nucleo comunista internazionalista
note



DOSSIER GRECIA

GRECIA, GRECI,
PROLETARIATO GRECO

Avendo a parlare della Grecia occorre innanzitutto liberarsi da due ricorrenti luoghi comuni. Il primo: che si tratti di un “paese” innocente ridotto alla schiavitù unicamente in forza di malvagi interventi esterni di supposti quarti Reich e loro servitorelli. Il secondo: che il cuore di quest’attacco consista nel tentativo di far fuori l’unico indomito resistente in campo, vale a dire Syriza, in quanto esponente di una vera sinistra alternativa con i debiti attributi.

Non c’è dubbio, quanto al primo dato, che gli usurai delle grandi banche centrali, a cominciare da quelle germaniche, e del FMI abbiano stretto un cappio al collo attorno alla Grecia aggravandone tutti i dati strutturali e che – quel che più ci interessa – questo cappio sia stato principalmente stretto a danno delle classi lavoratrici. Su questo circolano numerosi studi analitici indiscutibili cui ci limitiamo a rimandare senza doverci far carico di ricapitolarli in proprio. E’ questa l’inesorabile legge del sistema usuraio capitalista da cui non si sfugge stando entro le regole di un sistema combinato e diseguale in cui i grandi schiacciasassi imperialisti stritolano i sassolini sul proprio cammino. Ma è altrettanto indubbia la responsabilità non di un “paese”, ma delle sue classi dirigenti borghesi, nell’aver precipitato la Grecia in una situazione di dissesto tale da aver provocato l’autoconsegna del paese nelle mani degli usurai di cui sopra (che hanno introdotto la Grecia nell’UE “senza accorgersi” – guarda caso! – dei dati truccati al momento della sua candidatura nell’Unione dovendo poi ricorrere agli “aiuti” necessari per risistemarne i problemi, e nei termini che ben sappiamo). Perché sottolineiamo questa questione? Perché il piagnisteo “da sinistra” sullo strangolamento della Grecia evita accuratamente di farsi carico delle responsabilità della propria borghesia ricorrendo a vuoti stereotipi quanto alla “propria nazione” ingiustamente colpita da pessimi soggetti esterni. Col che si evita di proclamare che “il nemico principale sta in casa nostra”: lo è stato nella fase che precede l’assunzione di Syriza alla carica governativa e lo è ora. La retorica sull’“innocenza greca” serve perfettamente a nascondere oggi, come nel passato, il compito sin qui inevaso di una lotta a fondo contro la propria borghesia capace di collegarsi ad una lotta più generalizzata contro la complessiva impalcatura capitalistica europea, e mondiale nel nome di una sterile petizione “nazionalistica” dentro la quale “stiamo tutti assieme”. Il “paese unito” cui si richiama Syriza in veste di postulante rispetto agli usurai imperialisti nasconde precisamente la sua incapacità ad aggredire questo tema di fondo e saremmo davvero grati a chi ci potesse dimostrare il contrario, vale a dire una sua decisa lotta ai gangli del potere borghese interno.

Quanto alla “manovra” di Bruxelles (o Berlino, secondo una certa lettura di comodo) per scalzare Syriza dal potere in quanto autentica bestia nera “sovversiva” dell’ordine costituito non abbiamo dubbi nel riconoscere che per quest’ultimo si tratti di togliere di mezzo un motivo d’ingombro. Ma vanno rilevate alcune cose in proposito. Primo: a fare le prime salatissime spese della “ristrutturazione” del paese sono stati proprio i partiti al governo antecedenti a Syriza, Pasok e Nea Demokratia che se ne sono dovute far carico scaricandone i costi – e qui siamo al punto! – sulle “proprie” classi lavoratrici con la conseguenza, ben messa nel conto, di una reazione popolare che inevitabilmente avrebbe portato al “potere” Syriza. Si potrebbe dunque dire che il successo elettorale di Syriza sia stato ben fomentato proprio dai suoi attuali nemici! Uno sbaglio? No. Come ha ben detto Schauble “i governi (destra o sinistra, n.) non sono un problema” finché non entri in ballo un effettivo antagonismo di classe. Il governo Syriza costituiva un passaggio obbligato da... governare, e lo si è fatto nel migliore (il peggiore per noi) dei modi, tanto dall’esterno quanto dall’interno della Grecia evitando proprio la temuta esplosione dell’antagonismo di cui sopra. Arrivati al punto decisivo cosa ci troviamo di fronte?: un governo “ultrasinistro” che deve inghiottire le amare pillole imposte dall’UE spaccandosi al proprio interno in forza di contraddizioni legate alla sua stessa natura e che “spontaneamente” si incammina verso soluzioni di “unità nazionale” con gli avversari-nemici del giorno prima in nome dei “comuni interessi del paese” (con la propria borghesia ben salvaguardata ed ulteriori strette di giro per le proprie classi lavoratrici) e nulla di diverso avverrebbe anche nel caso di prossime elezioni che dovessero riconfermare, magari con maggiori numeri parlamentari, una Syriza costretta a dismettere le proprie insegne “alternative” per farsi sino in fondo quel che da sempre sostanzialmente è: un “partito della nazione”.. Il cerchio aperto con la massa di sacrifici (per i soliti noti) scaricata sulle spalle di Pasok e Nea Demokratia ed ora addossati su quelle di Syriza si chiude qui “nel migliore dei modi” per i padroni del vapore, che si potranno anche ben prendere il lusso di colpire settori della “fraterna” borghesia greca che Syriza ha omesso di attaccare in nome dell’invariabile legge “pesce grosso mangia il pesce piccolo” magari lasciando a Tsipras il compito di difenderne gli interessi “nazionali”. Un cerchio chiuso definitivamente? No nel caso si riapra un reale conflitto di classe a tutto tondo.

VOCI FUORI DAL CORO

Una posizione “anomala” rispetto al referendum è stata quella del KKE (a parte certe frange che si autodefiniscono “anarchiche”, ma di certo un tantino più “marxiste” di certe “piattaforme comuniste” interne a Syriza).

Mentre tutte le forze politiche si mobilitavano per l’agone elettorale (“sinistrina”, centro e parte della destra per dire un sì incondizionato ai diktat dei creditori “per evitare il peggio; l’“estrema sinistra” di Syriza assieme al partitino di destra con essa sodale al governo e la destra estrema – quella sì senza virgolette – di Alba Dorata per riaffermare sulla carta la dignità e l’orgoglio nazionale promuovendo un debole ronzino a cavallo da corsa), il KKE invitava a non cadere nella trappola di un referendum considerato, per una serie di duplici motivi, truffaldino, e, dal nostro settario ed obsoleto punto di vista marxista “ottocentesco”, non senza validissimi motivi. Il primo: rappresenta una pura illusione il credere di poter rovesciare dei rapporti di forza nell’ambito del capitalismo dell’UE e di quello internazionale affidandosi ad una platonica espressione di “opinione” nell’urna scartando aprioristicamente una mobilitazione di classe sul terreno concreto dello scontro con una logica sistemica che va battuta od accettata, come rospo che, rimanendo nella logica borghese, non resta che inghiottire e cercar di digerire, al massimo “proponendo” che il piatto in questione venga un po’ sminuzzato e condito con erbe aromatiche capaci di mascherarne il sapore. E qui il KKE vanta (non siamo in grado di sapere con quali coefficienti di peso e coerenza di prospettiva) di aver fatto e di star facendo il proprio dovere nel senso di una mobilitazione di classe quale forza antagonista; in ogni caso è indubbia la sua presenza dirigente nelle manifestazioni di piazza precedenti e susseguenti al referendum; dopo di che qualcuno lo accuserà al solito di “disturbare il manovratore” Tsipras in quanto unico garante “responsabile” della Grecia. Secondo punto (assolutamente indubitabile): il no promosso da Syriza e dai suoi compagni di strada, tutt’altro che raccomandabili, non rappresenta programmaticamente alcun disegno di rottura con le istituzioni dell’UE e dei suoi “logici” imperativi “dittatoriali” e strangolatori, ma si propone unicamente di contrattare coi padroni del vapore delle condizioni meno stringenti nel tempo ed un tantino meno onerose gettando sul piatto di Bruxelles il peso della “rabbia” (e relativo “orgoglio”) nazional-popolare in quanto pio voto d’opinione. Sta di fatto che, come la stessa Syriza si affretta a sottolineare, le proposte avanzate dal governo greco erano già “molto vicine” a quelle imposte da Bruxelles e sulla base di esse si vorrebbe tornare alla “trattativa” cercando di ammorbidire il rigorismo tedesco, della solita Merkel nella fattispecie. Il dopo-voto ha ben evidenziato questa realtà: Syriza licenzia Varoufakis (che, mentre scriviamo, apprendiamo stare sotto inchiesta per “tradimento” in quanto depositario di un “piano B”... eversivo), si apre ad una “coalizione coi partiti dell’opposizione” (quella del sì) in nome dell’“unità nazionale” che avrebbe bisogno del “concorso unanime di tutte le forze patriottiche”. E su questa base si chiede alla Merkel e soci, invocando una ipotetica solidarietà di “altri paesi” antirigoristi, di sciogliersi un po’ in ragione del proprio... ammorbidimento.

Ciò che non siamo riusciti a capire, cercando di districarci nei documenti del KKE a nostra disposizione, è su quali basi si chiami da parte sua il “popolo greco” (siamo alle solite!) ad esprimersi concretamente sul piano referendario. Sembrerebbe che l’indicazione data dal KKE sia stata quella di esprimere una posizione di classe sul tema attraverso l’annullamento della scheda protestando le ragioni dell’antagonismo proletario etc. etc. contro il sì reazionario ed un no socialriformista impotente e baro. Una sorta di non voto... votante che ci suona alquanto come escamotage elettoralista alla rovescia che in qualche modo annacqua la scelta dell’opposizione al referendum attraverso un “mezzo astensionismo”. Ad ogni modo registriamo positivamente la posizione assunta successivamente da questo partito (con tutte le riserve che possiamo nutrire quanto alle sue credenziali marxiste-internazionaliste) con un appello fronteunitario alla lotta che si rivolge correttamente tanto alla massa lavoratrice che aveva votato no nell’illusione di un deciso cambio di passo da parte del governo quanto a quella di un sì rassegnato di fronte ad una serie di diktat dell’UE cui non si vedeva alcuna alternativa plausibile stanti le condizioni date pur di non restare privi del necessario ossigeno per tirare a campà. In appendice riportiamo il testo di un intervento su tutti i temi in questione da parte del KKE sottolineando i punti che a noi paiono di maggior rilevanza politica e che, KKE a parte in quanto tale, ci coinvolgono. Da nessun’altra parte (tranne, per l’appunto, certe prese di posizioni “anarchiche” di tutto rispetto) troviamo qualcosa che arieggi a questo quadro d’insieme, a cominciare dai contorcimenti della frazione “comunista” di Syriza (e della sua appendice italiana di Falcemartello) che dopo aver sanzionato in pieno, sia pur “criticamente”, l’opera di Tsipras ne prende ora le distanze a tempo scaduto reclamando impossibili “tempi supplementari”. E’ corretta la denunzia di un ruolo “riformista” di Syriza che sin dall’inizio ha avuto la funzione insieme di catalizzatore della protesta sul piano “opinionistico” – istituzionale e deviazione di essa dal suo naturale alveo di classe. Dopo di che strillino pure tutti i “realisti” sul settarismo del KKE in quanto forza di opposizione a ciò. Altrettanto corretta è la critica alle fantasie “alternative” su un’uscita dall’UE e dall’euro per poggiare sul solo proprio paese “sovrano” e sulla sua “gloriosa” dracma: “una cosa è che il popolo greco scelga di lasciare l’UE, consapevolmente ed attivamente, prendendo contemporaneamente le chiavi dell’economia e del potere in mano un’altra cosa, completamente diversa, è trovarsi al di fuori della zona euro come risultato della concorrenza e delle contraddizioni tra capitalisti” e: “Il potere operaio e popolare non sarà concesso dal sistema politico borghese né da alcun partito “della sinistra”, ma deve essere conquistato”. E sin qui l’agenda del che fare è precisa e sottoscrivibile. Tutto il resto passa alla verifica dei fatti. Non occorre affatto esaltarsi (il che sarebbe del tutto improprio) per il KKE, ma semplicemente riconoscere come nostra l’agenda di cui sopra e vedere nelle forze militanti di questo partito perlomeno quel che altrove non c’è: un serbatoio di energie cui far riferimento perché sprizzi la scintilla capace di incendiare la foresta.

BREVE NOTA “ITALIANA”

Naturalmente i destini greci sono legati al più ampio quadro, perlomeno europeo in prima istanza, quanto allo scontro di classe. Ciò che accade in Grecia incide su questo quadro e ne è a sua volta dipendente. Da questo punto di vista possiamo dire che gli avvenimenti greci sono stati sin qui in grado di suscitare ondate d’interesse e verbale, o soprattutto verbosa, “solidarietà”, ma senza riuscire a ridestare un rilancio della lotta di classe fuori dai propri confini, e ciò proprio in forza dell’ingabbiamento della “questione greca” entro le maglie del “riformismo” sciancato di Syriza con tutta la sua logica coda nazionalpopulista. E, in forza di gabbie ancor più anguste, da qui non è venuto alcun soccorso classista a quel tanto, ultraminoritario, al momento, che si sta muovendo in Grecia.

L’esempio italiano è illuminante da questo punto di vista. Con “la Grecia” hanno potuto “solidarizzare” forze diverse, e persino nominalmente opposte: da un lato gli “antieuropei” alla Salvini ed altre bestie di destra in nome di un “comune fronte antigermanico” in nome di una supposta, e borghesissima, “indipendenza nazionale”; dall’altro una “ultrasinistra” annacquata che pretenderebbe di parlare a nome dei lavoratori contro il capitale, ma in termini non lontanissimi, sia pure in termini “rovesciati”, da quelli della destra di cui sopra.

La “solidarietà” con “la Grecia” da parte di quest’ultima, infatti, ha sempre fatto riferimento ad una sorta di “interessi nazionali comuni” tra singoli paesi  – i famosi BRICS – interessati a far blocco contro... lo strapotere tedesco. I nostri kalimeri hanno così colto al balzo il successo elettorale di Syriza per tentare di ripeterlo qui in questa direzione di marcia cercando di scimmiottarne lo schema “innovativo” di un assemblage di “nuovi soggetti multipli” staccati dalla vetusta insegna “ottocentesca” del partito di classe e della centralità antagonista proletaria. Tutto (come diceva un Tale) dentro lo Stato e per lo Stato, anche se, naturalmente, rosé. Ed oggi, di fronte al fallimento indiscutibile dell’esperimento di Tsipras (e lasciamo stare quello della “lista Tsipras” nostrana!), assistiamo allo sforzo disperato di salvarne il salvabile. Come si legge sul Manifesto, a parte taluni accenni isolati di trarne il debito bilancio, occorre arroccarsi attorno all’ultima Thule rappresentata da Tsipras e sperare che il fronte di Syriza non si spacchi altrimenti. tolto di mezzo il Davide incapace di fiondare Golia, si precipiterebbe in un inimmaginabile peggio. L’importante per questi signori è che qualche “estremista” non alzi troppo il tiro di una lotta di classe che metta in causa Syriza: abbiamo un onesto governo socialdemocratico al “potere”; nessuno spartachista ellenico si sogni di attaccarlo. E questo è quanto. Ognuno ne tragga le conclusioni del caso!

1 agosto 2015



CUNEI SPUNTATI SULLA GRECIA
(E DINTORNI)

Un’ennesima (l’ultima nei nostri programmi, salvo imprevisti di forza maggiore) sul Cuneo rosso, stavolta in merito al caso Grecia. Ed essa valga come constatazione conclusiva, in qualche modo, ove provvidenziali ma insperabili fatti contrari non intervengano a smentita, della deriva rosella di questi nostri ex-compagni dellOCI, ed anche di ottimo spessore con cui abbiamo fraternamente condiviso comuni battaglie al cui filo rosso noi restiamo strettamente ancorati. Una prima linea di slittamento si era già manifestata all’interno dell’OCI sul tema del governo Prodi (e rimandiamo a quanto ne abbiamo scritto in lungo e in largo), tortuosamente assunto a governo quanto meno di amichevole ascolto rispetto alla pressione (?) su di esso delle masse che a tanto l’avrebbero obbligato. La questione, anche per il modo con cui la discussione in merito fu orchestrata, provocò il nostro allontanamento dall’OCI stessa. In seguito, gli attuali “redattori” del Cuneo si avventurarono in un’esaltazione delle cosiddette “primavere arabe” che li videro oggettivamente far da sponda alle manovre imperialiste nell’area camuffandole in nome di un supposto protagonismo, addirittura proletario ed anzi comunista, delle masse arabe contro i “sanguinari” del tipo Gheddafi ed Assad finalmente fatti fuori dal sol dell’avvenire (sì, quello dell’avvenire imperialista). Il tutto mascherato dall’ovvia (anche per noi, questo è più che certo) opposizione ai regimi vigenti, salvo che..., e non c’è altro da aggiungere. E questa sburronata ha fatto sì che anche l’attuale Che fare ne abbia tratto delle debite conclusioni cui non era arrivato nel caso precedente. Sulla Grecia, oggi, si tocca il fondo, ed in maniera molto più esplicita nel dichiararsi per quel che si è abbandonando i precedenti giri di valzer.

E’ sintomatico l’avvio dell’articolo che abbiamo sotto mano (No al diktat della borghesia imperialista europea) scritto alla vigilia del referendum: “Poiché non ci piace la demagogia (neppure quella di estrema sinistra) dobbiamo dire che, a suo modo, il governo Tsipras – pur accettando la clausola capestro fondamentale dell’attivo di bilancio crescente (dall’1,5% al 3,5%) – aveva cercato di ridistribuire (!) un po’ (!) i pesantissimi sacrifici messi in preventivo”. Dunque: i demagoghi di estrema sinistra, tra i quali ci iscriviamo ad honorem, prendono atto che quello di Syriza è un governo borghese che per sua natura accetta di stare sotto il capestro della “borghesia imperialista europea” e che, in quanto tale, esso costituisce un capestro per le masse lavoratici greche contro cui è d’obbligo battersi. Ma no, dicono i nostri: esso, almeno per “un po’” lavora alla “spalmatura” dei sacrifici messi in conto, ed è quindi un (borghese o no?) “meno peggio” che un’antidemagogica Realpolitik deve saper apprezzare e sostenere “almeno un po’”. Cosa che, a suo tempo, i compagni seri avrebbero dovuto fare con i Turati e gli aventiniani (certamente non “equiparabili” al fascismo: come se davvero qui stesse il centro del problema!).

Dopo una serie di considerazioni, anche in parte condivisibili, sulle ragioni che obbligano l’imperialismo europeo (i dittatori dittati!) a terapie shock di cui “la Grecia è stata, ed è, il primo (inesatto! , n.n.) laboratorio” perché “il progetto imperialista europeo non può reggere alla competizione con gli Stati Uniti da un lato, con i capitalismi emergenti dall’altro, senza peggiorare drasticamente le condizioni di lavoro e di esistenza dei lavoratori europei” (e fin qui ci siamo!) si arriva all’attuale stato delle cose: “Per queste ragioni la Trojka non ha lasciato a Tsipras alcuno spazio per un compromesso anche pessimo (un po’ più reidstributivo?, n.n.), e ha preteso invece la (impossibile) resa”. Orbene. “la resa di Tsipras è divenuta impossibile a causa delle piazze greche e della opposizione interna alla stessa Syriza” (sottolineato nel testo). Tutta l’invocata opposizione delle masse si riconduce quindi agli equilibri interni a Syriza (vai a scegliere il “migliore” in questione, purché non demagogico) ed a piazze che si presumono semplicemente syrizzate (tanto che non v’è accenno a lotte fuori da questo coro portate avanti da altri, a cominciare dal KKE e sindacati ad esso collegati “su cui sarebbe da fare e sarà da fare un discorso a sé” (e dio solo sa cosa significhi) se non per elusivi accenni senza logiche conseguenze di sorta rimanendo centrale il ruolo irrinunciabile, per i nostri, di Tsipras e soci.

Attenzione ora: “E’ vero: le piazze greche non sono più ribollenti come anni fa, perché anche in Grecia le elezioni, il meccanismo democratico, è stato abilmente usato da tutti, Syriza inclusa, per spostare dalle piazze alle istituzioni il confronto-scontro con i creditori-gangster” (il confronto-scontro con la propria borghesia vi è “abilmente” omesso). Quel che vale, però, per delle elezioni colpevoli – e diciamo poco! – di spostare le piazze sul terreno istituzionale – cosa da nulla? – non vale per il referendum di cui qui si parla alla sua vigilia. Quella del referendum “è stata una mossa obbligata (e perché? Ed a quale scopo, extra od anti-istituzionale forse?, n.n.), abile dall’altro”. L’aggettivo abile si spreca! Si dice sì che “il referendum popolare non è e non può essere un terreno privilegiato dell’azione di classe”, ma, al tempo stesso, che il suo esito è “tutt’altro che indifferente”. Il che significa soltanto che esso serve da innesco per... rispostare le masse sul terreno della lotta di classe con opportune aggiunte privilegiate. Sotto l’ombrello di una rinnovata Syriza o che altro? Qui il silenzio è “abilmente” d’oro e non c’è una riga che affronti il tema del che fare rispetto al quadro politico vigente (e cangiante... a destra). Eppure qualche problemino rimane anche per i nostri amici “antidemagogici”, i quali, dopo aver esaltato contro le “fantasie” antagoniste gli “equi” sacrifici garantiti da Tsipras devono pur scrivere che il suo è “un programma di keynesismo moderato (al Cuneo ne conoscono anche uno di “estrema”, n.n.), ed anche questo programma è stato dimenticato in questi mesi” e che quello che a Bruxelles passava per un “bieco nazionalizzatore” “non ha finora nazionalizzato un bel nulla”. Tirate voi un po’ le somme!

Quanto al referendum i nostri ricordano come Papandreu fosse stato “democraticamente licenziato dalla Trojka” nel 2011 per il solo averlo ventilato, con l’effetto – guarda guarda! – di aver aperto le porta del governo a Syriza (quale imprevidenza!) e se stavolta non s’è fatto il bis sarebbe perché “i poteri forti che hanno scatenato la guerra contro i lavoratori greci sono oggi più deboli e più delegittimati di quattro anni fa”, forse perché un movimento di opposizione di classe in piena vigoria fisica e mentale – in Grecia ed altrove – li avrebbe messi quasi al tappeto. Pertanto, per recuperare dei punti, a costoro non restava che cercare di battere Tsipras nell’urna. Ed ora che gli è andata male su questo versante? A noi sembrerebbe che ove occorresse un medico d’urgenza questi non dovrebbe accorrere precisamente al capezzale degli esangui e sputtanati “poteri forti” imperialisti, ma a quello del presente e dei futuri governi greci. Per quanto ci riguarda saremmo per potenti iniezioni energetiche per la nostra classe affinché possa combatterli entrambi.

Chiuse le urne siamo certi che quelli del Cuneo, mischiando ancora una volta le carte, come nel caso delle “primavere arabe”, sosterranno di aver sempre visto giusto e trovarne “ulteriore” conferma nei fatti. A Tripoli e Damasco ieri, ad Atene oggi. Ed allora: buona digestione!

1 agosto 2015




DOCUMENTAZIONE

– La posizione del Partito Comunista di Grecia sul dopo-referendum (evidenziazioni nostre) –


Dichiarazione del Comitato Centrale del KKE sul nuovo accordo-memorandum

1. Il KKE invita gli operai, gli impiegati, gli strati popolari, i pensionati, i disoccupati e i giovani, a dire un vero e proprio inflessibile NO all’accordo-memorandum, che è stato firmato dal governo di coalizione SYRIZA-ANEL con l’UE BCE-FMI e a combattere ovunque, in piazza e sui luoghi di lavoro, contro le misure selvagge in esso contenute. Il nuovo pacchetto di riforme va ad aggiungersi alle misure barbariche del memorandum precedente. Occorre organizzare il contrattacco per evitare che il popolo sia spinto al completo fallimento. Occorre rafforzare il movimento operaio, l’alleanza popolare, aprire la strada perché il popolo si liberi una volta per tutte dal potere del capitale e delle unioni imperialiste, che lo conducono a condizioni sempre più inumane.

Non dobbiamo sprecare un giorno, nemmeno un’ora. Subito, senza alcun ritardo deve essere intensificata l’attività popolare all’interno dei luoghi di lavoro, nelle fabbriche, negli ospedali, nei servizi, nei quartieri, attraverso i sindacati, i comitati popolari e di solidarietà sociale, i comitati di assistenza. L’accordo porterà a una nuova e significativa riduzione del reddito popolare e alla frantumazione dei diritti dei lavoratori. Si legittimerà e si darà il via libera ai licenziamenti, all’espansione del lavoro non retribuito, alle ferie forzose e ad altre misure anti-operaie, già adottate dai maggiori datori di lavoro recentemente, utilizzando le restrizioni sulle transazioni bancarie.

Il popolo non deve permettere che prevalga il consenso, l’intimidazione e il fatalismo, la falsa atmosfera di "unità nazionale" e le false speranze alimentate dal governo, dai partiti borghesi, dai mass-media e dai vari altri centri dell’establishment, così come dalle istituzioni europee. Essi infatti chiedono al popolo di accettare il memorandum di Tsipras e di sentirsi sollevati, perché presumibilmente lo scenario peggiore è stato evitato.

2. Il nuovo memorandum Tsipras è composto da una serie di dure misure antipopolari, che inaspriscono il peso già insopportabile dei precedenti memorandum e delle relative leggi applicative emanate dai governi ND-PASOK. Quest’ultimo memorandum reca già il sigillo di ND, PASOK e POTAMI, perché la dichiarazione congiunta che hanno firmato e il loro voto in Parlamento ha conferito carta bianca al governo per formare il nuovo pacchetto di misure barbariche che accompagnano l’accordo. La posizione assunta da quasi tutti i mezzi di comunicazione di proprietà privata, rivela, che dopo aver accusato SYRIZA di voler portare la Grecia fuori dalla zona euro tramite il referendum, ora plaudono e lodano le sue scelte, perché è stato "restituito" il senso del realismo. Oggi, i partiti del NO (SYRIZA-ANEL) con i partiti del SI (ND-POTAMI-PASOK) chiedono al popolo di dire SI ad un nuovo protocollo, che scarica nuovi oneri sulla classe operaia e sui ceti popolari poveri con misure antipopolari, come quelle che il popolo greco aveva intenzione di respingere nel referendum.

Il governo in sostanza sobbarca il popolo con un nuovo prestito del valore di 86 miliardi di euro e le relative misure selvagge che lo accompagnano, come ad esempio l’ulteriore riduzione dei redditi popolari, nuove ingenti tasse e il mantenimento della ENFIA (la nuova tassa di proprietà), il significativo aumento dell’IVA sui prodotti di consumo popolare di massa e il prelievo di solidarietà, la riduzione delle pensioni, l’implementazione di un nuovo e peggior regime previdenziale, la graduale abolizione di EKAS (previdenza complementare per i pensionati poveri), le nuove privatizzazioni, le misure della "cassetta degli attrezzi" dell’OCSE, ecc.

Contro il popolo vengono utilizzati da 5 anni a questa parte gli stessi ricatti e dilemmi, per costringerlo ad accettare queste misure: un nuovo e ancora più duro memorandum o il fallimento dello stato tramite una Grexit? Lo stesso dilemma sottoposto per il memorandum 1 e 2 è stato ripetuto in ogni occasione prima della restituzione di una rata. Ogni volta la gente deve scegliere il male "minore", che alla fine si rivela essere il male peggiore. Il governo di coalizione SYRIZA-ANEL oggi usa la stessa tattica e retorica.

3. L’attuale governo ha reso un ottimo servigio al sistema, visto che fin dal primo momento ha "acconciato" il suo compromesso a slogan di sinistra e gli ha dato una maschera di dignità. Ha diretto falsi dilemmi contro il popolo, in un periodo in cui l’opposizione alla UE poteva acquisire un contenuto radicale e indurre al rifiuto del percorso di sviluppo capitalista, che va di pari passo con la partecipazione del nostro paese nelle alleanze imperialiste interstatali, formate sempre sulla base dei rapporti ineguali tra stati. Ha organizzato un referendum attorno a un falso quesito e poi ha trasformato il "no" in un "sì" per un memorandum ancora più barbaro.

SYRIZA sfrutta consapevolmente il desiderio del popolo di esser sollevato dalle conseguenze dei 2 memorandum, che implicherebbe almeno un recupero delle perdite dei ceti popolari. Sfrutta la visione e i sogni delle persone radicali e di sinistra che anelano a un governo "di sinistra", "pro-popolo". Ha utilizzato l’inevitabile svalutazione politica di ND e PASOK in modo da arrivare al governo. Oggi, attraverso il nuovo protocollo, sta fornendo un’"assoluzione dai peccati" di ND-PASOK per i memorandum precedenti.

SYRIZA usa la demagogia, come il suo impegno pubblico a favore del grande capitale, di cui sosterrà il recupero di redditività, per impedire il raggruppamento e il recupero del movimento operaio e popolare. Ha conquistato la tolleranza e persino il supporto del nucleo di base della classe borghese in Grecia, così come nei centri imperialisti stranieri, come gli Stati Uniti. Le alleanze con USA, Francia e Italia, delle quali il governo è orgoglioso, non sono in alcun modo uno "scudo" per gli interessi popolari. In realtà, sono "pesi morti" che trascinano la classe operaia e i ceti popolari negli scontri pericolosi e sempre più acuti tra gli imperialisti.

Il KKE fin dall’inizio ha sostenuto e dimostrato che SYRIZA non voleva e non era in grado di preparare il popolo per uno scontro contro i memorandum e i monopoli, sia greci che europei, proprio perché non ha un orientamento alla resistenza e al conflitto. Al contrario, ha fatto quello che poteva per mantenere le persone passive, in attesa di esprimere un "voto di protesta" alle elezioni. Ha ingannato il popolo inducendolo a credere che avrebbe aperto la strada a modifiche favorevoli alle persone nel quadro dell’alleanza predatoria dell’UE.

La piattaforma di sinistra di SYRIZA e di tutti coloro che stanno cercando di nascondere le loro enormi responsabilità dietro l’"astensione" o la "presenza" in Parlamento ha svolto un ruolo particolare nella manipolazione del movimento, intrappolando le persone disposte al radicalismo. Queste forze stanno cercando di salvarsi politicamente e svolgono un nuovo ruolo nel contenimento del radicalismo e l’assimilazione del popolo nel sistema, preparando un nuovo "ammortizzatore" politico, ruolo svolto in passato dal vecchio partito "Synaspismos".

4. Soprattutto oggi, alcune conclusioni che sono preziose per il popolo devono essere tenute a mente:

La trattativa "tenace" è stata fin dall’inizio un campo minato per gli interessi del popolo, poiché è servita al capitale per il recupero della sua redditività. La partecipazione della Grecia nell’Unione europea e nella zona euro rimane la scelta strategica del capitale greco ed è caratterizzata dalle condizioni ineguali, che esistono oggettivamente in tali alleanze imperialiste. Nel quadro di queste alleanze, lo stato greco è obbligato al compromesso con i centri più forti, come la Germania, scaricando le conseguenze di questi rapporti ineguali sui lavoratori.

Questi sviluppi costituiscono l’espressione più chiara del fallimento della cosiddetta "sinistra di governo" o governo di "rinnovamento", della teoria che l’UE possa cambiare il suo carattere monopolistico e antipopolare. Hanno messo in evidenza il crollo della cosiddetta linea "anti-memorandum" che ha promosso lo scopo socialdemocratico della ricostruzione della produzione, senza cambiamenti radicali a livello di economia e potere.

E’ stata confermata la linea di lotta del KKE e della sua robusta e coerente presa di posizione, che ha respinto la partecipazione a tali "governi di sinistra" che sono in realtà governi di gestione borghese.

Nel complesso, i processi per la ricomposizione del sistema politico borghese sono stati accelerati dopo i recenti sviluppi. Sia attraverso un rimpasto e l’eventuale ampliamento della base del governo sia attraverso le elezioni e la creazione di nuovi partiti e "ammortizzatori". In ogni caso, l’offensiva contro il KKE è la scelta coerente del sistema, per evitare che l’indignazione popolare confluisca nella linea antimonopolistica e anticapitalista di lotta. Una nuova alleanza antipopolare di "volenterosi" viene sollevata contro il popolo, per impedire qualsiasi spirito di resistenza e di emancipazione. Oggi, l’intensificazione della repressione di stato e padronale rialza la testa minacciosa, aumenta l’autoritarismo, per prevenire l’organizzazione del movimento operaio e dei suoi alleati nello sviluppo della lotta di classe.

5. Il fatto che l’uscita di un paese dalla zona euro, per la prima volta, sia stata posta così intensamente è dovuto all’acuirsi delle contraddizioni interne e delle ineguaglianze delle economie della zona euro, per la competizione tra i centri imperialisti vecchi e nuovi, emersi dopo la controrivoluzione nei paesi del socialismo. Questi problemi sono cresciuti nelle condizioni della crisi economica prolungata in Grecia e altrove. Le tendenze alla separazione sono aumentate, sostenute dalle forze politiche borghesi che vogliono un’Eurozona con paesi economicamente più forti. In Germania tale tendenza è significativa ed è fomentata dalle principali forze del FMI, per le loro ragioni e interessi, e questo porta all’ampliamento delle contraddizioni all’interno della zona euro. Nel suo ambito si esprimono contraddizioni interimperialiste soprattutto tra la Germania e la Francia. Sulla permanenza della Grecia nella zona euro sono emerse contraddizioni anche tra Stati Uniti e Germania e altri centri imperialisti. Gli Stati Uniti sono intervenuti, volendo limitare l’egemonia della Germania in Europa, senza però, per il momento, desiderare la dissoluzione della zona euro.

Le contraddizioni e gli sviluppi nella zona euro e nell’Unione nel suo complesso, non sono stati risolti dal transitorio compromesso di oggi e la ratifica dell’accordo tra Grecia e la zona euro e il FMI. La tendenza rimane forte, lasciando aperta la possibilità di una Grexit, con la ristrutturazione della zona euro, l’approfondimento dei meccanismi per una politica economica unitaria, norme più severe e meccanismi di monitoraggio dei saldi positivi tra entrate e spesa pubblica. In ogni modo, non è un caso che la Francia e l’Italia, che hanno resistito alla scelta di uscita della Grecia dalla zona euro, sono paesi con disavanzi e debiti elevati e cercano un allentamento delle regole più rigorose.

Lo scontro sulla questione del debito è il risultato di queste contraddizioni. Il governo, in linea con il Fondo Monetario Internazionale e gli Stati Uniti, ha posto l’aggiustamento del debito a obiettivo finale, a tutti i costi e a spese degli interessi popolari. Allo stesso tempo, chiede un nuovo prestito di € 86 miliardi che aumenterà il debito. Si vuole che le persone accettino le misure antipopolari in nome di una nuova gestione del debito, che come in passato saranno accompagnate da attacchi ai diritti operai e popolari. Il capitale sarà l’unico beneficiario del finanziamento, sotto forma di un nuovo prestito-debito o tramite il suo prolungamento.

6. E’ per una soluzione reale a favore delle persone che ci deve essere una vera e propria rottura, rottura che non ha alcuna relazione con la caricatura invocata dalle forze interne ed esterne a SYRIZA che promuove una Grecia capitalistica della dracma come via d’uscita. L’opzione di uscire dall’euro e adottare una moneta nazionale, all’interno del percorso di sviluppo del capitalismo, è una via antipopolare sostenuta da importanti settori della classe borghese in Germania, sulla base del "piano Schauble", così come da altri stati membri della zona euro, e in effetti da altre forze reazionarie. Oggi, alcune sezioni del capitale nel nostro paese guardano con interesse a questa opzione, sperando in immediati maggiori profitti.

Quelli che sostengono che l’uscita della Grecia dalla zona euro, con una moneta deprezzata, darà impulso alla competitività e alla crescita con conseguenze positive per le persone, sono impegnate in un consapevole inganno. Qualunque crescita capitalistica si possa ottenere in futuro non sarà accompagnata dal recupero degli stipendi, delle pensioni, dei diritti e per questo motivo non andrà a beneficio del popolo. Essa porterà a nuovi sacrifici del popolo sull’altare della competitività dei monopoli.

La Grecia capitalista con una moneta nazionale non costituisce una rottura a favore del popolo. Le forze politiche che promuovono un tale obiettivo come soluzione o come obiettivo intermedio per cambiamenti radicali (la piattaforma di sinistra di SYRIZA, ANTARSYA, ecc.) stanno oggettivamente sostenendo il gioco di alcune sezioni del capitale.

Questa opzione non restituirà il relativo miglior tenore di vita degli anni 1980 e 1990, come alcuni sostengono. Le leggi dello sfruttamento capitalistico e l’inesorabile competizione monopolistica continueranno a "regnare". L’impegno dell’UE e della NATO sarà quello di stringere la "morsa". Le leggi barbare sui prestiti valgono su tutti i mercati monetari, tutte le banche di investimento e i fondi delle vecchie e nuove alleanze imperialiste (come i BRICS). In ogni caso, le politiche antipopolari vengono attuate nei paesi dell’euro e anche nei paesi capitalisti con monete nazionali, sia quelli più forti come la Cina, la Gran Bretagna, la Russia e sia in quelli più deboli, come la Bulgaria e la Romania.

Gli slogan sulla presunta dignità di una "Grecia povera ma forte e orgogliosa che resiste" hanno lo scopo di nascondere la verità al popolo e di soggiogarlo alla barbarie. Il popolo non può sentirsi orgoglioso, quando la ricchezza prodotta gli viene estorta ed è proclamata la bancarotta per salvare il sistema capitalista dalla crisi, dentro o fuori dall’euro.

Una cosa è che il popolo scelga di lasciare l’Unione europea, consapevolmente e attivamente, prendendo contemporaneamente le chiavi dell’economia e del potere in mano, un’altra cosa, completamente diversa, è trovarsi al di fuori della zona euro, come risultato delle contraddizioni e della concorrenza dei capitalisti. La prima opzione costituisce una soluzione alternativa in favore del popolo e vale ogni sacrificio, la seconda porta al fallimento del popolo per una delle tante vie.

7. La proposta politica del KKE – proprietà sociale, disimpegno dalla UE e dalla NATO, cancellazione unilaterale del debito, con il potere operaio e popolare – è diretta ai lavoratori salariati e agli strati popolari, ai giovani e alle donne delle famiglie della classe operaia, ai pensionati, perché queste forze erano e sono le vere forze motrici della società. La prosperità sociale può essere garantita sulla base del loro lavoro, senza disoccupazione, fame, miseria, senza sfruttamento. E’ necessario che si facciano protagonisti degli sviluppi politici e sociali, che agiscano per i propri interessi, per la propria vita, con il KKE contro il potere dei loro sfruttatori.

Nulla è stato mai concesso dagli sfruttatori e dal loro stato. Il potere operaio e popolare non sarà concesso dal sistema politico borghese, né da alcun partito "della sinistra", ma deve essere conquistato. Il corso per un reale cambiamento nei rapporti di forza a favore della maggioranza dei lavoratori richiede che le persone si raggruppino attorno al KKE e che il KKE si rafforzi ovunque, soprattutto nei luoghi di lavoro e nei quartieri popolari.

Il rafforzamento complessivo del KKE e l’unione delle forze attorno ad esso sono il prerequisito per il raggruppamento del movimento operaio e la formazione di una forte alleanza popolare, che condurrano le lotte che riguardano i problemi del popolo, la rivendicazione di misure urgenti, il recupero delle perdite subite, con un fermo orientamento contro i monopoli e il capitalismo.

La loro formazione e accrescimento possono da oggi contribuire all’inversione del rapporto di forze negativo, al rafforzamento dell’organizzazione, alla combattività, allo spirito militante della classe operaia e degli altri ceti popolari contro il fatalismo e la sottomissione del popolo, contro la vecchia e la nuova gestione della barbarie capitalista.

Il CC del KKE
13 luglio 2015

(Traduzione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare)



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– Il “miglior risultato possibile” di fronte alla “follia vendicatrice” della Germania! (evidenziazioni nostre) –


UN TIMONIERE NELLA BURRASCA

Norma Rangeri

Nella notte più lunga e più nera dell’Unione europea, la giacca gliel’hanno lasciata, ma il tentativo di Tsipras di mitigare la ricetta di lacrime e sangue si è scontrato con un muro. Come era prevedibile, inevitabile. Al giovane leader greco è stata risparmiata solo l’umiliazione di collocare il “fondo di garanzia” di 50 miliardi nel paradiso fiscale di Juncker, il Lussemburgo.

Il piccolo paese devastato dai cinque anni di austerità dovrà ancora sopportarne il peso, percorrendo una strada tutta in salita. La Grecia finisce sotto amministrazione controllata, soprattutto dalla Troika, che torna ad Atene con il compito di vagliare ogni legge nazionale. Inoltre il nuovo memorandum prevede mano libera sui licenziamenti collettivi. Non due rospi da ingoiare insieme agli altri punti dell’accordo, ma il ritorno allo statuto di colonia tedesca. Con tutte le conseguenze facilmente immaginabili in un paese destabilizzato, con le banche ancora chiuse e le destre nazionaliste in ebollizione.

Ma se è vero che la materia del contendere a Bruxelles non era di natura economica (una questione che vale il 2% del Pil europeo), se la partita giocata fin dall’inizio è stata squisitamente politica – togliere di mezzo l’inaffidabile leader di Syriza e l’anomalia del suo governo – allora se oggi Tsipras lasciasse il campo si realizzerebbe anche quest’ultimo diktat di Bruxelles.

Il presidente del consiglio greco, finché potrà, dovrà tenere il timone ben fermo per tentare di guidare la sua nave in mezzo alla grande burrasca, e se nell’accordo capestro c’è tuttavia il riconoscimento dell’insostenibilità del debito, e 35 miliardi di fondi europei per gli investimenti oltre a un prestito di 86 miliardi, non è garantito che il timoniere riesca a raggiungere un porto sicuro.

La minoranza interna, con i parlamentari e i ministri che la rappresentano, ha buone ragioni per non votare “l’atroce elenco” (Der Spiegel) e a criticarlo è lo stesso ex ministro Varoufakis che rimprovera a Tsipras di aver firmato l’accordo e di non aver messo sotto controllo la Banca centrale innescando così il piano B. Ma chi garantisce che un gioco al rialzo avrebbe ottenuto risultati migliori?

E comunque c’è anche il rovescio della medaglia, e cioè la “follia vendicatrice” della Germania, come la chiama Paul Krugman, non è a costo zero. Il suo oltranzismo, fino alla esplicita volontà di umiliare la vittima, ha impressionato molti ambienti tedeschi, oltre ad aver messo in evidenza una frattura con la Francia. Per il futuro è in discussione lo strapotere della leadership germanica. L’Italia non ha certo giocato un ruolo da protagonista. Renzi venerdì scorso pronosticava che il summit finale non sarebbe stato necessario perché l’accordo si sarebbe trovato facilmente.

Comincia ora il secondo tempo del dramma greco. Un paese che ha sconfessato i governi dell’austerità, un popolo che ha dimostrato una grande dignità, i giovani che hanno dato fiducia alla sinistra mandandola al governo devono affrontare una navigazione perigliosa. Senza voltare le spalle al loro leader, consapevoli dell’impossibilità di praticare la via della giustizia sociale in un solo paese.

(da “il manifesto”, 14 luglio 2015)



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– La “rivoluzione” in marcia... –


«L’arte della guerra»

Patto militare Grecia-Israele

Manlio Dinucci

Quando in Grecia è andato al governo Tsipras, in Israele è suonato l’allarme: Syriza, sostenitrice della causa palestinese, chiedeva di porre fine alla cooperazione militare della Grecia con Israele. Di fronte alla brutale repressione israeliana contro i palestinesi, avvertiva Tsipras, «non possiamo rimanere passivi, poiché quanto accade oggi sull’altra sponda del Mediterraneo, può accadere sulla nostra sponda domani». Sette mesi dopo, cessato allarme: Panos Kammenos, ministro della difesa del governo Tsipras, è andato in visita ufficiale a Tel Aviv, dove il 19 luglio ha firmato col ministro israeliano della difesa, Moshe Ya’alon, un importante accordo militare. Per tale mossa, Kammenos, fondatore del nuovo partito di destra Anel, ha scelto il momento in cui la Grecia era attanagliata dalla questione del debito. L’«Accordo sullo status delle forze», comunica il Ministero greco della difesa, stabilisce il quadro giuridico che permette al «personale militare di ciascuno dei due paesi di recarsi e risiedere nell’altro per partecipare a esercitazioni e attività di cooperazione».

Un accordo simile Israele lo ha firmato solo con gli Stati uniti.

Nell’agenda dei colloqui anche la «cooperazione nel campo dell’industria militare» e la «sicurezza marittima», in particolare dei giacimenti offshore di gas che Israele, Grecia e Cipro considerano propria «zona economica esclusiva», respingendo le rivendicazioni della Turchia. Sul tavolo dell’incontro «le questioni della sicurezza in Medioriente e Nordafrica». Facendo eco a Ya’alon che ha denunciato l’Iran quale «generatore di terrorismo, la cui ambizione egemonica mina la stabilità di altri Stati», Kammenos ha dichiarato: «Anche la Grecia è nel raggio dei missili iraniani; se uno solo riesce a raggiungere il Mediterraneo, potrebbe essere la fine degli Stati di questa regione». Ha quindi incontrato i vertici delle forze armate israeliane per stabilire un più stretto coordinamento con quelle greche. Contemporaneamente il capo della marina militare ellenica, il vice-ammiraglio Evangelos Apostolakis, ha firmato con la controparte israeliana un accordo di cooperazione su non meglio precisati «servizi idrografici».

Il patto militare con Israele, stipulato a nome del governo Tsipras, non è solo un successo personale di Kammenos. Esso rientra nella strategia Usa/Nato che, nell’offensiva verso Est e verso Sud, mira a integrare sempre più strettamente la Grecia non solo nell’Alleanza ma nella più ampia coalizione comprendente paesi come Israele, Arabia Saudita, Ucraina e altri. Il segretario generale Stoltenberg ha dichiarato che il «pacchetto di salvataggio» Ue per la Grecia è «importante per l’intera Nato», essendo la Grecia un «solido alleato che spende oltre il 2% del pil per la difesa» (livello raggiunto in Europa solo da Gran Bretagna ed Estonia).

Particolarmente importante per la Nato la base aeronavale della baia di Suda a Creta, usata permanentemente dagli Stati uniti e altri alleati, negli ultimi anni per la guerra contro la Libia e le operazioni militari in Siria. Utilizzabile ora, grazie al patto con la Grecia, anche da Israele soprattuto in funzione anti-Iran.

In tale quadro strategico si ricompongono i contrasti d’interesse fra Grecia e Israele, da un lato, e Turchia dall’altro.

La Turchia, dove la Nato ha oltre 20 basi e il Comando delle forze terrestri, in nome della «lotta all’Isis» bombarda i curdi del Pkk (veri combattenti anti-Isis) e, insieme agli Usa e ai «ribelli», si prepara a occupare la fascia settentrionale del territorio siriano. Appellandosi all’Art. 4 del Patto Atlantico, in quanto ritiene minacciate la propria sicurezza e integrità territoriale.

(da “il manifesto”, 28 luglio 2015)



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– Riportiamo il link ad un commento sul referendum da parte di un gruppo anarchico greco (il testo dell'articolo è in francese) –


Reférendum Syriza :
Une prise de position du groupe grec Groupe Anarchiste Kath’odon


http://pantopolis.over-blog.com/2015/07/referendum-syriza-une-prise-de-position-du-groupe-grec-groupe-anarchiste-kath-odon-03-07-2015.html