“Il disagio nelle aree urbane più marginali è quanto mai reale. Come lo è in esse e al di fuori di esse, la crescente diffusione della microcriminalità, della droga, della prostituzione. Non meno reale è il legame che tutti questi processi hanno anche – (attenzione a questo “anche”) – con il fenomeno dell’immigrazione. Il capitalismo putrescente è destinato a rendere questo insieme di contraddizioni oggettivamente sempre più esplosivo. E cercherà con ogni mezzo di farle esplodere contro il proletariato. Contro l’intero proletariato, non solo contro il proletariato immigrato.”
Così scrivevamo in un editoriale che riproponiamo integralmente, a seguito delle proteste scoppiate in un quartiere popolare di Milano contro gli immigrati (Che Fare n. 48 – febbraio/marzo 1999: “La nostra posizione sui fatti di Milano”). Da allora la materia esplosiva ha continuato ad accumularsi in particolare nei quartieri popolari e nelle periferie delle città: esattamente una bomba, un insieme di contraddizioni che si vuole fare esplodere contro l’intero proletariato.
Il profondo senso di desolazione e disgusto, per usare le parole di Marco Revelli sul Manifesto, di fronte al livore reazionario ed al razzismo cavalcati in sincronia bipartisan – per qualcuno il bastone per altri il bastone più “la solidarietà”, per tutti il rafforzamento del controllo e della repressione dello Stato borghese – a seguito dell’assassinio di Giovanna Reggiani a Roma, è anche il nostro. Ma, se non ci si vuole far chiudere nell’angolo e disperdere la grande forza potenziale scesa in piazza il 20 ottobre, occorre che quella forza affronti in pieno anche la questione del degrado sociale, si organizzi e tenga il campo attorno ad un coerente piano anticapitalista e di difesa di classe in cui i proletari immigrati e le loro associazioni hanno per primi molte cose da dire e rivendicare in tema di sicurezza, di conquista di condizioni dignitose di vita, di contrasto al degrado materiale e morale indotto da un capitalismo marcio fradicio che è il vero generatore sistematico del crimine, è il vero sistema criminale da cui difendersi e da abbattere.
Bisognerebbe però in primissima istanza e per restare al Prc e al PdCI, sotto le cui insegne si è mobilitata in maniera preponderante la piazza del 20 ottobre e che sino all’ultimo sono decisi a svolgere la loro funzione di complemento a questo governo, governo del Capitale fino a prova contraria (basterà anche questa volta “un po’ di cipria” per votare o astenersi sul decreto delle espulsioni?), smettere di infilare la testa nella sabbia alla maniera di Liberazione che mentre denuncia il clima di reazione scatenata snocciola nelle stesse pagine tutta una serie di statistiche su furti, rapine, omicidi ecc. in cui “inoppugnabilmente” si dimostra come in realtà il fenomeno criminale sia in regresso. Avremmo a che fare insomma con una questione di “percezione di insicurezza” su cui la destra monta ad arte le sue speculazioni: dati questi presupposti non ci si stupisca poi come sia una destra aggressiva, una destra “popolare e sociale” a prendere sempre più piede nei quartieri e fra i giovani borgatari. Oppure illudersi di cavarsela, credendo magari di prendere due piccioni con una fava, alla maniera di un Marco Rizzo il quale alla TV reclama con piglio deciso il disimpegno dall’Afghanistan e lo storno dei fondi lì impegnati per il potenziamento degli apparati di controllo e repressione cioè più polizia, più Stato (“pacifista” all’esterno e “solidaristico” all’interno, pretenderebbe questa postura di “sinistra radicale”).
Il signor Veltroni è scattato immediatamente: “il flusso dei rumeni è insopportabile” ha detto. Bene. Nella nostra estrema limitatezza, a proposito di flussi, abbiamo recuperato un ritaglio di stampa inizio anni ’90. Una inserzione apparsa in quegli anni sui principali giornali per invitare e pianificare il flusso del “nostro” Capitale verso la Romania ovvero per invitare i padroni e padroncini italiani ad affondare gli artigli sulla forza lavoro di quel paese. Un invito accolto in pieno, un flusso di locuste che è sciamato ad Est tanto che oggi la zona di Timisoara, brulicante di capannoni, è definita come “distretto industriale italiano”. Il proletariato rumeno è messo alla catena per una manciata di euro al mese, il paese intero dato in pasto ai lupi da una classe politica “democratica” tanto imbelle e corrotta da far rimpiangere nel cuore del popolo i tempi del “regime tirannico” (un regime borghese che dal punto di vista della “dignità nazionale” può certamente guardare dall’alto in basso gli attuali ignobili reggitori, si pensi solo all’opera per una sistemazione dignitosa riconosciuta al popolo Rom sulla cui vicenda ci fermeremo prossimamente in queste pagine). La spinta all’emigrazione per milioni di proletari diventa perciò una forza incontenibile e la pressione di questa massa di forza lavoro è giocata come compressione ulteriore sul proletariato di qui. E se vogliamo parlare di “sicurezza” e di degrado sociale allora dobbiamo aggiungere che al flusso del Capitale consegue la tratta di carne umana, lo stupro di massa attuato su migliaia e migliaia di donne. Noi non abbiamo parole più chiare di quelle riportate da un don Benzi: “I funzionari della Polizia rumena con la quale collaboriamo nel rimpatrio delle giovani da noi liberate ci dicono: ‘I lupi feroci siete voi italiani’. Voi oggi in Italia sbranate più di 30.000 ragazze rumene, delle quali in partenza il 50% sono bambine. Siete voi che foraggiate, mantenete i criminali romeni che le sfruttano e le tengono schiave con almeno 200 milioni di euro all’anno di guadagno. Sono i vostri maschi italiani che pagano i delinquenti romeni. Noi dobbiamo chiedere perdono alla signora barbaramente massacrata. Ma voi dovreste stare in ginocchio tutto l’anno perché tutto l’anno massacrate le nostre bambine.”
Dobbiamo disinnescare
la bomba che vogliono far esplodere dentro il proletariato, nel nostro
campo. Lo possiamo fare con la ripresa della lotta di classe unitaria ed
internazionalista, “terze vie” non ce ne sono.
6 novembre 2007
(ANSA) – TORINO, 10 LUG – E' stato ritrovato stamattina il corpo del romeno di 24 anni scomparso quattro giorni fa in una condotta fognaria di Torino. Bogdan Mihalcea era stato travolto da un'ondata d'acqua causata dal maltempo. L'uomo, nonostante fosse clandestino, era impegnato con un collega marocchino in lavori di manutenzione di un pozzo di ispezione. Il corpo del giovane era sotto un ponte nella zona di corso Appio Claudio, nel pressi della Dora, dove l'acqua della condotta finisce nel fiume.
18.01.2006 19:05
Due sorelle decedute in 2 settimane, media: lavoro sfibrante
Roma, 18 gen. (Apcom) –
Raggiunge oggi eco
internazionale la vicenda delle due operaie bulgare decedute,
entrambe impiegate dalla Euroshoes, fabbrica
italiana a
30
chilometri da Sofia:
uno dei tanti esempi dl delocalizzazione della
produzione calzaturiera nostrana.
Condizioni di lavoro sfibranti sarebbe il motivo della duplice morte
secondo i media e le televisioni locali, che cavalcano la
notizia. Ma Claudio Marocchi, titolare dell'azienda smentisce le
illazioni e
si dice "incredulo" davanti a tanto clamore. Contattato da Apcom
appena sbarcato a Sofia, il proprietario di Euroshoes si affida alle
autorità bulgare: "faranno chiarezza".
Le
due operaie erano sorelle. La prima, Raina,
48
anni, è
morta il 4 gennaio in
ospedale stroncata da un ictus. La seconda, Pavlina,
38
anni,
è stata colta da
infarto in
ditta lunedì scorso, durante l'intervallo. "Dopo due giorni di
riposo
non si può
morire di affaticamento" si precisa dalla Euroshoes, "oltretutto la
donna già soffriva di problemi cardiaci".
La
Euroshoes, basata a Dupnitsa,
30
chilometri a Sud–est di Sofia,
impiega
1.600
persone.
Produce scarpe, che reimporta in Italia. E' attiva in Bulgaria da
14
anni ed è "a norma europea in tutto e per tutto", sottolinea il
titolare, che
parla di un
vero attacco mediatico. Mentre il portavoce locale Ivo Russev dice
che "la campagna infamante". vuole "mettere in ombra gli
investimenti Italiani"
sul territorio.
La
vicenda domina ormai da giorni su canali televisivi bulgari, mentre
soltanto oggi l'agenzia di stampa locale in lingua inglese Sna ha
portato alla luce il presunto scandalo. "Tra le tante dicerie
circolate, si diceva persino che veniva
proibito alle
lavoranti di andate al gabinetto" afferma Russev, definendo tali
congetture "pazzesche". Secondo la versione rilanciata oggi
dall'agenzia Sofia News Agency,
gli ispettori hanno riscontrato "decine di violazioni delle regole
di lavoro", con condizioni
"estenuanti". Sempre secondo la SNA, agli operai della
fabbrica italiana non sarebbero state concesse pause e di regola
neppure
riposi settimanali.
Marocchi,
da parte sua, si dichiara fiducioso nell'azione delle autorità
bulgare,
"Stanno verificando la nostra posizione e
Chiariranno." L'ambasciata bulgara a
Roma dichiara di non aver
ricevuto alcuna nota ufficiale sulla vicenda. II caso è noto,
rispondono dalla sede di rappresentanza, ma solo perché ne parla la
tv. colpa.Cgi/Orm