavoratori sul piano agitatorio un 90% di rivoluzione allorché questi sono tuttora lontani al 99% da un minimo di coscienza ed organizzazione di classe? Cosa serve dire agli operai della FIAT, poniamo: “prendiamoci la fabbrica” allorché all’odg sta la ritessitura di un minimo di difesa salariale e normativa attraverso un’azione terra terra, sindacale, in proprio nell’unità tra i vari reparti aziendali dislocati sul territorio? “Transitoriamente”, all’odg, è non cedere ai ricatti di Marchionne, non sottoscriverne i diktat, non presentarsi pecorescamente ai festeggiamenti in fabbrica con Monti, non chiedere il rigetto della riassunzione dei compagni della FIOM licenziati per “salvare i propri posti di lavoro”...E queste cose, empiricamente, le sanno bene gli stessi compagni proletari del PCL impegnati nella lotta quotidiana. Non si aiuta uno zoppo a rimettersi in marcia invitandolo alla corsa ad ostacoli. Tutta questa agitazione si risolve pertanto in un gigantesco ed inutile bluff, che serve, semmai, da copertura di un vuoto teorico-programmatico grande come una casa. Non dovrebbe essere necessario il marxismo per capirlo, bastando il puro buon senso. Il tanto sbandierato programma transitorio può risultare “operativo” sono in un senso: l’acquisto di qualche voto in più da parte di soggetti “intellettuali” piccolo-borghesi cui piacciono le Idee ivi esposte.

Ognuno tiri le sue conclusioni. Al giovane che ci ha scritto non diciamo di evitare la presenza nella sede del PCL né altre cose, ma, se possibile, di fermarsi un po’, di trarre dei bilanci dell’attività svolta e di darsi delle prospettive mirate per il futuro della sua “militanza”.



2. NO AL TIRO A SEGNO REAZIONARIO SUL PCL!

Ce la siamo presa troppo col PCL? Se lo facciamo è, come sempre, da un punto di vista marxista e coi sentimenti più vivi di vicinanza ai militanti sinceri e validi di questa, come anche di altre organizzazioni “comuniste” più o meno lontane dal “transito” cui miriamo.

Per questo ci sentiamo di reagire col massimo dell’indignazione possibile a certi attacchi reazionari rivolti al PCL (ed al campicello delle micro-organizzazioni “estremiste” in genere) mirati a colpire, ovviamente, non le sue fragilità sul terreno marxista rivoluzionario, ma la stessa pretesa di farsene portabandiera, il tutto in nome di un buon richiamo all’ordine (borghese).

L’ultimo, scandalosissimo, esempio di tali attacchi ci viene – pensate un po’ – dal Manifesto del 12 gennaio con un articolo firmato Daniela Preziosi che, a prima vista, noi avevamo piuttosto attribuito a Renato Farina o consoci consideratone il livore anticomunista.

Il voto incombe e le sorti della “democrazia progressiva” stanno tutte nelle mani dell’asse Bersani-Vendola, con un pizzico di Ingroia in aggiunta, purché desista ove serve per non favorire la “reazione” (un articolo del Manifesto lo spiega bene: “Voto utile – La lista Ingroia, un argine contro l’astensione”), e, sperabilmente, nella disponibilità del “centro moderato” a ritrovarsi assieme ai suddetti per “attuare le riforme necessarie al paese” (cioè al capitalismo nazionale; ma questo lo diciamo noi). Ebbene, di fronte a questa occasione storica che fa Ferrando? Ne prende platealmente le distanze denunziandone il chiaro segno (chiaro per i comunisti, ovviamente) conservator-reazionario di classe e si appresta a ripresentare una sua lista di “disturbo” per dirottare dalla giusta linea un ridotto, ma insidioso, numero altrimenti utile alla causa della “sinistra”. Così la Preziosi, che ne commenta taluni elementari passaggi (sempre da un punto di vista comunista) con questa acida chiusa: “Queste le coordinate cartesian-politiche dell’unica falcemartello che a questo giro troveremo nella scheda elettorale” e ciò mentre, grazie al buon dio... del sistema, “PRC e PDCI stavolta invece lasciano gli attrezzi (!!) in sezione e si presentano sotto l’insegna della Rivoluzione civile di Ingroia” e della sua Realpolitik di “sinistra” compatibile col disegno Bersani-Vendola (fatte salve le riserve di cui sopra). “Presente in forze e bandiere in ogni corteo della sinistra (conta nulla che lo sia anche nelle lotte di classe, estranee al contenuto dell’attuale competizione elettorale, n.n.), il PCL non si allea mai: non per principio, ma per principi” e non esita ad agitare programmi di “nazionalizzazione delle banche e delle fabbriche” su cui sarà “difficile trovare compagni di strada” (anche se si aggiunge che “dallo scoppio della crisi le nazionalizzazioni non sono più un tabù neanche per i Nobel dell’economia” assunti a propri compagni di strada possibili); addirittura avanza alla FIOM la “richiesta” di “prendere la testa dell’esplosione sociale e dare una spallata al padronato” e di costituire “un parlamento dei lavoratori e delle sinistre” (massimo dell’impudenza estremistica ferrandiana, secondo la nostra; noi diremmo semmai della sua vuota demagogia mistificatrice del programma comunista). D’altronde, Ferrando è quello cui si imputa di aver fatto cadere a suo tempo il governo Prodi in nome dei suoi vetusti “attrezzi”estremisti).

Perciò “resta tabù invece allearsi con Ferrando per tutto il resto della sinistra: non sia mai si dovesse inciampare in una dichiarazione furiosamente antisionista”, chiaro sinonimo di antisemitismo strisciante, ci par di capire. Ma c’è di più: Ferrando è uscito da Rifondazione nel 2006 “dopo aver definito «un diritto degli iracheni insorgere contro gli eserciti occupanti», il che è veramente il colmo, soprattutto tenendo presente che “era fresca la memoria della strage dei militari italiani a Nassirya”!!! Ferrando pro-stragista?! Non occorre aggiungere altro. Avanti, dunque, con una “sinistra” responsabile, alla Hollande, impegnata sui fronti di guerra del capitale perché noi di questa “sinistra” non siamo Terzi a nessuno!

Contro questa genia reazionaria in veste progressista sarà bene il caso di tirar fuori i nostri “attrezzi” come si deve e se quelli di Ferrando ci risultano largamente spuntati occorrerà piuttosto affilarli come si deve.

Tanto vi dovevamo!

22 gennaio 2003