nucleo comunista internazionalista
note



Elezioni in Germania

L’ASSERVIMENTO DELLA “SINISTRA” RIFORMISTA (DI DERIVAZIONE SOCIALDEMOCRATICA O EX-TERZINTERNAZIONALISTA DEGENERATA) AGLI INTERESSI DEL CAPITALISMO CONSEGNA LE ASPETTATIVE DI AMPI SETTORI PROLETARI ALLA DESTRA SOCIALE.
CONTRO LA BORGHESIA DEMOCRATICO/PROGRESSISTA, CONTRO IL SOVRANISMO NAZIONAL-SOCIALE, PER RILANCIARE IL PROGRAMMA DI CLASSE

Il dato generale che emerge dalle recenti elezioni in Germania (vedi riquadro) è quello di un poderoso spostamento a destra dell’asse politico del paese decretato dalle urne. A petto di un’alta affluenza (oltre il 76%, addirittura in aumento), Afd e liberali vedono moltiplicare i propri voti in misura doppia rispetto ai voti in uscita da CDU-CSU. Soprattutto Afd ha raccolto voti provenienti dai più diversi bacini, non escluso quello della Linke (rilevati 400.000 voti trasmigrati dalla Linke a Afd), trionfando nei Lander dell’Est, dove Afd è addirittura primo partito in Sassonia. La Linke può vantare un leggero incremento dei suffragi, ma è una “vittoria” (elettorale) di Pirro: è il primo partito nella Berlino Est e avanza nella ricca Baviera, ma ha intercettato una parte minima della valanga di voti in uscita dalla Spd e registra un generale arretramento a Est a vantaggio di Afd.

Anche le elezioni tedesche si sono svolte all’insegna della discontinuità, parziale ma significativa, del quadro politico. La CDU-CSU barcolla di brutto: passa dal 41,5% del 2013 al 32,9% del 2017 su base nazionale, e subisce una scossa ancor più dura nella ricca Baviera. Nondimeno la cancelliera, pur che a perdere è soprattutto la sua CDU, tiene botta, e formerà il nuovo esecutivo. La SPD crolla al 20%, proseguendo e accentuando la curva decrescente iniziata dopo le elezioni legislative del 2002, quando i consensi elettorali raccolti si attestavano ancora intorno al 40%; alle legislative del 2013 la SPD è scesa al di sotto del 30%, e ora la fuga degli elettori viene a confermarsi di massa: giù di altri 9 punti rispetto al 2013. Terzo partito è Afd, Alternativa per la Germania, formazione nazional-sovranista di destra fondata nel 2013, quando ottenne il 4,7% dei suffragi, ora lievitati a un ragguardevole 12,6%, percentuale che consegna in premio l’ingresso in parlamento. I liberali della Fdp (appena 2,4% nel 2013) rientrano in parlamento con il 10,7% dei suffragi. La Linke subisce un travaso di voti in favore dell’Afd, ma compensa con voti in ingresso da SPD, così confermando il suo 9,2%. Seguono i Verdi con l’8,9%.

A suggellare lo spostamento a destra, c’è, accanto all’exploit di Afd (e all’affermazione dei liberali), il tracollo della socialdemocrazia, tracollo significativo che conferma una tendenza non circoscritta alla Germania. Anche in Olanda alle ultime elezioni (vinte dai liberali del premier uscente Rutte, prevalso sull’ancor più destro Wilders) c’è stato il tracollo del Partito del Lavoro, partito di “sinistra” riformista, storico riferimento della classe lavoratrice olandese, precipitato dal 24,8% del 2012 al 5,7% del 2017. Attenzione, stiamo parlando dei pilastri centrali del movimento operaio europeo, del proletariato più organizzato e inquadrato, quello che ha potuto conseguire negli anni buoni e in paesi all’apice della gerarchia capitalistica la migliore soddisfazione delle proprie istanze, conquistando tutti i suoi bei diritti, integrandosi e identificandosi – parzialmente – in uno Stato ben ordinato e funzionante. Massimamente in paesi come la Germania, l’Inghilterra, l’Olanda (“paesi normali” a differenza dell’Italia…) un capitalismo robusto e ben strutturato (non arruffone come il “nostro”) ha potuto garantire alla classe operaia la più alta soddisfazione delle proprie rivendicazioni compatibili. Qui, se a un certo punto il meccanismo scricchiola e la macchina dell’economia e dello Stato inizia a fare fumo, il malcontento non si appunta sulle disfunzioni di una classe dominante invischiata nelle ruberie e nel malgoverno dei “politici”. Qui ha scarso gioco la demagogia che appunta l’incazzatura sociale contro le magagne della casta, e, quando la crisi arriva, la contestazione di chi vede messa in discussione la stabilità cui si era abituati è portata ad indirizzarsi più direttamente alla radice dei problemi. La massa è chiamata potenzialmente a contestare frontalmente il sistema. La crisi, peraltro, mette a nudo gli esiti del corso politico della “sinistra” riformista, che, abiurate da quel dì le lontanissime origini, è venuta riconoscendosi sempre più come “la più fedele e responsabile” paladina dell’ordine borghese: valga per la SPD, ma anche per i tantissimi ex-“terzinternazionalisti” più o meno pesudo-“radicali” che hanno riscaldato per lunghi decenni gli scranni dei parlamenti quando non le poltrone dei governi d’Europa. Azzerata per tal via non diremmo la contestazione proletaria di classe, assente dalla scena tedesca ed europea da lunghissimo tempo, ma finanche la lotta operaia su basi del tutto riformiste, la contestazione al sistema viene presa in carico da destra, e spuntano come funghi partiti “nuovi”, che, richiamandosi efficacemente alle contraddizioni esplosive del capitalismo, ne agitano lo scioglimento in direzione opposta al programma e alla prospettiva di classe. Questo è il dato che emerge, senza dimenticare che ciò che si vede è il primissimo affiorare della punta dell’iceberg. Il tutto secondo il noto spartito della sinfonia del capitale. Nelle fasi di crisi la pace sociale è destinata a traballare e per lorsignori disastro sarebbe se maturasse la protesta e la radicalizzazione di classe. Entrino dunque in campo i guastatori di una destra nazionale a tinte sociali, nuovi (vecchissimi) contenitori della rabbia proletaria e piccolo borghese, utili per orientare gli umori delle masse in direzioni che non mettano in discussione l’ordine del capitale, alludendo piuttosto alla necessità di rinsaldare la coesione della nazione contro i suoi immancabili nemici esterni. Oggi siamo alla mera manifestazione del “voto di protesta”, nettamente demarcato a destra però. Lo dobbiamo alle “sinistre” storiche e alle loro vergognose politiche di sottomissione alle esigenze del capitalismo, difeso a spada tratta anche quando esso non ha più nulla da offrire al proletariato e più di qualcosa da riprendersi indietro.

Il crollo elettorale della SPD viene da lontano, da quando la SPD, al culmine della sua forza elettorale ma in debito verso i padroni del vapore per le “riforme” pretese da un capitalismo non più spumeggiante a livello mondiale con contraccolpi inevitabili anche sulla solida Germania, varò nel 2003 quella poderosa sforbiciata alle tutele del lavoro e al welfare state presentata da Schroeder come “Agenda 2010”, con il corollario del “piano Hartz” (dal nome dell'imprenditore e manager della Wolkswagen, consigliere di Schroeder prima di essere travolto dagli scandali…) che ha introdotto quelle “riforme del lavoro” sulle quali in Italia si discute ancora (leggi precarizzazione del lavoro, all’origine della diffusione dei mini-jobs, cioè di lavoro parziale, a termine, sottopagato, quello che esalta gli indici dell’occupazione, della crescita e dei profitti, mentre alimenta la povertà dei lavoratori). Una salassata per il lavoratori – e soprattutto per le nuove generazioni – che ha segnato l’omologazione tra SPD e CDU/CSU dal punto di vista delle politiche del lavoro a pro del capitalismo nazionale.

Il crollo della SPD si aggiunge a quello del Partito del Lavoro olandese, del PASOK greco, del Partito Socialista in Francia (senza dimenticare il PCF ridotto al lumicino). Questi crolli a catena dimostrano che la polarizzazione indotta dalla crisi indebolisce e polverizza queste forze, che, quand’anche conservino richiami formali al “socialismo”, si limitano a enunciare senza tangibile costrutto la questione sociale squadernata dalla crisi del capitalismo, impegnate come sono a dare un colpo al cerchio (eseguendo alla lettera i diktat indiscutibili del capitale e così scaricando sul proletariato ogni effetto negativo della crisi) e un colpo alla botte (declinando vacuamente i disagi di una base di riferimento ormai disincantata e orientata altrove). Ciò significa che passa di mano il compito di irreggimentazione del proletariato: quello che per lunghi decenni è stato compito dei vari partiti di fasullissimo “socialismo” e “comunismo” nazionali, sta diventando ora compito delle nuove destre in ascesa. Il dato che la SPD sia crollata e una parte dei voti della SPD soprattutto nella Germania orientale sia finita alla Linke, che poi ha avuto un travaso anche verso l’Afd, sta a indicare che ormai non c’è più tempo per le chiacchiere, i giochi vengono al dunque nel cuore e nel motore di quella che dovrebbe essere l’Europa. Le mediazioni fino a ieri possibili saltano, non c’è più spazio per i compromessi sui quali le “sinistre” ufficiali, con sindacati nazionali al seguito, hanno costruito nella precedente fase il proprio ruolo di servitori del capitalismo e dello Stato. Va delineandosi una irreggimentazione del proletariato purtroppo a seguito del carro borghese, laddove i lavoratori, preso atto – attraverso delusioni cocenti – che i partiti di proprio storico riferimento fanno senza complimenti le politiche del padronato, invece di continuare ad accreditare fotocopie contraddittorie, si rivolgono direttamente agli originali di una politica di difesa del capitalismo nazionale che almeno promette con qualche coefficiente di credibilità di prendere in carico su queste basi anche i loro problemi. Questi originali sono appunto il Front National in Francia, partito con un vasto seguito operaio, e l’Afd tedesca, che deve il 20% dei consensi raccolti al voto operaio, che incassa quasi un milione di voti in uscita da SPD e Linke, e che presenta nel proprio elettorato la più bassa percentuale di laureati. La questione dell’immigrazione ha indubbiamente giocato un ruolo decisivo nel barcollamento della CDU-CSU e nel tracollo della SPD e, va da sé, nell’avvio dell’irregimentazione della massa lavoratrice al carro delle destre borghesi. Per ricacciare indietro il potenziale protagonismo di un proletariato che oggi – che non significa per sempre – non ha la forza per mettere in conto al capitalismo il peggioramento delle proprie condizioni, la borghesia imperialista di Germania e d’Europa gioca (con aperti accenti razzisti o senza darlo a vedere, secondo le diverse gradazioni di una destra che non circoscriviamo affatto a CDU/CSU, Fdp, Afd…) la carta della competizione tra lavoratori, facendo leva su un crescente esercito industriale di riserva e deviando la rabbia dei proletari tedeschi contro gli immigrati, individuati come i colpevoli degli arretramenti subiti.

Del risultato delle elezioni tedesche i commentatori italiani, purtroppo anche quelli di un’ “estrema sinistra” di cortissime vedute, hanno inteso sottolineare più che altro gli aspetti di rimando sul quadro nazionale domestico. Prima tra tutti la questione della coalizione che si rende necessaria per formare il governo. La Merkel potrà governare o rieditando l’alleanza con la SPD, che però si è dichiarata indisponibile, oppure aprendo a una nuova coalizione problematica, quella con i redivivi liberali della Fdp e con i Verdi. La questione riguarda direttamente anche l’Italia, dove si profila un esito incerto del voto nelle elezioni politiche e la necessità di una coalizione per governare con possibilità di convergenza tra il PD e Berlusconi. Con una significativa differenza tra Germania e Italia: la Merkel, anche se ridimensionata e più di prima costretta alla coalizione, resterà comunque al governo per tutto il tempo previsto, mentre in Italia la formula del governo di coalizione accentuerà il dato dell’instabilità politica e della volubilità degli esecutivi. Inoltre l’indebolimento della Merkel sarebbe uno svantaggio per l’Italia sotto un diverso profilo. L’ingresso nel governo della Fdp, una forza che si identifica con una politica di austerità e di rigore ancor più marcati di quelli propri dell’uscente ministro delle finanze Schauble, e con l’opposizione dell’Afd, xenofoba e anti-europeista, alimenterà in generale la tendenza delle forze tedesche a badare ancor più marcatamente ai propri interessi nazionali e quindi a concedere meno spazio alle richieste europee in generale, tipo quelle italiane di poter godere di una certa flessibilità e di parametri più aperti nella gestione dei vincoli comunitari.

La “sinistra” cosiddetta “di classe” o più modestamente “conflittuale” si discosta di non molto da questo genere di commenti, se Riccardo Rinaldi che scrive su Contropiano riesce a concludere il suo contributo di analisi sul voto tedesco rilanciando il dilemma “se la rottura della UE significherebbe davvero, come alcuni ancora temono (?!, n.n.), un ‘arretramento delle posizioni internazionaliste’, o al contrario la lotta contro l’Unione, condotta anche in ogni singolo paese, se proprio non si riesce a farla in modo coordinato, non sia in realtà la lotta di e per tutta la classe lavoratrice europea”. Dilemma retorico e strampalato: par di capire che siccome la Germania riceverebbe un duro colpo dalla rottura dell’Unione, questa – anche se portata avanti in ogni singolo paese per proprio conto… se proprio non si riesce a fare insieme – si tradurrebbe comunque in un oggettivo aiuto al proletariato tedesco. Ora, l’internazionalismo di classe non è minacciato di arretramento dalla rottura dell’UE; lo è piuttosto dalla penosa deriva di quanti “comunisti” invece di contribuire alla ripresa di classe, che vuol dire ripresa del programma di classe, si mettono al carro della generale tendenza nazional-sovranista che incuba nella crisi capitalistica, agitando un programma per la propria nazione declinato suppostamente da “sinistra”. Questo e non altro significa “fare ciascun paese per proprio conto se proprio non si riesce a fare insieme”. Stia tranquillo Rinaldi: sulle base indicate nel suo scritto il proletariato italiano, che malauguratamente facesse propria una siffatta prospettiva – interclassista sul fronte interno mentre volta le spalle ai proletari delle altre nazioni  –, giammai potrebbe unificare su queste basi le proprie forze con quelle del proletariato tedesco ed europeo.

Noi comunisti internazionalisti non ci strappiamo le vesti se gli eredi di Noske sono stati bastonati elettoralmente, e a fronte del quadro politico che tira a destra, incubando nuovi attacchi contro il proletariato tedesco e non solo, diciamo e facciamo in positivo quello che ci compete. Se i contenitori riformisti tracollano questo è un indicatore rilevantissimo, un fatto storico, finanche “rivoluzionario” se vogliamo. Se cedono i fortilizi riformisti, che hanno fatto la loro parte nell’imbrigliare le potenzialità di lotta della nostra classe nei decenni alle nostre spalle, ciò significa che la vecchia talpa scava bene, anche se all’immediato la rottura della precedente stagnazione sociale si traduce in una reazione – elettorale – di consistenti settori operai che si orientano a destra. A fronte di ciò noi giammai assecondiamo le campagne che vogliono vedere nell’Afd tedesca, come ieri nella Fpo di Haider, la resurrezione in atto dell’estrema destra nazista. Quelli di Afd sono borghesi nazionalisti, “sovranisti” che ritengono che le regole della UE e dell’Euro sacrifichino gli interessi nazionali tedeschi che essi intendono rilanciare. Una posizione speculare a quella dei “sovranisti” nostrani che sono in genere anti-tedeschi: il che dovrebbe dar da riflettere ai “sovranisti di sinistra” tipo Piattaforma Eurostop! E’ interesse della frazione borghese oggi dominante in Europa, quella che fa sfoggio di credenziali liberal-democratiche o costituzional-progressiste e innanzitutto e in entrambi i casi di rigorosa fede atlantica, scagliarsi contro questi movimenti non tanto per quello che essi oggi effettivamente sono, quanto piuttosto intuendo quello che un domani potrebbero diventare. Oggi i nazisti o cripto-nazisti non sono entrati (… ancora non sono entrati…) nel parlamento tedesco. Noi diciamo che non contribuirebbero certo a sbarrargli la strada quanti si accodassero al can can orchestrato dai governi europei e relative borghesissime compagini democratico/progressiste contro “i neo-nazisti” della Afd tedesca, della Fpo austriaca, etc.. Si veda quanto accaduto in Austria, dove nelle elezioni presidenziali il candidato verde è infine prevalso di un pelo sul candidato Fpo, salvo poi vedere che il nuovo presidente verde e il governo di centro-sinistra hanno attuato gli stessi provvedimenti “minacciati” dal cattivissimo di “estrema destra”, con tanto di esercito schierato al Brennero e quant’altro. Non è che il pericolo fascista non esista, ma le lagne democratiche che chiamano all’union sacrée e a convergere sul “meno peggio” per sbarrargli la strada finiscono nel ridicolo, non servono a nulla, e fanno schifo tanto quanto, per un antifascismo che si rivela ancora una volta come il peggior prodotto del fascismo. Solo la ripresa della lotta di classe, orientata alla riconquista del programma di classe, potrà sbarrare la strada alle mille varianti del programma borghese, mentre larghissima parte della “sinistra” “radicale” e pseudo-“rivoluzionaria” di casa nostra sbanda di qua e di là e sprofonda sempre più nel pantano borghese, cauzionando l’union sacrée antifascista contro il sovranismo di destra in determinati paesi diversi dal proprio (vedi la Francia) e invece facendo proprio il “sovranismo nazionale” rivendicato – suppostamente – “da sinistra” se e in quanto riferito al proprio paese, e, se si pensa che possa tornar utile…, anche quello di altri (vedi Catalogna).

16 ottobre 2017