nucleo comunista internazionalista
note





CON O SENZA BERLUSCONI,
IL FRONTE BORGHESE AFFILA LE ARMI.
LE AFFILA CONTRO UN PROLETARIATO
DIVISO E DISORIENTATO
SIA DALLE SIRENE
DEL FEDERALISMO NORDISTA,
SIA DALLE FALSE PROMESSE
DELLA “SVOLTA” ANTIBERLUSCONIANA



Siamo alle ultime battute di questo governo Berlusconi?

Sembrerebbe proprio di sì. Anche se nessuno – sia chiaro – può fare pronostici. Nessuno può dire se, all’esito di una crisi venuta avanti con modalità che hanno francamente dell’incredibile, il cavaliere di Arcore riuscirà ancora una volta a sfangarla o sarà disarcionato.

Quel che è dato registrare è che un coagulo di forze borghesi si è messo all’opera per dargli il benservito (se guardiamo indietro, non è il primo tentativo del genere...), ma l’indecisione e l’ambiguità, proverbialmente doppio-e-triplo-giochista, che regnano sovrane nella politica italiana e in questo campo di forze, lasciano ampi margini alla resistenza berlusconiana, così costringendo i promotori dell’iniziativa (e non solo essi...) a mettere in campo i coefficienti per un effettivo benservito al cavaliere, pena la ritirata per nuovi regolamenti di conti a venire.

Il campo proletario purtroppo sta molto peggio, essendo piuttosto politicamente assente e al carro delle bande borghesi che si contendono il potere nell’indicibile confusione.

Contro Berlusconi e contro l’antiberlusconismo che si affitta a leadership non meno borghesi e anti-proletarie

Noi ovviamente siamo contro Berlusconi.

Ma, proprio per questo, siamo anche molto distanti da quei “sinistri radicali” e finanche “rivoluzionari” che vediamo ottusamente impegnati a riecheggiare tiritere antiberlusconiane facili facili (visto il personaggio), e inutili inutili – anzi dannose – quanto a concreti ritorni per il nostro campo di classe. Tiritere che vanno per la maggiore, che si leggono sui giornali e si ascoltano dalle televisioni; e che poi si trovano pare pare nei volantini vergati con la falce-e-martello... al posto dei contenuti che di quel simbolo legittimerebbero l’uso.

Diciamo che, per poter anche solo abbozzare l’asse di riferimento di una effettiva opposizione e battaglia politica contro questo governo e contro gli interessi capitalistici di cui è espressione nonché una analisi della crisi politica in corso, occorre innanzitutto tirarsi fuori da questa melma che tutto infetta, annacqua – quanto ai contenuti nostri – e “unisce” (dai settori di Confindustria ora rimessisi in moto contro il cavaliere fino ai “rivoluzionari” con tanto di democrazia e Costituzione “da difendere”) nella riedizione di una sorta di CLN nazionale (in condizioni storiche affatto diverse...) “per salvare il paese dalla catastrofe”.

La commedia antiberlusconiana è promossa innanzitutto dagli attori istituzionali del centro –“sinistra” (e dal sindacato neo-camussiano...) convinti dalla sequela di scandali che rincorrono il cavaliere che “ormai sta cambiando l’aria” (come ha gridato “minacciosa” Livia Turco in uno dei tanti accapigliamenti televisivi tra “opposti” schieramenti).

A questa “opposizione” istituzionale si accodano fin troppe voci che di per sé avrebbero qualche miglior titolo per richiamarsi più credibilmente alla difesa dei lavoratori, ma che, a causa del vuoto di reali contenuti di classe con cui... non la sostanziano, si fanno risucchiare nella querelle contro il personaggio, dove ogni riferimento alla questione di classe perde valore o è del tutto omesso, perché la verve antiberlusconiana si alimenta – se ne rendano conto o no, il risultato non muta – di programmi e soluzioni “di ricambio” che sono invece rigorosamente in linea con gli interessi dei poteri capitalistici che menano la danza.

Più sono in tanti, ormai da Fini a Ferrero e molto oltre a “sinistra”, a ripetere i capi d’accusa addebitati al cavaliere, e sempre meno l’offensiva degli “oppositori” prende in carico le istanze delle classi sfruttate dal punto di vista dell’organizzazione e della necessaria prospettiva di lotta contro questo governo e contro ogni suo eventuale sostituto, essendo quello dell’organizzazione e della prospettiva politica due piani non scindibili della potenziale ripresa: sicché non è dato vantare meriti sul primo, quando il secondo viene bellamente messo da parte. Mentre è anche attraverso l’assenza di ogni contenuto classista da parte di quanti in questo modo si candidano a “concorrere da sinistra” alla svolta antiberlusconiana, che si delinea il segno antiproletario della pretesa “svolta” cui i proletari sarebbero comunque chiamati a plaudire perché “finalmente ce lo togliamo di torno”.

Se poi appare esagerato mettere in uno stesso paniere i bonzi del PD, prototipo di “oppositori” ridicoli a se stessi per l’inconcludenza non casuale delle proprie denunce, e settori di anche bravi lavoratori e compagni “impegnati nelle lotte”, leggete allora su il manifesto del 25 novembre 2010 “L’appello di ’Uniti contro la crisi’, che si rivolge “a tutte le realtà sociali che si stanno mobilitando contro la gravissima situazione provocata dalle politiche governative che con la scusa della crisi stanno distruggendo diritti e territorio...” (grassetto nostro). Fino a ieri il leitmotiv era che il cavaliere “nega la crisi”, oggi invece a negarla sono “i compagni uniti contro la crisi” se la gravissima situazione sarebbe provocata dalle politiche del governo mentre la crisi (che pur li fa unire) è soltanto una diabolica “scusa”.

Noi diciamo che non è secondario iniziare nel nostro campo a fare pace con il cervello, a comprendere che non ogni pistolotto antiberlusconiano (corroborato un giorno da un argomento e il giorno dopo dal suo contrario, fasulli entrambi) è utile a promuovere passi in avanti nella difesa degli interessi dei lavoratori (che, anzi, così si va indietro), che a nulla servono gli appelli che riescono a mettere insieme tante partecipazioni sulla base di insignificanti “amenità” che ne allargherebbero gli effettivi (...delle firme in calce), che di questo passo non si realizza nessun “coordinamento” reale tra le lotte e le aziende in crisi, mentre invece l’unificazione è possibile innanzitutto sul piano di un non ambiguo programma politico e della corrispondente prospettiva.

La realtà è che nessuno oggi si perita di considerare e organizzare una politica di classe, o perché consapevolemente la teme e programmaticamente vuole scongiurarne la (ri –)comparsa sulla scena, o perché, pur non avendola platealmente rinnegata, non se ne assume (tatticamente?) le indubbie difficoltà e il conseguente onere di contribuire alla ripresa, indicando i necessari punti di ripartenza dall’attuale pantano che coinvolge la nostra classe (cominciando intanto a riconoscere per tale il pantano che ci circonda, invece di enfatizzare – per esempio – dubitabilissime vittorie... di Pirro, conseguite qui e là a botta di ricorsi e cause legali di cui l’offensiva politica del padronato si fa tre baffi). Le filipicche antiberlusconiane, buone per i talk-show televisivi, consentono di sproloquiare a iosa contro le malefatte del presidente del consiglio, senza mai portare il ragionamento, l’analisi, la proposta, l’iniziativa sul piano della necessità di un risposta di classe, senza mai chiamare in causa la prospettiva di un’alternativa di sistema al capitalismo e alla sua crisi, nell’ambito della cui visione gli “eccessi” di Berlusconi apparirebbero per quello che sono, cioè la regola sociale di questo marcio sistema, e l’esecutivo di centro-destra verrebbe combattuto sul serio in quanto rappresentante e agente dei generali interessi di sfruttamento e dei contenuti di alienazione umana del capitalismo.

Un governo che non ha fatto niente?

Siamo contro Berlusconi, dunque. E’ cosa diversa dal dire che siamo contenti che cada in questo modo, perché di questo non siamo contenti affatto.

Siamo contro Berlusconi perché evidentemente esprime degli interessi capitalistici contro la classe operaia. Per poterlo combattere veramente insieme agli interessi generali che rappresenta occorre sgombrare il campo dalle mille cazzate antiberlusconaine per fare spazio ai presupposti indispensabili a una vera battaglia di classe.

Innanzitutto diamo una rapida visione di quel che, a sentire certi “oppositori”, sarebbe il governo “che non ha fatto niente” (o, alternativamente, “che non fa niente contro la crisi” oppure “devasta diritti e territorio con la scusa della crisi”...). Secondo costoro il governo di centro-destra avrebbe mandato a ramengo l’Italia, mentre gli altri paesi e i relativi governi andrebbero invece avanti benissimo.

E’ una visione che non corrisponde assolutamente alla realtà.

Non si può dire, infatti, che l’Italia con il governo Berlusconi – e soprattutto con l’amministrazione Tremonti abbia combinato disastri dal punto di vista degli interessi capitalistici.

Fermo che negli ultimi tempi il governo reale è passato di mano dal primo al secondo, autore quest’ultimo di tutti i più importanti provvedimenti, noi diciamo che è semmai vero il contrario, cioè che allo stato l’Italia capitalistica resta in piedi sotto i colpi incalzanti della crisi, che hanno invece messo ko molti altri paesi, fossero di destra o di sinistra i rispettivi governi.

Certo l’Italia non è la Germania, l’unico paese rimasto a far da effettivo volano per una problematica ripresa (anche se gli ultimi dati danno un certo calo anche per la spinta tedesca). Ma, se vogliamo andare a vedere nell’ambito della situazione europea e della crisi mondiale (che nella propaganda antiberlusconiana tutti dimenticano, come se i problemi dipendessero da Berlusconi che l’ha inventata o se ne fa un “scusa”...), l’Italia, come ha detto la Marcecaglia, resta pur sempre “la quinta potenza mondiale e la seconda potenza manifatturiera in Europa”.

Non è da poco dal punto di vista degli interessi capitalistici. Non è da poco che proprio in questi anni ci sia stato il “superamento” rispetto all’Inghilterra, mentre non dimentichiamo che all’inizio c’era soprattutto l’idea che l’Inghilterra “ci surclassava”, che la Spagna “ci stava superando”, etc. etc.. Non si tratta di negare i fattori di declino propri del capitalismo nazionale italiano (dei quali abbiamo tante volte parlato), ora nell’ambito del più ampio declino del capitalismo occidentale a petto della crescita di nuovi formidabili concorrenti nel mercato globalizzato come mai in precedenza. Si tratta di vedere che, allo stato, la crisi sopraggiunta nell’autunno del 2008 ha messo alle corde una serie di economie nazionali che, a differenza dell’Italia, sembravano avviate a una crescita sbalorditiva.

Sicché la situazione che abbiamo in Europa, tanto per limitarci, ci mostra che il paese che doveva essere il modello neo-liberista di sviluppo, l’Irlanda, sta arrivando a sviluppi spaventosi, a situazioni di default simili per gravità, per quanto diverse ne siano le cause scatenanti, da quelle nelle quali già da tempo si è imbattuta la Grecia (il cui governo di “sinistra” sta, peraltro, scaricando senza complimenti sulla classe lavoratrice l’onere dei conti da ripianare); che l’Islanda, otre ad avere i vulcani naturali che offuscano i cieli di un intero emisfero, è inoltre seduta sopra il vulcano economico prodotto dal suo recente sviluppo assolutamente abnorme e artificiale, creato dalle manovre espansive del credito; che in Spagna si tagliano i salari e le pensioni; che in Inghilterra i tagli colpiscono non solo la scuola con l’aumento delle tasse scolastiche (con le conseguenti proteste studentesche), ma anche il settore della cultura dove ci sono stati tagli spaventosi con la perdita di 500.000 posti di lavoro (tanto per dire di quanto qui in Italia le ragioni di chi protesta vadano a braccetto e cedano il passo a critiche inconsistenti, laddove, a fronte dei tagli che chiudono il rubinetto del finanziamento per produzioni cinematografiche che nessuno andrà mai a vedere, si grida alla “lesa maestà della cultura”, soprattutto perché lo si farebbe in controtendenza rispetto al mecenatismo culturale che invece contraddistinguerebbe, pur nella crisi, tutti gli altri governi in Europa e nel mondo...).

In Germania dove c’è “il grande sviluppo” non è che sia andata gratis per i lavoratori, perché a differenza di quello che scrivono i nostri “oppositori di sinistra” ci sono stati tagli all’occupazione, tagli dei salari e aumenti di orario. Della Grecia si è ricordato. Il Portogallo sembra che galleggi e ci sono brutte cose in vista, dopo i precedenti di Grecia e Irlanda. In Francia il governo Sarkozy è andato avanti con la riforma delle pensioni, approvata nonostante le proteste dei lavoratori. Negli USA è stata di recente presentata la proposta bipartisan per l’innalzamento dell’età pensionabile a 68 anni (in Francia l’innalzamento è a 62 anni, in Inghilterra il progetto è per innalzare a 67).

E’ un quadro che ha a che fare con il percorso del capitalismo, come dovrebbe rilevare una posizione di sinistra, mentre invece di questo nessuno ne parla. Si prefersice dire che altrove va tutto bene, che i governi degli altri fanno investimenti e rilanciano l’occupazione, che non si sognano di tagliare sulla cultura e invece la rilanciano: solo qui in Italia Berlusconi farebbe degli indicibili disastri.

La denuncia dell’ “opposizione” antiberlusconiana non attiene a questo quadro internazionale di crisi che avanza e al problema del capitalismo e delle politiche dettate dalle sue necessità, da contrastare sul piano dato; si tratterebbe piuttosto dei disastri provocati da Berlusconi, messi a paragone con le inesistenti “prodezze” di tutti gli altri governi, con presunto beneficio e relativi riconoscimenti dei lavoratori e delle classi disagiate. Una retorica antigovernativa che, per quanto insulsa, non è però a effetto zero, se serve – come serve – a demarcare gli argini di una “opposizione” sulla quale imbarcare quanti più consensi (e voti) possibili, senza che a nessuno degli imbarcati venga mai in mente di metterla sui binari di una vera opposizione di classe.

Quadro generale o “specificità italiana”?

Al riguardo Gianni Rinaldini, alla recente assemblea nazionale di “La Cgil che vogliamo”, ha esordito con un concetto non dissimile dal nostro... per auto-contraddirsi, però, subito dopo, così confermando il dato di un’ “opposizione” tanto visceralmente diretta contro il cavaliere di Arcore, quanto attenta a scantonare i veri nodi sul tappeto.

Egli ha apostrofato come “rassicuranti” ma non corrispondenti alla realtà i discorsi di quanti additano il “disastro italiano” a differenza di quel che accadrebbe negli altri paesi europei (dunque non siamo gli unici a considerare la strumentalità di questi discorsi), perché “non è vero che gli altri paesi, riferito agli USA e all’Europa, stanno praticando ipotesi di uscita dalla crisi”.

Peccato che abbia proseguito dicendo che, “entro questo quadro generale” (che, in Italia e altrove in Occidente, è e resta di crisi), ci sarebbe però “la specificità italiana” data dall’ “idea che dalla crisi si possa uscire rilanciando il modello sociale e di crescita neo-liberisti” (!?).

Con il che il discorso ricade esattamente al punto di partenza, e dunque: c’è chi attacca Berlusconi perché porterebbe l’Italia al disastro mentre tutti gli altri paesi starebbero superando la crisi; e c’è chi, “in opposizione ai primi”, lo attacca perché solo e soltanto Berlusconi proporrebbe, a differenza di tutti gli altri, ricette neo-liberiste (ormai “opposizione” non significa più posizione contraria e alternativa, bensì “la stessa ed unica pappa, variata qualche virgola”).

Ora, non affrontiamo in questa sede il tema di quale sia la politica “non neo-liberista” (ovvero dello statalismo a tinte sociali che per noi rappresenta una iattura degna di essere combattuta non di meno ma di più sulle nostre basi di classe, non essendo noi tra l’altro dimentichi di come questa politica non neo-liberista abbia contribuito a condurre i lavoratori “nazionalizzati” nel tritacarne della seconda guerra mondiale; mentre invece ne vediamo indegnamente richiesta a braccia aperte “da sinistra” la replica...). Né ancora misuriamo in questa sede l’effettivo stato dell’arte delle realizzazioni dei governi che hanno trovato comodo richiamarsi all’intervento dello stato a presunto sollievo dei lavoratori nella crisi (senza peraltro dimenticare che anche Tremonti ha fatto discorsi, e non solo discorsi, sull’intervento “regolatore” dello Stato contro gli eccessi del mercato). Ci limitiamo a dire che, anche colà, si è visto a tutt’oggi ben poco. Ciò perché non basta la stuccchevole (e criminale) retorica sui favolosi “anni 30” a superare il dato di un capitalismo arrivato alla crisi del 2008 non esattamente nelle stesse condizioni del 1929 (soprattutto quanto a condizioni dei conti pubblici), mentre il recente risultato elettorale degli USA dà un segno reale di quanto le classi sfruttate possano essere riconoscenti alle politiche “interventiste” di un Obama. Se ancora non basta, si legga quanto ha dichiarato ad Alessandro Portelli il dirigente del sindacato statunitense dei carpentieri edili (non propriamente rivoluzionario): “lo stimolo (all’economia, n.n.) è andato tutto ai bancheiri, all’1% più ricco, e quasi niente è ’sgocciolato’, come si diceva un tempo, fino in basso, a chi ne ha davvero bisogno” (il manifesto del 3/11/2010).

Riprenderemo nella giusta sede questi centrali temi. Qui basti annotare che Rinaldini prima si richiama al quadro generale della crisi e poi gli volta le spalle per tornare ad additare la “specificità italiana”: non si assume il compito di dire se e quale debba essere la prospettiva di lotta dei lavoratori contro il capitalismo e la sua crisi, ma si rifugia anch’egli in una “specificità” berlusconiana da contrastare, sicchè la “chiamata alla lotta” è “contro il neo-liberismo” del governo Berlusconi – non putacaso contro la crisi sistemica del capitalismo – e in nome di diverse ricette anti-crisi che verrebbero correttamente messe in campo dai borghesissimi governi degli altri paesi in Occidente e in Europa (!?).

Un presidente del consiglio esclusivamente occupato a “farsi gli affari suoi” e ad andare con le prostitute?

Negli ultimi mesi è saltato fuori di tutto, ma due sono i temi che hanno tenuto banco: quello dipietresco del cavaliere che “si fa gli affari suoi” e soprattutto lo scandalo sessuale.

Noi sappiamo bene che Berlusconi, anche quando fa gli affari dell’Italia, non è che lavora gratis. Ma – guarda caso – quella stessa magistratura che ha una lunghissima tradizione – e relativo codice non scritto – di occhi ed orecchie foderatissimi davanti alle marachelle dei potenti (lo stesso codice di assoluta discrezione che riserva ad esempio ai misfatti della famiglia Marcecaglia sui quali Il Giornale intendeva al suo modo replicare), al cavaliere non ne manda liscia una.

Berlusconi, al pari degli altri magnati del nostro capitalismo, avrebbe e ha tutti i motivi per essere giustamente bastonato, ma qui sembra che l’unico bandito da perseguire sia lui, non con formali “atti dovuti” che poi nel più assoluto riserbo vadano a perdersi in altrettanto “dovute” archiviazioni, ma senza tregua e fino all’osso.

L’altra questione sulla quale si è scatenato il putifierio è lo scandalo sessuale, con gli occhi puntati, da Noemi in poi, sulle prodezze da letto del cavaliere.

Sul punto, peraltro, è dato rilevare un passaggio che appartiene alla sostanza delle cose e non alla squallida facciata del gossip. Abbiamo visto infatti testate come Libero e Il Giornale se non mutare atteggiamento, almeno raddrizzare la mira al riguardo. Da che si diceva “è una cosa privata, ognuno fa quello che gli pare” (e noi dicevamo e diciamo sempre: non è una cosa privata, è un cesso in piena regola), ora invece su questi quotidiani, dunque nel campo dello stesso cosiddetto berlusconismo (un campo che va evidentemente ben oltre il personaggio Berlusconi), ha iniziato a manifestarsi una divaricazione. In particolare abbiamo letto Vittorio Feltri e Marcello Veneziani iniziare ad alzare l’indice contro questo andazzo del cavaliere. Si continua certo a denuciare la strumentalità di campagne usate ad arte dal campo avverso, ma si dice anche che il comportamento del presidente del consiglio “non ci sta bene”, che uno che sta conducendo una battaglia politica così impegnativa non può permettersi certi andazzi di vita privata, che la vita privata del leader dunque “ci interessa” perché egli è il rappresentante di un certo fronte e quindi anche la sua vita privata fa parte di un disegno collettivo. Si dice l’uno e si dice l’altro: il gossip sessuale è usato dalle opposizioni per attaccarci e noi lo denunciamo, però questo non ci esime dal dire sostanzialmente che “caro amico, fai leggermente schifo”. (Al riguardo riportiamo in appendice lo stralcio di un articolo del 5/11/2010 a firma Giovanni Martino dal sito Europa Oggi che dà conto sinteticamente degli sviluppi di cui sopra).

Il dato è quello di un campo berlusconiano, ovvero di un coagulo di forze che va di molto oltre la figura di questo cavaliere, se è vero come è vero che anche all’interno di questo campo vengono messi i puntini sulle i, a dire: il cavaliere può passare, ma noi dobbiamo andare avanti nella battaglia intrapresa e in corso. Se ne veda la conferma, su un altro tema, nella graffiante annotazione visionabile su Libero-news.it sul ministro Bondi che “sta sistemando i suoi casini familiari a spese nostre” (la riportiamo in appendice).

Un dato, quello delle critiche al cavaliere e ai suoi più stretti collaboratori provenienti dal suo stesso fronte, che non viene certo bilanciato dalle “recensioni” del servizievole Vespa che su Panorama, a discolpa del cavaliere, ricorda il farfallonismo sessuale di Clinton, Mitterand, dei Kennedy, che spiega come Vittorio Emanule II fosse un super-sporcaccione, che racconta di Mussolini che ne aveva fatte di cotte e di crude. E sia, ci sembra di leggere da un Veneziani, ma “una regola ci vuole”; e quindi basta con la storia di dire che “ognuno nel suo letto può fare quello che vuole”.

Noi siamo i primi a criticare questa comoda massima del puritanesimo borghese, ma non dal punto di vista della moralità dell’individuo in particolare in quanto esposto alla notorietà del leader, sì invece dal punto di vista delle leggi di mercato che santificano la libertà di saziarsi di sesso da ogni truogolo dato, cioè del fatto che nella situazione attuale essa è parte e corrisponde al generale immondezzaio del mercato, dove basta accendere la TV, con i programmi della De Filippi o Il grande fratello e i cosiddetti “dibattiti di costume”, o leggere qualsiasi giornale, senza ancora andare a sfogliare le circa sessanta testate di gossip pubblicate in Italia, per avere la misura che il cesso è straripante. Il sinistrume a questo proposito dice: tutto questo è il frutto del berlusconismo. E invece è il frutto del mercato, non è che lo ha introdotto Berlusconi. Vorremmo, infatti, sapere in quale altro paese le cose vanno diversamente, salvo il fatto che un capo dello stato più sobrio, più intelligente, meno megalomane copre tutto questo ed è molto più moderato anche nelle sue avventure.

Detto ciò, occorre ribadire che tutto questo serve per coprire altre questioni. Quello che ci stupisce è che proprio nella situazione attuale, in cui ci sono ben altri problemi per la nostra classe, si vada a vedere il fatto che Berlusconi ci guadagna facendo i suoi affari e fa lo sporcaccione. E’ abbastanza poco in un quadro così denso di ben altri problemi e minacce per la nostra classe.

Berlusconi e il partito politico della borghesia: sguardo all’indietro e proiezione in avanti

L’avventura di Berlusconi, si ricorderà, è partita dopo “mani pulite”, questione che stava creando un casino incontrollabile in Italia.

Quando il “crollo dei muri” della guerra fredda aveva reso meno rigide le consegne di tenuta degli equilibri complessivi dell’alleanza atlantica, l’attacco di “mani pulite” prese di mira la DC nella figura di Andreotti, e soprattutto Craxi. L’uno e l’altro avevano condotto per decenni, sotto l’ombrello dell’alleanza atlantica, una certa politica estera consona – per quel che era possibile e dato – agli interessi del nostrano capitalismo imperialista e in quanto tale non propriamente gradita al capobastone americano.

“Mani pulite”, intervenuta per sbaraccare un certo quadro politico, alludeva al fatto che, ciò fatto, si potesse poi riorganizzare una specie di rilancio concertativo, molto incerto nelle modalità e nei protagonisti che avrebbero dovuto realizzarlo. Si stava dunque creando un vuoto: la DC non esisteva più, il PCI dichiarava forfait, non si sapeva più come mettere insieme i vari frontri, il fronte borghese, svanito il suo quadro tradizionale di riferimento, non sapeva come organizzarsi e mancava di una guida.

In questo passaggio è intervenuto Berlusconi con il “ghe pensi mi” e lo ha fatto lanciando il partito-azienda, ovvero candidandosi in prima persona e quindi scegliendo il vice e poi il vice del vice etc. fino all’ultima periferia, attraverso i vari contatti e reti delle sue estese conoscenze. In questo modo la sua “scesa in campo” ha permesso la riorganizzazione di un certo blocco borghese che riprendesse possesso del vuoto di scena che minacciava di crearsi.

Naturalmente tutto questo non poteva bastare, il problema fondamentale era quello della creazione di un partito borghese.

Tanto per riportarci a dei modelli più seri (il che non significa stabilire paralleli storici, né accreditare l’altra barzelletta del cavaliere nero), ricordiamo che Mussolini partì come “protagonista quasi individuale” nel ’14, anche approfittando del fatto di essere un socialista eterodosso, dando subito vita, però, al giornale Il Popolo d’Italia, sedicente “giornale socialista”, ovvero sin da subito chiamando a raccolta un movimento sociale vario, molto frastagliato, e cercando di renderlo coeso, compatto, sotto forma di partito. Non mancando certo il dato dell’ascendente e del carisma personale, ma secondo una dinamica di organizzazione di forze sociali in forma di partito non certo riducibile a quel dato. (Annotiamo an passant che oggi, mentre da un lato si rimarca in negativo la dittatura che sul partito e in generale eserciterebbe “Berlusconi novello Mussolini”, dall’altro si sente dire in tutti i partiti, sia di destra che di sinistra, e soprattutto nel PD, che “manca la guida, il capo, la figura carismatica”: tanto per dire di come si ciurla nel manico anche su questo.)

Berlusconi succcessivamente ha messo in piedi qualcosa che va oltre il partito-azienda. Nonostante il personagggio e anche attraverso le alleanze, si è creato in effetti qualcosa di più vasto, sicché oggi non possiamo dire che il personale dirigente del Pdl siano semplicemente i mandatari e fiduciari eletti dall’alto e imposti da Berlusconi. Gente come Tremonti, ma anche i vari Sacconi e Brunetta, esprimono delle tendenze – magari collidenti tra loro, il che evidenzia un problema – che non possono essere ridotte a questo. Quindi un crogiuolo di formazione effettivamente c’è stato.

Nondimeno è mancato e manca tuttora (si attribuisca pure il deficit alla ponderabilità del capo) un vero partito, sia pure in formazione. Sia all’inizio della sua avventura e sia all’atto della formazione del Pdl, Berlusconi ha messo insieme varie forze, l’eterogeneità delle quali resta a pesare negativamente sul quadro generale e nella contingenza della crisi. In particolare con la nascita del Pdl ha catturato molti di AN, perché in effetti faceva da traino una certa politica senz’altro più avanzata rispetto a quella di AN, una politica più proiettata verso il futuro. Però un partito a tutt’oggi non c’è. Il Pdl stenta ad esistere e di fatto non esiste come partito, avendo al suo interno mille anime.

In questo quadro è invece tipico, per conto nostro e per quel che ci è dato vedere, che nel Pdl ci siano piuttosto degli avanguardisti (con degli alti e bassi e con delle contraddizioni), tipo Libero e Il Giornale per riferirsi alla stampa, che vanno al di là di Berlusconi. Feltri e sodali sono schierati con Berlusconi perché è una trincea, la loro trincea; però vedono che la questione non può andare avanti in questo modo. Feltri ha dichiarato l’intenzione di andare per conto suo. Noi vi leggiamo la percezione dell’insufficienza del berlusconismo, della necessità ci creare un organo... come ”Il Popolo d’Italia”: non perché sia alle porte il fascismo, ma perché la democrazia è oggi direttamente chiamata a dare una stretta seria nell’interesse del capitalismo nazionale, mentre Berlusconi resta ancora fin troppo frenato e inevitabilmente incoerente. Feltri è uno che coglie gli umori. Lo ricordiamo quando dai giornali berlusconiani iniziò a lanciare alla grande la Lega Nord. Oggi l’umore che avverte e trasmette è che si va verso situazioni di scontro; che oggi la situazione di scontro è data tra il fronte che momentaneamemte è quello di Berlusconi e tutto l’altro amalgama – che è un’accozzaglia ingovernabile – che oggi vi si oppone, ma che non è sufficiente stare con Berlusconi come personaggio e con la vecchia linea. Noi vediamo che questo sta venendo abbastanza avanti e questo proponiamo a chi ci legge.

All’esito di questo processo nella crisi politica attuale vengono dunque al pettine gli antichi nodi. Berlusconi ha iniziato il suo percorso chiamando al governo del paese il partito di Fini, con grande scandalo sollevato allora dalla “sinistra” che ebbe ad apostrofarlo appunto “cavaliere nero”. Ha imbarcato agli esordi la Lega Nord, che però aveva la sua politica ben poco “moderata” sia sul versante delle politiche sociali interne sia sulla politica estera (ricordiamo la sua opposizione alla guerra alla Jugoslavia), e che nel ’94, pressata dalla base, ha infine rotto l’alleanza. Il cavaliere si è alleato ancora con l’Udc, che ora, dimentica delle sue stesse alleanze dell’altroieri, fa fuoco e fiamme contro Berlusconi (ricordate Buttiglione inveire in televisione contro il Pdl per l’alleanza con i fascisti delle leggi razziali, dimentico, magari grazie ai bottiglioni trangugiati poco prima, di averne già fatto parte egli stesso di quelle alleanze e di quei governi?).

Tutto questo oggi è parzialmente venuto meno, da un certo punto di vista depurandosi e formandosi un nucleo direzionale più avanzato di quello di partenza del ’94, che però attualmente non ha la possibilità di prefigurarsi come organizzazione egemone di partito battagliero, presente sul territorio, etc.. E dunque nulla è scontato di cosa possa accadere, compresa la questione della Lega che rimane oggi con Berlusconi, ma che non si sa cosa possa fare domani, perché, se salta questo quadro governativo, la Lega potrebbe ben rilanciare tutta una serie di proposte molto più “estremiste” di quelle che può permettersi nell’attuale quadro politico e di governo.

Su quali temi la rottura di Fini? Primo: la politica estera.

A Perugia Fini si è limitato a ripetere che il presidente del consiglio è un megalomane, si fa gli affari suoi, è uno sporcaccione. Niente ha detto sui problemi fondamentali sui quali dovrebbe unirsi il famoso CLN di salvezza nazionale (e di supposto riparo per i lavoratori sotto i colpi della crisi, come affettano di credere certi “sinistri” di cui subito diremo).

Ma, al di là delle aporie perugine di Fini, quali sono i temi fondamentali sui quali si dà la rottura dei futuristi? La rottura non avviene perché Feltri ha cominciato la campagna di stampa sull’appartamento di Montecarlo. Al contrario pensiamo che Feltri con molto anticipo ha lanciato questo attacco perché ha antivisto il crollo di una certa prospettiva e la necessità di attrezzarvisi (cosa non accolta dai berluscones che fino a che hanno potuto e tuttora mandano segnali di possibile riconciliazione a Fini, come anche Bossi si è prestato a dare seguito a un più che evidente dialogo tra sordi).

I problemi fondamentali sono quelli della politica estera, quello del Sud e quello della concertazione sociale.

La prima questione, per come viene posta dai futuristi, attiene all’interrogativo: come si schiera l’Italia sullo scenario internazionale, dove ci mettiamo, a chi ci appoggiamo?

Noi non diciamo, come altri fanno, che la politica estera dei governi Berlusconi rappresenta una punta di diamante del riscatto dell’Italia e dell’Europa. Ammettiamo però che essa ha spostato l’asse da quella che era una supina adesione ai diktat e agli interessi statunitensi, per lanciare non solo dei segnali diplomatici ma dei concreti segnali economici affaristici con una parte di mondo, con governi e partners commerciali, che agli Stati Uniti non stanno bene.

Innanzitutto con Putin, laddove la questione della relazione dell’Europa – e dell’ Italia – con la Russia è fondamentale. Lo è sin dal tempo della seconda guerra mondiale, sin da quando i più coerenti sostenitori di un imperialismo europeo non succube degli anglo-americani ragionavano che la Russia (e allora l’Urss) o la confini verso l’Asia oppure la fai entrare in un progetto europeo, sin da quando i nostalgici di un socialismo nazionale che non avrebbe saputo dar seguito al suo proprio programma denunciavano come fatale disgrazia che Hitler e Stalin non siano andati d’accordo, come pure aveva sancito l’iniziale alleanza.

La Cina. Vediamo al riguardo che, se Berlusconi manda i suoi ministri a fare affari e a intrecciare legami in Cina, dalla “sinistra” a Fini stanno tutti a scrivergli contro sui diritti dell’uomo, sulla storia del dalai lama e quant’altro. Un coro che si allarga poi a tutti i “premi nobel per la pace” (del calibro di Sharon, di Kissinger... il prossimo premio lo si darà a chi scatenerà la terza guerra mondiale), anch’essi pronti a ricordare a Berlusconi i diritti umani violati in Cina.

La Libia. Dove recentemente i futuristi, nell’ambito della strategia di logoramento dell’esecutivo, hanno votato l’emendamento proposto da un PD di marca radicale per bacchettare il colonnello (non l’Italia?) sul rispetto del diritto d’asilo.

Su tutti questi punti di politica estera c’è una perfetta concordanza in un arco molto esteso di forze che va dai futuristi fino ai “sinistri radicali”. Basta leggere il manifesto che si crogiola nel calcare la mano sullo zar Putin, i fascisti cinesi, il dittatore libico. (Beninteso, né questo rilievo né altri stanno a dire che allora ce li possiamo aspettare nel domani prossimo tutti insieme nel “governo della svolta antiberlusconiana”, ma nondimeno è vero che l’humus della “svolta” copre incredibilmente tutto quest’arco, a prescindere dalle varie combinazioni di forze e formule governative in discussione per l’eventuale nuovo esecutivo di salvezza nazionale, degli appoggi interni o esterni, delle non belligeranze, dei semi-gradimenti desistenti o di quant’altro vorranno ancora inventarsi a supporto di questo esito).

Una politica estera quella del governo Berlusconi e di Frattini, che si barcamena ovunque: con Ahmadinejad l’Italia non è mai per le soluzioni estreme e intanto si firmano sugosi trattati commerciali, idem con la Turchia mentre sulla Turchia infuria la tempesta in Europa e sulla questione di Israele, poi ancora con Lula già presidente dell’altra grande economia emergente del Brasile, e così poi sulla questione mediorientale.

Sempre con questa politica furbesca, con questa “abilità” tipicamente italiana, che a nostro avviso resta lontana di diverse leghe da una vera geopolitica corrispondente agli interessi del “nostro” capitalismo imperialista. Un’ “abilità” che corrisponde ai suoi appetiti e alle sue potenzialità, ma anche ai suoi insuperati limiti. Un modo di procedere che leggiamo, ad esempio, in filigrana nella peraltro pregevole collezione della rivista Limes, dove si illustra a dovere la trama di una geopolitica corrispondente agli interessi italiani e si reclama in tal senso un’azione italiana a tutto campo, ma ci si dimentica di spiegare come è che questa azione a tutto campo possa essere mandata avanti, cosa occorra a tal fine; dunque anche gli autori di Limes sono “abilitisti”, per dire di gente che surroga con l’ “abilità” l’assenza di una politica estera italiana del tutto coerente ed aggressiva, cosa che assolutamente oggi non c’è. Semmai gli accenti e i temi che alludono più coerentemente, quanto a visione e prospettiva, a una politica del genere sono quelli propri di testate come Rinascita, espressione di fascisti cosiddetti “di sinistra nazionale”, se non addirutura – secondo accezioni riferite a noti filoni di quel ceppo – “rossi” (costoro denunciano la farsa in corso e dicono: se cade Berlusconi ci vorrebbe qualcuno che sappia andare oltre, ci vuole non un Silvio ma un Benito, magari un Benito Bolivar o Guevara, visto che oggi si mette tutto insieme... con ponti d’oro gettati in tal senso “dall’altra sponda” anche da certa “sinistra” in vena di riscoperti valori nazionali...).

Secondo e terzo: la questione del Sud e la “concertazione sociale”

E’ fin troppo chiaro che nella follia di tutto quello che si muove contro Berlusocni, con istanze collidenti all’interno di un calderone difforme e ingestibile, c’è tutto un settore – al quale aderiscono da destra e da sinistra – che ritiene di cavalcare la protesta e le richieste del Sud per disporre di soldi a fondo perduto. Di questo si tratta, detto senza troppe perifrasi e se si vuole andare alla realtà delle cose.

Dai toni del manifesto del 5/11/2010, che titola “La rivolta ’sudista’ ha battuto Tremonti”, ci par di capire che da quelle parti si sia brindato alla approvazione con i voti di Udc, Pd, Idv, Mpa e Fli dei due emendamenti “a difesa dei fondi Fas, quelli destinati soprattutto al Sud”.

Ma veramente crediamo che ciò sia compatibile con il quadro di un avanzamento dell’Italia? (Lo diciamo, sia chiaro, non certo perché assumiamo a parametro lo stato di salute del capitalismo italico, ma perché così fanno quelli che criticano “da sinistra” il cavaliere in nome della “competitività generale del sistema Italia” che il governo e il padronato – solo il governo secondo la repentina revisione operata dalla maggioranza camussiana della Cgil... – non sarebbero in grado di garantire. A proposito di “padroni che non sanno garantire la produttività, né fare una vera cultura d’impresa” si vada a rileggere cosa c’è scritto nel secondo documento “La Cgil che vogliamo” per capire per quale motivo anche l’opposizione di Rinaldini e Cremaschi, per quante denunce faccia, non traccia alcuna prospettiva in grado di favorire anche un solo passo in avanti in direzione di una effettiva ripresa di classe).

Veramente crediamo che “la rivolta sudista” sia da cavalcare da un punto di vista di classe? Su questo bisogna intendersi e intenderci. Non mancheremo di farlo a dovere, per nostro conto, in altra apposita occasione.

Limitandoci qui al primo interrogativo, noi diciamo che nell’attuale situazione di crisi l’idea che il Sud possa essere finanziato non funziona. Anche dal punto di vista federalista avanzato, una avveduta borghesia “sudista” dovrebbe dire che non c’è spazio per andare avanti con le sovvenzioni e gli aiuti, ma che necessariamente si deve procedere in altro modo. Accade però che i futuristi pescano soprattutto da quel bacino di ex-Pdl che già si sono scissi per andare con il Mpa, il quale Mpa, caso strano, ripercorre l’autonomia siciliana riallacciandosi alla vecchia storia dell’autonomismo siciliano che alla fine della seconda guerra voleva fare della Sicilia l’ennesima stelletta del firmamento statunitense...

Andiamo avanti con la terza questione. Quella del rilancio di una “concertazione sociale”, che di punto in bianco diverrebbe possibile oltre che auspicabile se solo ci si tolga dai piedi il governo dei Sacconi e dei Brunetta.

Su questo terzo punto il suggerimento di Confindustria ai finiani appare più che diretto. Ma ancor qui si tratta non solo dell’ennesima mistificazione, ma anche di un’altra fantasia incredibile, vista anche la situazione di relativa pace sociale. Al riguardo, pur valorizzando la manifestazione del 16 ottobre della Fiom (interessante e importante se ci fosse una prospettiva agente in grado di indicarne il seguito), francamente diciamo che non ci pare proprio che la rottura del “dialogo” e l’isolamento della Cgil abbiano precipitato nelle piazze masse di minacciosi manifestanti fino al punto di consigliare e imporre al fronte avverso l’effettiva ri-considerazione dell’opportunità di una qualche “concertazione”.

E allora, di che si tratta?

Negli ultimi tempi Confindustria ha iniziato a dare segni di insofferenza per una situazione in cui, si dice, “mancano le riforme di cui abbiamo bisogno”, sicché l’attuale governo non andrebbe più bene, e meglio sarebbe fare un governo “tra tutti”, una nuova coalizione larghissima che permetta “il rilancio delle riforme”.

Naturalmente si tratta delle riforme che stanno a cuore a Confindustria, la quale non solo ha dato il via ai “centristi”, ma ha anche gettato l’amo alla sinistra. Con un solo amo ha preso in men che non si dica la Cgil, il PD, Vendola e altri ancora. Questo non significa che intende tutti arruolarli nell’eventuale nuovo esecutivo, né necessariamente che tutti essi si rendano immediatamente disponibili a tanto, ma nondimeno li ha catturati cogliendone la disponibilità a secondare una coordinata sterzata politica che sia finalizzata a “cacciare l’ingombrante tiranno”! Tutti a sinistra ci cascano e vogliono cascarci. Tutti danno mostra di credere che in questa situazione sia possibile far quadrare il fatto che si licenzia Berlusconi, si fa un governo tecnico di transizione, una sorta di CLN di salvezza nazionale, e poi si può mandare avanti una politica nella quale tutti, da Fini a Ferrero con le diverse articolazioni del caso, si ritroverebbero insieme in nome della cacciata del cavaliere, una politica che però ed evidentemente (a noi almeno) – riposerebbe sul quadro segnato dalla Confindustria.

Che sia quadrabile un cerchio del genere solo un pazzo potrebbe crederlo. Ma i “sinistri”, appesi tutti all’unico amo, stanno già lì a scaldare i motori e passano anzi ad osannare davanti al proprio pubblico i papabili per la nuova impresa. E così risaltano fuori tutti i protagonisti negli ultimi tempi graditi alla sinistra: Cordero di Montezemolo, Mario Draghi, Alessandro Profumo (già salutato da Parlato come “banchiere di sinistra”, non senza sollevare qualche critica); ci manca Marchionne, ma fino a poco tempo fa sarebbe andato benissimo anche quello e anzi sarebbe stato il top assoluto di questo genere di leader.

Costoro avrebbero la caratteristica di “andare bene a tutti”. Di punto in bianco si legge sul manifesto del 6/11/2010 a firma Roberto Tesi che “Draghi ha fatto un escursus storico molto bello (addirittura partendo dal ’600)” e che con questo “discorso molto bello” avrebbe “dettato l’agenda per il futuro governo”. Quelli del manifesto hanno ingoiato l’amo e tirano pure, non per liberarsi ma per agganciarsi meglio: Draghi ha detto che “senza la prospettiva di una pur graduale stabilizzazione dei rapporti di lavoro precari si hanno effetti alla lunga negativi su produttività e profittabilità”, e Galapagos non ha dubbi: “in maniera educata e indiretta, Draghi di fatto ha messo sotto accusa le imprese”. Sorbole! Sorvola, però, sul fatto che nel “discorso molto bello” si annoveri tra i fattori che pesano negativamente il fatto che “si è interrotto da tempo l’impegno per le liberalizzazioni nel settore dei servizi”. Questo signfica signori del manifesto che voi sottoscrivete: si è interrotto il processo delle liberalizzazioni. Quindi Berlusconi è uno statalista e un socialista, come dicono i Tea Party di Obama. E d’altra parte la critica dei (vostri neo-alleati? poco ci manca...) finiani a Berlusconi non è forse quella di non essere liberista? Ancora Tesi su Draghi: “forse qualcuno storcerà la bocca sentendo il richiamo alla necessità di aumentare i profitti ma Draghi non è certo un teorico dell’abbattimento del sistema capitalista ma un riformista alla Federico Caffè...”. Cioè: non è proprio dei nostri, però se i profitti non ci sono...

C’è o no qualcosa che evidentemente non quadra?

E infatti il manifesto del 10/11/2010, nel registrare ancora una volta che “tra Fiom e Cgil ci sono due idee diverse di sindacato”, cita ora la Camusso secondo la quale “la Fiom sottovaluta la contingenza nella quale si sono aperte possibilità di discussione con il complesso del sistema delle imprese”. Ha ragione Landini a rilevare che il sullodato “sistema delle imprese” vuole un “ricorso senza vincoli ai contratti a termine e di somministrazione” e “un contratto nazionale più lungo e generale, derogabile a livello aziendale”, mentre “l’osannato Fini, nello ’staccare la spina’ a Berlusconi, ha messo tra gli obiettivi di un futuro governo l’assunzione del patto sociale tra le parti sul salario quasi tutto aziendale”.

Landini ha ragione, ma, gli chiediamo, dove sono il programma e la prospettiva di classe che ci necessitano per contrastare tutto questo?

Cosa bolle nella pentola della “sinistra” di fronte alla chiamata di Confindustria e di Fini per un nuovo CLN antiberlusconiano?

Le manifestazioni del 27 novembre della Cgil e dell’11 dicembre del PD si danno dunque nella contingenza, tutt’altro che sottovalutata dalla Camusso e da Bersani, di una possibile ripresa della “concertazione sindacale”, cui ora sarebbe ammessa anche la Cgil per un “nuovo patto sociale sulla produttività, nel quadro di una possibile “svolta” che dia inoltre lo sfratto al cavaliere da Palazzo Chigi. Non a caso il primo appuntamento è stato indirizzato esclusivamente contro il governo (semmai con qualche bacchettata a Federmeccanica e alla Fiat negli scarnissimi comunicati, ma niente che si dica contro Confindustria con la quale invece è in corso “la trattativa”...). Mentre il PD ha messo le mani avanti dichiarando che in piazza non intende confondere le proprie bandiere con quelle rosse (per non crearsi problemi con i suoi centristi interni, allergici alle piazze in generale, figuriamoci poi alle falci-e-martelli...).

Volgendoci al campo del 16 ottobre, abbiamo letto un articolo interessante di Loris Campetti su il manifesto del 5 novembre 2010 (lo riportiamo integralmente in appendice), e da qui partiamo.

L’articolo di Loris Campetti non dice nulla su quale debba essere la prospettiva della battaglia politica cui pure indirettamente e inevitabilmente si riferisce, ma – gliene diamo atto – pone il problema che effettivamente sta sul tappeto. Egli suona un campanello d’allarme. La Camusso – scrive – ha annunciato che “sta cambiando il vento” perché fino a ieri era il governo Berlusconi a dettare l’agenda e imporre accordi e tavoli separati alle parti sociali, mentre ora le associazioni di impresa e Confindustria accentuano la propria critica al governo e alzano la voce contro il presidente del consiglio, sicché le parti sociali potrebbero superare lo sbarramento del governo e iniziare a fare da sole, a indicare autonomamente l’agenda, trovando convergenze su alcuni temi. Insomma, secondo Camusso, fino a ieri c’era un governo cattivo, staccato dalla società, ora invece si darebbero le condizioni per rimettersi a dialogare con la Marcecaglia; la crisi di Berlusconi sarebbe quindi mallevadrice di un patto sociale tra i sindacati e la Confindustria, un patto fra diversi finalizzato alla caduta di Berlusconi.

Alberto Asor Rosa ammette, al riguardo, che “assemblare i sostenitori di Marchionne con i sostenitori della Fiom per salvare l’economia nazionale potrebbe sembrare contraddittorio... ma forse nell’immediato anche questa contraddizione si può ragionevolmente affrontare se il problema è evitare la catastrofe, perché la catastrofe non giova agli operai...”.

Campetti nel prosieguo dell’articolo intende replicare ad Asor Rosa, “il nostro (suo del manifesto, n.n.) collaboratore”. Ma l’unica replica adeguata, caro Campetti, sarebbe quella di mettere alla porta chi con tergiversazioni spese per intere pagine messe a sua disposizione sta lì a spiegare che siccome gli operai temono la catastrofe allora bisogna che i padroni abbiano la maniera di andare avanti (come quell’altro che dalle colonne del quotidiano comunista ammoniva: non storcete il naso, se non ci sono i profitti che cosa si divide?).

Volendo prendere atto che “si tratta di evitare la catastrofe”, noi diciamo che c’è modo e modo di farlo, ed è molto probabile, e per noi sicuro, che Confindustria abbia l’idea di attraversare il diluvio facendosi un’arca per sé e lasciando crepare gli altri! Quindi caro Campetti non basta “salvarsi l’anima” sulle “amenità” (che semplicemente tali non sono) vergate dal vostro collaboratore. Noi, tutt’al contrario di ammonimenti e minacce indirizzati dai collaboratori citati agli operai e ai lavoratori, diciamo ad essi apertamente che sarebbero drammaticamente ingenui (per non dire altro) se arrivassero a dire: “si, che Confindustria si prenda tutto, si pappi Pomigliano e tutto quello che vuole”, in nome dell’ “abbiamo buttato giù Berlusconi il tiranno”!

Ma, dopo quelli già visti, ce n’è a iosa di esempi di quale fondo si possa toccare una volta che si comincia a imboccare la china ciellenistica di fronte alla prima esca tirata fuori di tasca e messa sotto il naso dal nemico di classe (o forse non si tratta di questo?).

Due bontemponi del PRC, con tanto di titoli di partito mostrati in calce, sempre su il manifesto del 5/11/2010 entrano a gamba tesa nel dibattito in corso nel loro partito. Con tutte le sottovarianti possibili e nella generale fluidità che tutto avvolge, mentre SEL appare orientata per un’alleanza di governo con il PD (e con chi altri ancora staremo a vedere?) in un “nuovo centro-sinistra”, invece Ferrero-Diliberto-Salvi si attestano su un’alleanza elettorale e quindi, ci par di capire, su un sostanziale appoggio esterno a un governo del genere. Questo gonfia di indignazione il petto di tali Bonadonna e Caprili che con la sparata a quattro mani che riproduciamo in calce protestano che occorre invece il coraggio di “una proposta politica unitaria” e di alternativa “oltre le formazioni esistenti”. Vai poi a vedere che cosa significa “oltre” e vedi che significa molto indietro e imbarcando “nella nuova contingenza” tutte le formazioni che fino all’altroieri i due avevano trattato come centriste, reazionarie, fasciste, etc..

Noi concordiamo che esistono tutte le migliori ragioni per essere contro il governo Berlusconi (quelle vere che ci interessano e non quelle fasulle buttate con enfasi tra i piedi per sviare), epperò diciamo: vediamo in che maniera, in che modo, come e in quale prospettiva.

Un manifestante del 16 ottobre scriveva giustamente che i metalmeccanici scesi in lotta richiedono una direzione politica. E noi concordiamo. Ma ecco che per il duo Bonadonna-Caprili “politica” significa soltanto alleanza elettorale e di governo. Francamente è disgustoso e ci da la misura di come, nella china dell’union sacreé“per cacciare il tiranno”... e riacciuffare l’osso, tutto possa repentinamente scendere all’infimo livello.

Scrivono: “La sinistra è sparita dissolta frantumata in gruppi dirigenti, non sta più nel popolo e tra la classe lavoratrice...”. Ci piacerebbe allora che si proponesse il terreno della lotta di classe. No. O l’alleanza, oppure tutto il resto è burocrazia... Perché infine ce lo spiegano ’sti due qual’era l’istanza politica della manifestazione del 16: “proprio per la sua forza autonoma” (che non significa proprio niente) essa chiede alla sinistra “unità per sconfiggere Berlusconi e Marchionne” (ma domani solo Berlusconi, n.n.). Quindi in pratica il famoso CLN. Non dicono ancora “vogliamo Fini”, ma la direzione è quella...

Annotazione per Cremaschi/Rinaldini/Landini: una mobilitazione di massa che non si periti di demarcare la propria inequivoca prospettiva, apre la porta a una schiera di interpreti pronti a tirarla in qualsiasi direzione, e qui in quella di un’ “ampia alleanza politica” per cacciare Berlusconi con annesso “nuovo patto sociale” con Confindustria.

D’altra parte abbiamo capito bene che la Fiom va a cercarsi, questa volta volontariamente, appoggi e sponde politiche in quel notissimo “difensore dei lavoratori” che risponde al nome di Di Pietro?

Ri-entrare nell’orchestra borghese!

Alberto Burgio, su il manifesto del 10 novembre 2010, ci offre quello che di questi tempi è un “classico” di certo pseudo –“marxismo” volgarissimo (anche questo lo riproduciamo in appendice). Egli si propone con un ragionamento che nelle premesse teoriche e di inquadramento storico-politico sembra quasi “bordighista”, per dire dell’aderenza al filo del marxismo più “ortodosso”, e invece poi, nell’applicazione pratica e nelle conclusioni, tagliate sul letto di Procuste della politica concepita come partecipazione dei “comunisti” all’azione istituzionale, elettorale, parlamentare e di governo nelle borghesi istituzioni e secondo le borghesi regole, ribalta nell’opposto le premesse già così ben ordinatamente messe in fila.

I rilievi iniziali sono condivisibili al 100%. Li riportiamo perché anche questi perspicuamente esplicativi dell’attuale fase politica “sospesa in un falso movimento”, dove se anche riuscisse il ribaltone anti-Berlusconi “vincerebbe ugualmente la destra”. Infatti l’antiberlusconismo vincerebbe “sulla linea Bonanni-Marchionne”, e dunque si avrebbe “un berlusconismo senza Berlusconi”.

Non è un paradosso che il PD sponsorizzi questo esito. Burgio lo spiega facendo un passo all’indietro sul piano strutturale del capitalismo. A cavallo tra i settanta e gli ottanta scrive avviene in tutto il mondo capitalistico un fatto di primaria importanza: cade per diversi fattori il saggio di profitto del capitalismo industriale... è questa in ultima istanza la causa strutturale della brusca fine del compromesso socialdemocratico...  Sostanzialmente corretto(1).

Cosa fanno i gruppi dirigenti della sinistra politica e sindacale in Occidente? Non imboccano la strada del conflitto, ma quella delle compatibilità introiettando le ragioni del capitalismo che attacca la classe operaia. (Giusto anche questo. Occorre aggiungere però che la corretta e contraria politica non era e non è quella di immaginarsi di avere le conquiste di prima senza mettere in discussione il capitalismo e quando cadono strutturalmente le ragioni che quelle conquiste avevano consentito – ciò che puntualmente vediamo illusoriamente “praticato” da tantissimi –, semmai di difendere le conquiste ottenute nell’ambito di una battaglia che è innanzitutto di denuncia e di attacco al capitalismo).

“Vedere le cose in prospettiva storica aiuta a capire il presente”. Anche questo è giusto in sé, salvo il fatto che Burgio affronta bene le cose “nella prospettiva storica”, ma questo poi non aiuta a capire un accidente del presente. Dapprima si scrive che, come conseguenza di quanto sopra, “oggi la dirigenza politica deve, per così dire, nascere da sé”: cioè la direzione politica non nasce sulla base delle vecchie formazioni riformiste anche di estrema sinistra presenti e operanti nelle lotte degli anni sessanta e settanta; il che è vero nel senso che oggi difettano il ciclo virtuoso delle lotte e il protagonismo della famosa soggettività operaia che allora lottava e otteneva delle conquiste in vista di arrivare allo scontro decisivo. Poi però Burgio, quando deve stringere sull’ “attualità pratica”, conclude che “le due sinistre esistono e il dialogo tra esse e più che mai necessario”. Ohibò!

Se prima ci viene spiegato che la sinistra socialdemocratica e il PCI hanno introiettato le compatibilità e la modernizzazione capitalistica sicché i proletari “devono fare da sé”, e se ancora si denuncia la “coazione a ripetere“, come è che poi ci si viene a raccontare che c’è una sinistra buona che può raccogliere le ragioni dei lavoratori, e che questa sinistra buona deve dialogare e allearsi con quella cattiva? Quindi: esistono due sinistre, una buona e una cattiva, e il dialogo tra esse è più che mai necessario, nell’ambito di una sinistra plurale. Prima si fa quel po’ po’ di analisi e poi si conclude con il pluralismo! Altrimenti – si dice “Berlusconi può cadere, ma la musica di certo non cambierà”! E allora entrateci nell’orchestra! Ma, a proposito di “coazione a ripetere”, non vi sfiora il dubbio che vi state candidando come precari dell’orchestra... della scala in discesa?!

E cosa può ricavarne il lavoratore da questi ragionamenti (tra l’altro si tratta del lavoratore individuo lasciato a se stesso, visto che avete distrutto anche quello straccio di organizzazione che si era inizialmente raccolta nel PRC)? Ne ricava che ci vuole l’alleanza, ci vuole la pluralità. Ma, se questo è, non era forse alleanza quella che teneva in piedi Prodi? E perché allora è stato buttato giù? Non era Prodi un argine a Berlusconi, e voi PRC, dopo averlo buttato giù, tornate ora con i sacchetti a dirci che è sempre un’ “alleanza plurale” quella che dobbiamo costruire? Se ancora alleanza ci vuole, sia chiaro almeno – si dirà – che non può finire come l’altra volta...

Su questi interrogativi per nulla peregrini Bonadonna-Caprili non si fanno cogliere impreparati: l’altra volta – si risponde l’intera sinistra ha peccato di subalternità, ma ora si farà diversamente e il problema sarò risolto. Ci si permetta di pensare che non ci credono nemmeno loro. Quel che, piuttosto, si capisce da tutte queste tirate è che l’importante è ri-entrare nell’orchestra... Poi si farà una politica in cui “ci stiamo tutti” e “si accontenta tutti”... Se poi non c’è trippa per gatti, allora si farà “necessariamente” come Zapatero, come Papandreu, ma la classe operaia sarà contenta perché almeno non avrà più il tiranno, il sessuomane...

Le vere colpe del governo Berlusconi: quelle che nessuno dice

Andrà giù dunque il cavaliere?

Non lo si può dire. Si deve dire, invece, che, tutt’al contrario di quel che prospettano i “salvatori della patria”, catastrofe sarebbe quella di un post-berlusconismo che prendesse il posto del defenestrato tiranno sulle basi che qui abbiamo ricostruito.

Se va giù Berlusconi non è che riprende la “sinistra” con un quadro politico che si stabilizza in questa direzione. Ci sarebbe piuttosto un intermezzo transitorio, un transitorio CLN denso di incognite. Un CLN che comprende anche i fascisti di Fini (anche nel ’43 nel CLN c’erano i fascisti, essendo stato Badoglio il protagonista delle guerre coloniali; oggi il Badoglio ex fascista è Fini).

Viste le premesse, quindi, lo sfratto a Berlusconi non stabilizzerebbe nessun quadro politico. Subentrerebbe, in una confusione esplosa al cubo rispetto a quella attuale, un’accozzaglia ingovernabile di appetiti, che, tutt’al contrario della “nuova concertazione” promessa a destra e a manca, non avrebbero proprio niente su cui quadrare. Si avrebbe un assalto alla diligenza (vuota di tesoretti!) da parte di tantissimi gruppi e gruppastri, da ogni territorio (innanzitutto il Sud) e su ogni questione (la cultura!), con una serie devastante di fuochi incrociati, di lotte all’ultimo sangue per difendere i propri spazi e i propri territori.

Oggi il clima, con i dovuti distinguo, è quello da 25 luglio e 8 settembre. E il 25 aprile di cui si favoleggia “a sinistra” altro non sarebbe – in linea con il 25 aprile storico – che un “salire tutti sulla stessa barca in cui a remare, sotto le frustate del padrone, devono essere sempre gli stessi”. Sarebbe nient’altro che l’aggregazione al carro antiberlusconiano, transitoriamente vincente, allargata ai “sinistri”. Questo è, checché ci si voglia illudere “a sinistra” che le cose possano mettersi in chissà quale altro modo. Mentre se si desse veramente la ripresa di una mobilitazione di massa e di piazza, sull’uno o sull’altro versante – come occorre considerare –, ciò immetterebbe non piccole complicazioni ulteriori nei copioni che sono stati avviati a svolgimento.

A quanti su il manifesto correttamente mettono le mani avanti sulle minacce presenti nell’attuale situazione e evocano la necessità di “un vero 25 aprile” che ce ne metterebbe al riparo, noi piuttosto diciamo: attenzione che, se questa cordata di scombinati messasi in moto contro Berlsuconi realizzasse un pastrocchio ingestibile, del quale se ne vedono sufficienti premesse, è dall’altra parte che potrebbe essere mobilitata la piazza. Quando Berlusconi, ripreso da qualcuno dei suoi, paventa “la guerra civile”, esagera certo, ma non si riferisce però a sviluppi del tutto estranei al quadro dato in termini di possibile contro-mobilitazione di massa.

D’altra parte la rincorsa alle strumentalità a senso unico in cui vediamo fin troppo impelagato il nostro campo (ovvero una parte di esso, datosi che non pochi lavoratori, da noi giammai definitivamente consegnati al campo avverso, hanno votato questo governo e certo oggi non tifano perché vada a segno la manovra per scalzarlo), significa, nei casi migliori, attesa passiva di eventi che invece maturano minacciosamente per il proletariato.

Se in Veneto c’è l’alluvione la colpa è della Lega. Se c’è il terremoto e L’Aquila non è ricostruita la colpa è del governo. Se crolla Pompei è stato Bondi (nessuno ricorda che anche senza Bondi Pompei è una macchina mangiasoldi che non produce niente e che crea sprechi a non finire e abbandono, come documentano dettagliati articoli di stampa). Sulla questione dei rifiuti, chi è il colpevole? Berlusconi. Sulla lotta alla mafia, dove Maroni ha colto un successo indiscutibile riconosciuto anche a livello internazionale (come, picccolissimo particolare, non mancheranno di riconoscergli con consensi a valanga i lavoratori del Nord e non solo essi), si dice: ma poi i mafiosi i beni se li ricomprano. Nessuno va a vedere che nell’ultimo anno le entrate fiscali sono calate del 1,7%, il che, considerata la crisi, significa che c’è stato un recupero sull’evasione.

E’ ovvio che su ciascuno di questi meriti ci sono le porcherie, gli affari, le mani in pasta di una pletora di trafficanti, ben presenti questi nell’esecutivo e nel Pdl: vorremmo vedere dove non ci sono!

E’ chiaro che a questo governo gli sta benissimo che a pagare le tasse sia la massa di chi piglia pochi soldi, cosa di vecchissima data che accomuna tutti i governi della borghesia, e che Berlusconi non ha fatto proprio niente per cambiare.

E’ vero che su ciascuno dei capitoli detti ci sono le colpe e le responsabilità del governo Berlusconi in quanto colpe e responsabilità del sistema generale del capitalismo di cui esso è il primo rappresentante, colpe e responsabilità(si pensi all’incredibile storia dei rifiuti in Campania) da denunciare fino in fondo con una battaglia politica che metta in causa la vera radice di ciascuno di quei mali.

Ma qui – questo è il nostro puntonon è affatto questo quello che viene fatto e la radice comune di tutti i mali non viene neanche sfiorata! Il senso unico di queste critiche non è: capitalismo assassino per le condizioni degli immobili pubblici e privati a L’Aquila che hanno causato centinaia di morti che si potevano evitare, ma Berlusconi assassino a differenza di un virtuoso capitalismo anti-berlusconiano che avrebbe già ricostruito tutto (doppiamente falso!). E così su tutto il resto.

Altra grande campagna sventolata da “sinistra” e Udc è quella per l’emersione del lavoro nero al Sud. Ma chi non sa che una vera stretta contro il lavoro nero significherebbe colpire il tessuto produttivo?

Sarebbe ancora poco quello che ha fatto Maroni contro le varie mafie, perché “poi i beni se li ricomprano” (il che non è lontanissimo dal vero, e dà la dimensione dell’intreccio inestricabile tra “economia buona” ed “economia criminale”)? Volete forse fare voi di più?

Chi non si avvede che colpire fino in fondo la camorra e la mafia significa distruggere un tessuto produttivo fondamentale e mandare all’aria equilibri sociali che su di esso si reggono. Chi l’ha fatta o la vuole fare veramente una cosa del genere? Ci aveva provato Mussolini con il prefetto Mori. Lo farà senza fermarsi la Rivoluzione Proletaria (o non potrà essere tale). Ma vorremmo proprio vedere da parte di questi fautori del Sud che hanno votato contro il governo Berlusconi...

In realtà né Berlusconi, pur con i successi di Maroni, né quegli altri che ne vorrebbero prendere il posto si sognano minimamente cose del genere.

Nordismo e statalismo costituiscono entrambi un suicidio per i proletari

Noi non abbiamo davvero difficoltà a credere che tutto questo teatro sia adeguatamente pilotato. Oltre agli accanimenti della magistratura su Berlusconi, ci sembra davvero inusitato che i carabinieri si presentino alla redazione del Giornale e a casa Sallusti (non ce ne frega niente di costoro, che certo non stanno dalla parte dei lavoratori, ma se fosse accaduta una cosa del genere dall’altra parte si sentirebbe gridare che ci troviamo nel Cile di Pinochet!). E’ inusitato che l’ordine dei giornalisti abbia sospeso Feltri per tre mesi, laddove in Italia ai giornalisti è stato sempre permesso ogni genere di abuso (e nel nostro piccolo qualcosa è toccato anni addietro anche a noi...).

Né abbiamo difficoltà a pensare a un disegno strategico, simile nel genere a quello che mandò allora a pallino il quadro politico italiano con l’operazione “mani pulite”.

Quando a muovere le cose ci si mettono i vertici massimi di Confindustria non occorrono eccessive dietrologie né Wikileakes (su questo argomento si veda l'articolo “Operazione Wikileaks”) per sapere che il gotha del capitalismo industriale e finanziario d’Italia non ha bisogno di nessun particolare complotto per muoversi in sintonia, del tutto naturalmente e secondo antica tradizione di intreccio e complicità, con i propri consoci più grossi che contano e “consigliano” da oltre Atlantico.

Ci rendiamo conto che queste nostre affermazioni potrebbero essere ritenute sacrileghe da molti a sinistra, i quali, avendo perso ogni fiducia nella lotta di classe, vedono come unica estrema trincea quella della (dipietresca o finiana) “difesa della legalità” contro il tiranno imbroglione e maiale di Arcore (“tiranno” a parte, che fa ridere, se le è guadagnate tutte!), ormai abituati a pensare che gli unici e possibili ripari stiano nella costituzione, nelle leggi, negli avvocati e nei tribunali.

Ma noi ci assumiamo la responsabilità di gridare che così non si difende niente! Di dire che c’è una lotta tra bande, bande che ci fanno schifo tutte e due, e non ci facciamo coinvolgere da niente e da nessuno, neanche dalle denunce di Saviano. Sono due bande che si stanno scontrando e a rischiare l’osso del collo siamo noi lavoratori, noi gente semplice. E invece vediamo l’intera “sinistra” che si mette tutta quanta in fibrillazione perché forse potrebbe rientrare di straforo in questo gioco, che in realtà è un gioco al massacro per i proletari!

Anche perché non ci si avvede che addebitare al governo ogni possibile magagna senza mai andare a vedere quale ne sia la causa effettiva, per inchiodare ad essa le responsabilità del governo, così demarcando su ogni problema uno spartiacque di classe, serve solo ad allargare il fossato tra Nord e Sud del paese.

Ogni cosa che sta succedendo sta tracciando un fossato tra Nord e Sud. Su ogni tema si demarcano sensibilità diverse: sugli allagamenti in Veneto, sui crolli di Pompei, sulla spazzatura a Napoli i ragionamenti sono abissalmente diversi a seconda che si ragioni dal Nord, dal Sud o da Roma. Se si dà una scorsa ai commenti sull’alluvione, sulle tasse da pagare a Roma, sui soldi dati a Pompei, la morale diffusissima al Nord è duramente leghista nel senso di dire “facciamo noi, basta con questi”. Un dato oggi che va ben oltre il cosiddetto popolo padano, perché anche i “nazionali” di AN al Nord (non i capi ovviamente) sono ormai traghettati su questi umori. Il Giornale e Libero certe volte sono più tracianti della stessa Padania e pubblicano i più duri attacchi al “sudismo”: lo attribuiamo al fatto che i primi costituiscono ancora una sorta di movimento, mentre La Padania è l’organo di un partito che governa a Roma e deve oggi tener conto di questo. Ma adesso non solo sulle testate citate, ma anche su altri giornali nazionali è dato cogliere ragionamenti che potremmo definire senza esagerazione “nordisti”. I sondaggi lanciati da Il Corriere della Sera hanno visto il 63% dei friulani rispondere che i veneti alluvionati fanno bene a non pagare le tasse a Roma, e il 92% dei Veneti rispondere che non vogliono la spazzatura di Napoli.

Sono umori che riguardano in pieno gli stessi lavoratori del Nord e dunque la situazione è drammatica. Gli operai del Nord sono drammaticamente realistici. Nelle grandi aziende metalmeccaniche in tanti sono iscritti alla Fiom, che almeno non li tradisce... Esprimono con questo un’elementare istintiva necessità di difesa, ma oggi hanno perso fiducia e aspettative nella difesa di se stessi in quanto classe e classe generale. Decisamente hanno perso ogni fiducia nei confronti di questa “sinistra”. In tanti votano la Lega Nord. Significa appoggiare il governo che sta continuando a smantellare tutele generali, peraltro in corso di scardinamento da alcuni decenni. Ma quel “loro” governo che scardina le precedenti conquiste è anche quello che gli ha promesso il federalismo. Da qui essi confidano di potere avere ritorni concreti, una volta che sarà stato possibile tagliare le unghie a “Roma ladrona” e al “Sud succhione”, come sentono che è giusto e necessario fare.

Dall’altra parte Vendola reclama soldi per la Puglia e promette assunzioni e anche Draghi ha fatto “un discorso molto bello” che rivendica la “liberalizzazione dei servizi” ma anche bacchetta le aziende auspicando “che si torni al lavoro a tempo indeterminato”. Benissimo, solo ci si dica dove e come. Noi rivendichiamo il lavoro, il contratto nazionale e l’assunzione stabile dei lavoratori precari veri, che siano però il risultato non di operazioni politiche messe in conto allo Stato Pantalone sì invece di una vera lotta di classe che faccia incontrare e unifichi la forza proletaria del Nord e del Sud dell’Italia e ne rafforzi l’organizzazione. Cogliamo invece un attacco alla nostra classe nei “bei discorsi” di Draghi quand’anche si spendano per “il lavoro a tempo indeterminato”, e non crediamo che i margini per alleviare la precarietà del lavoro possano essere rivacati nel contesto di ammucchiate antiberlusconiane il cui segno complessivo, dettato da Confindustria, sarebbe comunque, con tutte le eventuali assunzioni del caso, ferocemente anti-proletario.

L’unica difesa è nella ricomposizione del fronte unito di classe

Se non ci sbagliamo nel mettere insieme i fattori in gioco nell’attuale situazione, noi riteniamo che siano prossimi passaggi di rottura. Se la transizione antiberlusconiana si desse con i caratteri che qui abbiamo tracciato, essa preparerebbe un ritorno degli sconfitti che andrebbe del tutto al di là del Berlusconi disarcionato e che rappresenterebbe una marcia dei quarantamila al cubo.

Se anche Berlusconi venisse superato (e noi non lo diamo per sicuro) già oggi ci sono altre forze in quel campo che vanno oltre il leader di Arcore; e diverrebbe ancor più accentuata ed esplosiva la demarcazione fra il campo segnato da queste forze (Libero/Il Giornale, la oggi più sorniona e trattenuta Lega Nord, etc.) e il campo centralista/sudista di un centro-sinistra più o meno allargato.

Nessuno di questi due campi è il nostro. Mentre in tutti e due c’è la nostra gente, ora divisa e annullata politicamente quanto a protagonismo di classe in proprio.

A volte ci hanno accusato di studiare troppo la storia del passato. Noi diciamo invece che se dalla storia anche di quello che ha preparato il fascismo (e abbiamo già detto che non della riedizione di esso oggi si tratta) non si impara quali sono state le dinamiche e la realtà degli scontri sociali effettivi, al di là di schieramenti che ognuno può presentare come più gli aggrada (“come era bello l’Aventino”... si disse allora, “tutti uniti nel CLN antiberlusconiano” si sente oggi), noi non abbiamo imparato niente.

Stiamo andando incontro a passaggi di scontri che bruceranno tutta questa merdaccia che oggi ci impiglia in situazioni incredibilmente irrisolte e confuse. Scontri che si bruciano, nel senso che rilanciano in avanti e rendono più esplosive le condizioni dello scontro e costringono i campi contrapposti a definire in avanti le proprie formazioni, i propri programmi. Nelle condizioni date il campo borghese e i suoi settori più avanzati bruciano in avanti le proprie soluzioni ancora inadeguate e affilano le armi per la battaglia di classe. Siamo noi che, con la nostra classe divisa, non riusciamo a ricomporre in avanti il nostro fronte e a bruciare le sue/nostre attuali gravi inadeguatezze per soluzioni più avanzate. Perché ciò divenga possibile è necessario fare piazza pulita di tutta questa merda di presunta opposizione, di pretesi CLN liberatori, che sono in campo anch’essi ed essi per primi per fregarci.

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(1)An passant: questa è una tesi fondativa della nostra OCI la cui validità rivendichiamo al 100% a petto della squalificante autocritica che abbiamo dovuto leggere sul non più nostro “che fare” da compagni che, dopo averla con noi condivisa, hanno poi annegato la chiarezza di visione del corso del capitalismo nell’ “oceano di profitti” lucrati dal capitalismo mondiale in Cina e nel supposto “rilancio” che ne sarebbe derivato. Senza voler minimamente né ignorare né minimizzare i rilevanti sviluppi del capitalismo in Cina e altrove, sviluppi da integrarsi dialetticamente nella visione data, la tesi di allora, trent’anni dopo, va invece pienamente ribadita.


7 dicembre 2010



CAMBIA IL VENTO IN CGIL
Loris Campetti –
il manifesto del 5 novembre 2010


Sta cambiando il vento. È questo il messaggio che emerge dal discorso di insediamento della neoeletta segretaria della Cgil. Quali segnali consentono a Susanna Camusso di ipotizzare un tale, salvifico mutamento? Il più vistoso riguarda il rapporto tra governo, sindacati e Confindustria. Fino a ieri, dice Camusso, «nella stagione appena trascorsa... erano i ministri che dettavano agenda e rotture alle parti sociali». E fin qui ci siamo: non è stato proprio il ministro Sacconi a chiedere complicità ai sindacati e ad espellere dai tavoli di confronto la Cgil, ritenuta colpevole di non complicità? Ora, invece, cosa capita? Capita che «si accentua la critica al governo delle associazioni di impresa, Confindustria in primis. Ciò può determinare un’idea di ruolo delle parti sociali che indicano autonomamente l’agenda, che possono trovare su alcuni temi convergenze». Insomma, la crisi di Berlusconi può essere mallevatrice di un nuovo patto unitario tra Cgil, Cisl e Uil e, al tempo stesso, di un patto sociale tra i sindacati finalmente in cammino nella stessa direzione e la Confindustria che ora alza la voce con il presidente del consiglio e denuncia l’immobilismo dell’esecutivo. Del resto, sul versante politico (non solo in casa Pd) non si ipotizza forse uno storico patto tra diversi, finalizzato alla caduta di Berlusconi?
C’è chi si spinge oltre: un governo d’emergenza potrebbe coinvolgere direttamente le forze sociali, per lo meno quelle che detengono il potere economico. Sarebbe la quadratura del cerchio, operata per salvare il paese dal declino economico, politico, sociale, morale. Alberto Asor Rosa ammette che assemblare i sostenitori di Marchionne con i sostenitori della Fiom per «salvare l’economia nazionale» potrebbe sembrare contraddittorio ma, aggiunge il nostro collaboratore, «forse nell’immediato anche questa contraddizione si può ragionevolmente affrontare, se il problema è evitare la catastrofe, la catastrofe non giova agli operai, di sicuro molto meno che ai padroni». Prima perplessità: il governo non è rimasto immobile, ha governato e con l’aiuto di molti complici ha demolito il diritto del lavoro e insidiato la Costituzione e lo Statuto dei lavoratori. Ma, si può controbattere, questo avveniva nella stagione passata, mentre quando tutti insieme avremo costruito l’alternativa a Berlusconi la musica cambierà. Seconda perplessità: la Confindustria accusa sì il governo, ma non di troppa bensì di troppo poca deregulation: si può fare di più. Che cosa ci fa credere che in nome della salvezza nazionale, nella nuova stagione, Marchionne manifesterebbe insieme a Fim, Uilm, Fismic, ai tre licenziati di Melfi e al 40% degli operai di Pomigliano in difesa del diritto di sciopero? E che Bonanni e Angeletti sarebbero pronti ad abbandonare la strada degli accordi separati, riconoscendo il ruolo e la ragionevolezza non dico della Fiom, ma almeno della Cgil?
Di Berlusconi non se ne può più, chi può negarlo. Ma se per buttarlo giù bisogna salire tutti sulla stessa barca in cui a remare, sotto le frustate del padrone, devono essere sempre gli stessi, la contraddizione diventa insanabile e i guasti sociali certamente non minori. A meno che, sotto sotto, chi propone un nuovo 25 luglio non stia già preparando il 25 aprile. Saremo distratti, ma non ce ne siamo accorti.

Loris Campetti – il manifesto del 5 novembre 2010
(grassetti e corsivi nostri)



IL TEMPO DELL’UNITA’ A SINISTRA. E’ ORA
di Salvatore Bonadonna*e Milziade Caprili**
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il manifesto del 5 novembre 2010


Con alcuni compagni abbiamo deciso di non partecipare al voto di documenti ripetitivi e sterili sull’unità e le prospettive della sinistra, dentro il Comitato Politico di Rifondazione Comunista. La situazione sociale, economica e politica del paese richiede il coraggio di una proposta politica unitaria e di alternativa, oltre le formazioni esistenti e la salvaguardia dei singoli gruppi dirigenti. L’obiettivo della cacciata di Berlusconi, per cui la Federazione della Sinistra è disponibile alle alleanze, è giusto e necessario; ma non è sufficiente se poi ci si sottrae alla sfida di costruire una maggioranza e un programma che cambino la politica economica e sociale, la cultura razzista e classista di questa maggioranza. Si è svolto il congresso di Sinistra Ecologia e Libertà e il sistema politico-mediatico a-democratico lo sta digerendo per mandarlo in archivio; si prepara quello della Federazione della Sinistra che rischia anche di peggio. L’autoreferenzialità di ciascuna formazione contrasta con la urgenza di un’alternativa per il mondo del lavoro, per gli uomini e le donne attaccati nelle loro condizioni materiali, nei loro diritti, persino nelle loro speranze. La sinistra è sparita, dissolta, non sta più nel popolo e nelle classi lavoratrici, frantumata in gruppi dirigenti che, implosi dentro un mercatino della politica, pensano che la propria presenza in Parlamento rappresenti di per se la rinascita della sinistra. Per questo è sterile la difesa dell’esistente. Tornano i nodi non sciolti al Congresso di Rifondazione: quale rapporto tra un cartello elettorale e la strategia per una sinistra unita e plurale. Allora, attorno a Paolo Ferrero, si formò una aggregazione fondata sulla permanenza di Rifondazione e la proposta di una Federazione della Sinistra in alternativa alla proposta di una Costituente della Sinistra nella quale far confluire le formazioni politiche impegnate nella costruzione dell’alternativa concreta al capitalismo della globalizzazione. Oggi è solo conservazione burocratica. La soluzione federativa può reggere una intesa elettorale ma non partorisce il soggetto unito e plurale. D’altra parte l’ipotesi dei tanti cantieri della sinistra dà luogo alla concorrenza feroce tra di loro. Né una sintonia con il popolo e i lavoratori si ricostruisce tentando di arruolare alla propria tesi la manifestazione della Fiom. Quella manifestazione, proprio per la sua forza autonoma, chiede alla sinistra unità, per sconfiggere Berlusconi e Marchionne, e scelte capaci di avviare un nuovo modello di sviluppo. Il Pd non è pronto, non è capace di impegnarsi su questo versante? Non è una buona ragione perché i pezzi della sinistra rifluiscano verso alleanze elettorali politiciste solo sperando di raggiungere qualche collocazione parlamentare! La sinistra deve avere ambizioni alte, diversamente viene travolta dalla mediocrità di quel pragmatismo che assume come fatti oggettivi, naturali e indiscutibili le miopi politiche produttive di Marchionne e quelle del rigore di bilancio a senso unico di Tremonti. Certo pesa la pessima esperienza fatta nel governo Prodi; ma è proprio incorreggibile la subalternità che ha caratterizzato, in quella occasione, l’atteggiamento di tutte le forze della sinistra? Si sarebbe potuto agire diversamente allora e riteniamo necessario e possibile farlo oggi. Dopo una fase di sbandamento dovuta alle delusioni patite, viene alla sinistra una domanda di unità, determinazione e coraggio. Non è consentito a nessuno il gioco dei distinguo e tutti sono chiamati a costruire con i diretti interessati le politiche che servono per cambiare la condizione di chi lavora e del paese; non ci saranno altre occasioni e non ci sono scorciatoie!

*presidente Collegio nazionale garanzia Prc, **membro Direzione nazionale Prc
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il manifesto del 5 novembre 2010

(grassetti nostri)



SINISTRA PLURALE CONTRO IL MODERATISMO
di Alberto Burgio
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il manifesto del 10 novembre 2010

Il blocco di forze che ha vinto nel 2008 si è dissolto ma il quadro politico è sospeso in un falso movimento. Berlusconi e Bossi difendono il governo, il Pd e le forze maggiori del nuovo centro (Fli e Udc) lavorano per un esecutivo "tecnico" ma temono che questa ipotesi si allontanerebbe se fossero loro a staccare la spina. Tutto ciò blocca lo sviluppo della crisi.
Al di là del braccio di ferro tra i partiti, il problema però è un altro. Anche se il piano di Bersani, Fini e Casini andasse in porto, la partita la vincerebbe ugualmente la destra. Di che si tratta infatti quando si immagina una riedizione del governo Ciampi? Che cosa sarebbe la «scossa all’economia» invocata da D’Alema, se non il ritorno alle politiche "modernizzatrici" degli ultimi vent’anni (privatizzazioni, soldi alle imprese, precarizzazione) grazie alla rinnovata unità sindacale sulla linea Bonanni-Marchionne? In sostanza, berlusconismo senza Berlusconi. Tenuto conto della situazione attuale (livelli di disoccupazione e di povertà), pura macelleria sociale. Visto che sono in voga i paragoni storici, la sintesi è che l’Italia è a rischio di franchismo: sepolto il duce, la destra conserverebbe a lungo l’egemonia sociale, politica e culturale.
È un paradosso che sia il Pd a sponsorizzare questo esito? Forse no, se si considera la cultura politica del gruppo dirigente democratico, in particolare della sua componente post-comunista. Facciamo un passo indietro, agli anni a cavallo tra i Settanta e gli Ottanta. In quel periodo avviene in tutto il mondo capitalistico un fatto di primaria importanza: cade (per diversi fattori: dal salto tecnologico all’aumento del prezzo del petrolio, alle conquiste salariali ottenute dalle lotte operaie) il saggio di profitto del capitale industriale. È questa, in ultima istanza, la causa strutturale della brusca fine del compromesso socialdemocratico e della vittoria della rivoluzione reazionaria di Reagan e Thatcher, importata in Italia con la "marcia dei quarantamila".
Che succede nella sinistra politica e sindacale in tutto l’Occidente capitalistico quando matura questo scenario? Questo è il punto. I gruppi dirigenti del movimento operaio, della socialdemocrazia e del partito comunista italiano non imboccano la strada del conflitto ma quella delle «compatibilità». Il capitale attacca (riducendo i salari e la base produttiva e smantellando le conquiste dei lavoratori) e la sinistra risponde introiettandone le ragioni. Sacrifici, responsabilità, concertazione sono la «modernità». E il passaporto per il governo. Questo è l’orizzonte storico dentro il quale si forma la soggettività dei gruppi dirigenti che decidono la politica della sinistra politica e sindacale in Europa negli ultimi trent’anni. La coazione a ripetere sottesa alla proposta del governo tecnico non è che lo sviluppo lineare di questa mutazione genetica.
Vedere le cose in prospettiva storica aiuta a capire il presente e a non sorprendersi di ciò che è del tutto comprensibile. Forse serve anche a impostare correttamente il problema del che fare per uscire da questa fase storica.
La questione della rinascita della sinistra si pone oggi in termini opposti (molto più complicati) rispetto agli anni Sessanta e Settanta. Allora, a spingere per la trasformazione c’era una vasta base sociale, nata nel fuoco di conflitti che procuravano reddito, welfare e conquiste democratiche. La formazione della dirigenza politico-sindacale e intellettuale del movimento di classe fu il risultato di questa dinamica e del circolo virtuoso tra conflitto sociale e conflitto politico. Ai giorni nostri questa base sociale manca. Lo sfondamento capitalistico è passato come un rullo compressore sulla soggettività operaia. Prima ha sterminato le avanguardie di classe, poi ha consolidato il potere dell’impresa liberalizzando i movimenti di capitale, delocalizzando le produzioni e generalizzando la precarietà. Ne segue che oggi la dirigenza politica deve, per così dire, nascere da sé. Ed è necessario che nasca, perché dopo trent’anni di cosiddetto neoliberismo c’è una conflittualità diffusa ma – a dispetto delle illusioni negriane – debole e dispersa («passiva» nel senso di Gramsci). Ha pienamente ragione il segretario generale della Fiom quando dice che la piazza del 16 ottobre ha bisogno di rappresentanza politica. Ne ha bisogno e la chiede con forza.
Da tutto questo è possibile trarre due conseguenze per quanto riguarda la questione politica cruciale dei rapporti a sinistra.
Le «due sinistre» esistono eccome. Il dialogo tra loro è più che mai necessario, ma implica chiarezza e conoscenza delle rispettive posizioni. Ignorare o sottovalutare differenze radicate nei vissuti e nelle culture politiche varrebbe soltanto a trasformare un dialogo difficile in un dialogo tra sordi che non servirebbe a nessuno. L’altra conseguenza riguarda quanto resta della sinistra di alternativa e investe la responsabilità dei gruppi dirigenti. Per stare allo scenario italiano, è necessario che le forze anticapitaliste siano consapevoli della propria autonomia strategica e, per ciò stesso, della necessità assoluta di riguadagnare massa critica per far pesare le proprie istanze nel confronto con la sinistra moderata. È questa la ragione per cui non ci sono alternative al percorso unitario: alla costruzione di una sinistra plurale che nulla tolga all’autonomia dei diversi soggetti. Altrimenti Berlusconi potrà anche cadere, ma la musica di certo non cambierà. E allora entrare nuovamente nell’orchestra sarebbe solo un’ultima e forse definitiva sconfitta.

Alberto Burgio su il manifesto 10 novembre 2010
(grassetti nostri)



PENE CULTURALI
di Filippo Facci
su LIBERO-news.it del 24 novembre 2010


In questo Paese, siccome il più pulito ha la rogna, finisce che passa sottotraccia anche il vaiolo, l’influenza e insomma tutti gli scandalucci minori. Sandro Bondi ha sempre quest’aria sofferta, tormentata, infantile nella sua ricattatoria sincerità: da queste parti nessuno ha chiesto che facesse fagotto per la faccenda di Pompei, anche se l’immaturità della sua posizione («non merito le dimissioni») invogliava a rispondergli che no, non aveva colpe, ma era comunque responsabile. Il discorso cambia, però, a proposito di quanto ha scoperto Il Fatto Quotidiano: Bondi sta sistemando i suoi casini familiari a spese nostre. Il suo ministero dei Beni culturali ha dato una consulenza a Fabrizio Indaco, figlio della sua promessa sposa Manuela Repetti – parlamentare Pdl che certo non ha problemi economici – e poi ne ha data un’altra all’ex marito di lei, Roberto Indaco, in attesa del divorzio.
Bondi si era beccato pure un’interrogazione parlamentare perché sul viaggio inaugurale del Frecciarossa si era portato il cane, Grisby, suggello dell’amore con Emanuela. Ma la cosa che fa più incazzare è la penosa difesa del ministro: «Sono intervenuto per risolvere due casi umani, la tragedia di un uomo senza lavoro... Desidererei rispetto, si tratta di una vicenda molto dolorosa, ma anche del tutto personale e privata». A carico nostro. Noi paghiamo le tasse per agevolare il divorzio di Emanuela Repetti.

LIBERO-news.it del 24/11/2010



Scandali sessuali: le responsabilità di Berlusconi, le ipocrisie e le timidezze dei suoi oppositori
Giovanni Martino 5 novembre 2010 dal sito Europa Oggi

...Anche tra i sostenitori di Berlusconi, chi non vuole fare il gioco degli oppositori ipocriti non dovrebbe – a nostro avviso – accontentarsi di dipingerlo come il male minore. O – peggio ancora – rifugiarsi in una difesa estrema e insostenibile.
Dovrebbero levarsi voci, nello schieramento moderato, nella destra, che si sforzino di richiamare il leader alla ragione, che gli ricordino che anche uno degli uomini più ricchi e potenti del mondo non può ergersi al di sopra di ogni regola o compromesso.
Anche perché una caduta rovinosa di Berlusconi rischia di danneggiare per molti anni anche la cultura politica di cui si è fatto paladino, anche nei suoi aspetti positivi.
Qualcuno dello schieramento di destra, sui giornali del 2 novembre, sembra ridestarsi da un lungo sonno.
Vittorio Feltri (che pure è stato ed è uno dei più agguerriti sostenitori di Berlusconi), come visto, inizia a dare qualche ’suggerimento’.
Marcello Veneziani, sempre su il Giornale, manifesta il suo “disagio di scrivere e vivere tra un premier mandrillo, che non argina gli eccessi della sua sfera privata, e una mandria di sciacalli che vogliono sfruttare le sue debolezze private per occupare un potere a cui né gli italiani né le loro capacità li hanno chiamati”.
Filippo Facci su Libero è il più duro: “Non si può campare pensando sempre che gli altri sono peggio, che i giudici sono comunisti e che Fini è un traditore: anche se ci fosse del vero in tutto quanto. Non si può passar la vita a difendere il privato di Berlusconi se poi Berlusconi non fa niente per difendere dal suo privato noi, cittadini o giornalisti che perdiamo intere stagioni a discutere delle sue mutande solo perché lui ha sottovalutato dei rischi o perché deve affermare qualche principio. Berlusconi sarà anche un genio, ma i suoi casini impediscono di dimostrarlo e fanno perdere un sacco di tempo al Paese: e parlo di casini autoprocurati, non di complotti dei poteri forti. Se di notte il Premier non telefona a Obama ma a Nicole Minetti, e se la liberazione di una cubista marocchina è divenuta la missione più rilevante della nostra politica estera, la colpa non è mia. Se il Lodo Alfano serve a guadagnare tempo e a non farlo perdere al Paese, e però per farlo ci vogliono tre anni, la colpa non è mia. Se dietro Berlusconi non c’è un partito ma c’è solo lui, oltre a una serie di soldatini imbarazzanti, la colpa forse è addirittura sua. Non ho capito se alle famiglie italiane arriverà davvero un opuscolo su quanto realizzato dal governo negli ultimi due anni, ma credo che i prossimi due anni alle famiglie italiane interessino addirittura di più. Ci facciano, anzi, ci faccia sapere”.
Prese di coscienza coraggiose o antenne sensibili al vento che cambia?...

Giovanni Martino 5 novembre 2010 dal sito Europa Oggi