alcuni casi e in alcune maniere specifiche, ma con la conseguenza, però, che la classe operaia non è
stata capace di sollevarsi a se stessa, ai propri fini, al proprio programma.
E’ la stessa cosa, per altri termini, che vale anche per i paesi arabi, dove secondo il cuneo
invece ci sarebbe stata questa fiammata, della quale tra l’altro saremmo solo agli inizi, e che poi
darà a noi occidentali tutto da imparare, da apprendere e ci guiderà alla lotta e alla rivoluzione
internazionale e internazionalista. (Sul fatto che il proletariato occidentale e le sue supposte
avanguardie siano in ritardo su tutti i fronti della lotta di classe e dell’internazionalismo non ci
piove davvero. Tanto quanto è per noi chiaro che giammai ci si risolleva con “scatti di reni” di
quelli che ora vengono proposti dal cuneo).
Curiosamente, quindi, nei paesi dell’Est andrebbe bene il dire che c’è stata solo la manovra
occidentale, mentre nei paesi arabo-islamici (vecchia tradizione che, lo ammettiamo, navigava un
poco anche ai tempi del che fare non eterodosso) vale invece e soltanto l’azione spedita, spontanea,
bellissima delle famose masse immacolate.
E’ evidente che le ragioni di scontento ci sono, poi però bisogna andare a vedere (se veramente si
vuol neutralizzare ogni campismo) quali ragioni, da parte di chi e come si manifestano (c’è il
campismo che accredita qualsiasi cosa si tinga di antimperialismo, ma c’è anche quello che sposa
ogni lotta, come che sia, “contro il tiranno”…). Il problema fondamentale è vedere se le ragioni di
scontento riescono a darsi un indirizzzo di classe e a distanziarsi da altre forze, oppure se ne
rimangono ai margini, se ne accodano, ovvero riescono comunque impotenti a fare argine alle
peggiori puttantate che saltano fuori.
Anche con riferimento ai partigiani nel ’45 e negli anni successvi lo stesso Bordiga ebbe a
riconoscere benissimo che c’erano delle ragioni di insoddisfazione e anche di mobilitazione
proletaria non insignificanti. In un nostro testo di quegli anni qualcosa veniva addirittura esagerato,
noi riteniamo, nel dire di manifestazioni di primo ordine per il nord dal punto di vista del tentativo
di avere un controllo locale, territoriale, da un punto di vista intuitivamente di classe. Però poi si
aggiunge che nel momento in cui questo movimento partigiano si è accodato, prendendo armi,
direttive, disposizioni -non solo temporali ma finali-, e insomma il programma per il futuro, da parte
dei CCNL e degli alleati (cioè delle forze che erano contro gli invasori tedeschi per essere migliori
invasori essi stessi, ovvero gli Stati Uniti, l’Inghilterra e così via), a questo punto è inutile parlare di
“rivoluzione tradita”. Non si è trattato né di rivoluzione “tradita” né di rivoluzione “mancata”, ma,
al più, del prodromo non di rivoluzione ma di sollevazione, di qualche cosa avente a che fare con la
manifestazione di scontento e anche di autorganizzazione su un terreno molto basso di classe,
incapace di sollevarsi ai propri compiti.
Dovrebbe esser chiaro che questo generale metro di giudizio non significa affatto voltare le spalle o
sputare sul movimento dato (posto che “i nostri” ancora non arrivano). Noi non neghiamo l’estesa
mobilitazione di piazza in Tunisia ed Egitto, gli scioperi dei lavoratori (soprattutto in Egitto), la
partecipazione delle donne, la sanguinosa repressione subita nelle strade e nelle fabbriche, i
licenziamenti e i mille episodi di autentico eroismo di quanti in questi due paesi si sono battuti
contro un apparato assassino e contro l’imperialismo. Si tratta però di non travisare il senso generale
della mobilitazione per come essa si è data. Il nostro intervento in essa ne valorizza i passaggi di
avanzamento e i punti di forza reali, evidenziando al tempo stesso i limiti (quando di questo si
tratta) da prendersi in carico dalle forze di classe nella nostra prospettiva (dichiarata per intero e mai
taciuta).
Quando invece non di questo si tratta, come è per la Libia e la Siria, il nostro intervento consiste nel
demarcare la posizione contro una ribellione che assume tutt’altro segno e contro l’imperialismo
che, invocato dai ribelli, scatena la sua aggressione infinita.
Senza stabilire analogie per situazioni anche molto diverse tra loro ma volendo ancora ribadire un
criterio valido sempre in ogni pur diversa situazione data, rammentiamo che anche in un angolo
della Tien An Men c’era un ristretto settore di incuriositi e interessati operai che avevano anch’essi
piantato lì le proprie tende. E’ bastato forse questo a dare il segno generale alla mobilitazione,
facendoci assumere come nostre le istanze di democrazia declinate dalla massa dei “giovani