nucleo comunista internazionalista
note





“DOBBIAMO FERMARLI”
MA SAREBBE QUESTO IL POSTO DI BLOCCO?


Un compagno di altra organizzazione, ma da sempre utilmente in contatto con noi, ci segnala, sollecitando una nostra presa di posizione, il documento dal titolo Dobbiamo fermarli (*) articolato in “5 proposte per un fronte comune contro il governo unico delle banche” preparatorie di un incontro a Roma il 1° ottobre.

Il documento si presenta controfirmato da un nutrito drappello di esponenti del mondo del lavoro di tutto rispetto, ad esclusione di sigle politiche esplicite di gruppi “comunisti” che, in realtà, si intravedono immediatamente dietro la scena, nell’evidente intenzione di proporre la cosa come promanante “dal basso” senza che nessuno di essi voglia o si senta autorizzato a “metterci il cappello”: il “fronte” deve mostrarsi “comune”, e quindi “anonimo”. A noi già questo sembra un vecchio escamotage di nessuna rilevanza, perché, anche e proprio ammesso che si possa parlare di “fronte unico” del lavoro salariato (vecchissima questione nella Terza Internazionale, per chi se ne ricordi) un forza comunista necessariamente vi interviene mostrando la propria faccia e svolgendo, semmai, il lavoro di direzione che le spetta come compito suo proprio. Ma lasciamo pure stare... Altro sarebbe se davvero si trattasse di una effettiva prova di fronte unico dal basso, da prendere intanto come base su cui svolgere dentro ed autonomamente il proprio ruolo politico. Ne dubitiamo fortemente e prendiamo nota di quanto ci scrive un altro compagno, sempre di diversa organizzazione, più di noi certamente esperto nella frequentazione del milieu da cui nasce il documento: si tratterebbe della solita solfa gruppettara etc. etc. (sorvoliamo su altre considerazioni aggiuntive; certo è, al di là d’ogni altra considerazione, che esso non nasce da “spontanee spinte di massa dal basso”, e fin qui niente di male...). Noi ci accontentiamo di prendere il testo per quel che dice, trascurando le questioni di copyright.


Il documento in questione parte dal riconoscimento dello svolto drammatico che si para davanti “al nostro Paese” dentro ad una Unione Europea che si rivela essere “una dittatura di banche e finanza che sta distruggendo ogni diritto sociale e civile”. E il documento prosegue: “La democrazia viene cancellata da questa dittatura perché tutti i governi, quale che sia la loro collocazione politica, devono obbedire ai suoi dettati. La punizione dei popoli e dei lavoratori europei si è scatenata in Grecia e poi sta dilagando ovunque”.

Qui una nostra osservazione preliminare: si parla del “nostro paese”, dei “popoli e lavoratori europei”: bene... ma dove li mettiamo o dove li lasciamo, per esempio, il proletariato e le masse degli Stati Uniti d’America? E’ o non è, per esempio, anche il proletariato d’America sottoposto al torchio di una feroce guerra di classe, sancita fra l’altro nell’accordo bipartisan del 2 agosto? Preghiamo di prendere buona nota che questa osservazione preliminare non è affatto una “impuntatura” fatta dai soliti quattro gatti spelacchiati presi, al solito, dai fumi “delle teorie ideali” ed avulsi perciò dal movimento reale, dalla lotta. Qui si tratta invece, e con riflessi ben concreti, di mettere in chiaro e di stabilire inequivocabilmente se la sacrosanta lotta e rete di resistenza che ci si propone di mettere in campo è fatta in nome e nella prospettiva di una “gestione diversa, alternativa” del “nostro paese” ossia del capitalismo italiano dentro ad “un’altra Europa” (Europa “sociale”, “dei popoli e non delle banche” ecc. ecc.) oppure se questo sacrosanto appello alla lotta e alla resistenza siano e debbano darsi, sul terreno del proprio paese certamente, come parte di un movimento di classe internazionale. Dobbiamo sentirci ed essere militanti di un reparto locale, nazionale del proletariato internazionale contro cui è stata scatenata la guerra di classe da parte del Capitale oppure “avanguardie” di un riscatto e di una rinascita “della Patria e dell’Europa dei popoli” da liberare dalle politiche e dai diktat liberisti e dalla soggezione all’Impero americano? In questo secondo corno del dilemma (più “realistico”? una volta lasciate perdere le “astrazioni” sul proletariato internazionale?) si sappia che ci si pone sullo stesso terreno e prospettiva della destra sociale, nazionale ed europea la quale anch’essa, del tutto coerentemente e legittimamente dal suo punto di vista, si appella ed opera per un fronte comune contro “la macelleria sociale indotta dal modello liberista” e per la costituzione di un solido blocco “euroasiatico” in opposizione alla centrale imperialista americana ed a tutti i suoi lacchè ovunque infiltrati. (1)


Fatta questa osservazione proseguiamo. Il documento in questione sottolinea come “è decisivo un autunno di lotte e mobilitazioni. Per il mondo del lavoro questo significa in primo luogo mettere in discussione la politica di patto sociale, nelle sue versioni del 28 giugno e del patto per la crescita. Vanno sostenute tutte le piattaforme e le vertenze incompatibili con quella politica, a partire da quelle per contratti nazionali degni di questo nome e inderogabili, nel privato e nel pubblico”. Bene: anche noi ci stiamo a pieno titolo nel piccolo, piccolissimo, delle nostre forze. Diciamo anche, subito, a scanso di equivoci, che siamo convinti che tutti i firmatari saranno decisi a fare la loro parte da convinti militanti di classe e che, da questo punto di vista, ci augureremmo che la lista si allunghi all’infinito, come davvero sarebbe necessario per un rilancio del fronte di classe. Ma... E qui cominciano i guai.


Primo punto: l’analisi della situazione di partenza del movimento a venire che si prospetta. Leggiamo: “E’ da più di un anno che in Italia cresce un movimento di lotta diffuso”, “una vasta e convinta mobilitazione (che) ha cominciato a cambiare le cose. E’ andato in crisi totalmente il blocco sociale e politico e l’egemonia culturale che ha sostenuto i governi di destra e di Berlusconi” e, addirittura, “la domanda di cambiamento sociale, democrazia e di un nuovo modello di sviluppo economico ha raggiunto la maggioranza del Paese”.

Meraviglioso! Mentre, disgraziatamente, vediamo come le stesse più avanzate punte di lotta proletaria difensiva (a cominciare da quella della FIAT) non sono sin qui riuscite a stoppare l’attacco borghese che ci è inferto, dalle destre “in carica” come dalle “opposizioni” – omologate dal documento alle prime in quanto ubbidienti alla dittatura “bancaria” (!!, ci ritorneremo) –, ci si dice che siamo già...maggioranza del Paese. Per “dimostrarlo” si mettono in fila tutti i presunti ”movimenti dirompenti” elencabili, da Pomigliano-Mirafiori, com’è giusto se se ne tengono presenti i flebili risultati conseguiti, a presunte “mobilitazioni delle donne” estremamente limitate sin qui a “lotte d’opinione” (non per questo trascurabili, certo, ma pallida ombra di vere lotte sostanziali trascorse), a quelli di “precari della conoscenza” (?!) e del “popolo dell’acqua” (?!) etc. etc. Niente, purtroppo, in grado di infrangere il blocco di potere borghese e, se volete, la sua “egemonia culturale”.

Dove sta la “maggioranza” di cui disporremo già in partenza? Ahinoi, è presto detto: “La vittoria del sì ai referendum è stata la sanzione di questo processo”, poco meno che rivoluzionario. Una vittoria elettorale sul nulla sostanziale, conseguita anche grazie al voto di milioni di “cittadini” del famoso blocco destra-opposizione di cui sopra a favore dei due quesiti referendari taroccati in questione. La “politica” dell’illusione ottica quanto al rilevamento delle forze in campo non giova a nessuno, cari amici e compagni! Tanto più se ridotta ad illusionismo... schedaiolo. Altro che “sanzione” di una decisiva vittoria sul campo! Volete ripartire dal risultato referendario? Diteci come. Vi staremo attentamente ad ascoltare... (Chissà che non ne venga fuori un’ipotesi di alternativa... elettorale capace di dar voce alla”maggioranza” che già abbiamo in tasca!) Ben diversa è la questione della ripartenza sul serio sostenendo “tutte le piattaforme e le vertenze” difensive (poi si vedrà...) che sarà realisticamente possibile mettere in atto – sul che siamo perfettamente d’ accordo – in grado di rompere tendenzialmente con la stretta delle compatibilità che un solidissimo blocco borghese “multicolore” ci impone.


Secondo punto: proprio a partire da questo illusionismo si presentano i famosi 5 punti di “obiettivi concreti” da conseguire tutti e subito. Diciamolo subito: si tratta della pura e semplice conseguenza di tale illusionismo, con la proposizione di obiettivi massimalistici sulla carta se rapportati ai reali rapporti di forza attuali ed ai concreti risultati che al presente si possono individuare come obiettivi realistici, ma, al tempo stesso, come poi vedremo al terzo punto, totalmente al di qua di un reale programma alternativo che, per noi, se non vi dispiace, è il programma comunista rivoluzionario di abbattimento del sistema capitalista attuale (cosa di cui qui assolutamente non si parla, al riparo della formula di un “nuovo modello di sviluppo economico” del tutto fumoso e, quando “precisato” in esempi, compatibile col sistema capitalista stesso). Ma fermiamoci, per ora, al “concreto” da attuare subito.

Non pagare il debito. Bisogna colpire a fondo la speculazione finanziaria e il potere bancario. Occorre fermare la voragine del debito con una vera e propria moratoria. Vanno nazionalizzate le principali banche, senza costi per i cittadini... La società va liberata dalla dittatura del mercato finanziario e delle sue leggi (bancarie o capitalistiche?, n.), per questo il patto di stabilità e l’accordo di Maastricht vanno messi in discussione” etc. etc. Segue il “drastico taglio alla spese militari e cessazione di ogni missione di guerra” (su cui, per ora, non sono stati indetti referendum risolutivi...). “Giustizia e diritti per tutto il mondo del lavoro” sino all’“eguaglianza retributiva” (!!!) con capitalistico, ma equo, welfare generalizzato. “I beni comuni per un nuovo modello di sviluppo, ecologicamente (e, magari, capitalisticamente, n.) compatibile” con “un piano per il lavoro basato su migliaia di piccole opere” (migliaia di micro-aziende, n.). Etc. etc. Tutto molto bello – si fa per dire! –, ma dove stanno le legioni che a tanto si appresterebbero? Si tratta, né più né meno, di una sorta di “programma di transizione”, del tipo di quelli che quotidianamente ci propina il PCL, per “trasbordare” un presunto movimento di classe in grande stile già presente verso i suoi obiettivi ultimi, per altro qui accuratamente nascosti o travisati. Per domani, dopodomani, o quando? E sulla base di quali mobilitazioni concrete per obiettivi immediati concreti ben delineati e credibili? Noi ci intravvediamo, su queste basi, il mai ed il nulla.

Ci limitiamo qui, per tentare di farci capire dagli audiolesi, ad un solo punto delle rivendicazioni “immediate” in oggetto, quello relativo alla “cessazione di ogni missione di guerra”. Visto che, secondo voi, siamo già oggi così magnificamente posizionati sul terreno, permetteteci di chiedervi: questa “cessazione” deriverebbe dalla nostra forza di pressione su un tangibile terreno di lotte in corso o si riduce ad una semplice petizione ai... governanti (forse “migliori governanti”, alla Pisapia-Vendola, grazie a future urne)?

Sulla cruciale questione libica dove possiamo vedere uno straccio di azione nostra, se si esclude quel generoso paio di migliaia di manifestanti di Napoli (anch’essi non privi di “contaminazioni” interne)? Vale più una petizione a non si sa bene quale soggetto istituzionale per “cessare” o un minimo di mobilitazione nostra da mettere in programma nelle piazze e con un nostro programma antagonista? E non solo: tra i firmatari del documento mascherati da “lavoratori di base” ci sono perfino di quelli che sul tema dell’aggressione alla Libia hanno avvallato la bestiale mistificazione della “rivoluzione araba” in salsa Bengasi salvo poi prendere di distanze “morali” rispetto all’intervento NATO che ne è stata la logica, criminale, conseguenza. E, a quanto pare, si preparano a fare lo stesso sporco gioco per la “rivoluzione siriana” (e poi iraniana...).


Terzo punto: l’aspetto teorico-programmatico del documento. Da nessuna parte di esso ci troverete, tanto per cominciare, una qualche proposizione quanto alla crisi che stiamo vivendo in quanto legata al modo di produzione capitalistico e meno ancora un richiamo alla necessità del suo abbattimento indirizzato al socialismo ed all’agente di classe di esso, il proletariato. Si denunzia bensì la crisi, ma in quanto dovuta alla “categoria autonoma” della finanza e a non meglio precisati poteri economici grazie al concorso di un’altra “categoria autonoma” – politica questa – ossia della cosiddetta “casta politica” da cancellare entrambe, come vedremo poi, grazie alla “democratizzazione” del sistema (capitalistico, si suppone, benché “partecipato dal basso”) grazie all’azione dei “cittadini”. Insomma: finanza e “casta” non quali aspetti intrinseci dell’attuale fase imperialistica, ma quali “distorsioni” di un sistema da ricondurre alla ragione, “ecologicamente compatibile”.

E’, in modo abbastanza evidente, la logica dei fautori della “decrescita”: gli attuali standard produttivi rappresenterebbero l’“irrazionale” di cui liberarsi secondo un modello “alternativo” basato sulle sopra citate “migliaia di micro-imprese” compatibili, per l’appunto, con lo sfruttamento delle risorse produttive disponibili “in natura”. (Per lo meno i francesi del gruppo de La Décroissance hanno il merito di connettere l’insensatezza dell’iper-produttivismo a quella dell’iper-profitto, e cioè al capitalismo, senza il cui abbattimento nessuna razionalità umana è logicamente pensabile ed in ciò – solo in ciò – concordano col nostro programma comunista di un generale disinvestimento successivo alla rivoluzione in grado di legare la produzione socializzata, non mercantile – alla soddisfazione di bisogni realmente e finalmente umani).

Vero è che si dice che “le principali infrastrutture e i principali beni dovranno essere sottratti al mercato”, ma aggiungendo subito: per “tornare (!!!) in mano pubblica”, cioè nelle mani dello Stato “di tutti”. In pratica: il miserabile successo dell’acqua svincolata, grazie al referendum, dal profitto gestionale privato per “restituirla” ai baracconi – che... fanno acqua da tutte le parti – della “mano pubblica” statale. Già Engels ironizzava sui teorizzatori del... socialismo del Kaiser in base al monopolio statale dei... sali e tabacchi (e di qualsiasi altro genere, acqua “pubblica” compresa).

Col che non si sputa affatto sull’esigenza “popolare” di sottrarre al privato ciò che dovrebbe appartenere come bene comune, sociale, alla collettività umana; ma, per l’appunto, non per affidarla nelle mani dell’“agente collettivo del capitale”, allo Stato preteso “di tutti”, ma alla comunità socialista che di esso si è sbarazzata (o, almeno, tende a sbarazzarsene). L’antiliberalismo “statizzatore” non ha nulla a che fare col marxismo, e qui non ci resta che rimandare all’abc (basterebbe anche l’a soltanto) della nostra dottrina.

Si veda proprio, in conclusione, il punto 5 del documento in oggetto: “Una rivoluzione per la democrazia (giammai per la fine della democrazia del capitale alla Keynes, n.). Bisogna partire dalla lotta a fondo alla corruzione e a tutti i privilegi di casta (giammai alla fonte di per sé “corruttiva”, alienante, del capitalismo, che – se vogliamo – funzionerebbe ancor meglio contro la nostra classe una volta sbarazzatosi dei faux frais della corruzione individuale e dei costosi privilegi delle “caste” a suo servizio, n.), per riconquistare il diritto a decidere e partecipare (democraticamente, entro il sistema, n.) affermando ed estendendo i diritti garantiti (!!!) dalla Costituzione” (ovviamente democratica, antifascista che ha sanzionato – in assenza di un reale movimento antagonista di classe – il corso controrivoluzionario che ci ha coerentemente condotti sin qui).

Perla finale: “Si dovrà tornare ad un sistema democratico proporzionale per l’elezione delle rappresentanze”. Cos’è che c’impedisce di “far sentire la nostra voce”? La... sproporzionalità rappresentativa. Dopo di che, risolto il problema, saremo ad armi pari... in Parlamento, non si sa bene con quale “riequilibrata” rappresentanza “popolare” (zero, temiamo, alle Camere e sottozero – visti questi presupposti – sul terreno laddove realmente si decidono i rapporti di forza tra le classi, che sono – citiamo Lenin e non il solito “settario” Bordiga – extraparlamentari per definizione).

Nel documento c’è un’esplosione di “obiettivi massimi immediati” che: a) sono pura fantasia fattuale; ma: b) si presentano come pura e semplice espressione di una riforma del capitale. E non è un caso, ma pura consequenzialità, che a “gestire” questa specie di “alternativa al modo di essere presente del capitale” per un suo diverso ripresentarsi, non siano chiamati da nessuna parte a presentarsi né soviet né – orrore! – partito, ma la semplice voce del “popolo” attraverso urne e camere “rappresentative” ripulite e rinnovate. Una meschinità totale!


In sintesi:

Noi siamo e saremo completamente solidali, “dall’interno”, con ogni e qualsiasi lotta immediata anche “minimale” che permetta di far compiere al movimento di classe un passo in avanti (senza sognare la luna, cui, semmai, arriveremo in seguito, una volta imparato a camminare sulle nostre gambe), e perciò salutiamo con favore ogni e qualsiasi sforzo in questa direzione, discernendo le concrete mobilitazioni che potranno darsi, comunque connotate in partenza, dalle “ideologie” che possono percorrerle.

Allo stesso tempo, in quanto sia pur microbica organizzazione politica, non nascondiamo in alcuna occasione e per nessun motivo il programma comunista che le lotte impongono: esso non è una nostra escogitazione intellettuale, ma rappresenta il disegno, per dirla con Marx, dei muri materiali da abbattere da parte del proletariato nel suo cammino per arrivare ad essere classe per sé: perciò siamo alieni da ogni sciocca vanteria su “irresistibili armate già in marcia” – fatalmente esposte alle più cocenti delusioni – e relativi superprogrammi “quasi rivoluzionari” e tanto più non ci stanno bene questi ultimi quando finiscono per ridursi a versioni programmatiche di radical-riformismo più o meno statolatrico.

Su simili basi non è ipotizzabile alcuna seria mobilitazione fronteunitaria dal basso e di massa, giacché la conquista di posizioni nostre impone una ricognizione esatta dei rapporti reali di forza e dei “minimi” obiettivi di scalata all’anello più vicino alla catena di risalita (il proletariato-massa è terribilmente realista e non si fa giocare dai miraggi).


Pertanto sottoscriviamo la volontà, indubbiamente sincera e seriamente militante, di chi ha “firmato” per la ripresa della lotta, ma ad essi francamente diciamo: gettiamo al macero questi “5 punti discriminanti” che... ci discriminano dal programma comunista e reimpostiamo seriamente la lotta. Più che “dobbiamo fermarli” siamo noi a dover smettere di stare fermi, ed ogni anche minimo passo in questa direzione ci starà bene e sarà in grado di allargare il nostro campo oltre ristretti limiti “testimoniali” di piccoli gruppi politici (mascherati) e microsindacati “alternativi” staccati dalla massa.

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(*) Il documento “Dobbiamo fermarli” può essere letto al seguente sito: http://www.contropiano.org/it/news-politica/item/2750-dobbiamo-fermarli-5-proposte-per-un-fronte-comune-contro-il-governo-unico-delle-banche

(1) Guarda caso, quasi in contemporanea, pure il quotidiano (della sinistra-nazionale) Rinascita, una delle voci del variegato panorama della destra sociale e del neo-mussolinismo, lancia l’appello ad un “Fronte Comune contro il disastro socio-economico che si sta abbattendo sull’Euopa” Cfr Rinascita del 9 agosto 2011

28 agosto 2011