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schiacciante simbolo della sua potenza, sotto una massa imponente di profitti che si sono
realizzati, si celi in realtà un esiguo saggio di profitto che, giusta Carlo Marx, è l’autentico
pungolo della produzione capitalistica. La massa della produzione e dei profitti, quantità fisi-
ca e tangibile, ha abbagliato i borghesi e ha fatto perdere loro di vista il saggio di profitto che
è un rapporto, un dato astratto (la formula di Marx è: saggio = profitto diviso capitale co-
stante -cioè macchinario, materie prime… che non trasmettono alcun “plus”- + capitale va-
riabile -cioè il lavoro vivo, salario, unica fonte del valore vitale per la sopravvivenza del siste-
ma-). La crisi di sovrapproduzione nella quale il mondo borghese affoga è lo sbocco intrinse-
co ed inevitabile del modo di produzione capitalistico. La crisi che così clamorosamente lo
attanaglia è la manifestazione, il prorompere alla superficie della legge della caduta tendenzia-
le del saggio di profitto, studiata e stabilita una volta per tutte da Marx.
“Improvvisamente” si scopre di aver prodotto troppo e la potenza schiacciante della
montagna di merci e di profitti si rovescia. Tutto
si svalorizza in una caduta tanto più rovinosa
quanto più in alto il capitale si era spinto in quan-
to ad indici di produzione e masse di profitto,
quanto più si era gonfiato attraverso l’uso degli
espedienti del credito e della finanza, che sono,
sempre secondo Marx, “il mezzo più pericoloso
per la produzione effettiva”, espedienti con i quali
i borghesi hanno follemente tentato di forzare e
sfuggire all’impasse, all’impotenza della valorizza-
zione del capitale sul terreno della produzione.
Dati i livelli incredibili e pazzeschi raggiun-
ti nell’utilizzo di questi espedienti ci si ritrova da-
vanti ad un baratro più pauroso della pur tremen-
da caduta del ’29. Le cose sono andate troppo ol-
tre: il volume dei cosiddetti “derivati”, strumenti
escogitati dalla finanza che avrebbero dovuto esse-
re a garanzia, ad assicurazione del processo di cir-
colazione di merci e capitali, è pari a 12,5 volte il
Pil mondiale! E questi “prodotti” hanno a loro
volta un mercato, cioè si acquistano e si vendono
freneticamente, “producono” dei guadagni o delle
perdite che si cifrano in numeri colossali, che però
esprimono valore puramente fittizio, cartaceo,
numerario, essendo del tutto scollegati dal mondo
della produzione ove si genera effettivamente il
valore in quanto estorto dal lavoro vivo, dal prole-
tariato.
Noi, che non siamo “esperti”, non siamo
“economisti”, non siamo nulla altro che gente che
cerca di maneggiare la bussola marxista e il suo
elementare ABC, noi restiamo di sasso nel leggere,
buttate là fra le righe della stampa quotidiana, con-
statazioni come la seguente: “A gennaio 2008 vi
erano nel mondo solo 12 imprese con rating tripla A
e ben 64.000 prodotti Cdo (“prodotti” finanziari che
gli stessi super-analisti definiscono “misteriosi”!) con
lo stesso voto” (Il Sole, 11/02/09). Avete inteso? 12
nel mondo contro 64 mila. Significa che gli ap-
prendisti stregoni delle agenzie di rating, certifica-
no, ponendo il marchio tripla A, per solo 12 im-
Marx sulla caduta tendenziale
del saggio di profitto
Questa è, da tutti i punti di vista, la
legge più importante della moderna
economia politica, la più fondamentale
per l’interpretazione anche dei rapporti
più difficili. Dal punto di vista storico è
la più importante. Si tratta di una legge
che, malgrado la sua semplicità, non è
stata finora mai compresa e tanto me-
no espressa coscientemente. (…)
Al di là di un certo livello, lo sviluppo
delle forze produttive diviene un osta-
colo per il capitale, cioè il rapporto del
capitale diviene un ostacolo delle for-
ze produttive del lavoro. Giunto a que-
sto punto, il capitale, il lavoro salaria-
to, si pone di fronte allo sviluppo della
ricchezza sociale e delle forze produt-
tive nello stesso rapporto del sistema
corporativo, della servitù della gleba,
della schiavitù, e poiché ormai rappre-
senta una catena viene di necessità
eliminato. (…)
Nelle contraddizioni, nelle crisi, nelle
recessioni acute, si manifesta la cre-
scente insufficienza dello sviluppo
produttivo della società rispetto ai rap-
porti di produzione che finora le erano
propri. La violenta distruzione di capi-
tale, non per circostanze esterne ad
esso, ma in quanto condizione della
sua auto-conservazione, è la forma
più notevole in cui gli si esterna il suo
fallimento e la necessità di lasciare
spazio a una condizione superiore di
produzione sociale.
(da “Lineamenti fondamentali della
critica dell’economia politica”)