nucleo comunista internazionalista
note




DINUCCI, OH CARO...

Confessiamo la nostra ignoranza sulle ascendenze teoriche e politiche di Manlio Dinucci, anche se il suo cognome (ma potrebbe essere un caso) ci suggerisce punti di partenza assai distanti dai nostri. In ogni caso non ce ne frega niente. Sta di fatto che la firma Manlio Dinucci sul Manifesto si collega ad alcuni dei migliori interventi su varie materie cruciali che ci è stato dato di leggere su questo giornale, oramai ondeggiante tra sussulti comunisti “vecchio stampo” (anche il nostro stampo è notevolmente datato!), “nuovismi” di ogni genere alla rincorsa di inediti soggetti “alternativi” (sino a Barak Obama, dopo il già noto Clinton osannato in manifesto gigante o... Lady Gaga), sino all’accodamento “comunista critico” ad operazioni “umanitarie” del tipo quelle che si stanno consumando in Libia e di cui si promette un adeguato export altrove.

Seguendo la nostra linea di assoluta indipendenza comunista, ma non settaria rispetto al posizionamento corretto, quanto meno su determinati meriti, riportiamo qui di seguito due pezzulli di Manlio Dinucci che ci sono francamente molto piaciuti. Il primo sull’“educazione alla democrazia” nelle nostre scuole, il secondo relativo al regalo di nostro uranio impoverito ai libici cattivi che si oppongono alla “rivoluzione democratica” di Bengasi che, da parte sua, ha già sottoscritto i suoi patti di “collaborazione” asservita alle centrali imperialiste, USA in primis.

Sul primo dei temi: non è una novità e alcuni di noi ne hanno già sperimentato il cammino sulla pelle dei propri “pargoli”, accompagnati prima in caserma ad imparare quanto di bello, “umanitario”, stiamo facendo in Afghanistan, magari sotto gli auspici del convertito Toni Capuozzo, ex-leaderissimo di Lotta Continua (la casa d’origine dei vari Sofri e Lerner) e dei “proletari in divisa” chiamati a costituirsi in futuro... esercito rosso rivoluzionario, e poi in Chiesa, dove il Dio dei nostri eserciti è costantemente di casa, per benedire il tutto.

L’argomento è di primario interesse: il cosiddetto movimento delle “pantere”, od altra fauna (non più di gatti castrati) ha, se si vuole, giustamente rivendicato uno status della scuola pubblica che non penalizzasse materialmente (in tutti i sensi) gli “utenti”, ma si è sempre ben guardato dal mettere in causa l’“istruzione pubblica”, dello Stato, quanto alla chiavica dei suoi contenuti classisti reazionari, rivendicati anzi come “bene pubblico”, “sociale”, “al di sopra delle classi”. Marx ci insegna che l’istruzione vera dovrà essere destatalizzata (attenti!, non vuol dire “privatizzata”, ma socializzata in senso anticapitalista). Un “vecchio” movimento operaio si era già saputo dotare di sue scuole “private” in questa direzione, da quelle antichissime delle Società Operaie sino, poniamo, all’Umanitaria milanese, alternative (a vario grado) rispetto alla fogna statale. Senza parlare delle fenomenali scuole di istruzione della socialdemocrazia tedesca, dove insegnava, tanto per dirne una, una certa Rosa Luxemburg. La scuola d’obbligo statale ha certamente rappresentato una conquista per le masse, ma sempre a condizione che il marxismo l’attaccasse da cima a fondo quando ai suoi presupposti “popolari” a pretesa extra-classista. Il ’68 pose prepotentemente, a parte tutte le incongruenze del caso, questo problema di fondo che va ripreso ed articolato in tutte le sue dimensioni.

Sul secondo: tutti soddisfatti, qui da noi, dell’abolizione referendaria del nucleare. Salvo che di nucleare siamo colmi sin sopra la testa, con le mille atomiche disseminate da Aviano (zona cancerogena per eccellenza) alla Sardegna e che l’“eccedenza” di uranio impoverito la andiamo distribuendo ai “paesi canaglia” (prima la Jugoslavia, ora la Libia, e dopo?), salva l’assicurazione dei vari Tirelli o del businessman Veronesi quanto alla sua “innocuità”. Un Fukushima per gli altri effettivamente a “noi” non produce alcun male, anzi... si smaltisce. Non ci risulta che l’“antinuclearismo” sancito dal recente referendum se ne faccia gran carico tra i suoi supporters, e ben venga allora un Dinucci a ricordarcelo.

Se su questi punti si aprisse una reale discussione comunista tra comunisti (ed anche al di là di questi confini tra “volonterosi” in senso proprio) saremmo i primi a gioirne. Speriamo, quanto meno, che, essendo noi “irregolari” a porne il problema, non ci si chiuda la porta in faccia. Chi ha lanciato il sasso non ritiri ora la mano...

24 giugno 2011





Manlio Dinucci
L’arte della guerra
La cultura della Difesa

Chi ha detto che il sistema d’istruzione non si rinnova? C’è una nuova materia, dalle materne ai corsi post lauream, di cui sono già avviate le sperimentazioni. A Pisa, per iniziativa del Comune, 1.500 bambine e bambini delle scuole dell’infanzia, primarie e medie sono stati condotti il 27 aprile nella caserma della Brigata Folgore, dove per il secondo anno si è svolta la «Giornata della solidarietà». Che impressione hanno avuto i bambini? Che la caserma è un luogo bellissimo, dove tante persone simpatiche ti fanno fare tanti giochi, dai percorsi a ostacoli alle gare di orientamento, dove dal cielo scendono supereroi alati che volteggiano lasciandosi dietro scie di fumo tricolore e, quando atterrano, schiacciano con gli scarponi i palloncini gialli al centro del bersaglio. E insieme alla bandiera della Folgore (due ali bianche che lanciano un fulmine giallo-oro), ne portano un’altra con scritto «Nicola». Il nome del maggiore Ciardelli – spiegano agli alunni – ucciso il 27 aprile 2006 a Nassirya in Iraq, dove in missione di pace aiutava i bambini. L’associazione Nicola Ciardelli, aiutata da Regione e Croce Rossa, aprirà a Firenze, vicino all’ospedale Meyer, la «Casa dei bambini di Nicola» per curare le piccole vittime delle guerre. Analoghe iniziative in altre scuole primarie e medie. In quelle del Trentino è stato diffuso un calendario Nato/Isaf, con in copertina un blindato italiano in Afghanistan, armato di mitragliatrice, e foto di soldati italiani che, in assetto di guerra, regalano ai bambini afghani palloni bianchi con scritto «Isaf», che li curano amorevolmente, che vengono accolti nei villaggi da bambini festanti.

Nelle scuole superiori si usano altri metodi educativi. A Castrovillari (Cs), militari in cattedra e diffusione di opuscoli in cui si spiega che «entrare nell’esercito significa valorizzare se stessi». A Rovigo, lezione di tattica militare e combattimento con armi ad aria compressa. Una migliore preparazione i ragazzi la possono avere con il corso «Allenati per la vita», promosso dai ministeri dell’istruzione e della difesa, valido come credito formativo: vengono addestrati al combattimento con armi ad aria compressa e a percorsi ginnico-militari (arrampicata, nuoto, orientamento). E, compiuti i 18 anni, possono partecipare ai corsi di formazione «Vivi le Forze Armate. Militare per tre settimane», per «condividere i valori che promanano dalle Forze Armate». A livello universitario, il top è il corso di «peacekeeping» tenuto, con il Centro militare di studi strategici, dalla Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, che ha celebrato con una conferenza dell’Associazione Allievi i «dieci anni di impegno politico e militare» dell’Italia in Afghanistan. E mentre l’Italia partecipa alla guerra in Libia (la quinta in due decenni) arriva in Senato – dopo essere passata alla Camera grazie a un’intesa multipartisan (Pd, Idv, Pdl, Lega) – la legge per «la promozione e diffusione della cultura della difesa attraverso la pace e la solidarietà» in particolare nelle «scuole di ogni ordine e grado». Ha dunque ragione il presidente Napolitano: l’Italia, oggi fermo presidio della pace, si è lasciata alle spalle gli anni bui del bellicismo fascista. Oggi la cultura della guerra con libro e moschetto è divenuta «cultura della difesa attraverso la pace e la solidarietà».

(da "il manifesto" del 7 giugno 2011)




Manlio Dinucci
I RAID ATLANTICI
Uranio impoverito e bombe tricolori

Tra le bombe che piovono sui due milioni e mezzo di abitanti dell’area urbana di Tripoli, ora anche in pieno giorno, vi sono sicuramente quelle italiane. Si tratta di una «operazione aerea combinata» cui partecipano cacciabombardieri di più paesi, comunica il Comando della forza congiunta alleata a Napoli. In poco più di due mesi la Nato ha compiuto oltre 10mila operazioni aeree sulla Libia, di cui circa 4mila con bombe e missili, effettuate per la maggior parte da cacciabombardieri di Gran Bretagna, Francia, Italia e Canada, e da aerei Usa Predator/Reaper telecomandati. L’aeronautica italiana non rivela quante bombe e missili ha lanciato (secondo una stima, oltre 200 in un mese), ma comunica di che tipo sono.

Nel documento «Unified Protector: le capacità di attacco dell’AM» (6 giugno), specifica che sono bombe a guida laser e Gps della statunitense Raytheon, dei tipi Gbu-16 Paveway II da circa mezza tonnellata e Gbu-24 Paveway III da una tonnellata: quest’ultima, sganciata a bassa quota a oltre 15 km dall’obiettivo, è «una bomba di precisione usata per distruggere i più resistenti bunker sotterranei». Anche la bomba Gbu-32 Jdam della statunitense McDonnell Douglas, a guida inerziale e Gps, lanciata a circa 25 km dall’obiettivo, viene usata contro «target rinforzati». Ciò significa che queste bombe hanno sicuramente testate penetranti a uranio impoverito e tungsteno per distruggere edifici rinforzati. Gli aerei italiani usano anche missili da crociera a lungo raggio Storm Shadow, fabbricati dalla Mbda di cui fa parte Finmeccanica, la cui carica esplosiva è «ottimizzata per neutralizzare strutture corazzate e sotterranee», e missili Agm-88 Harm della Raytheon per «la soppressione dei radar nemici».

Queste bombe e missili di ultima generazione – impiegati nella guerra contro la Libia, cui il governo Berlusconi fa partecipare l’ Italia – non avrebbero potuto essere usati se nel 2007 il governo Prodi non avesse deciso di ammodernare i cacciabombardieri Tornado (con una spesa di oltre 50 milioni di euro), facendo tesoro dell’esperienza dei Tornado nella guerra contro la Jugoslavia, cui il governo D’Alema aveva fatto partecipare l’Italia. E’ grazie a questo impegno bipartisan che l’Aeronautica può oggi dichiarare di aver acquisito il «potere aerospaziale». Ciò significa – si spiega nel documento – avere assoluta libertà di manovra al di fuori delle limitazioni imposte dalla geografia del globo, dare massimo risalto alla mobilità (raggiungere sempre più in fretta lontani teatri operativi) e all’autonomia nel sostenere operazioni che possono protrarsi nel tempo. «Operazioni che hanno come imperativo quello di conseguire gli obiettivi posti dall’autorità politica al più basso costo possibile in termini di vite umane e risorse». Pensando ovviamente alle proprie vite e risorse, non a quelle che la guerra distrugge in Libia. Anche se, mentre gli aerei italiani lanciano su Tripoli bombe da una tonnellata a uranio impoverito, la Nato assicura che, in base alle risoluzioni del Consiglio di sicurezza dell’Onu, «scopo dell’operazione Protettore unificato è proteggere i civili e le aree con popolazione civile da attacco o minaccia di attacco».

(da "il manifesto" del 9 giugno 2011)