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Donbass, sull’assassinio di Aleksey Mozgovoy

Il 23 maggio con una operazione di commando dentro la cosiddetta Repubblica “Popolare” di Lugansk è stato assassinato Aleksey Mozgovoy. L’auto su cui viaggiava insieme a due della scorta sono state fatte saltare in aria, tutti gli occupanti finiti dalle sventagliate delle armi automatiche. Nell’agguato morti anche alcuni civili.

Mozgovoy era un lavoratore edile che un anno orsono ha preso le armi e si è posto alla testa di una delle milizie popolari nel Donbass come passo necessario di autodifesa dalle spedizioni punitive in breve divenute guerra vera e propria scatenata contro le regioni ribelli dal governo Quisling e criminale installato a Kiev. Egli è divenuto, fra gli strati popolari e proletari, uno dei capi più prestigiosi e stimati della resistenza in forza soprattutto alla sua inflessibilità e dirittura morale in coerenza alla quale ha indirizzato la sua lotta politica contro quello che egli riteneva la vera e principale causa dell’atroce guerra in corso: la cancrena dell’affarismo e la conseguente rete di sordidi profittatori che infestano il paese tanto a Kiev quanto nelle repubbliche “popolari” ribelli. Per tali motivi egli era inviso e temuto dalle attuali “autorità” di Lugansk e Donesk.

Aleksey Mozgovoy non era certamente un militante “nostro” cioè della Rivoluzione Comunista internazionale e lo abbiamo già chiarito presentando un suo appello su queste pagine, tuttavia la sua “chiamata alle armi” contro le reti del business e degli apparati che come sanguisughe vivono sul proletariato, lo irregimentano, lo opprimono rappresenta il passaggio materiale, nelle condizioni storiche date, attraverso cui possono passare l’azione e l’indipendenza di classe, ancora tutte da conquistare.

Cruciale in particolare il passo, primordiale se vogliamo, della sveglia – sia come sia – ideale e fisica data ai proletariato affinché si desti dalla rassegnazione, cessi di essere oggetto e massa di manovra in mano agli apparati degli Stati e dei micro-stati di cui sopra.


Solo qualche giorno prima che ci giungesse la notizia dell’assassinio abbiamo letto una delle ultime interviste date dal capo miliziano (cfr il sito Slavyangard.org intervista del 6/5/15). Amarissima.

“Lasciatemi dire che non vi è risposta alle aspirazioni avanzate dal popolo (delle regioni del Donbass, ndr) nei mesi di marzo aprile dello scorso anno. Tutti dichiaravano solennemente che la cosa più importante dovevano essere gli interessi e il benessere del popolo. Ma cosa constatiamo nei fatti? L’unica cosa che rimane del popolo è la ’P’ nell’acronimo LPR” (Repubblica Popolare di Lugansk, ndr). “Nei fatti siamo ritornati sulla nostra vecchia strada. La corruzione è rampante. L’uso delle risorse amministrative fatto dai dirigenti della Repubblica è lo stesso fatto dai governatori precedenti. La televisione e la stampa mostrano quanto amiamo il nostro leader. Proprio come prima”.

Ed ancora più lancinanti le due risposte finali che riproduciamo così come le abbiamo lette: “Domanda: What would be for you a victory in this civil war? Risposta: In this war there will be no victory. Domanda: When will it end? Risposta: It will end when the majority of the people will understand that they are being exploited for the benefit of others. On both sides. Nothing new. War was always been, and always will be, a business. The greatest victory will be if we create a government that thinks of the people. Not victory in the war, but victory over ourselves, over our own minds.” (*)


Si è aperta ora fra le fila della resistenza la ridda di ipotesi sul mandante dell’esecuzione. Le “autorità” delle repubbliche ribelli promettono, al solito, di “fare piena luce” mentre attribuiscono il crimine agli infiltrati del governo di Kiev. Con ogni probabilità indagini e commissioni promesse dal regime “popolare”, le virgolette si badi non sono nostre ma di Mozgovoy stesso, non caveranno un ragno dal buco. Per noi che siamo niente né nulla di preciso conosciamo delle contrapposizioni e delle faide interne alla resistenza del Donbass, appare tuttavia chiaro il segnale, il marchio politico che questa esecuzione ha voluto ribadire. Il proletariato è e deve rimanere inquadrato nel fronte interclassista, è e deve rimanere pedina e massa di manovra della realpolitik delle cancellerie e sottocancellerie borghesi. Ogni e qualsiasi passo che solo paventi la sua scesa in campo come soggetto, come forza autonoma deve essere stroncato sul nascere.


Facciamo la nostra parte per svellere questa morsa, senza di che effettivamente in this war there will be no victory, a cominciare qui da dentro il movimento di solidarietà con il Donbass contro l’infame regime di Kiev!




(*) "Domanda: Quale sarebbe per voi una vittoria in questa guerra civile? Risposta: In questa guerra non ci sarà vittoria. Domanda: Quando finirà? Risposta: Finirà quando la maggior parte delle persone capiranno che essi vengono sfruttati per il bene degli altri. Su entrambi i lati. Niente di nuovo. La guerra è sempre stata, e sempre sarà, un business. La più grande vittoria si verificherà se creiamo un Governo che pensa alla gente. Non vittoria nella guerra, ma vittoria su noi stessi, sulle nostre stesse menti."


26 maggio 2015