Per il capitalismo italiano la Libia era ed è ancora spazio vitale, era ed è lebensraum.
Quando nel 2011 il governo Berlusconi, forzato e ricattato, portò lo Stato di Roma a partecipare alla criminale guerra “per la libertà e per la democrazia” in Libia, invocata e plaudita dall’allora opposizione liberal-progressista alla cui coda era larga parte dell’”estrema sinistra” ad abbaiare contro “il tiranno” Gheddafi e a delirare su “primavere rivoluzionarie libiche” da sostenere con tanto di “Brigate internazionali” e da indirizzare per il verso giusto strappandone la direzione dalle mani … della Nato, gli “esperti di geopolitica” e consiglieri della borghesia italiana scrivevano: «La Libia è ormai parte integrante del nostro sistema economico, come registra senza pietà la Borsa di Milano. Si tratta di sicurezza energetica, di costi del petrolio, di quote azionarie di grandi banche e società della Penisola, di cittadini italiani che lavorano là». (1)
Le correnti proto-sovraniste (di destra e di sinistra, mussoliniste o alla Enrico Mattei) della borghesia italiana contestarono allora la scelta forzata del governo in quanto “anti-patriottica”. Partecipare alla manovra per la destituzione di Gheddafi significava, per esse, darsi la zappa sui piedi. Far intromettere pesantemente nel giardino di casa, nel nostro lebensraum, infidi alleati-concorrenti in primo luogo gli odiati francesi. Contestazione da briganti, poiché si trattava – e si tratta – di decidere la spartizione di un bottino sulla testa e sulla pelle delle popolazioni che hanno la sventura di trovarsi e di abitare in quel lebensraum. Le popolazioni libiche oggetto della spoliazione e che tutti i briganti imperialisti credono – si illudono! – di aggiogare per un tempo indefinito comprando a peso d’oro una serie di quisling locali, di miserabili rappresentanti la borghesia stracciona libica. Contestazioni e dispute (ieri 2011 come oggi) fra borghesi briganti dunque, e nel caso dei “sovranisti”, dei patrioti di destra e di sinistra, dei mussolinisti o dei matteiani, briganti impotenti. Se i proto-sovranisti d’allora non fossero altro che fanfaroni – fanfaroni dallo stesso punto di vista di chi pretende di “fare i veri interessi della nazione” di una presunta (E IMPOSSIBILE) “Patria indipendente”;– questi borghesi impotenti avrebbero dovuto chiamare con decisione, e attraverso la pressione “pacifista” di piazza se necessario, a bloccare con la Germania e con la potenza capitalistica russa per contrastare la penetrazione “alleata” nel proprio spazio vitale libico. La borghesia italiana invece, in tutte le sue frazioni e correnti, non ha avuto e non ha la forza per alcun “slancio patriottico”, meno che mai quello di cambiare padrone togliendosi dall’orbita dello Zio di America.
Ma l’agitazione degli impotenti “sovranisti”, dei fanfaroni patrioti di destra e di sinistra, ieri come oggi è stata ed è utilissima alla borghesia per riempire di veleni l’atmosfera in cui vive il proletariato d’Italia. Per instillare nelle sue vene altre droghe ideologiche (oltre alle sostanze stupefacenti vere e proprie che scorrono a fiumi nella società con un preciso scopo oltre quello di far quattrini… Non ci stanchiamo di ripeterlo) in aggiunta a quelle instillate dalla sinistra liberal-progressista e dalle sue code “estremiste” che sono forze apripista e di copertura dell’imperialismo democratico made in Usa versione Clinton-Obama (con intorno tutto il bel mondo della Open Society del filantropo Soros). Il messaggio martellato da tutte le correnti borghesi è volto a debilitare il proletariato d’Italia, a mantenerlo nella condizione di impotenza rispetto ai compiti di classe che gli competono e che incombono, tanto più quando risuonano nell’aria campane di guerra per la difesa “degli interessi supremi e comuni della nazione” come oggi intorno al “nostro giardino di casa”-spazio vitale libico in cui oggi pretende di intromettersi persino “il turco”.
Invece e al contrario i comunisti ribattono: il bottino libico che la borghesia italiana intende disperatamente difendere dalle “pretese” degli altri briganti e attorno a cui chiama al compattamento, all’unità nazionale, anche se mantenuto non darà alcun sollievo e beneficio alla condizione subordinata e schiava della classe lavoratrice italiana come pretende la menzogna di sistema instillata da tutte le correnti della borghesia, ne aumenterà invece la soggezione e l’oppressione di classe. L’interesse di classe immediato e storico del proletariato italiano è, al contrario, che al brigante imperialista italiano siano tagliate il più possibile le unghie, che paghi un dazio il più salato possibile per la sua storica opera di rapina in Libia culminata nella devastazione del paese portata con la vergognosa ed infame guerra “democratica” del 2011. Il compito di classe che compete al proletariato d’Italia non è tanto di schierarsi “contro la guerra in Libia”, una frase che dice tutto e niente. Anzi, che dice niente se non il mantenimento dello status-quo, di una ipocrita pretesa condizione “di pace” che perpetua la condizione di “pacifica” rapina e soggiogamento di cui sono oggetto le popolazioni libiche. Il compito di classe è bensì quello di un chiaro e netto pronunciamento anti-patriottico che si traduce nella consegna: “fuori l’Italia, fuori l’imperialismo italiano dalla Libia”. Ricollegandosi idealmente e praticamente alle battaglie storiche della nostra classe e dei nostri padri i quali seppero opporre alla canea borghese e patriottarda, ancora molto prima che il rinnegato Mussolini diventasse caporione di quella canea, il grido di battaglia socialista: “Via dall’Africa!”. E attorno a questa consegna internazionalista di classe gettare un ponte verso il sollevamento rivoluzionario delle popolazioni libiche e arabe in generale. Che verrà! E che ributterà a mare TUTTI i briganti imperialisti, a cominciare dai predoni occidentali e democratici.
Lavoratori d’Italia, proletari italiani, in questa ora che forse prelude a svolti drammatici sul teatro libico: rigettate la menzogna di sistema propalata da tutta la gamma di servi politici della borghesia. Riflettete e badate bene al messaggio vero e profondo trasmessoci dalla vignetta dell’antico socialista Scalarini, anno 1913, riprodotta qui a fianco, tirata fuori dalla memoria e dalla storia della nostra classe. E’ un messaggio semplice, più che mai vero e attuale: niente di buono per gli schiavi salariati può venire né mai verrà dalle “vittorie” della borghesia nazionale e dall’accodamento del proletariato dietro qualsiasi fronte politico di “salvezza nazionale”!
La Libia di Gheddafi è stata demolita grazie ad almeno 40 mila bombe sganciate da oltre 10 mila missioni di attacco in circa sei mesi di operazioni belliche targate Nato e in aggiunta e di conserva all’azione sul terreno di mute di cani i quali hanno osato (e osano) riferirsi al Profeta mentre si prostituivano (come si prostituiscono) ai Satana occidentali. Mute di tagliagole “islamici” che prima di trucidare Gheddafi hanno dato la caccia ai lavoratori africani immigrati in Libia sostenitori, in grande maggioranza, del suo regime nazional-borghese che era di ostacolo al progredire sanguinario del carro “della libertà e della democrazia” le cui ruote dentate avrebbero di lì a poco, seguendo identico copione, stritolato la Siria.
L’atroce storia seguita “alla liberazione dal tiranno” la conosciamo. E’ la storia della feroce contesa fra briganti, sulla pelle della popolazione libica, per una nuova ripartizione del bottino. Il giornale della Confindustria lo quantificava perfino: almeno 130 miliardi di dollari! (“La Libia è un bottino da 130 miliardi di dollari subito e tre-quattro volte tanto nel caso che un ipotetico Stato libico, magari confederale e diviso per zone di influenza, tornasse a esportare come ai tempi di Gheddafi” è scritto sul Sole/24 Ore del 6 marzo 2016). La borghesia italiana ha indubbiamente perso influenza e potere dentro il suo storico spazio vitale-lebensraum ed è questa la recriminazione che si rimpallano i suoi servi politici, ridotti ad essere scavalcati dalla prepotente iniziativa della borghesia turca la quale peraltro, giova ricordarlo in faccia a tutti quanti i nostri borghesi più o meno “autenticamente patriottici”, può poggiare in punta di “diritto storico” (sul quale noi comunisti sputiamo) le sue mire espansioniste. Borghesi italiani, briganti imperialisti italiani la vostra classe ha o non ha conquistato nel 1911 la colonia libica scacciandovi con una guerra “il turco”? Che “diritto” potete mai vantare se ora “il turco” cioè la borghesia turca minaccia di ripagarvi con la stessa moneta?
Per il capitalismo italiano la Libia rimane ancora uno spazio vitale nonostante la sua perdita di potere, e diventa ancora più vitale difendere con le unghie e con i denti la sua residua sfera di influenza. Il che significa che ogni ulteriore perdita di potere ed influenza sulla zona si rifletterà dentro i suoi confini nazionali, ad ogni livello: di mazzata economica, di violenta scossa sul corso della crisi politico-istituzionale in corso ed infine di crisi sociale aperta nelle piazze non più contenibile e sedabile come lo è stata sino ad ora. Il che significa ancora la potente spinta e necessità per la borghesia italiana di dotarsi di un adeguato governo di comando autorevole e autoritario per mantenere il controllo sulla società affrontando la burrasca in arrivo oltre i confini e dentro i confini nazionali. Pena, come abbiamo da tempo affermato passando senz’altro per essere dei personaggi alquanto lunari, la stessa tenuta unitaria dello Stato di Roma.
Tale potente spinta che sgorga dalla vitale necessità della borghesia italiana forse non è estranea a quella che è apparsa una estemporanea proposta della Lega nazionale salviniana, cioè quella di una grande intesa per la “salvezza nazionale” che comprenda tutti, dai tromboni patrioti Fratelli d’Italia agli insignificanti sinistri di Leu. Quale grazia divina sarebbe per noi, sarebbe per il proletariato d’Italia veder riuniti in una grande Unione Sacra tutte le marionette politiche al servizio della borghesia! La scaltra borghesia italiana però e purtroppo non ci farà questo grande piacere. Troppo pericoloso per il suo potere di classe giocare in una volta e tutte riunite insieme le sue carte!
Essa ha davanti una sola alternativa. Continuare alacremente ad operare per una “intesa di pacificazione” fra i quisling di Tripoli e quelli di Bengasi o, per meglio dire, pregare il Signore che i grandi concentramenti di potere capitalistico di Washington e di Mosca trovino in qualche modo un accordo di spartizione “pacifica” della torta libica tenendo a bada gli appetiti e le mire delle altre borghesie contendenti. Qualora invece le cose precipitassero in una grande resa dei conti militare, la borghesia italiana non avrebbe altra scelta che di entrare in guerra, sperando e pregando il Signore di allinearsi attorno al padrone giusto cioè a quello che prevarrà nell’eventuale urto bellico fra interessi borghesi e imperialisti. E non è affatto detto e scontato che a prevalere sia il tradizionale alleato e padrone americano (di cui noi comunque aneliamo ardentemente la sconfitta).
In ogni caso, oltre e contro i maneggi delle cancellerie borghesi, resta la nostra prima consegna di comunisti, desiderare ardentemente ed operare per la sconfitta dell’imperialismo di casa nostra. Centosette anni fa l’anarchico Errico Malatesta nel suo scritto “La guerra tripolina” diceva: «Oggi che l’Italia va ad invadere un altro paese e sulla piazza del mercato di Tripoli si erge e strangola la forca infame di Vittorio Emanuele, nobile e santa è la rivoluzione degli arabi contro il tiranno italiano. Per l’onore d’Italia noi speriamo che il popolo italiano rinsavito sappia imporre al governo il ritiro dall’Africa, e se no, speriamo che siano gli arabi a cacciarvelo». Lo stesso messaggio veniva rivolto al proletariato d’Italia dalla giovane sinistra marxista che allora si faceva le ossa attorno ad un Bordiga poco più che ventenne. Sulla stessa linea storica siamo oggi chiamati a conformarci ed allinearci:
FUORI L’IMPERIALISMO ITALIANO
DALLA LIBIA!
23 dicembre 2019
(1) Così su La Stampa del 23/2/2011
l’”esperta di strategia geopolitica”
Marta Dassù, impegnata direttamente al governo nel periodo di
Mario Monti