Il bel manifesto di propaganda del 1972 dice: "La Cina deve
fare grandi cose per l'umanità".
La Cina ha effettivamente realizzato cose capitalisticamente grandiose.
Su questa base oggi diciamo: "il proletariato cinese deve fare cose
grandiose per l'umanità. E le farà nella lotta contro
la borghesia cinese e contro l'imperialismo occidentale!"
I troubles che stanno investendo il mostruoso agglomerato di Hong Kong, paradiso per il business e per i businessmen di ogni razza e colore, inferno per i proletari e gli sfruttati, sono un fatto di grandissima rilevanza e di grandissime implicazioni. Tanto per la borghesia che per il Proletariato Internazionale. In primo luogo per il capitalismo cinese che deve provare a soffocare con le buone e se necessario stroncare con le cattive la sedizione “autonomistica” (impulsata dai padrini occidentali) di quella sua provincia che è uno dei centri nevralgici del capitale finanziario cinese ed internazionale.
I borghesi di Hong Kong, unitamente ai loro fratelli di classe “continentali” cinesi e di ogni altra razza, in questa zona franca intrecciano i loro vorticosi affari e intendono continuare a svolgere tale loro missione “autonomamente” cioè senza che il governo cinese pretenda di metterci il becco. Per esempio senza che Pechino osi imporre la possibilità di estradizione dei cittadini di quel paradiso, una intollerabile minaccia per la libertà “della comunità degli affari” attorno a cui ruota tutto il mostruoso agglomerato. Per la difesa di cotanta libertà si è mobilitata in piazza la feccia sociale piccolo-borghese la cui prosperità dipende dal fluire libero e impunito del business, disturbato dai vincoli che il “regime totalitario” cinese pretende di imporre violando quella storica “oasi di ricchezza e di libertà” come è scritto del mito fondatore della città nei documenti di certi “anarchici” di Hong Kong di cui diremo i quali si guardano bene dallo smontare e fare a pezzi questo tale mito. A proposito del quale Carlo Marx notava: «…frattanto il governo cinese (che cercava di difendere il paese dagli assalti del colonialismo occidentale, ndr) nello stesso tempo che inviava minacciose note di protesta ai mercanti stranieri, puniva i mercanti indigeni di Hong Kong che notoriamente tenevano loro bordone…». (“Libero scambio uguale monopolio” articolo del 3 settembre 1858 pubblicato sulla “New York Daily Tribune” ora nella raccolta “K. Marx/F. Engels India-Cina-Russia” Ed. Il Saggiatore). E’ una vecchia storia dunque quella dei “mercanti indigeni” di Hong Kong che difendono con le unghie e con i denti la loro “oasi di ricchezza e libertà” tenendo bordone al colonialismo occidentale ed è vergognoso che gli “anarchici” di Hong Kong non abbiano parola di questa “vecchia storia” su cui è fondato l’attuale cancro, l’attuale regno del business. Non una parola!
Il fatto che fra i due milioni di cittadini scesi in piazza (stando ai numeri riportati dai gazzettieri dell’imperialismo democratico) su sette milioni di abitanti dell’infernale paradiso capitalistico, ci possa senz’altro essere una fetta di proletari, di sfruttati, che in quanto schiavi salariati dipendono anch’essi dai buoni affari del padrone, non cambia di una virgola il senso del discorso cioè di quanto sia lurida la rivendicazione “autonomista” per cui quella massa si batte nelle piazze. Il veder spuntare qua e là in quella massa le bandiere stelle-e-striscie e britannica è solo la ciliegina su quella torta, infetta di “libertà e democrazia”.
Leggiamo da “Asia blog”: «Alcuni banchieri di Hong Kong hanno riferito che molti clienti stiano spostando i loro conti a Singapore nel timore che tra gli obiettivi di Pechino ci siano proprio i funzionari e miliardari cinesi trasferitisi nella regione autonoma per evitare procedimenti giudiziari in patria. (…) Una prospettiva poco attraente per la potente e numerosa comunità degli affari di Hong Kong , considerato anche che per i “reati economici” come la corruzione l’ordinamento della Repubblica Popolare Cinese prevede la pena di morte nei casi più gravi». Da queste eloquenti parole traiamo la genuina rivendicazione proletaria e comunista che non è tanto il borghesemente corretto diritto dello Stato all’estradizione quanto la semplice e chiara parola d’ordine: “A’ la lanterne!” come un tempo si diceva fra i proletari di Francia. Ossia: sfruttatori, profittatori e faccendieri di ogni razza appesi ai lampioni, attraverso un rito di piazza abbreviato e possibilmente sommario.
I persistenti disordini in quella provincia cinese che la propaganda imperialista-democratica ci presenta ossessivamente come “ex colonia britannica” dimenticando (come, del resto, gli “anarchici” di Hong Kong dimenticano) stranamente di dire che la somma potenza colonialista britannica, bianca civile e cristiana, conquistò questa base di penetrazione nella immensa Cina con ben tre guerre dell’oppio alla metà del secolo XIX° (tre guerre per imporre il commercio di droga: davvero alta e nobile missione della civiltà borghese!) sono estremamente pericolosi per la potenza capitalistica cinese poiché, se non sedati in tempo, essi possono fare da detonatore alle “pulsioni di libertà e democrazia” dei borghesi e dei piccolo-borghesi della Cina intera. Anch’essi mal tollerano i vincoli ed il controllo esercitato sulla società dal governo “comunista” ossia dal regime nazional-borghese che con estrema accortezza ed equilibrio ha guidato la società cinese nel suo straordinario sviluppo (capitalistico) e nei suoi straordinari successi (borghesi) di cui certamente anche il proletariato cinese ha beneficiato. E queste istanze di una classe sociale che preme per essere pienamente libera di vivere e di “realizzarsi” sulla base dello sfruttamento del proletariato, minacciosamente rischiano di conseguenza e per reazione di richiamare in campo ed in azione l’enorme esercito degli schiavi salariati cinesi. La cosa più aborrita dal governo e dallo Stato borghese di Pechino.
Esso potrà ricorrere ai carri armati dell’esercito popolare, come misura estrema per il ripristino dell’ordine (misura a cui del resto ricorre ogni Stato borghese quando minacciato di sedizione), ma certamente non alla mobilitazione dei proletari cinesi, a cominciare da quelli di Hong Kong evidentemente, per mettere in riga e reprimere la sedizione “autonomista” e la feccia sociale che ne è protagonista in piazza. Cosa che invece un potere di classe proletario, un governo autenticamente comunista, dovrebbe senz’altro e senza esitazioni fare.
Dunque in tutta questa esplosiva questione ci è balzata agli occhi la posizione assunta dagli “anarchici” di Hong Kong i quali si propongono come la parte “più radicale ed avanzata” della protesta di piazza “per la libertà” contro il sistema oppressivo, descritto in stile Orwell 1984, che il totalitarismo cinese (“Uno Stato governato da una sinistra autoritaria” come lo definiscono: il peggio del peggio, la bestia più bestia per gli “anti-autoritari” che dovrebbero avere la coerenza ed il coraggio di dire chiaramente che un governo borghese liberal-democratico è preferibile) pretende di imporre nella storica zona franca “oasi di ricchezza e libertà”.
Rimandiamo alla lettura del corposo documento degli “anarchici” di Hong Kong pubblicato da “CrimethInc.” il 22 giugno 2019 e ripreso integralmente dai compagni anarchici (senza virgolette) francesi di “Paris en lutte”. Qui solo ne traiamo il succo contenuto che trasuda di spirito liberale-radicale, ferocemente anti-classista ed anti-comunista.
Si tratta di un documento estremamente interessante perché fornisce il quadro delle forze in campo ed il panorama delle tendenze politiche presenti “nel movimento di lotta”, non potendo esimersi dal negare l’evidenza delle manovre dell’imperialismo occidentale per pilotarlo. Ci trasmette inoltre la descrizione del carattere mostruoso di quel paradiso capitalistico, di quel cancro capitalistico, ove le vite degli esseri umani sono incatenate al business, al suo incessante e folle ruotare e ove per i proletari, per gli sfruttati, vige la più spietata legge della lotta quotidiana per la sopravvivenza. Cappa di oppressione tanto più insopportabile in quanto gestita “in nome e per il bene del popolo” da funzionari della borghesia rossa, pretesi “comunisti”.
Data la descrizione, che non contestiamo affatto, del cancro capitalistico chiamato Hong Kong ma il cui sviluppo mostruoso non mettiamo sul groppone solo al governo “autoritario di sinistra” di Pechino (che è invece l’unica cosa che sta a cuore ai libertari di Hong Kong) la questione è esattamente questa: come estirpare un tale cancro? Come rovesciare da cima a fondo il presente cancerogeno stato capitalistico delle cose? Quale forza sociale, quale classe può e deve condurre la lotta per la necessaria rivoluzione e liberazione sociale? Ebbene il succo è tutto qui: GLI "ANARCHICI" DI HONG KONG, PUNTA ESTREMA E RADICALE DELLA DEMOCRAZIA, NON HANNO UNA PAROLA CHE SIA UNA PER GLI SCHIAVI SALARIATI, PER IL PROLETARIATO CINESE. <b>NON UNA!<b/> PER QUESTO TIPO DI "ANARCHICI" I PROLETARI DI HONG KONG SONO SEPARATI DAI FRATELLI DI CLASSE DELLA "CINA CONTINENTALE" E TALI DEBBONO RIMANERE. Per spezzare la cappa oppressiva generata dagli interessi del business di ogni razza e colore ci si dovrebbe appellare al proletariato cinese, l’ultima cosa che passi per la testa agli “anarchici” di Hong Kong, anzi cosa aborrita più di ogni altra. In questo specularmente simili all’odiato governo “della sinistra autoritaria” di Pechino la cui intromissione nell’”oasi di ricchezza e libertà” ne guasta gli affari.
Mettiamo perciò le virgolette sugli
“anarchici” di
cui diciamo e non perché adombriamo che essi figurino fra i
tanti
soggetti a libro paga dei miliardari di Hong Kong o
dell’imperialismo
occidentale. Questa genìa di “anarchici”
pretende in fondo, detto
brutalmente e semplicemente, di farsi i cazzi propri nella loro oasi
autonoma e possibilmente indipendente. E che il proletariato cinese si
faccia i cazzi suoi e non si intrometta negli affari interni di
quell’”oasi di ricchezza e
libertà” che ritornerebbe ad essere Hong
Kong se liberata dal controllo cinese. Oasi in cui semmai, nelle
fantasie di questo genere di libertari, si tratterebbe di battersi per
realizzare una specie di “società anti-autoritaria
…in un paese solo”,
anzi in una oasi sola.
Per intanto, alla faccia degli starnazzi del campo “della
democrazia e della libertà” comprese le
sue punte estreme
libertarie, l’imperialismo occidentale si tolga dalla testa
di passare
ad Hong Kong e nel resto della Cina. La sua azione può solo
suscitare
una sempre più dura reazione da parte dello Stato borghese
cinese,
socio d’affari e concorrente al tempo stesso nel quadro del
capitalismo
mondiale. Più sbatte la testa contro il muro, più
diventa isterico. Più
si avvicina il momento che a rimettere le cose a posto, tanto
nell’infernale paradiso capitalistico di Hong Kong quanto
nella Cina
intera non sia lo Stato borghese di Pechino ma la Forza del
proletariato cinese. Parola d’ordine: borghesi, businessmen,
sfruttatori di ogni razza e colore: à la lanterne!
17 agosto 2019