nucleo comunista internazionalista
note




ANGELA CLINTON E FRANÇOIS OBAMA
CONTRO LA RUSSIA.
A FAVORE DI QUALE EUROPA?

Limes dedica il suo numero di novembre al tema L’agenda di Trump. Come al solito, data la quantità e disparità ideologica dei collaboratori di vari paesi, non c’è un univoco e coerente quadro d’insieme e – nota ricorrente – la stessa corposa introduzione redazionale lascia largamente inevasi i temi generali di una vera e propria geopolitica in proprio, ma, come al solito, la lettura dei vari contributi risulta utile (qualcuno direbbe “stimolante”).

Noi ci fermiamo qui su pochi punti in merito. Primo: da più di un testo, compresi alcuni di fonte statunitense, appare un quadro esatto di quel che avrebbe significato una vittoria elettorale della Clinton, qui giustamente qualificata come “vecchia (nel senso di un lungo corso politico, n.) e corrotta” nonché decisamente guerrafondaia, non solo nei confronti della Russia, ma dello stesso Vaticano “aperturista” nei confronti di Putin. Tanto per citare dall’intervento di Germano Dottori, su cui ritorneremo: «Ne abbiamo avuto prova durante la stessa campagna presidenziale, quando abbiamo appreso da WikiLeaks come nel 2011 il sulfureo entourage dell’ex first lady avesse addirittura considerato il disegno di destabilizzare il papato innescando una “primavera vaticana” che sarebbe stata realizzata da gruppi cattolici di base dotati di convenienti agende liberal». Dopo di che lasciamo ai soliti inutili idioti cianciare di intromissioni dirette e decisive di Putin per promuovere l’elezione di Trump. Una salutare lezione per quelli, qui tra noi, a cominciare dal Manifesto, che facevano il tifo per la Clinton sia pure turandosi un po’ il naso in opposizione al “pericolo fascistizzante” trumpiano, della cui base elettorale non ci si era neppure preso il carico di indagare ed analizzare, per finire con l’improvvida dichiarazione di Renzi di appoggio (sia pur platonico) alla Clinton sulla scia della Merkel ed Hollande.

Ora la presidenza Trump, per motivi che nulla a che fare hanno con una sorta di “filorussismo” e men che meno con un’attenuazione della difesa degli interessi esclusivi statunitensi, sembra intenzionata (salvo l’ipoteca dell’apparato militare-industriale USA che rema in senso contrario, come segnalato da un buon articolo che ci viene da quel paese), ad una ridefinizione dei rapporti con la Russia lontana dai toni di guerra della “democratica” pronta ad imbracciare le armi contro il “nuovo Hitler” del Kremlino. E ciò con evidenti ricadute rispetto ai rapporti con un’Europa ad egemonia franco-tedesca basata da un lato sul proprio espansionismo ad Est (dalla revanscista Polonia ai pupazzi ultranazionalisti degli stati baltici) dall’altro, e di conseguenza, su un appiattimento sui temi più aggressivi della politica statunitense (già a partire da quelli del “premio Nobel per la pace” Obama) in quanto garante (e dominus) dell’Occidente.

E così ancor oggi vediamo Angela e François invocare nuove e più sanzioni contro la Russia in regione dei suoi “crimini” in Ucraina e Siria. Un’Ucraina, come si legge qui, costretta a constatare che il livello di vita della Crimea supera di gran lunga il proprio e con una popolazione che incomincia a rimpiangere lo stesso Janukovic come contraltare all’attuale corrotta ed inefficiente dirigenza Porosenko e che, proprio grazie all’appoggio del terribile duo, recalcitra dinanzi ad una soluzione in senso federalista del paese capace di allontanare le soluzioni militari (che, si riconosce, non fanno parte della strategia di Putin). La Siria liberata dall’ipoteca terroristica “islamica” che USA ed Europa hanno largamente fomentato in direzione anti-Assad pensando, stolidamente, di farne un “usa e getta” ai propri fini così come è stato per la Libia ed anche più in là (si pensi solo al caso Turchia, che oggi a giusta ragione esulta per la sconfitta della Clinton; detto senza alcuna simpatia per Erdogan, va da sé, che volentieri vedremmo appeso da una reale “primavera turca” di nostro segno).

Questa politica franco-tedesca va in senso esattamente opposto a quella che, capitalisticamente parlando, dovrebbe essere una autonoma e vincente prospettiva europea di raccordo con la Russia (e, più in là, con la Cina) per ritagliarsi un autentico spazio di manovra competitiva a scala. internazionale. Per un singolare “paradosso” questa esigenza viene portata attualmente avanti da forze di destra memori del disastro combinato da Hitler (“europeista” a suo modo, il peggiore) con la rottura del patto russo-tedesco e la conseguente riduzione dell’Europa a colonia “liberata” (leggi: dominata) dalla plutocrazia angloamericana. A quoi bon Angela e François? Non certo alle sorti di una solida Europa e men che mai alla pace. Non andrete molto lontano su questa strada.

L’articolo di Germano Dottori, a suo modo rilevante, parte dalla constatazione che la vittoria di Trump apre delle buone opportunità per l’Italia prendendo atto che «soltanto il 13 dicembre (dopo la precedente gaffe pro-Clinton condivisa con un Gentiloni “ancor più spiazzato dal responso delle urne americane”, n.) il titolare della Farnesina sarebbe finalmente riuscito ad ammettere in televisione che qualora Trump riuscisse ad avere rapporti più distesi con la Russia la circostanza avvantaggerebbe l’Italia (le sanzioni antirusse han fatto più male al nostro paese che a Mosca, n.). Meglio tardi che mai”, mentre l’ex first lady appena sconfitta ci avrebbe invece chiesto di ridurre significativamente i nostri rapporti con Mosca, obbligandoci a scelte sgradite a gran parte del parlamento, che ha più volte impegnato il nostro governo ad agire per rimuovere le sanzioni contro la Russia, mugugnando di fronte alla richiesta della Nato di inviare i nostri soldati in Lettonia».

Ciò che suona alquanto stonata è la conclusione cui arriva il Dottori: «Siamo stati fortunati. Senza colpo ferire, pochi mesi fa gli elettori britannici hanno decretato l’uscita del loro paese dall’Unione Europea, facendo dell’Italia la candidata naturale a sostituire nel suo tradizionale ruolo di vettore degli interessi e delle posizioni americane in Europa. Ora la sorte ci regala un presidente statunitense che valorizzerebbe la nostra funzione di ponte (!!, n.) senza pretendere pesanti contropartite in cambio.» E questa sarebbe la prospettiva geopolitica cui arrivano le nostre teste d’uovo?!: l’Italia come “vettore” al traino USA per tagliare i rostri franco-tedeschi! Siamo davvero messi male!



Noticina aggiuntiva:
UN LIBRO SU PUTIN DA POTER LEGGERE

Esce, per le edizioni Longanesi, un libro di Sergio Romano stringatamente titolato Putin.

Romano è, a nostro avviso, lungi dall’essere “ideologicamente” vicino a noi, una delle menti più lucide ed oneste della pubblicistica borghese (detto senza alcun disprezzo per l’aggettivo) e questo volume lo conferma una volta di più. A dire il vero esso presenta anche dei limiti: più che uno studio monoliticamente delineato e lineare sembra trattarsi di tanti pezzi su temi vari raccordati assieme in maniera un po’ giornalistica, probabilmente per motivi di tempistica e poi perché... les affaires sont les affaires e non c’era molto tempo da perdere.

Ma, a parte ciò, nel libro chiaramente risalta da denuncia dell’attacco cannibalesco dell’Occidente (USA in primis e gli altri al seguito – sarebbe bene spiegar le ragioni dello scodinzolamento di questi ultimi, Germania in particolare –) e contro una Russia ben intenzionata con Putin a non farsi mettere allo spiedo (e parliamo pur sempre di rapporti tra stati capitalisti, sia ben chiaro).

Significativi in proposito i capitoli sulla crisi ucraina e sugli stati baltici. La “rivolta spontanea” di piazza Maidan viene ben descritta qui come un’operazione ben orchestrata dall’Occidente per attuare quello che non si esita a definire un colpo di stato inteso ad “impedire alla Russia di esercitare la propria influenza in un Paese che apparteneva alla sua storia politica e religiosa” ed in cui in “un sondaggio a Kiev nel 2007 risultava che l’84,5% delle persone interpellate aveva detto di non essere favorevole all’ingresso del loro Paese nell’organizzazione militare del Patto Atlantico”. Questo a risposta preventiva all’attuale bufala dell’intervento di Putin a favore dell’elezione di Trump su cui si dilettano certi nostri commentatori con la jena Botteri a farsene eco nei nostri TG.

Lo stesso dicasi sul tema degli stati baltici di cui è ben disegnato il profilo revanscista le cui radici affondano in un “glorioso” passato di affiancamento (com’è stato anche in Ucraina) con l’hitlerismo nel corso della seconda guerra mondiale (e ciò senza per nulla annullare il discorso sui crimini nazionalistici dello stalinismo nei loro confronti). Si aggiunga poi il capitolo sulla Georgia giocato dall’Occidente secondo lo stesso copione antirusso.

La conclusione, per noi vaga e insufficiente, non può essere dal punto di vista di Romano che questa: «Possiamo deplorare molti aspetti del suo (di Putin, n.) carattere e della sua politica. Ma vedo sempre meno persone in Occidente che abbiano il diritto di impartirgli lezioni di democrazia. (..) Mi chiedo: la democrazia è ancora un modello virtuoso che l’Europa delle democrazie malate e gli Stati Uniti delle sciagurate avventure mediorientali e del nuovo razzismo hanno il diritto di proporre alla Russia? Dovremmo piuttosto chiederci se all’origine dell’autoritarismo di Putin non vi sia anche la pessima immagine che le democrazie (tra virgolette, n.) stanno dando di se stesse».

Chiaro per noi che la via d’uscita non potrà mai più essere quella di un armonico, democratico, rapporto tra le nazioni, ma di un ritorno, in Russia e qui da noi, ad una prospettiva internazionalista di classe (non chiediamo a Romano di sottoscriverla). Una porta stretta, ma l’unica in grado di rispondere al pericolo di nuovi e quanto mai sanguinosi conflitti che ci stanno all’orizzonte promossi dal fascistizzante Occidente (altro che “democrazia malata”!) ed ai quali nessuna valida risposta potrebbe venire da una risposta “difensiva” di paese (capitalista) nel mirino da parte della Russia. Ma questo è un tema sul quale dovremo industriarci noi.


19 dicembre 2016