nucleo comunista internazionalista
note




DIETRO IL SIPARIO ELETTORALE

I risultati elettorali costituiscono certamente un indicatore di ciò che si muove (o, provvisoriamente, ristagna) nella società reale. L’importante è non considerarli da un punto di vista semplicemente aritmetico... elettoralistico, ma nella dinamica che sta dietro le quinte. Un superfesso estremo (del tutto ipotetico, ma non lontanissimo dalla realtà presente) potrebbe vantarsi di aver realmente vinto nella contesa avendo strappato il 51% dei voti anche in presenza di un 98% di astensioni: la poltrona è comunque assicurata. E’ un esempio estremo, persino irreale – o iper- realistico – del cretinismo elettorale in auge, a destra come a sinistra. Perciò: prendiamo pure in esame i “dati elettorali”, ma per le dinamiche entro cui si collocano e che essi esprimono e non per le traballanti seggiole che essi al momento esprimono, soggette a crollare alla prima scossetta del sottoscena sociale. Qui di seguito parleremo, in questi termini, di Francia ed Italia.

LA FRANCIA “SINISTRA”

Per la gioia dei “sinistri” universali, le recenti elezioni regionali francesi hanno punito (elettoralmente, com’è d’obbligo) la destra. Trionfo del PS ed alleati nella quasi totalità delle regioni (esclusa l’Alsazia e – caso curiosissimo!– l’oltremare La Réunion, conquistata dai sarkozisti). Che volete di più? Davvero tutto qui? E che radiosi scenari si preparano per l’avvenire?

E’ un fatto che l’UMP ha fatto flop. Le presidenziali avevano portato sugli altari Sarkozy senza eccessivi problemi di fronte ad un’”opposizione” guidata da una spocchiosa Ségolène Royal organicamente incapace di parlare al “popolo” dal suo pulpito piccolo-medio (ed anche alto) borghese. I fantasmi della crisi mondiale incombente, i cui morsi si sarebbero fatalmente fatti sentire anche sulla France éternelle, priva di riparo da essa, non erano ancora palesemente avvertibili ed alla massa grigia di questo stesso ambiente poteva sembrare rassicurante la continuità affluente promessa dalla destra, mentre ben scarso appeal il PS poteva contare sulla massa degli sfruttati, non ancora decisamente toccati dalla crisi ed assolutamente non chiamati in causa per una risposta a venire ad essa, tantomeno da un punto di vista di classe. La scossa è poi arrivata, implacabile, ed ha fatalmente chiamato in causa tutte le balle di crescita continua, ed assai differenziata socialmente, ma provvida per tutti, promessa da Sarkozy. Molte fabbriche chiudono, un’infinità di piccole-medie aziende si volatilizzano, salari redditi e piccolo-medi profitti si riducono o, letteralmente, spariscono, agricoltura ed artigianato soffocano, ed, allora, addio chiacchiere! Sarkozy deve correre ai ripari. Da un lato tappando, per quanto possibile, le voragini apertesi nel sistema del welfare state già un dì affluente (penalizzando in parte gli strati privati chiamati a pagare il soccorso sociale, incazzatissimi per il carico addossato sulle loro spalle), dall’altra mettendo in campo una serie di “riforme strutturali” – a cominciare da quelle relative al sistema pensionistico ed al “razionale” sfoltimento e riordinamento pesantissimo del pubblico impiego (per evitare un “rischio alla greca”), ovviamente visto come fumo negli occhi da parte degli interessati. Come dovunque altrove in Europa (vedi Italia) la “sinistra” locale coglie la palla al balzo per promettere in alternativa tutto il promettibile, ed a ciascuno, senza toccare in solido nessuna delle controparti in gioco. Nessun problema, si afferma, a salvaguardare pensioni e posti di lavoro quo ante e profitti delle imprese ed, ovviamente, potenza dello Stato Francese anche oltre, se possibile. La crisi c’è, ma il vaso del capitalismo – si assicura – è senza fondo e vi si può tranquillamente attingere per il “bene comune” purché lo si sappia ben amministrare. Elettoralmente una siffatta demagogia senza capo né coda può anche pagare raccogliendo (ma assolutamente non organizzando sul terreno di uno scontro reale) “la protesta”, anzi: varii tipi di protesta. Per noi ciò significa ben poco, o nulla, in prospettiva. Non è che i pifferai di Hamlin possano diventare i motori della storia.

In seguito allo scoppiare della crisi, la Francia dei lavoratori (degli operai, dei salariati e – con le dovute distinzioni – ci mettiamo dentro anche quella dei “proprietari” di nome: agricoltori, artigiani, “padroncini” di una certa fascia di fatto semiproletarizzata, e talora persino sottoproletarizzata) si è mossa con grande decisione, avanzando rivendicazioni e mettendo in campo metodi di lotta assolutamente e gagliardamente di classe. In particolare, gli operai colpiti da minacce di chiusura degli stabilimenti, ristrutturazioni assassine etc. etc. non sono saliti sui tetti per farsi compiangere, non hanno bussato pietisticamente alle porte dei “pubblici poteri”, delle chiese, dell’”opinione pubblica”, non si sono cosparsi il corpo di benzina dichiarandosi pronti a darsi fuoco se non soccorsi, ma hanno proceduto ad occupazioni dure, a sequestri di dirigenti, ad invasione di sedi massmediatiche e persino a minamento di aziende, decisi a farle saltare in mancanza di una risposta adeguata alle proprie richieste, ripetiamolo, di classe. Questo posizionamento di assoluta fermezza (che, tra l’altro, ha costretto giornali e TV a farsene eco manifestando “comprensione e simpatia” con essa per evitare che essa trasbordasse) solo in parte – provvisoria, informale – si è potuta ritrovare con l’attuale “sinistra”, e solo a scala (parzialissima) di espressione di voto elettorale antisarkozista, in nessun caso trovando il modo di esprimersi ed integrarsi in essa come movimento reale di classe(visto dal PS e soci come la peste).

C’è da chiedersi: come mai un così deciso ariete non si è espresso “più a sinistra” (per chi crede ancora a tali categorie: dal PCF al NPA o all’ineffabile LO), o, meglio ancora – questione decisiva –, in un proprio partito? Mai, forse, come in questo caso vale a spiegarlo quanto Lenin mostrava nel Che fare? La lotta immediata (di classe) non è in grado di per sé di superare il livello trade-unionistico se non si salda al fattore-scienza, al fattore-partito (di cui pure è il lievito necessario, dialetticamente). L’ancoraggio delle lotte immediate ad una prospettiva di partito ha cominciato in Francia a latitare sin dai primi anni di crisi della terza Internazionale per poi incarognirsi su quella, pur targata “partito comunista”, di democrazia progressiva pluriclassista, popolare, nazionale; in seguito, anche questo miserabile avanzo dell’orizzonte rivoluzionario è andato a pallino, com’era d’obbligo, col PS pronto a raccogliere i frutti della smobilitazione classista operata dal PCF. Certo, non sono mai scomparse le lotte immediate di classe, che oggi prepotentemente ritornano alla ribalta, ma esse non riescono ancora ad andare al di là delle rivendicazioni di categoria del capitale o, più spesso, della singola azienda a vaghe tinte da “giustizia sociale” entro il sistema e nel quadro dei supremi interessi della Grande Patrie e del “popolo francese”. A tutt’oggi non arrivano ancora a costituire neppure un fronte, sia pure a questa stregua. Perciò, per quanto PCF e soci e CGT costituiscano la punta di diamante delle lotte immediate (con certi loro capi “naturali” particolarmente combattivi – tali da far sembrare sbiaditi contestatori i nostri Cremaschi e Bernocchi, n.n. –), ciò non comporta neppure significativi travasi politici sul versante “sinistro”: i proletari –“popolo” possono ben trovare conveniente votare per il PS quale faro di riferimento pro-governativo, di cui il PCF ed anche le “estreme” si configurano da sé come coda, eventualmente, ma non tanto, “critica”. Occorreranno ulteriori strette per obbligare il corso attuale a riconvertirsi ad una prospettiva rivoluzionaria, e non saranno certo le attuali sigle “comuniste” a favorirlo.

Ritorniamo al dato elettorale. Al primo turno oltre il 50% di francesi ed al secondo appena sotto tale percentuale non hanno votato. Ne consegue che la “grande vittoria della sinistra” (riconferma di quella del 2004, val bene ricordarlo) stavolta, col suo poco più del 50% dei voti espressi non rappresenta che un terzo scarso della “gente”. Quali classi si sono astenute? La “sinistra” sembra neppur porsi il problema. Eppure qui sta il nodo centrale in prospettiva. Diciamo pure che molta disaffezione è venuta da classi piccolo e medio borghesi deluse ed “in attesa” (in attesa di incarognirsi alla bisogna sul fronte destro agli svolti decisivi), ma essa si è largamente registrata nello stesso campo dei lavoratori salariati, le cui delusioni ed attese sono suscettibili di andare in senso opposto (sempre che...). Ed a ciò aggiungiamo il brillante risultato del FN che, mai come in questa occasione, si è rivestito di colori “sociali” e financo “proletari” (proletariato-popolo, in chiave corporativa, ma “antiliberista”; proletariato con in mano la bandiera della Francia “antimondialista”). Anche qui: la “sinistra” si accontenta di sollevare alte grida contro il FN “razzista e fascista” senza neppur prendere in conto il perché dell’adesione di fette consistenti di proletariato a questo partito rimanendo sé stesso quanto a rivendicazioni immediate proprie e volontà di lotta praticamente dimostrate).

Se poi andiamo a vedere come si arrivi da parte della coalizione di “sinistra” secondo-turnista al sopra citato 50 e rotti per cento constateremo che la quota del PS non supera presumibilmente il 30, quello del Front de gauche monopolizzato dal PCF al 6, mentre un bel 12-13% spetta ai disgustosi “verdi” di Cohn-Bendit, più, come vedremo, i rimasugli dell’”estrema”. E’ notevole ed indicativa la quota dei “verdi”, espressione di una fetta dell’elettorato composta da settori piccolo-borghesi preoccupati di “viver bene”, “ecologicamente”, cui danno fastidio gli incomodi capitalistici della polluzione, del cattivo cibo, della “vivibilità” in una parola, che in nessun caso mettono in causa il sistema, di cui, anzi, predicano una “crescita compatibile” (orizzonte accettato anche da Sarkozy che a questo verdame ha fatto anche delle proficue avances). Siamo sempre, come tutti gli altri contendenti, nell’ambito della... France éternelle da preservare e promuovere nell’ambito del sistema attuale (e, quanto a politica estera, non è una novità che questo verdame sia pronto ad assumere posizioni oltranziste in chiave imperialista nazionale).Il prezzo imposto alla coalizione di “sinistra” da costoro per “federarsi” al secondo turno è stato più alto che mai, ma nessuno ha battuto ciglio: il potere val bene una massa, ed anche due.

Resta qualcosa da dire rispetto alle “estreme sinistre”. Il NPA di Besançenot, accozzaglia informe di una trentina di sigle, che era partito nelle precedenti elezioni presidenziali con un’attesa di voto molto alta (qualcuno parlava del 10%), stavolta non ha ingannato gli operai messi in coda ad un programma demagogico di “redistribuzione possibile”. Siamo abbastanza di sotto al 3%. LO, sulla stessa linea “redistributiva”, resta attorno all’1%. Un “programma” di questo genere, quand’anche (inutilmente) roboante quanto a rivendicazioni di riforma del sistema, non è destinato ad andare molto lontano. Agli esordi, il NPA rivendicava la propria autonomia “anticapitalista” che non si sarebbe prostituita ad accordare appoggi a “sinistre del capitale” (leggi: PS e Front de Gauche). Lo stesso dicasi, in maniera accentuata, di LO. Senonché, come ben sappiamo, i secondi turni impongono o il voto utile o una reale attestazione di indipendenza classista e la spinta “di base” degli elettori “estremi” del primo turno vanno “naturalmente” (visto che questi partitini nulla fanno per ostacolarla) nella prima direzione. Ma, stavolta, più che mai, questo decorso “naturale” per cui il voto “estremo” al primo turno vale solo come richiamo d’opinione alla “sinistra che conta” per... condizionarne gli indirizzi (suoi), è stato solertemente accompagnato dalle indicazioni delle rispettive dirigenze. Citeremo solo due dichiarazioni NPA-LO in proposito. Dopo il primo turno, LO ha affermato: chi ha votato per noi testimonia di voler continuare a lottare; al secondo turno essi non vorranno lasciar passare la destra, in particolare il FN. Cosa vuol dire? Che i “nostri” elettori voteranno per la “sinistra” onde scongiurare il pericolo reazionario (di cui la “sinistra” è evidentemente indenne); noi ce ne laviamo le mani, ma è evidente che tra Cristo e Barabba ci sta meglio Cristo-Aubry. Insomma: il “pericolo fascista” si batte nelle urne e noi, senza troppo esporci, perché “saremmo” idealmente per la rivoluzione comunista, stiamo al gioco. Un’esponente del NPA precisa dal canto suo: noi non siamo i “proprietari” (sic!) del voto che ci è stato attribuito al primo turno e, perciò, esso andrà come autonomamente vorrà andare (buona questa di partito in “comodato provvisorio”!), ma siamo certi che esso si esprimerà contro il pericolo di destra, FN in prima linea. Insomma: per fortuna che c’è il FN che permette il gioco frontepopolarista (mai letto Trotzkij?)! Non è che nell’Italia del primo dopoguerra il fascismo abbia trionfato perché il PCdI, in linea con l’IC, ha rotto questo fronte? Ognuno è autorizzato a leggere le lezioni della storia secondo la propria natura. Che qui si tratti di una natura anticomunista è per altro assodato.

Da questo punto di vista ci corre l’obbligo di rendere omaggio al FN. In più di una situazione il suo voto per l’UMP sarebbe stato determinante per la vittoria della destra. Il FN glielo ha negato e, stavolta (a differenza di altre situazioni precedenti), il suo elettorato – di cui ha il coraggio di dichiararsi proprietario– lo ha premiato in nome di un’alternativa (certamente esecrabile dal nostro punto di vista) non codista e subalterna, il che sta a dimostrare quanto la situazione vada radicalizzandosi bruciando inesorabilmente tutti gli “intermediani”. Dei veri comunisti avrebbero tutto da imparare da questo atteggiamento di reale indipendenza da fronti e frontini elettoraleschi per dirigersi verso i nodi reali del contrasto reale tra forze in campo agenti fuori e contro il recinto elettoralesco. Una lezione “leninista”, diremmo, che ci viene dal campo avverso. Ma, ahinoi!, quanto dura da trangugiare ed assimilare!


ITALIA

Torneremo più avanti sul significato del recente voto italiano, che in nessun caso può ridursi a semplici conte numeriche. Il quadro prospettico che ne esce è ben altrimenti pesante ed addirittura sconvolgente. Non di tratta di semplici percentuali in spostamento, ma di un completo terremoto del quadro politico-sociale italiano con tutta una serie di contraddizioni pregresse accumulate, sia a “sinistra” che nel centro-destra, che finalmente si approssimano all’esplosione.

Frattanto, certa “sinistra” sta passando dal cretinismo (e forcaiolismo) elettorale alla cretinaggine pura e semplice. Così un Bersani che parla di “sostanziale pareggio”, “aria che sta cambiando” e balordaggini del genere. (Quelli più “seri” quanto a valutazioni riconoscono la sconfitta, ma la addebitano al fatto che alla cabina di comando del PD e soci “c’eri tu, ora mi ci devo mettere io”). Non vogliamo perdere troppo tempo in questo campo, ma ci sembra giusto segnare la vetta d’imbecillità pura, da Guiness dei primati, dell’”analista” del Manifesto(31 marzo) Norma Rangeri. Sapete perché il centro-destra ha comunque vinto? Per colpa della sovraesposizione mediatica in TV dei suoi campioni. Da chi è stato lanciato Bossi? Dal Profondo Nord di Gad Lerner di quel dì, ma persino dalla Telekabul di Sandro Curzi (parce defuntis!) che ”si prese l’incarico di far conoscere all’’Italia, e ai telespettatori della sinistra, quel Bossi” e dalle stesse telepiazze di Santoro.

Sarebbe bastato il telesilenzio e nessuno avrebbe mai sentito parlare di Padania. Siamo al colmo! Peggio ancora con la Polverini: “Difficile sostenere che la tv non c’entra nulla con il suo risultato elettorale. Senza il posto fisso a Ballarò(ecco trovato un altro colpevole!, n.), Polverini avrebbe avuto qualche difficoltà non solo a essere eletta, ma anche candidata... E bisognerebbe capire se il consumo di tv c’entra anche nel dislivello tra il largo consenso di Bresso e Bonino nella città e il voto mancato nella provincia”. E’ noto che la differenza tra città e provincia si fa secondo l’uso “consapevole” o meno della tv. Le classi “culturalmente superiori” del centro non si fanno incantare dalla diabolica macchinetta televisiva! Discorso, oltre che cretino, anche un tantinello razzista, lasciatevelo dire compagnucci dei salotti buoni acculturati.

In attesa, come s’è detto, di andare al cuore delle questioni ci preme rimarcare solo un’ultima cosa: l’ulteriore corsa dei resti decomposti dell’”ultrasinistra” verso la vergogna (e senza neppure venirne ripagati). Questi fautori del neo-CLN antiberlusconiano non arrivano più nemmeno ad autonome incursioni da “irregolari” (tipo dipietrini e grillini), ma s’imbarcano tranquillamente sull’arca di Noè del PD, com’è diritto per ogni tipo di bestie, e chiamano essi stessi ad imbarcarsi, in posizione ben più pesante, Casini (su cui non spendiamo aggettivi). Se, domani, si presentasse Fini andrebbe bene anche lui, per il quale già parecchi di costoro si stanno sprecando in lodi ed allettamenti. E non siamo ancora al peggio. Per Roma si è, dal Manifesto in poi, addirittura avuto il coraggio di sostenere la candidatura-Bonino, quella, cioè, di una storica sputaveleno antioperaio e fautrice fanatica dell’interventismo militare imperialista italiano (per non parlare di quello dell’”unica democrazia del Medio Oriente”. Vi manca ancora solo Bava Beccaris e poi siete a posto! La sola funzione “egregiamente” assolta da questi “sinistri radicali” è stata: primo, di aver disgustato le forze di classe disposte a lottare per sé consegnandole a governi “amici” da cui si sono ricevute solo mazzate; secondo: di consegnare la voglia di protesta (sacrosanta) contro il centrodestra al ribellismo senza capo né coda, o con code assai pericolose, del grillismo e del dipietrismo. Il discorso con gente del genere è definitivamente chiuso.

Ed anticipiamo subito il tema centrale del discorso che andremo ad affrontare, quello relativo allo smottamento leghista ed alle sue inevitabili ripercussioni a destra e sinistra. A destra con la divaricazione tra esigenze “nordiste” di ridefinizione del quadro politico-sociale complessivo (al di là della “sigla-Lega”) che si vanno facendo strada anche in settori del PDL che aspirano ad un cambio di passo nel proprio partito (non precisamente premiato dal voto e bisognoso di cure radicali) e petizioni “sudiste” e/o tardo-democristiane fuori tempo; a sinistra... lo stesso, con un Cacciari – ma solo per dirne uno – che evoca la fucilazione di quanti nel PD non siano disposti a varare un “partito democratico del Nord” e la controparte “sudista”, come minacciato da Vendola e/o...come sopra. Ci farebbe piacere, in attesa, ricevere qualche suggestione da quanti ci leggono.

17 aprile 2010