nucleo comunista internazionalista
note





SU ALCUNE QUESTIONI CHE SI PONGONO ALL’ORGANIZZAZIONE DEGLI IMMIGRATI


Prendiamo spunto per questa nota da un documento del “Comitato lavoratori italiani e immigrati” di Roma, uno dei pochi organismi che nella presente più che difficile situazione generale si sforza di impostare ed organizzare una reale lotta unitaria volendo porsi al di là del puro spirito solidarista-umanitario verso gli immigrati. La questione in esso affrontata è il teorema immigrazione=delinquenza a cui ci si oppone e che si tratta senz’altro di smantellare. Un teorema purtroppo sempre più corrente nel “comune sentire di tanti italiani” contro cui ci si deve regolarmente scontrare.

Brevemente ci fermiamo su qualche passaggio del documento. Se ne segnaliamo i limiti e, francamente, gli errori è per dare un contributo, il nostro contributo di militanti ancorati ai principi del marxismo, alla riflessione e all’azione di questo segmento del movimento di classe.

Dunque: ottimo lo scopo, ottimi gli argomenti “genetici” sull’assurdità dell’equiparazione di cui sopra. I “nostri”, quanto a delinquenzialità non sarebbero secondi a nessuno: vedi Jugoslavia, Iraq, Somalia, Afghanistan etc. etc. I “nostri” = azione del nostro imperialismo, quand’anche “pacifico”, come nel caso delle “normali relazioni interstatali” coi vari paesi su cui si esercitano i nostri coefficienti di controllo/dominio.

Ma c’è qualcosa che non va e decisamente stona.

Ad esempio, per dimostrare che la delinquenza degli immigrati è poca cosa, o nulla, si portano delle statistiche che vorrebbero attestare l’“innocenza” degli stessi ma che, in effetti, se prese da un puro punto di vista statistico, direbbero il contrario. Si dice: su 230 casi di violenza sessuale, “solo” 100 sono addebitabili ad immigrati. Ora, poiché, nello stesso documento, si valuta la presenza degli immigrati al 9,3% della popolazione residente in Italia, ne risulterebbe che il tasso di “stupraggio” addebitabile ad essi risulta oltre 4 volte quello dei nostri “indigeni”, e su questo non ci piove, con tanto di recriminazioni, statisticamente esatte, da parte di questi ultimi. Così come è un dato di fatto che la percentuale dei carcerati, per atti di più o meno piccola criminalità, è enormemente superiore a quella dei “nostri”. Noi tranquillamente accettiamo questi dati, senza addebitarli ad arbitrarie cacce all’uomo da parte di occhiute forze di polizia e senza che perciò venga di un grammo meno la nostra vicinanza solidale ai “dannati della terra”.

Ci spieghiamo. Sarebbe ben strano che costoro, condannati ad una vita di emarginazione, di stenti, e diciamo pure – volgarmente – di merda potessero agire secondo la “normalità” dei nostri connazionali, che saranno pure oppressi dai giri di vite dell’“infame governo Berlusconi” (in attesa di altri meno infami: e le statistiche non cambiavano!). Orbene: nascondere i fatti criminogeni di costoro in nome di una sorta di presunta innocenza degli immigrati in generale potrebbe sembrare un atteggiamento “progressista”, se non addirittura “rivoluzionario” come qualcuno si immagina. E’ vero il contrario. “Gli immigrati” di per sé non sono angeli, non sono gli incorrotti portatori del Bene, o magari della Rivoluzione Comunista. Sono persone in carne ed ossa che soffrono delle condizioni materiali cui sono condannati e ad esse cercano individualmente – in assenza di una prospettiva e di un’organizzazione di classe – di reagire. Senza una donna? Me ne “faccio” la prima che incontro, le piaccia o no. Senza una casa? Occupo il primo posto che trovo libero (e fai bene!). Senza soldi? Rubo, sub-spaccio etc. etc. L’idea dell’“innocenza” dell’immigrato reale semplicemente prescinde dalla realtà reale della sua situazione.

Facciamo un esempio “eccentrico”: noi sappiamo che nelle patrie galere si consumano un sacco di azioni sodomitiche. Ne dedurremmo che “i carcerati” siano “per loro natura” dei sodomiti? Neanche per sogno. Sono le inumane condizioni di detenzione nelle situazioni che ben sappiamo che inducono a ciò. E quindi? Si tratta “semplicemente” intanto di trasformare l’inferno carcerario in una situazione vivibile e, per noi, di battersi contro la generale prigione capitalistica per un mondo senza galere. Lo stesso dicasi per la questione degli stupri: questa umanità è stuprata e cerca la sua rivalsa stupratrice per affermare i suoi bisogni.

Secondo punto. Alcuni settori dell’immigrazione (prendiamo ad esempio i romeni spesso identificati in nome della comune cittadinanza coi rom) cercano di reagire contro i pregiudizi dei “nostri connazionali” attivandosi per mettere pulizia nel proprio ambiente “nazionale”. Le strade percorribili sono due: o cercare di segnare un confine tra sé (in regola) e gli irregolari, magari fidando sull’opera di selezione poliziesca, ed appoggiandola, o cercare di intersecare i settori irregolari della propria nazionalità (formale) per indurla a determinate “regole”, eventualmente comprensive di processi di integrazione gestiti dal basso. (In qualche caso, nel Veneto, si è concretizzata un’azione immigrati-indigeni non “escludente”; pianga chi può!).

Più volte abbiamo rimarcato in positivo l’azione di centri, non precisamente comunisti, per l’integrazione, ad esempio, dei rom, di cui pensiamo di avere qualche conoscenza “personale” non secondaria. La bufala dell’innocenza dei rom, alieni “per natura” da furti e rapine, è una manifestinata da cazzo. E dire questo non solo non significa atteggiamenti anti-rom, ma al contrario, e, se del caso, potremo riparlarne in concreto.

Più volte abbiamo chiamato alla per noi vitale esigenza di pUlizia (U e non O) all’interno del nostro campo, vitale per le esigenze stesse di lotta e combattimento contro le gabbie di un sistema il cui degrado sociale ed umano intacca e debilita il proletariato stesso. Esigenza di pUlizia (U e non O) nello spirito dei comunardi di Parigi (passato remoto si dirà). Nello spirito di Malcom X, delle Pantere Nere e della loro lotta per la pUlizia e contro la disgregazione delle comunità nere in lotta (passato prossimo). Nello spirito – per dire di un esempio a noi più fisicamente vicino – che la parte più avanzata dei movimenti di lotta in Italia ha potuto solo abbozzare quando, sul finire degli anni ’70, si è dovuto affrontare, e in taluni casi anche manu militari, il dilagare dell’eroina nei quartieri delle nostre città (e gli immigrati allora non c’erano!).

A qualcuno (ahinoi!, di nostra conoscenza) è sembrato che porre da parte degli immigrati stessi un discrimine tra “rispettosi dell’ordine” ed illegalisti rappresenti una “divisione del campo”. Quale campo? Quello degli immigrati “in generale”.

Se, si è scritto, tu discrimini tra lavoratore immigrato regolare (od irregolare, purché sia tale) e furfantello o furfantone, “rompi il fronte”. Quale fronte? Quando noi parliamo di immigrati quali fratelli di classe abbiamo presente un certo tipo di immigrazione, quella del lavoro salariato o, comunque, aspirante ad esso. Commercianti, piccoli imprenditori (spesso alle spalle dei “propri connazionali”), spacciatori di droga, businessmen della prostituzione etc. non ci commuovono affatto quale che sia il colore della loro pelle, rispetto alla quale il nostro bianco non costituisce né un privilegio né una condanna a serie B.

Questo il punto: quali immigrati con noi? Per quale programma? Vada pure chi vuole a cercarsi il “buon selvaggio” (noi non lo diremmo mai!) per surrogare il programma comunista.

1 agosto 2010