nucleo comunista internazionalista
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PROFITTO ASSASSINO!

Sabato 17 settembre abbiamo partecipato alla manifestazione di Piacenza. La notte del mercoledì precedente Abd Elsalam Ahmed Eldanf, lavoratore egiziano della Seam Srl – ditta che lavora su appalto di GLS, multinazionale della movimentazione merci – era stato ucciso schiacciato da un TIR che ha forzato il picchetto operaio.

Abd Elsalam era dipendente fisso della Seam Srl ed era pienamente integrato nell’organizzazione della classe operaia in Italia, essendo rappresentante sindacale della Unione Sindacale di Base. Proprio la USB nei mesi passati ha condotto la lotta – una delle tante con contenuti e caratteristiche simili nel settore della logistica e nel centralissimo polo di Piacenza – che alfine ha strappato alla Seam un accordo per la stabilizzazione di 13 lavoratori precari. Seam ha sottoscritto, ma non voleva rispettare gli impegni. Per la catena di aguzzini che controlla i magazzini della grande distribuzione (e per i padroni in generale) è molto più comodo che i facchini siano e restino precari. Per questo il governo Renzi, dopo lo sfacciato battage iniziale da “difensore dei giovani abbandonati dai sindacati”, ha preservato ogni tipo di contratto precario e vi ha aggiunto la libertà di licenziamento per i nuovi assunti a tempo indeterminato: un mix di misure che punta ad ammutolire i lavoratori nelle aziende, a indebolire la possibilità di organizzarsi, a rendere il sindacato ininfluente così lasciando campo libero al diktat padronale sull’organizzazione e sulle condizioni del lavoro. Bene hanno fatto i manifestanti di Piacenza a gridare che l’assassinio di Abd Elsalam è stato perpetuato dai padroni di turno in diretta continuità con l’autoritarismo aziendale codificato nelle “riforme” del duo Renzi/Poletti (e dell’intero universo capitalistico – si veda la Loi Travail in Francia, per non parlare dei gironi infernali in cui si svolge la produzione nei paesi meno sviluppati e dominati dall’imperialismo –). Garantire al padronato, accolita di belve assetate di profitto (anche senza l’aggiuntivo zampino delle mafie come è stato denunciato dai lavoratori di Piacenza con riferimento alla GLS) ogni possibile forma di precarietà e salire poi sul pulpito istituzionale a dichiarare che “ogni morte sul lavoro costituisce una ferita per l’Italia e una perdita irreparabile per l’intera società” e che non è ammissibile che non vegano adeguatamente assicurate garanzie e cautele per lo svolgimento sicuro del lavoro”, è solo indice della sconfinata ipocrisia dei rappresentanti dello Stato. Abd Elsalam è stato assassinato dai padroni. La Procura della Repubblica di Piacenza ha invece derubricato il tutto a incidente stradale dichiarando, contro l’evidenza dei fatti e le testimonianze raccolte, che non era in corso alcuna protesta sindacale. Sui media è stata tutta una corsa a nascondere, minimizzare, derubricare, e, dopo quella dell’incidente stradale, si è letto ancora della “guerra tra poveri” con tanto di descrizione delle condizioni del camionista che “se non arriva a consegnare secondo orario perde il lavoro, etc. etc.”. Tutto pur di nascondere un omicidio in nome del profitto.

Sabato 17 settembre, mentre il pullman ci portava a manifestare a Piacenza, i compagni raccoglievano da internet altre notizie. A Taranto un lavoratore di 25 anni, dipendente precario della ditta Steel Service Srl, del Gruppo Trombini, che cura la manutenzione presso gli stabilimenti ILVA, è morto orrendamente schiacciato da un rullo. Stava facendo la manutenzione di un nastro trasportatore. Leggiamo che l’operazione doveva essere fatta in altro modo e soprattutto doveva attendersi l’arrivo di una gru che avrebbe consentito di lavorare in sicurezza. Per non attendere 20 minuti a Giacomo Campo è stato ordinato di iniziare a pulire il nastro. A metà strada per Piacenza un’altra notizia ci ha raggiunti, questa volta dalla capitale dove un operaio di 54 anni dell’Atac (un capo elettricista) nel fare la manutenzione di un trenino elettrico è rimasto folgorato dalla scossa di corrente.

Al di là delle diverse intenzionalità (comunque dolose) delle direzioni aziendali interessate, forzare il picchetto degli operai in lotta e sbrigarsi a pulire/riparare omettendo le necessarie cautele sono, in entrambi i casi, input criminali mossi dalla medesima “esigenza” di non rallentare il ritmo della produzione da cui distilla profitto nelle tasche dei padroni.

Alla manifestazione di Piacenza hanno partecipato almeno cinquemila persone, immigrati e italiani al 50%. Gli spezzoni erano in gran parte delle diverse sigle sindacali (USB, SICOBAS e SOLCOBAS, oltre piccole rappresentanze di altre sigle ivi compresa la minoranza del secondo documento della CGIL) e di alcune organizzazioni politiche (PCL, Sinistra Anticapitalista, Falce e Martello). Gli spezzoni sindacali hanno visto la partecipazione di molti lavoratori immigrati. Nel complesso una partecipazione segnata con ogni evidenza dall’autodimissionne delle principali organizzazioni sindacali Cgil-Cisl-Uil che neanche di fronte all’assassinio di un lavoratore hanno mostrato vergogna per la passività complice garantita a questo e ad altri governi concorrendo all’arretramento generale delle condizioni di lavoro della classe operaia fino al punto che questi fatti mettono a nudo. Annotiamo peraltro che alcune rappresentanze aziendali della Cgil e della Fiom non si sono limitate a generici comunicati ma hanno preso l’iniziativa e indetto sia pur circoscritti scioperi locali (mentre la Fiom nazionale ha indetto un’ora di sciopero nazionale mercoledì 21/09). La classe è chiamata a riconquistarsi la capacità di una risposta adeguata ai colpi inferti dal capitale, quella che avrebbe dovuto vedere il blocco generale della produzione in tutti i settori e l’unità più forte dell’intero proletariato italiano stretto attorno al proprio fratello di classe assassinato mentre da lavoratore stabile difendeva la stabilizzazione di compagni di lavoro precari, “assassinato mentre difendeva i diritti di tutti” come recitava uno degli striscioni.

A Piacenza ogni angolo di strada era presidiato da super-armati reparti delle polizie varie pronte a “difendere Piacenza” dalla calata dei barbari e in generale l’aria che si respirava quanto a sentimenti della popolazione locale, con moltissimi negozi chiusi, se non era di dichiarata ostilità (a un corteo aperto da familiari in lutto), certo non era neanche di benevola accoglienza. Al di là delle dichiarazioni di circostanza dei paludati rappresentanti istituzionali, ai borghesi e ai loro manutengoli brucia il solo pensiero che lavoratori immigrati ingaggiati per lavori di facchinaggio abbiano avuto l’ardire di organizzarsi in un sindacato, che invece di baciare i piedi ai padroni che li hanno fatti entrare a casa loro a lavorare pretendano di contrattare e discutere il salario e le condizioni di lavoro, che, presente la conclamata sordità di Cgil-Cisl-Uil che giammai prenderebbero in carico questi lavoratori (preoccupandosi piuttosto – come in più di un caso è accaduto – che non si crei intralcio alla produzione e agitando a tal fine i “diritti” dei lavoratori delle ditte appaltatrici più grandi o dei grandi magazzini che sarebbero “danneggiati” anch’essi dagli scioperi e dai blocchi dei più precarizzati), i lavoratori immigrati si presentino dietro le bandiere di sindacatini “estremisti e facinorosi” che anche senza immigrati al seguito sono il fumo negli occhi per un padronato che mal sopporta lo stesso più che conciliante e remissivo sindacato ufficiale, figuriamoci poi il particolare padronato dei subappalti della logistica, dove le lotte operaie e i lavoratori più attivi sono stati fatti segno a più riprese di attentati e pestaggi in puro stile camorristico. A tutti costoro il sangue deve poi andare veramente al cervello se i retropensieri sugli extracomunitari scrocconi che vengono qui in Italia per “cuccarsi e fotterci le prestazioni del nostro Stato sociale” possono leggerli confermati su uno degli striscioni di Piacenza retto da lavoratori dalla pelle nerissima dove era scritto “Voglio lavoro e Stato sociale”. Questi e ancor peggiori sono i sentimenti che agitano settori sociali sempre più ampi attraversati dalla crisi. Ad essi, con i dovuti distinguo del caso, non sono affatto estranee fette sempre più ampie di proletariato bianco. (Come si spiega questo dato di fatto che investe anche molti proletari? Essi giustamente vedono come il super-sfruttamento della manodopera immigrata costituisce un mezzo per deprimere salari e diritti della propria classe. Ma, in assenza di una linea ed organizzazione – sui cui motivi non torniamo qui – antagoniste, non vedono nella borghesia il loro e generale nemico e, con uno sguardo annebbiato, pensano al ripristino delle proprie condizioni del passato senza saper aggredire un sistema destinato a marciare sempre più aggressivamente su questa strada, mentre la vera alternativa da riconquistare è una sola: unità della classe operaia “nazionale” ed immigrata, contro un sistema da abbattere. Strada lunga e lontana, ma...). E’ per questo che riteniamo innanzitutto decisivo opporre la più ampia e convincente mobilitazione per prevenire e impedire altre violenze contro lavoratori provenienti da altri paesi e realmente impegnati a lottare in Italia “per i diritti di tutti”, anche di quei proletari bianchi che nella deprecabile condizione attuale di azzeramento di ogni cosciente protagonismo di classe si mostrano distanti e ostili a lavoratori come Abd Elsalam e ai suoi compagni.

Contro la propaganda dei difensori del capitalismo e dei loro governi che con le loro “riforme” stratificano, frammentano, gerarchizzano il mondo del lavoro, mettendo poi i lavoratori gli uni contro gli altri, i proletari bianchi contro gli invasori immigrati ”terroristi” e scrocconi, i giovani che sarebbero condannati alla precarietà non dagli interessi del capitalismo ma dalle eccessive tutele che i più anziani si sono presi e non vogliono cedere, etc. etc., noi vediamo che la classe operaia, italiana e immigrata, più o meno giovane, precaria o stabilizzata, vive una condizione al fondo comune che si riassume in una vita di duro lavoro, di necessaria lotta, di rischio incombente per la propria vita come tributo ulteriore pagato sull’altare del profitto. Adb Elsalam da lavoratore immigrato aveva potuto conquistarsi un posto di lavoro stabile. A Giacomo Campo, morto all’ILVA a 25 anni, la precarietà e il dispotismo aziendale non hanno sottratto soltanto salario e la possibilità di organizzarsi l’esistenza, gli hanno sottratto anche la vita. Il capo elettricista dell’Atac (l’articolo da cui leggiamo non ne riporta il nome), folgorato a 54 anni in un’operazione di manutenzione, era realisticamente, per ragioni anagrafiche e azienda di riferimento (una grande municipalizzata della capitale), un lavoratore con le cosiddette tutele tradizionali.

I lavoratori immigrati mobilitati a Piacenza contro l’assassinio di Abd Elsalam vi hanno portato da ogni punto di vista la testimonianza e i contenuti della “lotta per i diritti di tutti” e conseguentemente la petizione di una ripresa generale della mobilitazione rivolta ai proletari e lavoratori bianchi, presenti – lo si è detto – al corteo di Piacenza ma non certo nella massa e nei numeri che avrebbero dovuto rispondere alla chiamata. L’assassinio di Abd Elsalam ha squarciato improvvisamente il velo di silenzio e omissione che da fin troppo tempo è caduto su una questione sociale ed operaia che invece vive drammaticamente nelle lotte spesso isolate e per questo ancor più dure come quella condotta da un piccolo reparto di lavoratori di Piacenza contro Seam/GLS e contro la micidiale rete di interessi capitalistici della logistica. Da mesi non si discute di altro se non del referendum sulla riforma costituzionale di Renzi oppure dell’uscita o non uscita dall’euro e il campeggiare di questi temi in tutte le discussioni e le iniziative della sinistra anche più radicale e “rivoluzionaria”, ovvero su tematiche trasversali dove il NO alle riforme renziane e all’euro si toccano e soprattutto si toccano le forze che da sinistra e da a destra convergono su pronunciamenti per il NO al fondo difficilmente distinguibili, segnalano la debolissima presa in carico sul necessario piano dell’iniziativa politica della questione sociale dal punto di vista di classe. Una debolezza pericolosissima di cui prendere atto per poterla superare al più presto, riorientando nella giusta direzione i contenuti dell’iniziativa e la prospettiva della lotta. Il sacrificio di Abd Elsalam e la lotta dei lavoratori della Seam/GLS, che – non dimentichiamo – prosegue, chiamano a questo.

4 ottobre 2016