“Una cosa sacrosanta per l’interesse italiano”. Con queste parole il premier Gentiloni ha annunciato il dispiegamento in Niger di circa 500 soldati italiani che unitamente alla forza armata di altri briganti (Germania, Spagna) affiancheranno le truppe francesi già presenti (4.000 militari schierati sul terreno dal 2012) a presidio degli interessi imperialisti nella zona del Sahel, in una operazione che gli analisti militari definiscono inoltre come “test per le capacità della tanto sbandierata difesa europea”.
L’operazione è stata concordata dai briganti europei con i Quisling dei paesi dell’area (Mauritania, Mali, Burkina Faso, Niger e Ciad) sulla cui caratura qui sotto potete leggere il giudizio di un autentico patriota africano, stringente giudizio dato nel lontano 1972 ma ancora perfettamente e più che mai attuale e centrato.
Gli specchi per allodole utilizzati per coprire e spiegare la “missione in Niger” ad una più che distratta “opinione pubblica” interna sono i soliti, ampiamente sperimentati e rodati: presidio necessario contro “la minaccia del terrorismo”, contrasto ai trafficanti di esseri umani che da lì indirizzano i flussi verso le coste libiche, presidio per la stabilizzazione di quei paesi come condizione necessaria al loro sviluppo… Insomma la classica mascheratura con cui l’imperialismo democratico riveste le sue operazioni, con l’attenzione tutta italiana a presentare la sporca bisogna con una aggiunta di ripugnante patina “umanitaria-pacifista”: andiamo lì – si dice – non a sparare direttamente ma solo eventualmente per rispondere al fuoco nemico e ad addestrare soldati e polizie locali; andando lì – si dice – “non significa riscoprire nazionalismo, revanscismo o velleità egemoniche”. Infatti: briganti imperialisti MA democratici e antifascisti. Inoltre, “noi italiani” abbiamo il “nostro tatto particolare”, la “nostra specificità” che ci distingue ANCHE da certi nostri partner-alleati e da certe loro “velleità egemoniche”, leggi in particolare il partner francese o americano. La solita, sperimentata appunto, rivoltante mascheratura dell’imperialismo democratico italiano: in Libia i militari italiani sono andati, dalle parti di Misurata, a difendere …l’ospedale da campo e addirittura, così si è detto, “a protezione dei siti archeologici libici”…
Non servono, ci pare, dimostrazioni particolari per stracciare questa superipocrita e rivoltante mascheratura se non richiamare un fatto – da nessuno ci sembra ricordato – a proposito di tratta e di trafficanti di esseri umani. La repubblica democratica italiana è sorta e si è sviluppata grazie anche alla tratta di esseri umani, più esattamente di proletari: un tot di proletari abruzzesi, calabresi, siciliani, veneti, friulani, bergamaschi per un tot di carbone dal Belgio. Migliaia e migliaia di proletari d’Italia spediti nelle miniere belghe contro un tot di tonnellate di carbone necessarie alla borghesia italiana per la ricostruzione economica del paese. Non è tratta di esseri umani, più esattamente di proletari, questa? E la classe sociale, cioè la borghesia italiana che ha ricostruito i suoi assetti di potere, certamente democratici e costituzionali antifascisti, anche sulla base di questa tratta, pretende – pretenderebbe oggi – di mascherare i suoi traffici e le conseguenti operazioni militari necessarie alle sue strategie predatorie come contrasto ai “trafficanti di esseri umani”!
Occorre tuttavia riconoscere che quando la borghesia, attraverso la tremula voce del capo di governo, afferma che l’ulteriore dispiegamento in Africa della sua forza armata è “una cosa sacrosanta per l’interesse italiano” dice – a suo modo – una incontestabile, sul piano borghese e capitalistico, verità. I numeri sono lì incontestabili, i volumi degli affari di merci sono lì incontestabili, la quantità di materie prime e risorse naturali africane su cui in prospettiva mettere le mani e non farsi tagliare fuori sono lì incontestabili. Si tratta, come potenza capitalistica, di esserci badando al tempo stesso a non farsi fregare dagli altri briganti alleati e concorrenti. Questo è, sul piano borghese e capitalistico, il quadro incontestabile: qualcuno – dal punto di vista capitalistico, borghese – può pensare di starne fuori? A chiacchere forse sì, ma solo a chiacchere. Perché poi c’è da far di conto, tenendo presente in particolare che quel tanto o quel poco di “margine riformista”, quel tanto o quel poco di briciole da distribuire sul piano interno è inesorabilmente collegato al fatto di starci lì, in terra d’Africa come altrove, con il proprio business e con la necessaria e conseguente forza armata di supporto e protezione.
I numeri, i maledetti numeri della “filiera africana” come la definisce un acuto analista borghese (e, neanche tanto sotto le righe, borghese “sovranista” italiano): “Ma la Tunisia è anche un anello del cordone ombelicale che lega l’Italia al Nordafrica, qui passa infatti il gasdotto Transmed che traporta il gas dell’Algeria, secondo fornitore italiano dopo la Russia. In Angola, in seguito all’incontro tra Gentiloni e il presidente Joao Lourenco, sono stati annunciati accordi che porteranno l’Eni ad avere quasi il 50% dei diritti su Cabinda North, una sorta di Eldorado energetico angolano. Anche le altre tappe del viaggio africano sono all’insegna di gas e petrolio. Eni in Costa d’Avorio ha acquisito il 30% del blocco esplorativo offshore CI-100. Persino il Ghana sotto questo profilo è assai significativo. In anticipo sui tempi previsti, l’Eni qui ha messo in produzione l’Offshore Cape Three Points Block. In questi progetti, considerati prioritari dalla stessa Banca Mondiale, ci sono giacimenti per 41 miliardi di metri cubi di gas e 500 milioni di barili di petrolio. Ecco perché Gentiloni è diventato “l’Africano”. Ha quindi snocciolato cifre da record per gli investimenti italiani sul continente: 12 miliardi nel 2016, al primo posto in Europa, al terzo nel mondo.” (Alberto Negri, Il Sole/24Ore 28/11/2017)
L’acuto analista “sovranista” borghese colloca in questo contesto il viaggio in Africa di Gentiloni, commesso viaggiatore dell’imperialismo italiano (svoltosi quasi contemporaneamente al viaggio d’affari di Macron nei domini ex-coloniali di Francia, su cui qui sotto potete leggere un breve commento) che ha preceduto l’annuncio della missione militare in Niger. Dalle pagine del quotidiano della Confindustria egli non manca di rimarcare che il necessario attivismo italiano e la relativa conseguente copertura militare, densa d’insidie, deve o meglio dovrebbe darsi sull’asse tracciato a suo tempo dal “comandante partigiano Enrico Mattei” (parole testuali scritte sul quotidiano di Confindustria!), ossia badando a non subordinare totalmente i propri calcoli e i propri interessi a quello degli alleati-concorrenti (francesi ed americani in primo luogo), a non “appiattirsi” dentro le loro “strategie egemoniche”. Il necessario e accorto interventismo italiano deve o meglio dovrebbe badare inoltre – differenziandosi dai rapaci alleati-concorrenti – a promuovere almeno la parvenza di una effettiva cooperazione “alla pari” con i paesi “beneficiati” e una parvenza almeno di redistribuzione della ricchezza al loro interno: “Molte volte si banalizza il motto ‘aiutiamoli a casa loro’ quando si tratta di immigrazione, ma se guardiamo alle cifre le speranze africane sono ancora affidate alle risorse energetiche e alle materie prime, viste però con un’ottica diversa da un presente dove portano ricchezza (e corruzione) solo a una cerchia ristretta delle élite africane e alle multinazionali.” (Sempre Alberto Negri, vedi sopra)
Il “sovranista” borghese insomma, dalle pagine del quotidiano di Confindustria, non ci racconta, in fatto di business e di conseguenti missioni militari, le barzellette sull’ennesimo “tradimento” della Costituzione repubblicana e antifascista. Al contrario, “i valori” della repubblica democratica possono e devono essere applicati, anche nei necessari interventi militari, quando e qualora come nazione sovrana non ci si subordini alla rapacità e alle “strategie egemoniche” degli altri soci in affari. Questa la linea su cui l’interventismo italiano è sollecitato a disporsi dalla parte più acuta e “illuminata” della borghesia.
Per parte nostra, anche noi sollecitiamo, invitiamo con tutta l’energia che possiamo, tutte le forze che si dichiarano e che sono effettivamente ed autenticamente democratiche e pacifiste – quindi diverse se non addirittura ostili alla nostra prospettiva di classe, comunista e rivoluzionaria – le quali forze sinceramente democratiche e pacifiste sono in campo e intendono contrastare l’ennesima “avventura militare” italiana a confrontarsi – non con noi che siamo niente – ma con i dati reali della competizione e del mercato capitalistici e con la prospettiva politica snocciolati dalla parte borghese, in particolare dalla sua ala “sovranista”. A confrontarsi e rispondere alle sirene con cui essa si dispone ad abbindolare le masse, a quel suo insidioso e al tempo stesso coerente richiamo “al comandante partigiano Enrico Mattei”, a tutto l’armamentario politico insomma utile ad annientare ogni eventuale opposizione di classe, a neutralizzare e a rendere impotente ogni necessaria azione di lotta contro la macchina imperialista tricolore, una macchina che è già per conto suo impegnata all’estero con oltre 6.000 militari impiegati in 33 missioni in 22 paesi diversi.
A dare il via libera alla operazione in Niger, serve ora solo il suggello delle Camere. La pantomima parlamentare non potrà che ratificare “la cosa sacrosanta per l’interesse italiano”, naturalmente dopo che ciascuna banda borghese avrà recitato la sua parte in commedia. I numeri, i maledetti numeri; gli interessi, i maledetti interessi di classe borghesi e capitalistici possono forse dipendere, possono forse essere messi in discussione “dalle opinioni” e dai voti di alcune centinaia di scaldasedie? Esattamente centotre anni fa delle “opinioni” contrarie all’entrata in guerra di una schiacciante maggioranza parlamentare di cattolici e socialisti, la borghesia italiana ci si è pulita il culo. E massacro imperialista fu. Tanto per dire, e scusate l’espressione. Altro dato di fatto su cui sollecitiamo con tutta la nostra forza a riflettere le forze che oggi si predispongono a contrastare l’imperialismo anche solo sulla base del sincero ed autentico spirito pacifista e democratico.
Ogni banda politica borghese si predispone a recitare la sua parte in commedia: “l’estrema sinistra” ad esprimere la sua contrarietà e la sua ennesima denuncia sulla “Costituzione violata” guardandosi bene dal chiamare ad una reale mobilitazione neppure sul terreno imbelle e impotente del vuoto “pacifismo”; l’opposizione leghista opporrà , “conti alla mano”, che l’operazione militare è “spesa inutile e non ci conviene”; quell’equivoco politico che è il movimento 5 stelle, frutto dello sfaldamento di un regime politico e dell’impotenza del proletariato italiano, mescolerà più o meno queste cose insieme… Tutte queste “opposizioni” pronte ad approfittare degli eventuali e prevedibili intoppi e passi falsi della soldataglia dispiegata nelle sabbie minate di quella parte d’Africa.
Diamo voce volentieri in queste pagine a quella che, al momento, ci sembra una delle espressioni più alte prodotte da quel campo autenticamente pacifista – che si pone dunque su un piano ben diverso da quello nostro, della Rivoluzione proletaria e comunista – che però intende lottare contro il militarismo italiano, interpretando un sentimento altrettanto genuino e diffuso in vasta parte della popolazione italiana. Mauro Armanino, missionario in Niger, scrive nella sua accorata invettiva contro il nostro infame regime – democratico e costituzionale fino a prova contraria aggiungiamo noi – e contro i suoi reggitori politici: “L’umanitario, l’economico e il militare camminano, ormai da tempo, assieme da buoni farabutti” , “non dubitatene onorevoli e procacciatori di un altro posto al sole. Mi vedrete contro le vostre politiche di riconquista coloniale.”
Invettiva e denuncia sacrosanta! Occorre che da questo sentimento, sincero e vibrante, un movimento di opposizione e contrasto all’attuale regime che ci schiaccia tragga tutte le coerenti implicazioni politiche e di schieramento di classe. Che esso si incarni in un conseguente movimento di lotta all’imperialismo, che per noi vuole dire schieramento per la rivoluzione proletaria e di classe in Africa, per la rivoluzione proletaria e di classe qui.
Contro l’imperialismo democratico italiano
che insieme agli altri briganti si accinge a schierare la sua forza
armata in Niger! Viva la resistenza antimperialista dei popoli
africani! Per la sollevazione rivoluzionaria delle masse nere africane!
La loro liberazione sarà anche la nostra liberazione!
5 gennaio 2018
“Ciò che ci ha maggiormente
indignato non è stata tanto l’aggressione
imperialista, che è un fatto naturale (benché il
mondo pensasse che l’imperialismo non fosse così
vile da far ricorso alla politica delle cannoniere in pieno XX secolo),
ma la constatazione dell’esistenza di una classe di Africani
che assumono ufficialmente alte responsabilità nei loro Stati
e sono capaci di stendere la mano all’estero e di accettare
premi e uno stipendio mensile per la loro attività di
distruzione delle conquiste del popolo. E’ questo il disonore
dell’Africa e il vigore con cui il popolo guineano intende
giudicare i traditori dell’Africa dovrà essere
compreso come il mezzo per lavare l’affronto,
l’offesa inflitta al nostro continente, e
l’espressione della volontà di non cedere niente
all’imperialismo. Quale che sia il numero dei traditori,
sbarazzarsene sarebbe per un popolo cosciente la traduzione degli
imperativi di una vera Rivoluzione, la quale insegna che la ragione
umana deve cedere il passo alla ragione storica e sociale.”
Sèkou Touré, 1972 (da
“Africa” di Hosea Jaffe, Ed. Mondadori. Pag 171)
«La svolta africana. Soldati italiani in Niger non solo per addestrare… Con 470 uomini e 150 veicoli le nostre truppe svolgeranno anche ‘attività di sorveglianza e di controllo del territorio’. All’inizio coi francesi, tra miliziani, contrabbandieri e migranti.»
Così Gianluca Di Feo su ‘Repubblica’ del 14 dicembre del 2017. Nel Niger, dove mi trovo da quasi sette anni, proprio oggi, il 18 dicembre si celebra la proclamazione della Repubblica, avvenuta 59 anni or sono. Una Repubblica di carta e l’altra di sabbia. Quella di carta racconta di un paese, una Repubblica, fondata sul lavoro, nata dalle variegate resistenze al nazi-fascismo che, proprio per questo, ha scelto di ripudiare la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali. (Art.11 della Costituzione della Repubblica).
Siamo diventati una Repubblica di carta straccia, perché, non da oggi, la Costituzione è stata tradita, svilita, venduta e buttata al macero come inutile cimelio ornamentale. Una Repubblica che si appresta a scrivere sulla sabbia di quest’altra Repubblica, quella del Niger, che di sabbia se ne intende. Ripudiare significa non riconoscere come proprio, il rifiuto fermo di un legame che prima si riteneva infrangibile. Il ripudio indica una scelta definitiva e irrevocabile, una separazione senza condizioni. Ciò che si è ripudiata è la guerra, che da sempre offende la libertà degli altri popoli. E, in ogni caso, non può essere presa come strumento di risoluzione di controversie.
Abbiamo comprato l’assenso della Repubblica del Niger, che oggi, nella sabbia delle frontiere già armate, riconosce di essere una Repubblica sovrana, da 59 anni, col diritto di vedere rispettata la sua dignità. Abbiamo usato il denaro per comprare il diritto a operare con militari con lo scopo di occupare terreno, sorvegliare e se è il caso punire, secondo i dispositivi di controllo del territorio delineati dal piano di occupazione in corso. Geopolitiche di carta, scritte sulla sabbia che il vento spazzerà via al tempo debito.
«Italia e Niger hanno firmato ieri a Roma un accordo di cooperazione nell’ambito della Difesa siglato dai ministri Roberta Pinotti e Kalla Moutari. Ne ha dato notizia il ministero della Difesa senza rivelare però dettagli circa i contenuti dell’accordo che rientra nella strategia italiana di cooperazione con i Paesi africani interessati dai flussi di immigrati illegali diretti in Libia e poi nella Penisola. Il Niger è infatti il “paese chiave” di questi traffici, vero e proprio “hub” dei flussi migratori illegali diretti in Europa dall’Africa Occidentale e sub sahariana.» (Roma 27 settembre 2017, Ministero della difesa)
I cittadini del Niger, mai consultati in queste operazioni militari, forse al momento non lo diranno ad alta voce, taceranno per timore, per rispetto o per ospitalità. Non sono contenti e non lo saranno mai. Sanno bene che le armi portano la guerra e le guerre portano morti. Loro che di sabbia se ne intendono lo sanno bene che alla fine a vincere sarà lei, la sabbia. E di ciò che avremo scritto coi militari non resterà che il vento. La sabbia della vergogna avrà coperto financo le macerie delle italiche geopolitiche del nulla.
Chi scrive è figlio di un partigiano di quelli veri e che ha scelto da tempo, come suo padre, di deporre le armi e di stare con le mani nude e coi piedi nella sabbia di questo popolo. Non dubitatene, onorevoli e procacciatori di un altro posto al sole. Mi vedrete contro le vostre politiche di riconquista coloniale. L’ambasciata che avete voluto non sarà la mia, gli affari che state preparando per le ditte e per la finzione umanitaria non mi compreranno. Siete riusciti a mettere le vostre pedine nei centri di comando della gestione migratoria con l’OIM, l’Organizzazione delle Migrazioni Internazionali e in altri centri di potere umanitario globale. L’umanitario, l’economico e il militare camminano, ormai da tempo, assieme, da buoni farabutti.
«Niamey ha già accordi di cooperazione militare tra i quali Francia (ex potenza coloniale presente con contingenti dell’Operazione Barkhane anti-jihadisti), Stati Uniti (nell’ambito dell’iniziativa anti terrorismo nel Sahel), Algeria, Canada e Germania che recentemente ha fornito decine di mezzi da trasporto all’esercito nigerino. Da anni il governo di Niamey lamentava l’assenza di cooperazione militare con l’Italia come riportò nei dettagli nel 2014 il reportage diAnalisi Difesa del Paese africano ‘Roccaforte Niger’.» (Ministero della Difesa)
Non starò con voi, sappiatelo, mi troverete con l‘altra Repubblica, quella che ha 59 anni di sabbia e di polvere mescolata al silenzio. Vi ripudio, consapevoli commercianti di carne migrante e di valori scritti col sangue di altri che vi hanno preceduto. Non mi interessa né la vostra fede né la vostra appartenenza politica, siete solamente seguaci di quel dio che i soldi e il potere adorano e al quale sacrificano il futuro e la storia. Non starò mai dalla vostra parte è vi denuncerò finchè avrò voce e forza per farlo. Del resto non sono l’unico a denunciare la deriva bellica del paese. L’amico e compagno di viaggio Alex Zanotelli l’ha appena scritto:
«Quest’anno il governo italiano spenderà 24 miliardi di euro in Difesa, pari a 64 milioni di euro al giorno. Per il 2018 si prevede un miliardo in più. Ma è ancora più impressionante l’esponenziale produzione bellica nostrana: Finmeccanica (oggi Leonardo) si piazza oggi all’ 8° posto mondiale. Lo scorso anno abbiamo esportato per 14 miliardi di euro, il doppio del 2015! Grazie alla vendita di 28 Euro Fighter al Kuwait per otto miliardi di euro, merito della ministra Pinotti, ottima piazzista d’armi. E abbiamo venduto armi a tanti paesi in guerra, in barba alla legge 185 che ce lo proibisce. Continuiamo a vendere bombe, prodotte dall’azienda RMW Italia a Domusnovas (Sardegna), all’Arabia Saudita che le usa per bombardare lo Yemen, dov’è in atto la più grave crisi umanitaria mondiale secondo l’ONU. (Tutto questo nonostante le quattro mozioni del Parlamento Europeo!) L’Italia ha venduto armi al Qatar e agli Emirati Arabi con cui quei paesi armano i gruppi jihadisti in Medio Oriente e in Africa (noi che ci gloriamo di fare la guerra al terrorismo!).»
Mi troverete invece complice dell’altra Repubblica e con le altre Repubbliche che disprezzate perché credete si tratti di mendicanti. Chi vi ha chiesto di intervenire non rappresenta il popolo della Repubblica: l’avete pagato voi perché metta in vendita la sua sovranità. Sappiatelo: non abbiamo bisogno di voi, dei vostri soldi e dei vostri soldati. Le vostre armi, segno inequivocabile del vostro tradimento, si rivolgeranno un giorno contro di voi e allora sarà tardi per capire. Quel giorno vi accorgerete che avevate scritto sulla sabbia.
Mauro Armanino – Missionario e dottore in Antropologia Culturale ed Etnologia Dalla Repubblica di sabbia, dicembre 2017
P.S.:
Onorevoli parlamentari, eletti per rappresentare la volontà del popolo sovrano dal quale ricevete la legittimità e la rappresentazione, avete la possibilità, forse unica di esprimere con un no, l’unica ragionevole posizione al momento di scegliere il futuro della presenza militare italiana nel Sahel.
Avrete l’opportunità e la responsabilità di scrivere un’altra storia della nostra presenza in Africa. Non sulla sabbia ma sui volti. Quei volti che noi, missionari, abbiamo incontrato e raccontato per decenni. Siamo stati gli ambasciatori più veri del nostro paese, incarnandone, con tutti i limiti legati all’umana fragilità, i valori più profondi di umanità e solidarietà, che si trovano, appunto, alla base della visione personalista e comunitaria della Costituzione italiana.
Non tradite questi volti e non tradite questa tradizione di solidarietà sincera e profonda che abbiamo seminato con anni di presenza, accompagnamento e dedizione a questi popoli che sono diventati i nostri. Non traditeli, dovrete renderne conto di fronte alla storia, scritta da nomi di sabbia che serbano un futuro di pace per tutti.
(dal sito http://www.villaggio.org/online/
litalia-prende-le-armi-niger-storia-scritta-
sulla-sabbia-lettera-aperta-ai-parlamentari-italiani-mauro-armanino/)
Qualcuno ha scritto che col bombardamento del villaggio tunisino di Sakiet Sidi Yussef la Francia si è «disonorata». Alla buon’ora! Se davvero esistesse un «onore di Stato», non si sarebbe certamente dovuto aspettare che i militaristi francesi consumassero l’ennesimo massacro coloniale, per ritirarlo alla Francia. Il «disonore» francese ha almeno un secolo di età.
La borghesia francese è la più sciovinista dell’intera Europa, ad onta delle decantate tradizioni parlamentari. Essa non è certamente usa da ieri al massacro e alla carneficina indiscriminata dei suoi sfruttati. Quando gli Hitler e gli Himmler non erano ancora sorti a teorizzare lo sterminio in massa, la borghesia francese ne aveva già fatto uno strumento di governo. Cominciò facendo trucidare dai Cavaignac e dai Thiers gli operai parigini. E questi non erano «pelli colorate», non erano «sporchi» arabi o malgasci, parlavano la stessa lingua dei loro assassini. Perché mai gli esponenti del bieco razzismo dei coloni possidenti algerini e dei monopoli minerari di Parigi, i generali alla Salan e i «socialisti» alla Lacoste, avrebbero dovuto arretrare davanti alla strage di un mucchio di tunisini? La borghesia francese è allenata ad uccidere i suoi sfruttati.
Il massacro premeditato di Sakiet Sidi Yussef affila il nostro odio anticapitalista, ma non ci sorprende affatto. La supernazionalista democrazia francese non ci ha mai abbagliati, come è successo a non pochi proletari che il giusto odio verso il fascismo portò, negli scorsi anni, all’esaltazione del parlamentarismo d’oltralpe. Né ci ha mai abbagliato la mitologia di Parigi «ville lumiere», faro di civiltà, anzi di «civilisation». Cioè, non abbiamo avuto bisogno, come tanti finti ingenui, di apprendere la prodezza dei 25 bombardieri francesi, calatisi a bombardare e mitragliare da bassa quota un povero villaggio tunisino, per convincerci che la classe che ha inventato la «patrie» e la «liberté » è putrida fino al midollo.
Noi siamo dalla parte dei «fellagha» che eroicamente lottano contro le preponderanti forze di repressione in Algeria, siamo con tutti coloro – uomini ai quali è passata la fiaccola della Rivoluzione – che lottano in armi contro l’esoso colonialismo francese. Ai generali massacratori che fanno il loro sporco mestiere di macellai in quel che resta dell’impero coloniale di Parigi, non possiamo augurare che la piena e irrimediabile sconfitta. Ai socialisti alla Mollet e alla Lacoste che coprono le loro gesta teppistiche non possiamo augurare che di vivere abbastanza per assistere alla demolizione della «casa chiusa» socialdemocratica, dove il capitalismo francese tradizionalmente attinge ruffiani e boia. Da disperare non c’è. I generali francesi, dal 1940 noti per la ignominiosa fuga davanti alle armate tedesche e dall’epoca della «sporca guerra» di Indocina orgogliosi di un altro primato, ora le buscano persino dagli eserciti male armati dei popoli coloniali. C’è da essere certi, perciò, che verrà il giorno in cui i fellagha riusciranno a buttare nel Mediterraneo i colonialisti francesi e i loro servi socialdemocratici. Ma noi siamo certi anche di un’altra cosa, ed è questa che soprattutto ci interessa: sappiamo che verrà il momento in cui i generali francesi, oltre ad essere impotenti a soffocare le popolazioni coloniali, non potranno più comandare sui loro stessi soldati, sui proletari che la scellerata unione sacra tra capitalismo e opportunismo costringe a uccidere e a farsi uccidere nel «bled» algerino. L’incendio rivoluzionario avrà allora un segno proletario e comunista.
Il colonialismo francese è il più «duro a morire», l’ultimo rimasto sulla breccia, dopo che lo stesso impero coloniale britannico si è praticamente dissolto. Con la I guerra mondiale, gli riuscì di sopprimere il colonialismo tedesco e incorporarne le spoglie; con la seconda ottenne, benché non per forza propria, di liberarsi dell’incomoda presenza dell’Italia nell’Africa del Nord e in Etiopia. Dunque, soltanto alla Francia spetterebbe il diritto di possedere in eterno colonie? Forse che la «presence française» nelle colonie comporta condizioni migliori di quelle concesse da altre potenze colonialiste? Non sia detto! E’ un fatto che proprio le potenze più democratiche, più liberali, più progressiste del mondo, l’Inghilterra e la Francia, hanno adoperato contro i popoli soggetti i metodi più ributtanti dello sfruttamento, dell’oppressione, della segregazione razzista.
Ma le epilettiche contorsioni della diplomazia, gli accessi di rabbia della destra imperialista e parafascista che sostiene i generali di Algeri, le untuose predicazioni di concordia delle bagasce socialdemocratiche, non sono valsi ad evitare il diluvio. L’Inghilterra è riuscita a ritirarsi ordinatamente dalle colonie salvando la faccia, la Francia sta ripiegando anch’essa ma in maniera ignominiosa. Oggi non le restano che l’Algeria e l’Africa Nera. E’ ancora troppo. I confini entro i quali «ha diritto» di vivere la borghesia francese – la classe supersciovinista che più di tutte le altre borghesie aborrisce ogni forma di limitazione della sovranità nazionale – non possono essere che quelli segnati dalla geologia: l’Oceano Atlantico e la linea Reno-Alpi, – naturalmente fino a quando la rivoluzione proletaria non avrà spazzato via le borghesie e i loro miserabili stati nazionali, ricinti di micidiali frontiere. Invano i politicanti di Palazzo Borbone si sforzano di trasformare l’Algeria in un dipartimento francese. Non si arresta con mezzi «amministrativi» il gigantesco movimento rivoluzionario che, dalla fine della II guerra mondiale, sta sommuovendo l’Asia e l’Africa. Meno di tutti lo potrà la fradicia borghesia francese, ormai incapace di esprimere dal suo seno altro che i Dior e le Sagan.
Come l’Indocina, come la Tunisia, come il Marocco, l’Algeria presto o tardi riuscirà a scrollarsi di dosso l’oppressione colonialista e a cacciare i generali infanticidi alla Salan, i politicanti canaglia alla Lacoste. Ma mentre l’Algeria si agita, il resto dell’impero coloniale francese non sta fermo e rassegnato. Interessanti notizie dall’Africa Nera lasciano sperare che ben presto anche nel cuore del continente scoppierà la guerra civile.
Alla Francia sono rimasti nell’Africa Occidentale ed Equatoriale i seguenti possedimenti: il Sudan francese, l’Alto Volta, il Dahomey, il Chad, il Niger, la Guinea, la Costa d’Avorio, il Senegal, il Medio Congo, il Camerun, il Togo, il Gabon e l’Ubanghi-Sciari. Si tratta di un grosso impero che abbraccia una estensione di 8 milioni di kmq., con una popolazione di 26 milioni di abitanti. Finora la rivolta antifrancese aveva interessato solo territori abitati da razza araba o asiatica. Orbene, da tempo essa ha preso a fermentare anche in questi territori che costituiscono propriamente l’Africa Nera, cioè l’Africa abitata da negri. L’agitazione è viva nel Gabon, nel Chad, nel Senegal, nell’Alto Volta e nel Dahomey e soprattutto nel Camerun. Noi siamo nemici del nazionalismo, come tutti i buoni marxisti. Ma ciò non ci impedisce, sulla linea di Lenin e della III Internazionale, di seguire con passione i movimenti rivoluzionari nazionali che tendono a creare nelle colonie lo Stato nazionale. Nelle condizioni generali dei paesi precapitalistici soggetti al colonialismo, lo Stato nazionale è una condizione dello sviluppo dei rapporti produttivi; significa creazione del mercato interno, accelerazione della divisione della società nelle classi sociali proprie dei paesi capitalistici. Tutte queste sono premesse dello sviluppo del capitalismo, ma non c’è chi non veda che si tratta di un trapasso rivoluzionario, se si considera che il movimento tende a lasciarsi indietro gli ordinamenti tribali e le arretrate basi economico-produttive sulle quali essi sorgono, in specie per quel che riguarda appunto l’Africa Nera, e a gettare le fondamenta di un’economia moderna.
Perciò diciamo che gli algerini sono nel pieno diritto, ad onta di tutta l’ipocrisia morale dei borghesi, di prendere le armi, da qualunque parte esse vengano, contro i loro oppressori colonialisti. Essi hanno il diritto rivoluzionario di rifugiarsi nel territorio tunisino, e i tunisini hanno il dovere di accoglierli per sottrarli ai sicari di Lacoste. Essi lottano per una causa giusta che, se vincerà, farà girare in avanti «la ruota della storia». Non possiamo approvare l’ambigua politica di Burghiba, codesto opportunista del movimento nazionale anticolonialista che tenta di comprarsi l’appoggio degli Stati Uniti contro la Francia, e si ostina a mantenere truppe nel territorio dell’ex Protettorato, offrendo in cambio la grande base navale di Biserta.
Ci accorgiamo adesso di avere detto una cosa che potrebbe
essere interpretata a rovescio dai nazionalisti nostrani, da coloro che
ridicolmente si dichiarano affetti da «mal
d’Africa». No, dicendo che il colonialismo francese
è il più esoso e assassino di tutti, non volevamo
certo elogiare i colonialisti di casa nostra. Costoro hanno fatto nel
passato una grande campagna contro la dominazione francese in Tunisia,
affermando che Biserta era, in mano francese, una «pistola
puntata contro l’Italia». Ora che monsieur Burghiba,
pur di cattivarsi il favore di Wall Strett, medita di consegnarla
all’America, essi non hanno nulla da obiettare. Non si
potrebbe manifestare meglio la putrefazione della borghesia italiana
per la quale, non più l’indipendenza nazionale, ma
il rafforzamento incessante del gendarme antiproletario internazionale
(leggi: Stati Uniti), è lo scopo supremo.
(“il programma comunista” n. 4/1958)
Da LINEE di
TENSIONE CRITICA
Ouagadougou è la capitale del Burkina Faso, ex colonia francese. E’ stata di recente visitata da un signore, tale Macron, presidente di Francia.
La vigorosa gioventù nera e proletaria di Ouagadougou ha accolto a pietrate il tale commesso viaggiatore dell’imperialismo francese. Costui ha potuto comunque tenere un incontro con una platea scelta di giovani dell’Università di Ouagadougou.
Ha detto loro, con l’atteggiamento sicuro e spigliato di chi ha il coltello dalla parte del manico, che il passato è passato, definitivamente.
Che la Francia non è più potenza coloniale, che lui è qui per trattare alla pari e che per le tante magagne del Paese i giovani neri devono abituarsi una buona volta a prendersela con i loro governanti, che sono neri, indipendenti e sovrani a casa loro.
Al che, il capo del Governo, un omone nero, indipendente e sovrano di casa, si è alzato dalla sedia ed è uscito dalla sala fra il brusio divertito della platea scelta di giovani neri dell’Università di Ouagadougou.
Per quello che è dato di capire non sembra che la verve salace del commesso viaggiatore abbia abbindolato nessuno. Nemmeno fra una platea scelta di giovani neri i quali fra l’altro e per giunta non hanno avuto nemmeno una parola di ringraziamento per i Legionari di Francia che invece di starsene a casa a bersi una bibita al fresco, stanno lì in armi per difendere il loro paese, indipendente e sovrano, dal terrorismo.
Il fatto è che più il tale commesso viaggiatore parlava, più andava avanti nell’impartire la sua lezione di democratico savoire-vivre, più le sue parole divenivano ridicole, ridicola la sua stessa brillante figura, la sua lezione diveniva commedia.
Veniva via-via infatti a stagliarsi sempre più nitido, sempre più vivido, sempre più maestoso, aleggiando persino in una sala dell’Università di Ouagadougou sopra le nere teste di una platea scelta, lo spettro di Thomas Sankara.
Come Patrice Lumumba, Thomas Sankara patriota e rivoluzionario africano, eroe e martire africano.
Credeva l’imperialismo democratico – quello che viene a trattare alla pari – di averlo liquidato per sempre, grazie al sicario nero che lo ha assassinato nel 1987.
Cosa volete che ne sappia di Thomas Sankara il tale commesso viaggiatore intento a siglare accordi di partnership e a tessere le sue trame, altezzoso quanto ignorante da non accorgersi nemmeno che una certa Africa, pur fra mille tormenti, si sta risvegliando, si sta risollevando. Si è messa di nuovo in movimento e non per venire col cappello in mano a chiederci la carità!