nucleo comunista internazionalista
note




Senza esclusione di colpi la lotta attorno a Berlusconi e al suo governo

TENIAMO STRETTA IN MANO LA BUSSOLA:
INDIPENDENZA ED ORGANIZZAZIONE
DI CLASSE CONTRO OGNI BANDA BORGHESE

La Repubblica

Non sentiamo davvero alcun bisogno di esibire i nostri accrediti di “antiberlusconismo” dinanzi ai molti e dispari nemici del Cavaliere per entrare nel “fronte unico” costituitosi attorno a quest’insegna; anzi, curiamo moltissimo a tenercene il più lontano possibile, convinti, per paragrafare un vecchio detto della sinistra comunista rispetto al fascismo, che il frutto peggiore del “berlusconismo” è proprio l’”antiberlusconismo”. E non è una semplice boutade, come poi vedremo.

Da sempre siamo stati antagonisti tenaci della compagine di centro–destra capitanata da Silvio Berlusconi pur attraverso alternanti vicende e cambiamenti strutturali interni in quanto forza totalmente e coerentemente espressione di interessi capitalistici, e solo capitalistici (quindi antiproletari per definizione). Diciamo di e non degli interessi del capitale in quanto non confondiamo dei particolari fasci di esso con una sorta di assoluto capitalista in atto sempre eguale a sé stesso di cui ogni e qualsiasi formazione borghese sarebbe interprete indifferenziata (tanto valga a parare il ritornello superestremista sono tutti eguali “per definizione”; l’unico punto comune tra le varie formazioni in oggetto è il carattere unitario antiproletario, articolabile però in vari modi, a seconda dei blocchi dirigenti e delle situazioni, che noi né mettiamo astrattamente sullo stesso piano né sceveriamo per andarcene a sceglierne uno a noi più conveniente).

Niente di “personale”, sciùr Silvio. Non abbiamo mai abboccato alla favola degli “esclusivi interessi personali” che ti attribuiscono o a quella del “conflitto d’interessi”. Un blocco come quello del centro–destra non può per sua natura ridursi alla prima ipotesi. Quanto al secondo, crediamo di sapere che i potentati capitalistici non hanno bisogno di autorappresentarsi nella forma di un governo esercitato di persona: dalla FIAT a De Benedetti costoro hanno saputo sempre farsi valere attraverso i propri accomandatari indiretti di volta in volta chiamati a governare come “indipendenti” dai loro interessi (personali?, no!) “in nome del popolo sovrano”. Il vero “conflitto d’interessi” sta, per noi marxisti, altrove. Già detto inequivocabilmente nel lontano congresso del PSI di Ancona del ’14 di cui riportiamo in allegato l’intervento di Bordiga, oggi più che mai d’attualità rispetto alla truffa del “blocco degli onesti”... disinteressati in cui ci si vorrebbe coinvolgere ed a tutta una serie di altri problemi odiernissimi (tipo “questione meridionale”).

Quindi: l’essenziale dell’azione del governo PDL–Lega è che essa realmente incarna interessi collettivi, nazionali, di una determinata classe (in cui certamente trovano il loro “giusto” spazio quelli di particolari settori ed aziende “personali”). Interessi cui sono parimenti (non “egualmente”, a monoblocco) legati i suoi oppositori. Interessi antagonisti coi nostri in entrambi i casi. E questo è quanto.

Ai tempi della nostra partecipazione, forse non del tutto secondaria, al Che fare, insistemmo invariabilmente su questo tasto: battere il governo Berlusconi in piazza in quanto espressione del nostro comune antagonismo all’insieme del fronte borghese. La “piazza”, beninteso, non è un luogo, ma un richiamo ad un determinato soggetto agente, il proletariato, ai suoi programmi politici, alla sua azione diretta di classe. Più tardi è sembrato a qualcuno che se proprio non eravamo riusciti nell’impresa dichiarata con quest’insegna avevamo però segnato dei punti a nostro favore indirettamente attraverso il gioco delle urne grazie ad uno spostamento di forze “a sinistra”, “frutto delle mobilitazioni e delle lotte proletarie”, talché il neonato governo Prodi ne avrebbe dovuto tener conto e, in parte, si scrisse anche, lo stava facendo. La sbornietta è stata rapidamente smaltita, ma, ci sembra, solo a metà e suscettibile di ben peggiori ritorni alcolici, come dimostra il silviocentrismo delle successive prese di posizioni dell’OCI, sino all’inverosimile in certi casi; il che apre la strada oggettivamente alla sostituzione della nostra piazza d’un tempo con quelle attuali, dominate da un personale disgustoso di “benpensanti incorrotti” tali da convogliare in esse, se non adeguatamente contrastate, settori di proletariato allo sbando (e da sbandare ulteriormente) in nome di interessi non meno opposti ad esso.

Il problema che oggi ci si pone è questo: quali forze incarnano l’attuale “antiberlusconismo”?, attraverso quali modi d’azione?, con quali finalità? Se davvero cercheremo di rispondere adeguatamente a tale quesito ne vedremo delle belle. Il fronte in questione è talmente largo (ed uniforme quanto a contenuti forcaioli, non di rado reazionari rispetto alla stessa compagine governativa) da metter logicamente capo all’ultima proposta “estrema” del duo Vendola–Fava: imbarchiamo sulla nostra nave l’UDC, e il gioco sarà fatto (Cuffaro buon mozzo tra “compagni”, tanto per dire). Nel gioco non cascheranno i compagni veri, ma essi stiano bene attenti a non farsi oggettivamente sommergere dall’”onda” in oggetto.

Non ripeteremo qui tutti i nostri solidi e ben noti motivi di ripulsa antagonista rispetto al cosiddetto “berlusconismo” in quanto blocco borghese –e non caso personale– da cima a fondo antiproletario, ma affronteremo la questione del blocco ad esso avverso mettendo in guardia i compagni da rodomontate pseudoestremistiche che finiscono per scansare proprio il problema di cosa rappresenti la pretesa “alternativa” pesante in campo; col che facilmente si finisce per coniugare l’ultra–antiberlusconismo con l’accodamento (sia pure involontario) ad essa. Nei primi anni settanta Lotta Continua si inventava addirittura il “fanfascismo” (da Amintore Fanfani, uno dei maggiori “cavalli di razza” e uomo di potere della allora DC), e poteva sembrare agli ingenui il massimo della bandiera rivoluzionaria. Lo sbocco fu l’inno di vittoria cantato per i trionfi elettorali del PCI come “espressione dell’autonoma volontà rivoluzionaria del proletariato” e, successivamente, lo scioglimento della propria organizzazione per esaurimento dei compiti chiamata a svolgere lasciando in brache di tela tanti validi compagni di base mentre i capi “rivoluzionari” andavano progressivamente ad occupare i posti di comando ad essi spettanti. Non ripetiamo questa tragica farsa! La gara all’ultra(sinistro)antiberlusconismo è come il catch: senza esclusione di colpi. Ci si può credere ultra in questo senso imputando a Silvio (citiamo da cose lette realmente!) il terremoto d’Abruzzo e l’occupazione militare del territorio con dura repressione del “popolo” per dare poi gli appalti della ricostruzione alla mafia e privando nel frattempo la gente di vino e caffè sostituiti da droga a palate; le frane del messinese; gli affondamenti dei barconi di immigrati; il bavaglio alla stampa come nel ’26 (su Repubblica F. Cordero ci assicura, anzi, che a Silvio mancano solo i baffetti per diventare tale e quale Hitler!); gli assalti ed “omicidi” dei gay (tema oggi di supermoda in sostituzione di altri: proletariato, poni caso); etc. etc. all’infinito. All’eccesso buffonesco di simili denunzie corrisponde un silenzio pressoché assoluto sulla controparte d’opposizione. E l’esito di tutto ciò è decisamente segnato, al di là di ogni e qualsiasi buona “intenzione”.

Ma non sono certo le sparate rodomontesche di certi gruppetti pseudocomunisti a imprimere all’attacco a Berlusconi il senso di marcia. Le squadre d’assalto al cavaliere sono quelle di determinati poteri forti ai quali i suddetti si limitano ad accodarsi. Quali poteri?

SQUADRA D’ASSALTO NUMERO UNO: LA MAGISTRATURA

La Magistratura sin dall’inizio ha dato a questo fronte il suo contributo essenziale continuando il lavoro di “mani pulite”. Lo si era fatto con Craxi ed Andreotti, rei di furto con scasso e mafia addirittura, scoperti –non casualmente– con le mani in questi sacchi dopo il tentativo da essi perpetrato di smarcarsi in qualche modo dal bastone di comando USA (il caso Sigonella e certe manovre di penetrazione autonoma nell’area medio–orientale ed oltre insegnano, così come poi certi smarcamenti rispetto alla questione jugoslava). Non che mancassero, dio ce ne scampi!, i motivi legali cui appigliarsi: solo che questi rappresentavano unicamente la prosecuzione di una consolidata prassi mai precedentemente messa in causa e qui “scoperta” selettivamente per far fuori un abbozzo di classe dirigente scomoda a qualcuno per tutt’altri motivi. Operazione perfettamente riuscita data la manifesta friabilità degli informi gruppi dirigenti PSI–DC, incapaci di rispondere all’attacco con la forza di un blocco sociale e politico coeso e forte (Craxi isolato dagli stessi “suoi” e “costretto” a ripararsi nell’esilio in mancanza di una adeguata spina dorsale, non solo “personale”, va da sé; la vecchia DC squagliatasi in vista di una “nuova ricomposizione”). Altre forze politiche lasciate opportunamente indenni e gli scomparsi eccellenti destinati a... ricomparire come esponenti della “nuova repubblica” –non occorre che ne citiamo i nomi in esubero!–. Trionfo del camaleontismo!

Con Berlusconi, improvvido nuovo entrato in scena, in rappresentanza di aggressive spinte anticonsociative, le “mani pulite” si sono scoperte ancor più pulite, da “più bianco non si può” ed è iniziata quella che non esitiamo a definire una vera e propria persecuzione giudiziaria (sempre sottinteso che i pretesti reali non mancavano) per determinarne l’estromissione per via extraparlamentare (operazione di cui gli apparati dello Stato sono maestri), sino alla recentissima sentenza “civilistica” sul Lodo Mondadori, giunta a tempi (politici) propizi ben studiati e che, in pratica, significa: non riesco a mandarti in galera, e allora ti esproprio. Berlusconi rappresentava per la corporazione della Magistratura una duplice minaccia: quella dell’impraticabilità di un nuovo assetto governativo di “unità nazionale” disegnata a tavolino sui tavoli delle procure per il “rinnovamento” nella continuità dei vecchi apparati di potere (con l’ex–PCI compartecipe dell’operazione per cloroformizzare definitivamente il proletariato in nome del “compromesso storico” di unità nazionale tra gli “onesti”) e quella della messa in causa dell’“autonomia della Magistratura” minacciata dai disegni di “riforma complessiva dello Stato” da parte del centro–destra. Troppo per una corporazione che era saputa uscire indenne dalla caduta del Fascismo traghettandosi tale e quale nel post–fascismo e intesa a conservarsi intatta allo stesso modo nel trapasso dalla “prima” alla “seconda” repubblica! In maniera alquanto paradossale, si deve ad un redattore dell’Espresso un’analisi impietosa di questa supercasta che un qualsiasi sussulto di “volontà popolare” tenderebbe a spazzar via; ma se poi essa può tornar utile alla causa antiberlusconiana, allora...

Aumenta di giorno in giorno il numero di quelli che, nel campo politico–sociale, in odio (odio “di per sé” del tutto giustificato!) a Berlusconi, si aggrappano all’“ancora di salvezza” dell’autonomia e dell’imparzialità super partes (buona questa!) della Magistratura. La Magistratura, come l’Esercito d’altronde, “custodi della Nazione”! Per definizione. Sia stabilito, allora, il principio: questi organi sono i nostri inflessibili custodi, anche quando (vero?) dei bravi, autonomi e sovrani, magistrati assolvono certi capi della Polizia (altro baluardo super partes!) per i fatti di Genova e somministrano sino a 15 anni di carcere a cattivi black block; quando rimettono in libertà mafiosi accertati, o per “vizi di forma” o intruppandoli come collaboratori di comodo per ulteriori inchieste ad hoc, e, all’uopo si fanno tramite di trattative esplicite Stato–mafia; o quando i “nostri ragazzi” scorazzano in “missioni di pace” –omicide e suicide, per qualcuno fuori dal Palazzo, ma utile ad esso–, di cui nessuna Corte Costituzionale si preoccupa di accertare la congruità con gli articoli della Costituzione cui si appellano i soliti fessi. Il “popolaccio” da parte sua ha ben capito, spesso sulla propria pelle, che l’insegna “la giustizia è eguale per tutti” è una macabra barzelletta di cui si può anche sorridere una volta, ma che non è bene ci venga ripetuta troppo spesso e che la Costituzione sovrana cui ci si appella è una sorta di rotolone Regina “che non finisce mai” adatta a poco nobili scopi.

SQUADRA D’ASSALTO NUMERO DUE: IL “GOSSIP”

Secondo affondo: il “gossip”, protagonista “il partito di Repubblica”, ben addestrato a spargere l’opportuno letame su cui le mosche cocchiere della stessa ultrasinistra si affrettano a tuffarsi scambiandolo per miele. Si è cominciato con la lettera di Veronica Lario, cui concediamo mille ed una ragione di disgusto nei confronti del consorte ed i cui contenuti mirabilmente affrontavano dei problemi non personali, ma di costume generalizzato invasivi della società attuale che andrebbero ulteriormente ed adeguatamente svolti a tutto campo per la loro valenza complessiva di messa in causa dei “valori” della presente società. Solo che un tale compito, del tutto consono a criteri nostri, marxisti, è stato opportunamente lasciato cadere da parte della stessa firmataria della lettera (a nostro parere confezionata su commissione da altri; ci potremmo sbagliare, ma, in questo caso, Veronica batta ulteriori colpi in pubblico in prima persona non ritirando la mano dal sasso lanciato, o fatto lanciare), lasciata cadere da Repubblica, cui per tutt’altro serviva e da pressoché tutti gli altri, estremosinistri in prima fila, appagati del petardone lanciato sulla testa (esclusiva) del “nemico pubblico numero unico” (ed esclusivo). A ciò è seguito un torrente di “scoperte” di imbarazzanti fatti privati del signor Berlusconi attraverso la chiamata alle armi di compiacenti ed interessate escort addestrate a gettar l’esca e raccogliere le prove d’obbligo sulle sconcezze del neo–Duce. All’occorrenza Ida Dominijanni sul Manifesto sarà capace di trasformare l’escort numero uno di questa studiata operazione in una sorta di Maria Goretti sacrificatasi per una “giusta causa”.porcile

“Un uomo così non può rappresentare il Paese!”. Commovente!

Noi siamo ben lungi dal sottoscrivere le controdifese sul tema del calibro del vomitevole Feltri che scrive: tutti lo fanno o desiderebbero farlo e se Berlusconi, che “ha un debole per la gnocca” (testuale!) si appaga nel modo che sappiamo buon per lui in quanto rappresentante “fortunato” del paese reale; e,comunque, si tratta di “fatti privati” fuori dalla sfera politica. No, per noi “il privato è politico”, ma, proprio a questa stregua, assolviamo Berlusconi in quanto “caso anomalo” e lo condanniamo in quanto espressione di un generale degrado sociale (“culturale”, dice qualcuno) di cui egli è, in nutritissima compagnia, espressione ed agente. Questo il tema centrale, non scantonabile (diamo atto a qualcuno anche nei nostri paraggi di averne tracciato un abbozzo poi, però, abortito nel ridotto del solito riduzionismo antiberlusconiano ad personam).

Gli unici, assieme a noi marxisti, ma su linee di fondo in rotta di collisione con le nostre, ad aver diritto di parlare anche di “gossip” di questo genere in maniera non ipocrita e strumentale sarebbero quelli tipo Famiglia Cristiana, cui si deve uno sforzo coerente di legare i fatti “privati” del premier ad una situazione, come si diceva, di degrado generalizzato della società (noi diciamo: di questa putrescente società capitalista). A Famiglia Cristiana si devono, ad esempio, circostanziate denunzie sulla progressiva “perdita di valori” in tutti i rami della “vita civile”, sull’abbrutimento di quelli che dovrebbero essere dei rapporti umani tra persone umane in nome di una crescente mercificazione di corpi e cervelli (si leggano le inchieste sul “malcostume” dilagante grazie ai mass–media a tutti i livelli, dal veliname addetto al “riposo del guerriero”, preferibilmente calcistico, ai reality giocati sulla concorrenza spietata tra persone–oggetti, alle porcate alla De Filippi etc. etc. Onore a gente del genere (e maggiore ancora se fosse capace di affrontare alla stessa stregua il ricorrente letamaio da “gossip” che investe certi ambienti ecclesiastici). Cosa manca a questa pur encomiabile rivolta alle “cose come stanno”? Il superamento di un richiamo a presunti “valori tradizionali” da “ripristinare”, in nome della triade Dio Patria e Famiglia, quasi che il loro definitivo azzeramento non fosse dovuto a ben precise leggi di mercato che mettono in causa i pilastri stessi fondamentali su cui si regge l’attuale sistema. Un sistema che, dopo aver fatto del lavoro umano una semplice merce da spremere in nome del profitto, non può arrestarsi lì, ma deve, per sua stessa natura, tutto mercificare, a cominciare dalla famosa “gnocca” e dal suo innominabile corrispettivo maschile in quanto oggetti di consumo (solvibili) cui il mercato è in grado di offrire sempre nuovi sbocchi allargati. Per questo si arriva, si può e si deve arrivare, ai risultati ultimi che abbiamo sotto gli occhi di ragazze che “la danno” per la ricarica del telefonino, di ragazzi poco più che imberbi indotti alla ricerca di un “buco” per riempire il quale, in mancanza di stimoli sessuali–umani adeguati, occorre il supporto di video hard o, addirittura, di viagra come stimolanti. Hai voglia di decantare i valori, magari, della castità e lasciar intatto l’immenso lupanare capitalistico che tutto ciò produce!

Fenomeno “berlusconiano”! Ma fateci il piacere! Non c’è angolo del mondo in cui questo sistema la fa da padrone che tutto questo non si verifichi secondo le stesse “leggi di mercato”. Addirittura nei paesi di recente “emancipazione dal comunismo”, meglio se più poveri, questo modello consumistico impazza oltre ogni limite (e riviste “serie” come l’intemerato Espresso vi guideranno diligentemente alla scoperta dei luoghi d’incontro in cui potervi “scaricare”). La plutocrazia è di per sé stessa pornocrazia. Il povero megalomane Silvio può ben illudersi che le conquiste da lui fatte siano frutto del suo fascino individuale. Lo sono del potere materiale che egli incarna, alla stessa maniera per cui un Cassano che in tuta d’operaio non riuscirebbe a cavare un ragno dal buco “si fa” una donna alla settimana (700 sin qui: penultimo dato). Rassicurati, Silvio: se il gobbo di Notre Dame fosse stato padrone di Mediaset, altro che un’Esmeralda!

Intanto, però, voi riscoperte verginelle di “sinistra” fatevi da parte dal tema: i modelli “morali” cui vi riferite non si discostano di un millimetro dall’”etica” ufficiale, come, forse, altra volta documenteremo e questi, disgraziatamente, trovano facilmente spazio persino in ambito gruppettaro di compagni gelosi non meno di Silvio della loro scivolosa privacy da difendere (all’insegna del “cazzi miei”). La conosciamo bene la storia!

Una postilla educativa: di Benito erano ben noti gli strapazzi erotici, già incominciati in periodo socialista (tanto per dire rispetto all’ultima nostra notazione!), ma, allora, nessun antifascista umanamente serio ha mai pensato di farne un’arma di battaglia “politica”, nemmeno sul Becco Giallo. Come mai? Perché? Per l’accertata differenza tra pressanti questioni sociali ed affari d’alcova, per quanto spregevoli. Allo stesso modo, per stare nell’esempio, se noi fossimo (come siamo) a conoscenza di certe avventure con ballerine brasiliane con effetto collaterale da figlio da nascondere da parte di un esponente di un partito ultragossipar–moralista ci asterremmo (ci asteniamo) da pseudo “campagne politiche” nei suoi confronti. Le lenzuola, lo sappiamo, non sono linde: ma, allora, o lasciate alle prediche dei preti le loro pretese da scassate lavatrici o combattete con noi comunisti contro la fogna generalizzata presente; e, intanto, non fatele svolazzare, ché mal potrebbe incogliervi.

SQUADRA D’ASSALTO NUMERO TRE: LA “LIBERA” STAMPA ITALIANA

micromegaBufala finale: l’attacco alla libertà di stampa, con tanto di piazzate indette da intemerati pennaioli e paroliberi del capitale, con tutta la “sinistra” –ormai incapace di gestire da sé la piazza– che si accoda. “Ci è tolto il diritto di esprimerci liberamente”. Lo dicono Repubblica, il Corriere, la Stampa, il Messaggero, Annozero, Fazio, la congrega dei tragicomici TV e i rappresentanti di tante testate tenute artificialmente in vita dai contribuiti pubblici statali (in barba alle “leggi di mercato”) etc.etc. Protestano veementemente quegli organi di informazione che si fingono indipendenti... a servizio di particolari interessi economici non propriamente espressione del “volere del popolo” ed i mantenuti a costo zero. Lontanissimo il ricordo di organi di partito proletari che vivevano della passione dei propri militanti e che mai si sarebbero sognati di protestare con Giolitti per mancati fondi “a perdere” da parte del governo. O forse dovremmo anche noi, come Nucleo, esigere fondi di stato per la nostra politica... antistatale? Fingere che l’adesione al “berlusconismo” dipenda dal suo monopolio sui mezzi di informazione, quando questi erano, al momento del suo emergere, e restano tuttora prepotentemente in mano ai suoi avversari, è il colmo dell’impudenza. Non ci risulta, d’altra parte, che Lenin abbia potuto fare “democraticamente” la sua rivoluzione perché messo in condizioni di “partecipazione paritaria” ai mass–media dell’epoca da parte dello zarismo. O, se volete un esempio più recente (non precisamente nostro): Chavez aveva contro di sé un monopolio iper–berlusconiano dei mezzi d’informazione venezuelani, ma è egualmente riuscito a farsene beffe grazie ad una mobilitazione di popolo a sostegno della sua “rivoluzione”. Ma voi cosa avete da dire e da fare contro questo “regime”? Nient’altro che la pretesa di sostituire al “berlusconismo” un’opposta ganga affaristica cui, guarda caso, manca solo il popolo (che non sta in Svizzera e non maneggia milioni). Ci fosse stata una presenza comunista autentica sarebbe scesa in piazza a rinfacciare a questa banda di profittatori il merdaio antiproletario di cui essa è espressione per richiamare a sé gli “ingenui” trascinati dietro il suo carro a difendere un monopolio largamente immaginario a favore di opposti monopoli in mani altrettanto a noi ostili. In presenza di una reale lotta di classe nessun monopolio dei mass–media varrebbe a contrastare il monopolio dell’antagonismo proletario da parte di un vero partito comunista. Che, sbarazzatosi di Berlusconi, farebbe strame della stampa e TV di regime “alternativa” che oggi ci appesta.

QUARTA SQUADRA D’ASSALTO: LA STAMPA ESTERA (QUALE?)

Affondo extra: la stampa “internazionale” dichiara “unanime” (cioè: Washington più Londra) che Berlusconi deve andarsene via in quanto sporcaccione, farabutto etc. etc. La Repubblica e tutta l’accolita dell’opposizione, sempre coi fessi “ultrasinistri” in prima fila, esulta: il nostro SOS è stato raccolto da parte degli imparziali giudici internazionali che ci danno ragione e ci vengono in soccorso. Sembra sia stato finalmente ascoltato l’appello del superfesso Asor Rosa (che se superfesso non fosse dovrebbe essere qualificato come supermascalzone: scelga lui!) all’intervento dei “liberatori democratici” esteri, come nel caso della seconda guerra mondiale, allorché gli anglo–americani sono disinteressatamente intervenuti per emanciparci dal nostro fascismo (ed imporre il superfascismo loro). Ma di quale stampa internazionale e come espressione di quali specifici interessi si tratta? Per quanto scarse siano le nostre frequentazioni nel campo dell’edicolame internazionale, ci sembra di poter concludere che talune eccentricità e, per dirla tutta, esibizioni da baraccone di Berlusconi possono costituire per certa stampa mondiale un elemento di colore da cui attingere (anche se il neo–sindaco conservatore di Londra lo batte di gran lunga su questo terreno) per il ludibrio del pubblico, ma senza che ciò significhi un attacco a tutto campo contro non un dato personaggio, ma contro un paese concorrente di cui egli è “comunque” espressione. Per francesi e tedeschi (con certe condizionali, non precisamente disinteressate), per russi e cinesi, per i palestinesi (sino ad Hamas) che ringraziano Berlusconi per il suo impegno “umanitario” etc.etc. Berlusconi resta un partner (se ne potrebbero trovare dei migliori? Certo, ma non dal lato dei suoi attuali oppositori) di una politica europeista (per noi: euro–capital–imperialista) non prona agli interessi anglo–americani. E, guarda caso, proprio da quest’ultima trincea arrivano i più accesi attacchi a Berlusconi. Perché è andato alla festa di compleanno della Noemi o si è dato da fare con la D’Addario? No, perché ha manifestato un inizio di iniziativa autonoma in settori strategici mondiali sin qui considerati campo esclusivo degli interessi imperialistici anglo–americani. Primo: i rapporti privilegiati con Putin (sin dai tempi degli amori per Bush), fattore potenzialmente scardinante dell’attuale ordine mondiale sottoposto alla loro tradizionale tutela (tanto da evocare un intervento ipotetico dei servizi segreti russi contro un complotto reale da parte loro ai danni di certe spinte indipendentiste da parte dei propri “sottoposti”); poi: i buoni rapporti avviati con la Cina; e ancora: una certa politica medio–orientale dall’Algeria alla Palestina non “allineata”; gli accordi con la Libia (sui quali i nostri s’indignano per il riconoscimento che gli ex–colonizzatori siano tenuti a risarcire qualcosa!); il triangolo d’affari Russia–Turchia–Italia quanto al gas. La mano allungata dall’ENI sul petrolio iracheno a beffa di qualche extraitaliano eccellente (e ricordiamoci sempre il caso Mattei!) etc. etc., sino ad arrivare ad esili accenni al disimpegno dall’Afghanistan ed alle raccomandazioni agli “amici” israeliani di smetterla con l’estensione della colonizzazioni dei territori palestinesi. Negli ultimi giorni il Times tira fuori dal cassetto loschi giri di danaro Italia–talebani –non estranei anche a governi antiberlusconiani, attenti!–, e si preoccupa di dimostrare che mentre Gordon Brown (il “progressista”!) ingrossa il proprio contingente “antiterrorista” in Afghanistan, gli italiani se ne ritraggono. Lasciamo ai cretini o delinquenti di certa “ultrasinistra” di gioire degli attacchi a Berlusconi da parte del super–imperialismo anglo–americano in quanto “sconfessione” dei suoi “antidemocratici” rapporti con lo zar Putin o i cinesi oppressori del Dalai Lama etc.etc. , dopo di che, come da desiderata dei vari Asor Rosa, ritorneremmo liberi... a stelle e strisce. Nel corso della resistenza, mentre valorosi, ma illusi, proletari lottavano armi in mano convinti di farlo per la propria causa, i “loro” stati maggiori prendevano i soldi dagli industriali “convertitisi” all’antifascismo e gli ordini da Londra e Washington, con supervisione moscovita. Oggi le armi proletarie, anche all’impotente livello di allora, sono sparite: rimane il resto. Buon pro vi faccia! Gli ultimi incontri “privati” Berlusconi–Putin, con conseguente ratifica di affaroni nazionali per Finmeccanica (e non Mediaset) hanno indignato il buon Rutelli che dal canale televisivo la 7 l’ha sparata francamente: è uno scandalo che Berlusconi vada da Putin senza il via libera del parlamento; è un superscandalo che intrecci rapporti con potenze estere fuori dagli assi del Patto Atlantico e dei vincoli che ci legano agli USA (papale papale!); all’estero (un certo estero, sappiamo benissimo quale) si guarda con diffidenza ad un’Italia che si permette simili licenze.

Un, per ora, limitato, settore di ex–compagni alla Claudio Moffa o La Grassa (quelli che a forza di “ripensare il marxismo” hanno deciso di affondarlo definitivamente), hanno prodotto delle precise analisi su questo tema che noi stessi saremmo in grado di sottoscrivere, con tutto quel che ne deriva come critic/sputtanamento di certi pretesi “marxisti” oggettivamente allineati al gioco imperialista anglo–americano, salvo un “piccolo” particolare: costoro, nello sforzo di opporsi ad esso, finiscono espressamente per aderire alla bandiera della Nazione Italia, dei suoi “legittimi posti al sole”, dell’idea della Grande Proletaria Italia. Mussolinismo puro di risulta in cui possono ritrovarsi ex–sovversivi di ogni risma, come in quel dì avvenne per tanti anarco–sindacalisti e “ribelli” piccolo–borghesi. Dato per essi da assodato che il proletariato non conta più nulla e, quindi, l’internazionalismo comunista si riduce a pura favola (tra l’altro non evocata da nessuno, tranne da noi quattro gatti a risultati immediati zero), ritorna valido il baluardo nazionale al di sopra delle classi. (Altri compagni in mora se ne discostano nella forma affidandosi all’insurrezione dei “paesi terzi”, magari con protagonista Chavez: nella sostanza è lo stesso tipo di ragionamento, borghesemente non italo–centrico, ma terzomondista).

Noi non diamo eccessivo peso “in sé” alle smanie di questi tipi, se non che le consideriamo sintomatiche di un certo disagio “sovversivo” che, incapace di ancorarsi allo zenit rivoluzionario di classe, naturalmente traduce la bolla “antiamericanista” (contrassegno storico della “sinistra” dal PCI post–’45, cioè dopo essersi messo a servizio degli anglo–americani nell’attesa, malripagata, dell’“addavenì Baffone” o...Palmiro sino a tutta la ganga recentissima di ultrasinistra in veste “rivoluzionaria” irredentista italiana) in rivendicazione nazionale interclassista. Ovvio anche per noi (si legga il Bordiga postbellico) che il cancro centrale da cui liberarsi è la strapotenza plutocratica–militare USA, con sua coda londinese, il cui abbattimento è condizione imprescindibile del socialismo: ma del socialismo per l’appunto, e non dell’”Italia proletaria in cammino”; del proletariato e non della “nazione”. Il fatto è che, a misura che i cosiddetti “comunisti rivoluzionari” non solo arretrano rispetto alle trincee di classe, ma, in nome di un antiberlusconismo viatico di improbabili “fronti democratici” si dimostrano pronti a darsi in affitto al capitalismo egemone, un certo “anticapitalismo” finisce per appiattirsi sul... proprio capitalismo in “concorrenza” (Mussolini insegna) con la demo–plutocrazia anglo–americana (e, se vogliamo, “giudaica”; la razza non c’entra, è ovvio, ma un centro affaristico sì). Se non si ripristina la barra, è inevitabile che si vada in questa direzione, ben oltre Berlusconi, non a caso da costoro salutato come “premonitore”, ma incoerente, flaccido. Ha torto Berlusconi a lamentarsi dell’attacco all’Italia (al concorrente capitalista italiano) da parte dei potentati economici stranieri di cui la loro stampa è semplice eco e strumento? No. Hanno torto i “ripensatori di Marx” ad accodarsi alle ragioni del capitalismo nazionale. Ed hanno doppiamente torto, a propria colossale vergogna, quanti da “sinistra” continuano ad ascoltare “radio Londra” ed a prenderne ordini.

FRONDE INTERNE AL PDL

fratelle coltelli


A completare il quadro, però, intervengono anche forze interne allo stesso PDL, Fini in testa, fino ad ieri (vedi Manifesto) bollato come inaffidabile falso post–fascista ed oggi portato sugli scudi come contraltare iper–democratico a Berlusconi, sino a far vignettare un Vauro politicamente in andropausa: “Per fortuna ch Fini c’è”. (Solo il povero Bottiglione, di recente, si è lasciato andare in un dibattito alla TV a rinfacciare al PDL l’imbarcata dei fascisti eredi delle leggi razziali del ’38 mettendoci dentro anche Fini) Dunque: Fini si scopre amico degli immigrati contro la Bossi–...Fini, vuole l’insegnamento islamico nelle scuole per i neo–cittadini italiani di tale fede, si erge a difesa dell’indipendenza e sovranità della Magistratura, vitupera i cattivi costumi personali del premier, è fedelissimo agli USA ed Israele, etc. etc. Che volete di più? Fini è diventato “uno dei nostri” e poco ci manca che sia chiamato a concorrere accanto alla triade Bersani–Franceschini–Marino alla guida dell’opposizione.

Che c’è dietro questa conversione sulla via di Damasco? Il fatto che Fini era già a suo tempo poco propenso a vedersi AN inghiottita nel PDL, evento cui è stato obbligato dai suoi stessi feldmarescialli, soprattutto nordisti. Il fatto che il peso della Lega sugli stessi orientamenti politici del PDL, Berlusconi in primis, sta decisamente spostando il baricentro della politica governativa fuori e contro i tradizionali orientamenti “nazional–unitari”, con tanto di camarille meridionalistiche di appoggio, della vecchia AN. Da qui la necessità di ritrovare una barra “centrista” di vecchio stampo, sia pur riverniciato, tipo antica alleanza DC–MSI.

Un’immagine viva del “progetto” finiano in incubazione (cui ci risulta si apprestino ad aderire varie fronde “berlusconiane”) ci è offerto da un breve flash del Manifesto (7 ottobre): “E oggi Montezemolo si scalda, ritratto di una pole position. Luca Cordero di Montezemolo non presenta il suo programma di governo, ma è come se lo presentasse. Non si candida al posto di Silvio Berlusconi, ma è come se si candidasse. “L’Italia è un paese bloccato. Muoviamoci!”, è il titolo del lavoro sulla mobilità sociale con cui esordisce in pubblico l’associazione Italia Futura. Cui Montezemolo fa da chaperon, dando una mano –sostiene– a un “think tank all’americana” di giovani economisti. Oggi più tank, però. Perché al suo fianco siederanno Gianfranco Fini ed Enrico Letta, tre piloti per un test su strada di quel che in politica si vorrebbe chiamare Grande Centro. Un nuovo (vecchio) soggetto politico che lascia al palo i poli... Trasversale è l’aggettivo omnicomprensivo che sta dietro alla sua ipotetica scesa in campo, trasversale che significa da Fini a Casini passando per Rutelli e per Letta e per chissà quanti altri, banchieri,giornalisti, imprenditori inclusi. Più, primum inter pares, quell’ampia parte di mondo cattolico che a Berlusconi guarda oggi come al diavolo”. Un quadretto ben tratteggiato senza però dire una parola esplicita sui contenuti attorno ai quali si potrebbe enucleare un tale “progetto”, anche se i suoi cattivi (o buoni in quanto antiberlusconiani) soggetti sono elencati in bell’ordine. Intanto al pit stop c’è già certa “sinistra” che, in mancanza di una propria squadra, è pronta ad aggregarsi al team (potenzialmente) vincente. Noi restiamo alquanto scettici sulle possibilità vincenti di simile impresa che, quand’anche riuscisse a realizzarsi, costituirebbe comunque un’ulteriore scivolata “a sinistra” nel senso di un definitivo sbaraccamento di quel che resta di una presenza –per quanto strumentale e legata al cappio borghese– di interessi proletari da difendere. Altro che “per fortuna che Fini c’è”! Un neo–“compromesso storico” tra Grande Centro di questo tipo e “sinistra” farebbe rivoltare nella tomba persino il supercompromesso borghese Berlinguer! Agli “anti” va bene tutto: il Masaniello Di Pietro, laureato CEPU, i “tecnici” tipo Draghi o Montezemolo, anche la Marcegaglia quando critica Silvio perché offre alla Confindustria meno del richiesto, la Poli Bortone e Cuffaro... “Uccidete Berlusconi!”; in tanti, inconfessatamente, sperano che la bloggata si realizzi. A noi basterebbe licenziarlo in piazza vietando ai suoi concorrenti di occuparne lo spazio lasciato libero!

ALCUNE QUESTIONI POLITICHE VERE

Veniamo alle questioni di politica economica interna (vincolata al discorso di cui sopra).

Uno dei punti centrali dell’attività del governo Berlusconi attuale è costituito dalla polemica, dal conflitto con le grandi banche, uno degli autentici centri dei poteri forti italiani. Protagonista Tremonti, e cardine la Lega. Senza unanimità da parte del PDL, di cui una buona parte è incline a compromessi al ribasso così come lo è quanto agli indirizzi più spinti di politica estera (ed è la parte più reazionaria cui oggi guarda la “sinistra”). Di che si tratta? In breve, per Tremonti e soci l’asse portante dell’apparato produttivo nazionale è costituito dalle piccole e medie imprese, che certamente non costituiscono un optimum dal punto di vista del potenziale concorrenziale italiano, ma vanno preservate, incentivate e messe in grado, com’è d’obbligo, di “accorparsi” ed assumere dimensioni più adatte, costringendo le banche ad aprire ad esse i canali del credito. A ciò si contrappongono i giochi finanziari internazionali e gli interessi di grandi aziende protette (a cominciare dalla FIAT) alla coda dei grossi interessi egemoni “extranazionali” di cui ci si immagina di poter continuare ad essere beneficiari in seconda, e sempre grazie all’allineamento ai loro diktat politico–militari. Questo contrasto è ancora ai mezzi toni, ma tutt’altro che finto. La “sinistra” continua imperterrita a dire che questo governo “non ha previsto la crisi” (loro davano addirittura ad intendere che i conti erano definitamene sistemati e non restava che ridistribuire “tesoretti” fantasma dopo aver riversato tesori veri a qualcuno), e che occorrerebbe “incentivare gli investimenti” (più capitale più speranze per i sottoposti proletari!, classico economico borghese). Ma da dove tirar fuori i soldi? Dal taglio delle spese militari per le missioni all’estero: no, perché ad esse siamo tenuti da vincoli internazionali (quali?, come?). Dal taglio al parassitismo statale: no, perché questo è il bacino elettorale protetto di nostra spettanza. Dal ridisegno degli assetti contrattuali e pensionistici nemmeno, perché altrimenti quel che resta della nostra base operaia ci spara addosso. Ed allora? Il discorso tremontiano (“investimenti produttivi” vs speculazione finanziaria) sulle banche dovrebbe costituire l’argomento principe di una “sinistra” tradizionale. E, invece, siamo all’opposto. Gli ex profeti della “programmazione” e dell’”intervento regolatore dello Stato” (categorie espressamente fasciste oltre che newdealiste) trovano da ridire non sui “tentennamenti” di Tremonti nella sfida alle grandi banche, ma sulle sue tentazioni... dirigistiche. In sintonia ancora una volta con la banda di Repubblica la quale contro i piani di Tremonti tuona: “Questo non è riformismo liberale. E’ dirigismo reale”. (M. Giannini, Repubblica 1/10)

Anche la questione della Banca del Sud è emblematica. Non siamo in grado di dire come la cosa evolverà, anche perché in seno allo stesso PDL esiste una forte corrente di interessi molto “particolari” (e questo sì è un vero “conflitto d’interessi”!) per esigere dallo Stato mucchi di soldi da amministrare clientelarmente secondo un collaudato, vecchio schema collidente, però, con le possibilità e le esigenze di un capitalismo nazionale spinto, nella crisi, a centralizzare e razionalizzare il capitolo–spesa. Alla Banca del Sud s’impongono, perciò, compiti statal–dirigistici all’altezza della situazione contro gli stessi interessi privati delle grandi banche e contro il malcostume delle “libere elargizioni” dei politici pseudo–meridionalisti.

Agli inizi del suo governo, Mussolini si trovò di fronte alla richiesta di consimili “meridionalisti” pronti a batter cassa. La sua risposta (tutt’altro che scema) fu: proprio perché la “questione meridionale” è da noi, governo nazionale, tenuta nel massimo conto come questione nazionale sarà affar nostro prospettarle una soluzione centralmente adeguata non lasciando che le risorse nazionali “collettive” si disperdano per mille rivoli carsici. Oggi un Chiamparino, ad esempio, dice le stesse cose su altro versante: o il Sud sarà messo e si metterà da sé in grado di uscire dal vicolo cieco delle provvidenze statali a pioggia fuori controllo, o (attenti!) la linea già esistente di separazione e contrapposizione Nord–Sud finirà inevitabilmente per vedersi sanzionata nella definitiva divisione del paese. Discorso capitalisticamente ineccepibile.

Il paventato “partito del Sud” si è già dimostrato come una tendenza trasversale destra–sinistra, da Lombardo a Bassolino alla Poli Bortone etc.; e potenzialmente chissà quanti domani se lasciati galoppare a briglia sciolta come espressione delle peggiori spinte clientelari che sin dal ’14 la nostra corrente politica ha descritto e denunciato.

“POLITICHE SOCIALI” E CORPORATIVISMO

Qualche parola sulle politiche sociali interne.

E’ indubbio, e non dovrebbe neppure essere il caso di ri–sottolinearlo, che le spese della presente crisi ricadono in primo luogo sul proletariato (bassi salari, precarietà, disoccupazione etc.) con varie aggravanti per quanto concerne la sezione proletaria immigrata. Non si tratta né di novità esclusive italiane né di “scelte” berlusconiane, ma di pure e semplici esigenze capitalistiche. Quand’anche si riuscisse transitoriamente ad uscire dalla stretta della crisi attuale è indubitabile che il proletariato si troverà internazionalmente a fare i conti con situazioni di regresso globale rispetto alle “conquiste” precedenti su tutta la linea: livelli salariali e occupazionali, “diritti” e coesione interna (sempre che l’involucro capitalista non venga rotto: e noi non ne vediamo le immediate premesse).

Ma se vogliamo esaminare a fondo le misure “sociali” adottate da questo governo funzionalmente a questo tracciato obbligato vedremo che sarebbe riduttivo trattarle come un puro attacco “espropriativo” e di repressione... militar–poliziesca. C’è invece un’attenzione nel combinare un insieme di misure “protettive” (al ribasso) contro gli effetti “naturali” della crisi, all’insegna del famoso “nessuno sarà lasciato indietro”, con una linea tesa a frammentare ulteriormente il mondo del lavoro salariato al proprio interno ed a coinvolgerne i singoli spezzoni in una politica di compartecipazione corporativa. Una accorta linea di condotta, si noti, al fondo non dissimile da quella di altri governi di paesi imperialisti, dove ancora si può disporre di riserve per tenere la pace sociale al proprio interno. Pensiamo in particolare alla Francia, dove ugualmente una articolata rete protettiva di “ammortizzatori sociali” è messa in campo dal governo per contenere e rispondere al disagio ed alla collera proletaria. Il governo Sarkozy arriva anche “a cedere” a determinate concessioni di fronte alle lotte che esplodono, lascia sfogare gli operai, non scatena contro di essi la polizia che evita accuratamente lo scontro frontale; soprattutto opera a che le esplosioni di lotta non si canalizzino in un movimento unitario e per imprigionare e dividere la classe secondo le linee del corporativismo aziendalista e nazionalista, linee ormai universali e classiche della democrazia imperialista.

Dicendo ciò siamo ben lungi dall’addolcire l’opposizione frontale al “nostro” governo di centro–destra. Al contrario, e ben vediamo come dietro alla “maschera sociale” che esso si sforza di mettere in campo ci sia pronta e attiva tutta la strumentazione dello Stato democratico –dai manganelli, alla giustizia di classe– in difesa del suo ordine contro ogni possibile perturbazione di classe. Il “meno peggio” nell’utilizzo degli “ammortizzatori sociali” serve in questo caso proprio al peggio del peggio. Qualche pensierino in proposito devono esserselo fatto anche compagni a noi prossimi che da un lato rappresentano l’azione governativa come una sorta di terra bruciata alla Attila dall’altro computano (realisticamente) i danni provenienti da un coinvolgimento di strati proletari (ed anche dell’immigrazione) nel gioco bastone–carota in atto.

Detto ciò, non possiamo non constatare (senza assolutamente farcene commuovere) che il centro–destra, nelle sue articolazioni governo centrale–regioni–grandi comuni, è intervenuto in vari modi per evitare chiusure di fabbrica, licenziamenti di massa, privazione di ogni sostegno “resistenziale” da parte degli espulsi dal lavoro (che sono tantissimi –supponiamo non per “decisione” di Silvio–, come sono tantissimi, ad esempio, in paesi superbamente democratici, immuni dal berlusconismo, tipo la “socialista” Spagna e costretti ad una “vita da cani”, da baraccati, come nella stupenda America di Obama). Ovviamente, i salvataggi delle varie aziende in pericolo che s’è potuto salvare sono avvenute sotto il segno della triangolazione governo–azienda–lavoratori facendo di questi ultimi un elemento “cointeressato” e “compartecipe” alle sorti aziendali ed a quelle dell’economia nazionale secondo compatibilità capitalistiche. A ciò potrebbe opporsi la difesa dell’unità proletaria al di là dei recinti aziendalisti e locali e quella del contratto nazionale. Ma ciò implicherebbe una direzione (sindacale e di partito) capace di proporre una reale alternativa globale di classe attorno cui raggruppare le forze d’attacco. Ne siamo sideralmente lontani, ragion per cui il lavoratore lasciato solo con sé stesso ed indottrinato dalla stessa “opposizione” a “superare il classismo in nome della Nazione”, fa “razionalmente” i suoi calcoli immediati.

Emblematica al riguardo la vicenda in atto del contratto dei metalmeccanici, un boccone amaro e avvelenato che ci auguriamo possa essere ricacciato in gola, da una lotta operaia finalmente dispiegata a dovere, ai super–bonzi Cisl/Uil e coda Ugl che l’hanno siglato. La vediamo obiettivamente dura però, e non ci facciamo soverchie illusioni in proposito. Non perché manchino una volontà, una carica di rabbia ed energie proletarie da mettere in campo e da far pesare adeguatamente ma perché la lotta è affrontata dalla stessa Fiom (nemmeno dall’intera Cgil che per altre categorie sottoscrive tranquillamente accordi e contratti insieme ai super–bonzi di cui sopra) che la dirige con armi totalmente spuntate, totalmente inadeguate alla bisogna.

Abbiamo ascoltato il discorso e l’appello accorato di Rinaldini lanciato dopo la firma dell’accordo separato: inizia con una vibrata denuncia di “un colpo di stato in atto contro i lavoratori metalmeccanici”, finisce con la minaccia di... “ricorrere al Tribunale per invalidarlo”. C’è, per noi evidentemente, “qualcosa” di fondamentale che non quadra nella linea di difesa (linea Maginot?) a cui la dirigenza Fiom chiama ad attestarsi.

Ad un atto di forza –tale la sigla di un contratto di lavoro senza la firma del sindacato più rappresentativo– non si risponde alzando l’impotente grida di “lesa democrazia” ma solo si può utilmente rispondere gettando sul piatto altrettanta forza, la forza organizzata del nerbo centrale della classe operaia italiana. Che è precisamente l’ultima cosa a cui pensano non solo la maggioranza Cgil ma le sue stesse minoranze “ribelli” (ultima cosa per modo di dire, giacché non ci pensano proprio). Per non parlare dei Franceschini, dei Bersani, del “campo progressista” in generale cui disperatamente Rinaldini e i suoi si appellano affinché la lotta dei metalmeccanici sia raccolta e vi trovi una sponda politica. E le “grida di dolore” di Rinaldini trovano invece, sostanzialmente, le orecchie di mercante dei “compagni” e degli amici “progressisti”. Una risma di anti–berlusconiani che avrebbero tutto l’interesse a poggiare la loro politica borghese sullo sgabello offerto dalla lotta degli operai –debitamente incanalata dietro le insegne della “difesa della democrazia” e contro le “involuzioni autoritarie”– a patto però di riuscire a controllare e castrare sul nascere ogni istanza di classe e senza che alla piazza proletaria passi per la testa di poter condizionare, di poter far sentire il fiato sul collo ai “borghesi buoni” che dirigono la danza. Detto brutalmente: la lotta degli operai può anche tornare utile ai giochi di questa parte nelle manovre per defenestrare il Cavaliere alla condizione che gli operai restino massa di manovra e che i loro bisogni e le loro rivendicazioni rimangano comunque all’interno –Berlusconi o non Berlusconi– delle invalicabili compatibilità del capitalismo nazionale.

L’“anti–berlusconismo” è il frutto peggiore del “berlusconismo” abbiamo detto all’inizio. Chi ha ancora un minimo di sangue comunista nelle vene, capirà bene il motivo per cui abbiamo concentrato il fuoco della nostra artiglieria verso quella subdola banda borghese. Non ne abbiamo dubbio. Ci inoltriamo decisamente in uno scenario politico e sociale di confusione e di scontro in cui si incrociano le lotte fra le diverse frazioni della borghesia italiana, fra gli interessi delle “potenze straniere” più o meno “alleate” le quali sono intenzionate a giocare in Italia la loro partita andando se del caso fino fondo, come hanno fatto in Jugoslavia per intenderci. In altro intervento abbiamo parlato di bailamme in cui il proletariato italiano vi si addentra disarmato di ogni minimo indirizzo ed organizzazione di classe. A rischio quindi di essere trascinato dietro il carro di questa o di quella banda borghese e utilizzato da queste come massa di manovra.

Vediamo di non farci tramortire né cogliere impreparati dagli eventi che dietro l’angolo aspettano la nostra classe!
27 ottobre 2009




Intervento di Bordiga al Congresso del PSI di Ancona del 1914