In breve, a commento delle due “cartoline” da Parigi che abbiamo scelto, fra le tante altre assai significative. Consideratelo uno sfogo, niente di più di uno sfogo liberatorio. Quando ci vuole, ci vuole.
Al più presto possibile, se forze e capacità che sono quelle che sono ci sorreggeranno, verremo alla seconda puntata della nostra “cronaca politica” sugli eventi in corso in Francia. Anche se il movimento di rivolta sociale si eclissasse riassorbito dalle ampie concessioni a cui il governo Macron è stato costretto e sparisse improvvisamente così come improvvisamente è emerso in superficie più o meno due mesi addietro, le lezioni che già ci sono state impartite e che dobbiamo riuscire a “metabolizzare” sono tante e di vasta portata. Ne parleremo, però intanto lasciateci rivendicare e valorizzare i colpi – sia come sia – assestati alla borghesia la quale, certamente, tiene ben saldo nelle sue mani il bastone del comando.
Essa è stata colta di sorpresa dall’esplosione sociale e, non appena riassestate le idee, presenterà il conto alle masse. Salato e con gli interessi. Se è per quello vediamo già alcuni corvi volteggiare aspettando l’esito disastroso del movimento. Esito inevitabile se la parte decisiva della classe operaia non ingaggia la lotta, non scende in campo grazie all’opera dei cani pastori, centrale sindacale “rossa” CGT in primo luogo. Questi corvi – un nome su tutti: il leader del ’68 Daniel Cohn-Bendit – non aspettano altro per inchiodarci: “vedete, razza di maledetti disgraziati, a che sbocco ha portato la vostra dissennata lotta? Avete suscitato la reazione, la peggiore reazione…!”. Vecchia storia dei servi “progressisti” del capitalismo, secondo i quali nessuna reale lotta può e deve essere ingaggiata poiché alla fin fine “provoca la reazione”, “suscita le peggiori forze della reazione”. Ma, appunto, ne parleremo e diremo, a proposito di “reazione suscitata”, dei segnali che arrivano da talune cerchie di generali dell’Armée Francaise.
Intanto però possiamo e dobbiamo registrare il fatto che una massa anonima popolare e proletaria, senza alcun preciso indirizzo politico di classe, senza alcuna organizzazione di classe (sia ben chiaro: questo è un limite. E’, per noi, il limite decisivo!) anzi avendo ciascuno nella propria testa le idee più balzane e strambe (abbiamo scorto fra i rivoltosi persino i vessilli dei “royalistes”, e chissà se del filone “legittimista” oppure degli Orléans…) è stata in grado di infliggere al cuore della borghesia cioè alle sue tasche dei colpi non di poco conto.
Il giorno 8 di dicembre, per il quarto atto, per la quarta giornata nazionale di lotta convocata dai gilet gialli, le gallerie Lafayette e Printemps, templi della Merce e del consumo nello splendente centro della Parigi borghese, hanno dovuto chiudere i battenti. Ieri abbiamo appreso dai media borghesi schiumanti rabbia (e meditanti vendetta) che ancora sabato 15 dicembre per il quinto atto, per la quinta giornata nazionale di lotta, la direzione dei negozi di lusso del gruppo Kering a Parigi era indicisa. Scrive Il Foglio di domenica 16: “vorrebbero aprire ma devono ancora rifletterci”.
Non sono bruscolini. La massa popolare e proletaria dei gilet scesa – sia come sia – in piazza con esemplare determinazione, ha imposto la chiusura di questi templi capitalistici. Ha paralizzato per un giorno la capitale di Francia cioè una delle principali metropoli del capitalismo occidentale. Diecimila in piazza per il quarto atto, sulla scena di Parigi, nevralgica e catalizzante l’attenzione generale. Al netto di oltre un migliaio di arresti preventivi! Sembrano “numeri” scarsi ed in effetti lo sono per riuscire a cogliere l’obiettivo “supremo” del movimento, quello di cacciare via Macron. Ma un conto sono le greggi di centomila o persino di un milione di pecore, altro conto sono i lupi.
L’imponente dispositivo poliziesco ha impedito il congiungimento tra il corteo dell’estrema sinistra, partito dalla stazione di St. Lazaire, con il concentramento dei gilet attorno all’Arco di Trionfo, ma ha dovuto rinserrarsi a protezione dell’area dei palazzi del potere. Lasciando campo libero ai “cortei selvaggi” che hanno lasciato il segno in diversi quartieri borghesi intanto che i gilet impegnavano la sbirraglia intorno ai Campi Elisi.
Qualcuno dice che “il campo libero” lasciato per lunghi tratti ai barricadieri rientri in una tattica del governo e delle centrali del potere volta a far maturare e montare nella società (e fra le stesse fila dei gilet gialli) la richiesta d’ordine, preparando il terreno alla controffensiva autoritaria della borghesia a cui si tratta di fornire una qualche base di massa e di consenso popolare. Può essere, non siamo strateghi di un bel niente, siamo soldati semplici della Rivoluzione proletaria. E allora registriamo e valorizziamo il fatto che una massa di poveracci e di morti di fame –&nbs ; perché così li considera la borghesia che fino all’altro giorno li teneva con la testa schiacciata per terra – ha imposto per un giorno la paralisi ad una metropoli del capitalismo, ha decretato la chiusura dei Printemps e dei Lafayette e di tutte le altre “prestigiose vetrine” nei quartieri borghesi di Parigi.
Non era cosa così facile scendere in piazza a Parigi sabato 8 dicembre. Il governo e gli apparati dello Stato francesi hanno mostrato i denti. Hanno schierato i blindati nella capitale, quelli stessi utilizzati dall’imperialismo francese nei molteplici teatri in cui è impegnato a difendere “la libertà e la democrazia” in giro per il mondo. Hanno detto chiaro e tondo che non si sarebbero limitati al diluvio di lacrimogeni, bombe stordenti, cannoni ad acqua e tutto il resto usato per disperdere la folla qualora la stessa tenti di avvicinarsi troppo ai palazzi del potere.
Tutto questo da parte degli organi di uno Stato assolutamente e perfettamente democratico e che anzi in nome della difesa dell’ordine democratico e costituzionale brandisce la sua forza armata contro una massa che si ostina a non sgomberare le piazze. Tutto questo è solo una pallida prefigurazione dello scontro sociale di classe che si para davanti in Francia come altrove, in cui c’è da ficcarsi in testa che il metodo democratico usato per ricoprire il dominio di classe della borghesia non è opposto a quello “fascista” con o senza virgolette, bensì complementare. Non ci stupiremo se in Francia come in Italia la borghesia dovesse trovar necessario ricorrere ad un pronunciamento autoritario “in nome e per la difesa della democrazia”. Ne parleremo…
Cerchiamo di vedere le cose oltre il dato immediato per come si presentano nella serie convulsa e contraddittoria del susseguirsi degli eventi, ma di situarle e comprenderle su un piano più elevato, sul tracciato storico che il capitalismo mondiale ha necessariamente imboccato. Siamo entranti in un’epoca nuova. Quella dell’evoluzione capitalistica “pacifica e progressiva” (nelle metropoli bianche) è finita. Indietro non si torna. L’antagonismo di classe fra polo della miseria e polo della ricchezza a scala mondiale, batte esasperato sotto la crosta, incontenibile e si manifesta nelle forme più contraddittorie. Persino quelle di nostalgici del Re che si battono contro la polizia sui Campi Elisi per dimissionare Macron. La visione profetica di Bordiga comincia a stagliarsi, ancora in lontananza, come materia viva: “la rivoluzione proletaria si rialzerà, anonima e tremenda”!
Stentiamo a realizzarlo, stentiamo a sintonizzarci sulle nuove frequenze che si diffondono nella società (che confermano e ridanno potenza alle nostre antiche insegne di sempre: abbattimento del regime borghese! dittatura proletaria! Instaurazione della Comune sopra ogni frontiera nazionale!) poiché siamo nati e cresciuti dentro a quell’epoca capitalistica definitivamente tramontata che ci trattiene a sé, ci condizione con la forza materiale del nostro passato.
La nuova epoca ci appare ed è terribile. Depressione
e futuro incerto, come diceva la canzone di Carotone.
E la fine del topo che il Capitale si prepara a farci fare a tutti
quanti. Ma poi, improvvisamente, essa ci sorprende. I nembi che
avvolgono la cupa atmosfera della società borghese si aprono
di un poco, per un poco. Possiamo intravvedere la strada. Dentro a
questa cosa ci sta la rivolta sociale dei gilet gialli di Francia.
Ci siamo chiesti, per finire in bellezza il nostro sfogo liberatorio,
quale possa essere “la colonna sonora” che
idealmente accompagna la rivolta sociale dei gilet. Gli splendidi canti
della Comune ci è sembrato c’entrino come i cavoli a
merenda. Ci è tornato in testa un pezzo, denso ed energico,
del 1973: “Flowers of the night”
che qui nel link proponiamo, insieme all’altro
link che dà conto della lotta di strada ingaggiata
l’8 dicembre a Parigi.
19 dicembre 2018