nucleo comunista internazionalista
note



Guerre imperialiste e immigrazione:
i nostri appunti a margine di un articolo
della Redazione del Cuneo Rosso


L’articolo “Una pagliacciata, che annuncia guerra, anzi: guerre” della Redazione del Cuneo Rosso ci offre lo spunto per ragionare sul tema dell’immigrazione e per riferirci a un certo senso comune che gira in ambienti di sinistra e/o solidaristici a più ampio raggio. Gente brava beninteso, che vorrebbe schierarsi a favore degli immigrati, ma che lo fa, a nostro avviso, con un approccio fin troppo claudicante, che lascia la nostra gente drammaticamente esposta alla propaganda anti-immigrati dei governi e delle destre. Nostra gente, sia ben chiaro, è il proletariato: lo diciamo con riguardo a recenti proteste anti-immigrati “di popolo” che hanno visto in campo principalmente altri attori sociali (vedi in particolare la vicenda di Casale San Nicola a Roma), ma anche e in altro senso agli stessi ambienti sinistri e solidaristici di cui sopra, che dimenticano che in molti altri casi sono proletari doc a partecipare e prendere l’iniziativa, sicché l’intervento dei comunisti non può alimentarsi di ritrito umanitarismo, che mette in pace le coscienze in quegli ambienti ma si aliena ogni possibile ascolto proletario, quando invece è necessario interloquire e misurarsi con la nostra classe e le sue evidenti difficoltà su questo impervio terreno.


20.000 o “a milioni”?

Esordisce il Cuneo definendo “ridicole” le riunioni di alto livello tra governi Europei sugli sbarchi di emigranti e sulle stragi in mare. L’enfasi spesa sull’ “eccellente lavoro di squadra” delle istituzioni europee sarebbe del tutto ingiustificato, posto che “20.000 è un numero ridicolo”, soprattutto a fronte del numero effettivo dell’emigrazione proveniente dai paesi africani e mediorientali verso l’Europa, che – annotano diligentemente gli esperti del Cuneo –"si calcola a milioni”.

L’argomento speso dal Cuneo è di quelli che provano troppo. Chi scrive che 20.000 è “un numero ridicolo” a fronte della massa di profughi che a milioni sono in movimento verso l’Europa, il ridicolo – francamente – finisce per tirarselo addosso. Delle due l’una: o il numero degli emigranti da accogliere è “ridicolo”, oppure questo numero "si calcola a milioni". Il Cuneo sostanzia la propria denuncia con genericità e contraddizioni, con ciò riempendo qualche riga in più ma infiacchendo la denuncia che si vorrebbe fare. Voi governi europei – si dice – avete mercanteggiato nel dividervi un numero esiguo di asilanti. Al tempo stesso però viene in chiaro che la questione non può essere circoscritta alla tirchieria di governi che mercanteggiano su un numero esiguo. Il numero infatti è ben più alto. Ma allora è evidentemente questo il punto sul quale mercanteggiano i governi europei (anche quando trattano in specifico di 20.000), e anche noi di questo dobbiamo parlare senza girarci inutilmente intorno. Non è nostra intenzione, si badi, fare le bucce al Cuneo. Si tratta piuttosto di derubricare nel loro ridicolo effettivo gli pseudo-argomenti di quanti, auto-contraddicendosi, danno a intendere che la ricca Europa ben potrebbe accogliere chiunque e il problema starebbe soltanto nell’egoismo dell’Europa capitalista che non vuole organizzare una decente accoglienza (alla faccia della successiva presa di distanze del Cuneo dalle “varianti umanitarie e papiste”...).


Un “investimento altamente redditivo”?

Stabilito che non si tratta di 20.000 ma di milioni, scrive ancora il Cuneo che i governi europei darebbero a vedere che gli emigranti in arrivo sono un costo, mentre invece sono “un investimento ad alta redditività”. Prima si è detto che i governi europei hanno messo in piedi una pantomima per dividersi pochissimi profughi, ora si dice che gli immigrati sono una risorsa appetitosa per i paesi europei, i cui governi proprio per massimizzare il profitto lucrabile alimentano campagne anti-immigrati. Insomma gli emigranti non solo sono un numero gestibilissimo, ma sono anche una manna per l’Europa, e invece le politiche e la propaganda dei governi europei denunciano l’ "invasione" di milioni e li additano come un intollerabile fardello per i paesi di arrivo.

Anche questo secondo punto non sta in piedi. Se veramente si trattasse di “un investimento ad alta redditività” il problema non esisterebbe e i governi europei mercanteggerebbero semmai per aggiudicarsene la quota maggiore. Questo è, se si ha a cuore la stringente coerenza del proprio ragionare come necessario cemento di forza della battaglia politica.

Quanto all’ "invasione", noi respingiamo questo termine, e con esso l’allarme che si intende trasmettere e la chiamata al respingimento che si vuole promuovere. Noi lottiamo contro le politiche e le campagne di criminalizzazione e odio contro gli immigrati con i nostri argomenti, che non sono certo quelli della tranquilla gestibilità dei numeri in arrivo, che sarebbero "ridicoli" e gestibilissimi se solo ci fosse la buona ed accogliente volontà e non l’egoismo e la chiusura dei paesi europei.

La massa di profughi in movimento a milioni da tutta una enorme fascia di territorio africano e medio-orientale verso l’Europa (una parte dei complessivi movimenti di massa da altri territori verso altre mete di possibile miglioramento della propria condizione sull’intero globo) costituiscono uno dei tanti disastrosi effetti dell’insostenibilità del sistema capitalistico e la prova che esso è giunto al suo storico capolinea.


Il disastro globale del capitalismo

Per cancellare la realtà di quello che è un disastro generale sotto ogni punto di vista lo si osservi, non serve elencare le utilità che i paesi capitalisti europei possono lucrare sugli immigrati.

Che capitalisti e affaristi (e innanzitutto i circuiti del lavoro nero e/o mafioso, che non rappresentano propriamente la struttura portante del capitale) trovino occasioni di lucro su qualsiasi fattore vi si presti, o che un disastro possa prestarsi a compensarne altri in una società globale ferita a morte dagli squilibri e da irresolubili e sempre più acuti antagonismi, tutto questo non cambia il dato iniziale, né il bianco in nero. L’immigrazione di massa dei nostri tempi, imposta dallo sviluppo combinato e diseguale del capitalismo, consacrata dall’impossibilità per il capitalismo – pur dopo svariati secoli del proprio dominio in terra – di garantire una vita decente all’intera specie e in ogni territorio, aggravata dall’acuirsi degli squilibri causati dal permanente stato di guerra degli stati imperialisti contro le colonie di ieri (e – in parte considerevole – ancora di oggi), è l’emblema del disastro di questo marcio sistema (e nessuna utilità parziale e secondaria può mutare questa realtà).

Gli imperialisti ne sono i criminali responsabili, le popolazioni dei paesi dominati e la massa di emigranti in movimento le vittime: noi per questo siamo contro le politiche di respingimento attuate dai paesi imperialisti, non perché i numeri che arrivano sono “ridicoli” e neanche perché gli immigrati che arrivano sono “una risorsa ad alta redditività”. Checché ne scriva il Cuneo (in ottima compagnia di “umanitari e papisti” vari), la povertà e il disagio di massa e di masse sono e restano un acutissimo problema. I governi europei si affannano per dire che i milioni in arrivo sono una minaccia che proviene dall’esterno, un problema che essi subiscono, e per far vedere quanto essi si prodighino per tutelare le proprie popolazioni. I governi imperialisti sono invece i responsabili di questo disastro, che alimentano e aggravano costantemente con le proprie politiche di pace (fare profitti a più non posso alle condizioni da essi stessi imposte ai paesi e alle popolazioni dominati) e con le proprie guerre sanguinarie e criminali. E’ il disastro del capitalismo e del suo dominio globale sul mondo.

Milioni che devono mettersi in marcia per fame, per scappare dalle guerre, perché nel proprio paese non ci sono prospettive di riscatto da condizioni insopportabili, tutto ciò costituisce un enorme problema. Beninteso: l’Africa, oltre a essere quello scrigno di tesori che è sempre stata, è oggi anche un continente in cui PIL e profitti (misuratori della “redditività” capitalistica) aumentano. Ma, a condanna del capitalismo imperialista che la domina e ne succhia il sangue, PIL e (sovra – )profitti in crescita fanno nondimeno dell’Africa un deserto privo di vita per l’immensa massa che lì vi è schiacciata e messa ai margini.


La “redditività” non si misura allo stesso modo per capitalisti e proletari!

Milioni di pauperizzati e profughi ridotti al limite della sopravvivenza sono un problema gigantesco ovunque: nei paesi di origine, nella lunga marcia di avvicinamento alle nazioni più ricche, nelle nazioni più ricche dove infine arrivino. In nessun posto c’è la bacchetta magica che traduca il disastro in manna benedetta.

Peraltro gli investimenti ad alta redditività di cui scrive il Cuneo li fanno i capitalisti, e i conti su "costi" e "investimenti" non danno lo stesso risultato se fatti dai capitalisti o dai proletari. Ammesso anche dal Cuneo che l’investimento ad alta redditività dei bassi salari imposti agli immigrati si traduce in pressione sui lavoratori per il generale abbassamento delle condizioni (con il che dovrebbe essere chiaro che nella società segnata dall’antagonismo di classe non esiste una redditività che si misura allo stesso modo per tutti, ma quello che è redditivo per una classe si traduce nel contrario per l’altra), solo ai capitalisti è dato di potersi garantire certi vantaggi, tenendosi abbondantemente alla larga dai disagi che li accompagnano. Peraltro, se è vero che in generale il capitalismo può avere interesse ad avere una riserva di manodopera immigrata a facile portata di mano entro i propri confini, è chiaro a tutti che questo vale entro i limiti del calcolo capitalistico della domanda e dell’offerta, ovvero secondo necessità/disponibilità del capitale (dal che il sogno imperialista del regolamento del flussi).

Per i proletari, invece, ci sono tutti e soli i disagi di una povertà aggiuntiva con cui convivere, che si assomma alla propria, segnando un ulteriore regresso della propria condizione. I lavoratori immigrati sono fratelli di una stessa classe, ma l’intervento dei comunisti volto al riconoscimento e alla presa in carico di questa formidabile potenzialità non può essere librato nel vuoto, né può saltare il dato dell’effettivo inevitabile peggioramento della condizione proletaria che deriva dal sommarsi negli stessi spazi di dosi aggiuntive e straordinarie di povertà e di disagio. Non è omettendo o edulcorando questi aspetti che potremo contribuire affinché sia riconosciuta e presa in carico la comunanza di classe tra lavoratori italiani e lavoratori immigrati. Decisivo è invece il ruolo sempre meno marginale che i lavoratori immigrati assumono nella struttura sociale ed economica dei paesi Europei e nei gangli centrali della produzione. Decisivo è il durissimo percorso di sindacalizzazione che i lavoratori immigrati hanno intrapreso, anche in modo inevitabilmente frammentato ma non senza rimandi generali sull’intera classe. Sarà un caso se dopo gli scioperi dei facchini delle cooperative della logistica, ovvero di lavoratori prevalentemente immigrati le cui lotte sono state finanche osteggiate dai sindacati ufficiali, sono maturate le condizioni di una vasta partecipazione di tutti i lavoratori allo sciopero generale nei punti vendita della multinazionale Ikea? Secondo noi no.

Non raccontando favole quindi, ma facendo leva sui nostri punti di forza reali, sarà possibile contrastare le campagne che puntano a fomentare la divisione e l’ostilità dei lavoratori italiani verso gli immigrati.


20.000 profughi o un vasto piano di nuove guerre?

Leggiamo ancora dal Cuneo che le riunioni "ridicole" sono servite per “mettere a punto un vero e proprio generale piano di guerra agli emigranti da Africa e Medio-Oriente con tanto di navi, aerei da combattimento, droni, bombardamenti...”, a preparare “il più grande respingimento di massa della storia recente” e “una nuova catena di guerre contro i popoli africani e arabi”.

Quali dunque i meriti di incontri e accordi tra i big europei? Possiamo concordare con il Cuneo che gli imperialisti europei hanno sempre torto, ma nessuno può avere torto prima per una cosa e poi per una seconda che contraddice la prima. O i rappresentanti europei hanno profuso enfasi e suonato la grancassa della propaganda su un problema di modestissimo spessore (da qui l’iniziale accusa di “pagliacciata ridicola”), oppure era ed è in agenda il salto delle politiche di respingimento che si traducono in azioni sempre più offensive e, all’occorrenza, in nuove guerre. Per noi è vera la seconda (pur senza accreditare che gli imperialisti si apprestino a bombardare i barconi colando a picco gli immigrati).

Il respingimento militare di massa e le nuove guerre che si annunciano – prosegue il Cuneo – sono dovute, oltre al resto (arraffamento di risorse e manodopera a basso costo), “alla necessità degli stati europei di continuare a reprimere l’insorgenza delle masse arabe che dalla Tunisia e dall’Egitto si è propagata fino al Bahrein, allo Yemen, alla Siria..., alla necessità di schiacciare nel sangue ogni tentativo di resistenza di contenuto pur confusamente anti-imperialista”, e alla necessità per l’imperialismo di intervenire “direttamente non bastando a ciò i Sisi, i petrol-monarchi, gli Assad e tutto il resto”.

Dopo aver sottoscritto un bel po’ di superficialità sul tema dell’immigrazione, non poteva mancare nell’articolo del Cuneo il pendant di reticenti ambiguità su quanto è accaduto e accade (dal 2011 in poi con primo epicentro Tunisia) nei paesi del Medio-Oriente e del Nordafrica.

Il Cuneo, in compagnia di non pochi “rivoluzionari”, continua a parlare di “insorgenza delle masse arabe” facendo di ogni erba un fascio dalla Tunisia alla Siria, passando per la Libia e l’Egitto come se niente fosse. L’ostinazione del Cuneo ad accreditare nelle cosiddette “primavere arabe” cose che o non esistevano o erano di segno contrario supera ogni limite, contraddicendo il finale appello al “lavoro di squadra internazionalista”.


Veramente gli insorti contro Gheddafi e Assad sono “antimperialisti un po’ confusi”?

Gli amarissimi sviluppi (se non gli stessi esordi) degli inverni imperialisti (altro che primavere arabe!) calati a distruggere la Libia e la Siria dovrebbero aver chiarito che si è trattato in generale di un’insorgenza molto contraddittoria. Un’insorgenza che solo in Egitto (in virtù della tradizione ivi presente) ha conosciuto barlumi di presenza e organizzazione proletarie, comunque non al centro dell’iniziativa e successivamente pur esse prone alla restaurazione di Al Sisi. Un’insorgenza che in Tunisia ed Egitto aveva conseguito alcuni iniziali risultati poi risucchiati nel generale riflusso. Un’insorgenza segnata dall’assenza di ogni sponda di lotta e anche solo di solidarietà minima da parte del proletariato occidentale: che non significa che gli sfruttati arabi sono sotto tutela e nulla di buono potrebbero fare da soli senza la provvida guida del proletariato d’Occidente, ma vale a non omettere la rilevanza di una relazione e un collegamento che per noi sono decisivi, per un proletariato che, nelle diverse fasi dello scontro di classe alla scala globale, e a maggior ragione a fronte di sollevazioni di massa realmente supportate, o è classe internazionale o non é.

Anche a causa dell’assenza dalla scena mondiale di un proletariato occidentale degno di questo nome, assenza vieppiù rimarcata dall’oggettiva richiesta di collegamento e solidarietà lanciata dagli sfruttati di Tunisia ed Egitto scesi in lotta contro i propri governi nella prima fase delle mobilitazioni, il prosieguo delle stesse ha preso in generale pieghe e contenuti che solo la cattiva coscienza di certi compagni può continuare ad accreditare come "insorgenza e resistenza delle masse arabe di contenuto sia pur confusamente anti-imperialista". Sono i compagni che, come il Cuneo, hanno inteso accreditare, con buona dose di "ridicolo" e di contraddittorietà rispetto al dato reale, presunte insorgenze se non addirittura “rivoluzioni” anti-imperialiste, quando invece le sollevazioni di Libia e poi di Siria sono ben presto finite o addirittura sono nate nelle braccia delle democrazie imperialiste, che, avendone misurato molto più correttamente i contenuti e le reali prospettive di sviluppo nello scenario internazionale dato, le hanno supportate e pilotate per le proprie finalità di dominio e per togliere dalla circolazione le leadership borghesi per essi più scomode.


La realtà di una guerra di ascari che si affittano all’imperialismo

Si dice di "tentativi di resistenza pur confusamente anti-imperialisti", ma la “confusione” di un tentativo anti-imperialista non può arrivare fino al punto di reclamare a squarciagola l’alleanza, il supporto e il diretto intervento militare degli imperialisti occidentali per schiacciare il fronte interno avversario: è quanto hanno fatto i rivoltosi cirenaici contro Gheddafi e il fronte interno anti-Assad in Siria.

Qui la confusione sta a nostro avviso nei compagni del Cuneo che accreditano come tentativo anti-imperialista una sollevazione che invece rivendica l’alleanza, il supporto, l’intervento dell’Occidente per conseguire i suoi fini, il che la dice lunga su sostanza e programmi delle forze di classe messesi in movimento in loco contro i tiranni Gheddafi e Assad.

Nè questa realtà cambia, per il fatto che i Gheddafi e gli Assad sono effettivamente, al pari dei Saddam e Milosevic, rappresentanti – all’occorrenza sanguinari contro "il proprio popolo" e per procura degli imperialisti-degli interessi delle rispettive borghesie nazionali, e per l’innanzi alleati – non dei più malleabili – dei padroni/padrini occidentali: se l’insorgenza che punta a scalzarli si allea all’Occidente imperialista, la sostanza di classe in azione non è più o non è mai stata quella di un “anti-imperialismo confuso”, bensì quella opposta di una guerra di ascari che all’imperialismo si affittano rendendosi disponibili a rendergli il servigio della eliminazione di una leadership borghese locale da sempre maldigerita dai padroni/padrini di cui sopra (discorso a parte va fatto per i curdi, ai quali ancora una volta è stata “offerta” dagli imperialisti la trappola di occasionali pseudo-alleanze di comodo).

Essendo rimasto il proletariato (internazionale e anche locale ai gradi in cui è presente nei diversi paesi) ai margini o assente come classe e relativa azione politica in proprio (partecipe in alcune fasi e nei paesi detti ma mai da primo protagonista), la cosiddetta insorgenza esplosa nel mondo arabo-islamico lega in effetti gli eventi degli ultimi anni nei diversi paesi (Libia, Siria, Iraq, Bahrein, Yemen, etc.) secondo una trama che ha assunto i connotanti e la sostanza di uno scontro tra Stati e consorterie borghesi e sottoborghesi che si contendono il campo sotto vestigia religiose sunnite e sciite, con diverse possibili cordate più o meno radicali dell’islam sunnita a contendersi la leadership, e con i paesi occidentali che come gli avvoltoi stanno lì a puntare le proprie fiches per cogliere i propri obbiettivi.


Uno scenario in complessa evoluzione

Il "lavoro di squadra internazionalista" delle forze anticapitaliste di cui scrive il Cuneo è chiamato a intervenire in questo quadro complesso. Laddove non si tratta di continuare ad accreditare resistenze inesistenti o addirittura contrarie (ci riferiamo in particolare alla resistenza anti-Assad) omettendo dati essenziali e continuando ad alimentare confusione. Al Sisi e Assad sono indubbiamente due rappresentanti di fetide borghesie nazionali, ma questo non giustifica che si ometta di dire che il primo è supportato dall’intero Occidente che ne ha avallato il colpo di mano che ha riconquistato il potere ai vertici dell’esercito egiziano, mentre il secondo è da anni sotto l’attacco Occidentale che ha foraggiato i più compositi e svariati "eserciti di liberazione" ("confusi tentativi anti-imperialisti" a sentire il Cuneo) per sloggiarlo dal potere di Damasco. Anche noi siamo interessati a sloggiare la borghesia nazionale dal potere, ma, se a farlo sono gli imperialisti e i suoi ascari locali, agli "internazionalisti" compete di demarcare la posizione di classe e di denunciare l’aggressione imperialista.

Detto tutto il male del caso dei rivoltosi cirenaici e anti-Assad a libro paga dell’imperialismo, prendiamo le distanze invece da quanti vedono nell’Isis “un’orchestrazione occidentale”, se non addirittura “una creatura di Israele”. Se si volesse parlare di un “antimperialismo confuso”, e – aggiungiamo noi – reazionario, oscurantista e medievale (in un mondo stra-capitalista), questo lo si potrebbe riferire all’Isis. Nondimeno e curiosamente l’Isis, non solo è stato foraggiato ab origine dagli occidentali, ma inoltre viene attualmente aiutato sul campo non solo dalle petrol-monarchie, ma anche dalla Turchia (in funzione anti-Kurda e anti-Assad) e da Israele (in funzione anti-Assad e anti-Hezbollah), mentre gli stessi Stati Uniti, che inizialmente avevano promosso la “coalizione dei volenterosi” per debellarlo, sembrano (a leggere le lamentele degli europei minacciati dagli attentati) aver messo i remi in barca quando a guerre anti-Isis.

Con tutta la minaccia delle avanzate e degli attentati dell’Isis, gli imperialisti occidentali appaiono tuttora divisi nella determinazione delle priorità del proprio intervento in Medio-Oriente e Nordafrica e c’è chi, come Israele, individua come proprio nemico principale l’asse sciita Theran-Assad-Hezbollah e appare propenso a chiedere un occhio o addirittura a favorire le avanzate dell’Isis. A sentire le dichiarazioni di fuoco di Israele (e dell’Arabia Saudita) dopo la firma dell’accordo internazionale sul nucleare iraniano e sulla fine delle sanzioni all’Iran, c’è da credere che la pressione contro l’Iran andrà avanti e il resto lo vedremo.


Una iniziativa concreta contro le guerre imperialiste e le campagne anti-immigrati

A maggior ragione in uno scenario così complesso pesa in negativo l’ambiguità di quanti "internazionalisti" continuano a contorcersi in contraddittorie reticenze su inesistenti insorgenze “confusamente anti-imperialiste”, invece di raddrizzare il tiro almeno dopo lo sviluppo chiarissimo degli eventi.

Un positivo passaggio di un auspicabile "lavoro di squadra internazionalista" è stato piuttosto la pur piccola manifestazione che si è tenuta il 2 giugno a Roma nella periferia di Centocelle in contemporanea con la parata militare in corso nel centro della capitale. L’iniziativa del 2 giugno è stata promossa dalla Rete No War Romana e da altre forze politiche e di quartiere che vi hanno denunciato la prossima aggressione alla Libia che proprio nell’ex aeroporto di Centocelle vedrebbe collocato il Centro Operativo Interforze posto al comando delle operazioni. Non è davvero un caso, a nostro avviso, se le forze che hanno promosso questa utile iniziativa sono quelle che in genere hanno saputo leggere per il verso corretto gli eventi delle cosiddette "primavere arabe" senza accreditare di un inesistente “antimperialismo” le ribellioni anti-Gheddafi e anti-Assad (mentre chi le ha valorizzate da posizioni “ultra-sinistre” ha in questi anni oggettivamente ostacolato la ripresa della mobilitazione contro la guerra infinita dell’Occidente al mondo arabo-islamico, gratificando oggettivamente le aggressioni occidentali alla Libia e alla Siria con il supporto di contraddittori “sinistrissimi” accreditamenti). Il “lavoro di squadra internazionalista” di costoro o riparte da questa presa d’atto o non riparte.

Il presidio e poi la manifestazione romana del 2 giugno hanno denunciato per le vie del quartiere le politiche degli Stati imperialisti e dell’Italia, che dall’Ucraina al Medio-Oriente e al Nordafrica fomentano guerre criminali che scatenano morte e distruzione in loco, e sono all’origine della fuga di masse di emigranti verso l’Europa.

Il nesso immigrazione/guerra (e pace) imperialista è con ogni evidenza centrale. Né l’una né l’altra faccia dell’unica medaglia dell’oppressione imperialista tollerano semplificazioni, contraddizioni, ambiguità da parte dei comunisti. E’ una partita decisiva quella che si apre su questi nodi e i comunisti internazionalisti sono chiamati a fare chiarezza fino in fondo su tutti i punti e sulla coerenza complessiva della propria battaglia, se veramente vogliono spendersi per evitare che il proletariato occidentale si accodi alle politiche di pace e alle guerre del proprio imperialismo, il quale punta a proseguire indisturbato la devastazione di interi paesi e continenti, a fomentare l’ostilità e l’odio contro “i clandestini” per tenere divisi i lavoratori, a scongiurare che si apra (ri-apra) un fronte interno di opposizione alla guerra (e alla pace) imperialista, che invece sappia respingere quelle campagne e procedere verso l’unità di lotta della nostra classe.

21 luglio 2015