nucleo comunista internazionalista
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LA MANIFESTAZIONE DEL 21 OTTOBRE CONTRO IL RAZZISMO

Sabato 21 ottobre si è svolta a Roma la manifestazione nazionale contro il razzismo promossa dall’Arci e da altre associazioni impegnate nell’accoglienza. Filippo Miraglia, vicepresidente dell’Arci, ha registrato sul manifesto del 24/10/17 il successo dell’iniziativa concludendo: “non è che l’inizio”.

Francamente ci permettiamo di dubitarne. A meno che nel prosieguo lo scenario sociale e politico non venga radicalmente terremotato rispetto alla morta gora sociale (e pre-elettorale) del presente, ben riflessa nell’iniziativa di sabato 21, e l’agenda di Miraglia e sodali non sia travolta dall’ingresso in campo di protagonisti animati da tutt’altra visione e programma, quelli di una lotta vera di lavoratori italiani e immigrati contro un nemico comune che si chiama capitalismo imperialista. In difetto di ciò sono destinate a sicura evaporazione (altro che inizio!) le dichiarazioni di generico umanitarismo buonista con le quali gli organizzatori del 21 si illudono (alcuni in buona fede e altri meno) di poter impietosire i rappresentanti di un sistema capitalistico, che, pur con tutte le brutture enunciate, non si ha il minimo coraggio né la volontà di mettere effettivamente in discussione.

La partecipazione non è mancata, anche se siamo molto distanti dai 20.000 rivendicati dagli organizzatori. Una presenza mista, di immigrati e italiani, con molta brava gente (anche) richiamata in piazza da sentimenti di solidarietà e partecipazione. Presenti numerosi circoli e associazioni di vario genere, raggruppati al seguito di non debordanti spezzoni.

Gli immigrati scesi in piazza, in assenza di un consistente intervento delle loro associazioni e organizzazioni politiche (fatta eccezione per lo JVP srilankese e gli onnipresenti curdi del PKK), erano prevalentemente aggregati alle associazioni a trazione italica, e non già inquadrati (la differenza non è casuale) nei propri comitati attivi nelle lotte o in spezzoni sindacali visti in altre occasioni, quelli delle varie categorie della Cgil o finanche di fabbrica della Fiom, e quelli dei sindacati extra-confederali attivi nei settori del lavoro più disagiato e precario, a lungo e tutt’oggi dimenticato dalle organizzazioni più grandi. Spezzoni sindacali che in genere marcano una prevalente partecipazione immigrata, a segnare non positivamente la delega degli italiani alle nuove leve di immigrati quando invece si tratta dei diritti di tutti, e che in taluni casi sono realmente misti a segnare un passo ulteriore e un vero inizio di integrazione di classe. Comunque sia, il 21 erano assenti gli uni e gli altri, e assente è stata la lotta di classe e una vera lotta tout court. Peraltro la sostanziale assenza della Cgil non è certo dovuta al disaccordo sui contenuti portati in piazza: ci vien da pensare che sulla general-generica solidarietà/accoglienza verso quanti sbarcano sulle coste italiane (espunto ogni richiamo alla solidarietà e all’integrazione di classe) la Cgil non provi neanche a coinvolgere i propri iscritti, mentre le sue pletoriche burocrazie trovano un impegno eccessivo e non ripagante ai propri fini quello di portare in piazza qualche bandiera di formale presenza. Assenti, ed è tutto dire, le forze sindacali impegnate proprio in questi giorni nelle lotte dei lavoratori immigrati e italiani nella giungla delle cooperative, della logistica, del lavoro precario, sottopagato e in nero! Quei sindacati di base che, ad esempio, il venerdì successivo (27 ottobre) hanno scioperato, con cortei in varie città d’Italia. Scioperi e cortei a cospicua partecipazione immigrata: a Padova le parole d’ordine sono state “rinnovo del contratto nazionale nella logistica, contro il Jobs Act e per lo Ius soli”. Nulla di tutto questo è stato intercettato dal sabato antirazzista dell’Arci e consimili, nulla delle lotte e dei percorsi di organizzazione più significativi faticosamente messi in piedi dai lavoratori immigrati. Non a caso: l’Arci, per sua natura, può promuovere solo cortei “buonisti”, o, all'occorrenza, di rigoroso supporto (tutt’al più “critico” ma sempre di supporto) alla politica istituzionale, non certo di lotta.

Piuttosto contenuta, peraltro, la stessa presenza delle organizzazioni politiche italiane, dallo spezzone più cospicuo (nei limiti) di Rifondazione Comunista, allo striscioncino di Sinistra Italiana, all’Altra Europa con Tsipras, ai quattro-cinque di Sinistra Anticapitalista, al Partito Comunista dei Lavoratori. C’erano anche i compagni del Che Fare a distribuire il loro giornale.

Si badi bene. Nulla è più lontano da noi del ritenere lotta vera solo quella data sul piano della difesa degli interessi contrattuali e salariali dei lavoratori ovvero quella che proietti sul piano politico la lotta sindacale. Il richiamo ai più diversi temi evocati dalle varie associazioni scese in piazza il 21 (la difesa dei consumatori, la musica, lo sport, etc.) non ci dispiace affatto. Il punto è un altro: le molteplici denunce di un sistema che fa acqua da tutte le parti e le conseguenti istanze di riconquista di una pienezza di vita sociale collettiva contro l’alienazione del capitalismo innanzitutto non possono eludere i nodi essenziali dello scontro di classe tra borghesia e proletariato, capitale e lavoro, capitalismo e socialismo; in secondo luogo restano un’inane “colorata” sommatoria di tante singole e spaiate petizioni laddove non sovvenga a unificarle una visione che dia battaglia onnilaterale al capitalismo, promuovendo un’altrettanto onnilaterale visione e prospettiva di “un altro mondo possibile”. Aggiungiamo noi: senza il capitalismo. Cosa che difficilmente sentirete dire, e qui sta il punto, dagli organizzatori umanitari, solidali e accoglienti del 21 ottobre.

Un accento positivamente (quand’anche debolmente) presente nella piazza del 21 è rappresentato da un manipolo di immigrati che hanno portato in piazza un vecchio striscione dove è scritto “Noi siamo lavoratori”: un nostro slogan per l’unificazione della lotta e uno striscione utilizzato svariate volte dai lavoratori immigrati per confluire nei cortei sindacali degli italiani. Ma la connotazione generale si caratterizzava decisamente su altri assi, inequivocabilmente attestati dalle scritte sugli striscioni, all'insegna del diritto, della giustizia, della libertà, della pace, contro ogni razzismo e discriminazione…

Tutti temi ripresi ed anzi sostanziati con accenti finanche nettamente anti-sistema (ma solo a parole…) anche negli ambienti cattolici più “avanzati" (vedi in appendice la noticina sull’intervista resa da don Ciotti al manifesto sui temi della manifestazione del 21 ottobre).

Dato il carattere ed i promotori della manifestazione, non meraviglia che il tema centrale della guerra vi sia stato evocato in modo general-generico, tra reticenze, ambiguità e molto peggio. Sono lontani i tempi delle oceaniche manifestazioni contro le guerre imperialistiche dell'Occidente e certo non poteva essere questa manifestazione a recuperare il vergognoso disorientamento, quando non orientamento contrario pro-imperialista, registratosi negli ultimi anni.

Quel che è difettato e difetta tuttora è la denuncia inequivoca e la mobilitazione contro l’aggressione dell’imperialismo occidentale e italiano prima in Libia (aggressione diretta) e poi in Siria (con il supporto fornito alle varie opposizioni), senza dimenticare tutto il resto. Il PCL, che nel volantino distribuito in piazza accenna maldestramente alla Siria, potrebbe infine comprendere che, se Assad non ci è mai piaciuto e non ci piace, questo giammai può giustificare l’equidistanza e peggio tra gli aggressori imperialisti e la Siria aggredita.

Peraltro il corteo del 21 era pieno di supportes del Rojava e di Kobane, nonché dei curdi del PKK. Ma, chiediamo, a nessuno si sono drizzate le antenne davanti al supporto USA ai curdi in Siria? Storicamente, le alleanze con l'imperialismo nulla garantiscono, e, appena il “servo sciocco” non serve più alla bisogna o alza la cresta, viene subito spazzato via.

Concludendo: buonismo, accoglienza, belle parole verso gli immigrati “esclusi”, nessuna denuncia coerente dell’imperialismo occidentale e italiano e delle sue guerre di aggressione, ma ambiguità e reticenze a non finire, non solo restando equidistanti ma scagliandosi innanzitutto contro i bersagli dell’Occidente (i Saddam, Milosevic, Gheddafi, Assad…), nascondendo le magagne e supportando le forze (i curdi “siriani”) che si affittano agli imperialisti. Tutto il contrario di quello che dovrebbe essere un coerente programma di lotta sul quale lavorare alla unificazione di forze tra lavoratori italiani e immigrati. Compito indubbiamente non facile. L’umanitarismo buonista blatera a vuoto di accoglienza (che “fa bene, a chi arriva e a chi vive qui, perché sospinge le persone verso un’unione solidale e benefica e respinge gli egoismi e i veleni razzisti”: dal volantino firmato La Comune), mentre lava la faccia all’imperialismo d’Occidente e ne nasconde i crimini. Potrà promuovere qua e là singole isole di “antirazzismo” e “tolleranza”, ma, poiché si guarda bene dal promuovere l’integrazione sull’unico piano dove l’integrazione può nascere, che è quello dell’organizzazione e della lotta comuni a difesa dei comuni interessi di una stessa classe, concorre a lasciare campo libero alle campagne d’odio della borghesia imperialista che fomentano tra i lavoratori italiani l’ostilità verso gli immigrati puntando a dividere il proletariato. Compito dei comunisti è contrastare questa indigeribile e controproducente melassa buonista e rilanciare la prospettiva di classe!


APPENDICE

DON CIOTTI SULLA MANIFESTAZIONE DEL 21 OTTOBRE

Negli ultimi tempi, in una parte del mondo cattolico, quella più impegnata nel “sociale”, si è sviluppata una critica sempre più acuta e pressante nei confronti dei disastri sociali, ecologici, umani in generale causati e indotti dal capitalismo. La gravità dei problemi è tale per cui queste istanze sono state accolte ai vertici della Chiesa (vedi ad esempio l’enciclica papale “Laudato sì” sulla questione ambientale) e sono state pronunciate parole di chiara condanna da parte della Chiesa ufficiale e del papa Bergoglio.

Don Ciotti, religioso che vive con passione il suo impegno e merita rispetto, ha firmato con la sua associazione Libera l’appello per la manifestazione antirazzista del 21 ottobre, e proprio sul manifesto del 21.10.2017 interviene sul tema per dire che “… oggi c’è un fatto nuovo. Questo sistema economico è diventato esso stesso uno strumento di guerra… contro i poveri. E’ tempo di riconoscere l’intrinseca violenza di un sistema che produce enormi distanze sociali…”, e infatti “papa Francesco non ha esitato a definire ‘di rapina’ questa economia e ‘ingiusto alla radice’ il sistema che la include”.

No, caro don Ciotti, oggi non c'è nessun fatto nuovo: il sistema capitalistico è, nella sua natura, sempre lo stesso. Esso è nato con la violenza e la spoliazione, si è sviluppato con la schiavistica spremitura del lavoro salariato in Occidente e dello schiavismo nel resto del mondo, con il colonialismo accompagnato e/o preceduto dall'opera “crocerossina” dei missionari a lenire le ferite più gravi inferte dagli invasori e a cercare di convertire le popolazioni sottomesse ad una religione che predica la sottomissione ai padroni.

L'imperialismo è la vera causa della miseria e della spoliazione di interi continenti, nonché della immigrazione, ma esso NON è causato da politiche “sbagliate” da correggere, perché è un dato strutturale del capitalismo che deterministicamente impone la sua legge di sviluppo combinato e diseguale di un centro che domina su periferie depredate ed oppresse.

Cose note a tutti, ed anche alla Chiesa, che nell'ultimo secolo sta passando dalla complicità aperta al colonialismo alla denuncia dei disastri maggiori del capitalismo. Certe analisi di papa Francesco sono anche corrette… ma come porre rimedio a questa situazione? Come tagliare la radice di un sistema sociale così antiumano? Qui casca l’asino. Dove conclude infatti l’intervista di don Ciotti? Leggiamo: “Sono parole (quelle del papa, n.n.) su cui i potenti del mondo dovrebbero riflettere”. Tutto quello che la Chiesa sa proporre consiste nella richiesta “ai potenti del mondo” di una riflessione. Nei secoli passati essa cercava di lenire i dolori provocati dal capitalismo; oggi è passata ad una denuncia più vibrante, perché sente che la Bestia è pervasa dalle convulsioni della crisi ed invita perciò “i potenti” a fare attenzione e a non “calcare troppo la mano”. In sostanza, anche la Chiesa invita ad orientarsi verso un capitalismo “dal volto (più) umano”. E’ la versione “religiosa” di “un altro modello di sviluppo”, di “un altro capitalismo possibile” di cui blatera certa “sinistra” sotto-riformista. E’ l’invito, campato in aria, a tener conto del “bene comune”, come se in una società divisa in classi ci potesse essere un bene comune tra sfruttati e sfruttatori… La religione, in ultima analisi, si conferma “oppio dei popoli”, fattore di conservazione sociale, anche nelle sue “punte” più avanzate.

Quanto al tema cruciale dell’immigrazione i sermoni domenicali di don Ciotti e altri non contrastano affatto il virus dell’ostilità e del razzismo che si diffonde anche tra i lavoratori ed i proletari, in quanto escludono e anzi si pongono contro ogni idea di riscatto collettivo dove sfruttati italiani ed immigrati possano integrarsi nella comune lotta per porre fine all'ingiustizia ed alla rapina capitalistiche.

13 novembre 2017