nucleo comunista internazionalista
note




PD A CONGRESSO:
LA CASA BRUCIA, I CONDOMINI LITIGANO
SULLA SCELTA DELL’AMMINISTRATORE

svolta pd

Il PD si avvia verso il congresso e la scelta di un suo (vecchio o nuovo, vecchissimo comunque) leader per le “grandi battaglie” a venire. Visto che, comunque, su questo partito si concentra il grosso della parte proletaria e “popolare” non (ancora?) passata a destra e che esso resta, piaccia o non piaccia, il punto di riferimento del fronte antiberlusconiano, sia pure “critico”, delle spompatissime “ultrasinistre”, ci è d’obbligo parlarne.

L’attuale tramestio arriva dopo la recente batosta elettorale che solo in una sfrenata fantasia autoconsolatoria Franceschini ed i suoi hanno potuto scambiare come “tenuta” ed “inizio del declino berlusconiano”sulla base della conservazione di alcune (poche e, tra esse, già in parte pericolanti) “storiche trincee”: Firenze, Bologna etc., le Stalingrado –un tempo– “rosse” ed oggi “conservate” previo ribaltamento delle loro caratteristiche di origine, più l’exploit di Bari (su cui molto ci sarà da dire). E’ vero che non tutta l’Italia è centro–destra, ed anzi, se vogliamo, siamo al pareggio; è vero che Berlusconi non sfonda come s’immaginava, e, nell’ambito della coalizione governativa, è costretto a pagare un dazio sempre più pesante alla Lega (fatto, comunque, poco consolante per chi miri ad un rovesciamento degli attuali equilibri “da sinistra”); è vero anche che nello stesso PDL aumentano elementi di frizione interna etc. etc., ma sta di fatto che questo rimescolamento delle carte si sta travasando in tutt’altro che un rilancio del PD e la costruzione di un “asse antiberlusconiano riformista” incentrato su di esso incontra, a nostro parere, molte più difficoltà di quante non trovi di fronte a sé quello di un centro–destra ridefinito, diciamo pure post–berlusconiano. Perché?

ULTIMA PAROLA “RIFORMISTA”:
IL PROLETARIATO E’ SCOMPARSO

Il PD, per la sua stessa natura costitutiva, è nato male, come frutto della convergenza tra l’eredità dismessa del vecchio PCI e quella della vecchia DC in termini di cancellazione sì delle precedenti muraglie divisorie (evidentemente assai poco sostanziali) ed adeguamento a comuni (non improvvisi, non nuovi) assi di riferimento nazional–borghesi. Ma questa convergenza ha potuto solo sino ad un certo punto unificare attorno a sé le rispettive basi sociali di riferimento. Il proletariato (termine orribile, vero?!) si è sì lasciato in parte trascinare passivamente, come conseguenza del suo progressivo svuotamento di classe, nel gioco del “rinnovamento”, ma i fattori oggettivi antagonisti che ne stanno alla base non vi hanno trovato –né lo potevano!– un’organica soluzione. I fattori classisticamente antagonisti restano tutti intatti. Si sono potuti allora esprimere all’estrema sinistra? No, per il semplice fatto che quest’ultima ha diligentemente accompagnato e sottoscritto i percorsi prima ulivisti poi PD nei suoi passaggi cruciali ed, una volta scoppiato il bubbone non esorcizzabile, del conflitto di classe si è ben guardata dal prenderne il vessillo su posizioni autenticamente antagoniste, comuniste, rivoluzionarie (ciò che non equivale a dire “facciamo la rivoluzione subito”: lo sappiamo benissimo, se ci permettete...).

Partendo dallo slittamento “moderato” del togliattismo (proletariato = classe nazionale, alleata alle classi medie per il bene della nazione, capitalista sì, ma progressiva), ed attraversando tutti i passaggi successivi, sino al berlinguerismo della “comune (!!) austerità” per un capitalismo sans phrase, ma “attento ai bisogni delle classi umili”, il PD, nella sua consistente parte ex–PCI, ex–PDS, ex...., ha fatto proprio il principio che non esistono più le antiche barriere di classe, che la dizione di proletariato è vetusta, che i lavoratori salariati rappresentano solo una parte indivisibile della “comunità nazionale” post–industriale, post–moderna, post–classista, suscettibili di un’attenzione “caritatevole” solo entro questo comune quadro corporativo. La parola proletariato? Bestemmia antimodernista! (Lo ripetono sino allo sfinimento anche i “novissimi” del Manifesto).

Con un po’ di maggior audacia “da sinistra”, il PD avrebbe potuto così rivolgersi ai proletari, comunque –e disgraziatamente– non scomparsi nel “post–moderno”:

“Voi non siete tutto, come vi danno ad intendere per lusingarvi i cattivi maestri, ma soltanto una parte delle società moderne, che sono organizzazioni enormemente complesse, appunto perché sviluppate attraverso millenni di storia. Voi rappresentate il lavoro, ma non tutto il lavoro è il vostro lavoro, è soltanto un elemento del gioco economico. Ce ne sono altri da cui non si può prescindere. Voi siete il numero, ma il numero non basta a rendervi degni di governare le nazioni del mondo”.

Compendio preciso dell’ideologia dominante corrente, e traversale, come si suol dire. Per l’informazione: il pezzullo riportato è di Benito Mussolini sul Popolo d’Italia, primo maggio 1918.

E poi si dice che il fascismo ha perso la guerra! Sì, ma ha vinto il post–guerra, ed oggi trionfa assoluto: proletariato fuori gara (democraticamente? Meglio così!)

IL CAPITALISMO ANNASPA?
TUFFIAMOCI A SOCCORRERLO!

Arrivata la crisi non c’è da stupirsi che questa “parte delle società moderne”, corporativizzata all’interno di esse, espunta dalla “sinistra” da ogni suo parametro organizzato in nome di un “partito leggero” di “cittadini” forti –si fa per dire!– solo del voto da dare come individualità pares inter pares (nell’urna decisa dai vertici sovrastanti), si sia piuttosto rivolta alla stessa destra PDL, in grado di assicurare un “governo reale” dell’esistente da cui poter pensare di ricavare qualche briciola o, in primis, nel cuore produttivo del Nord, alla Lega, “partito laburista” di lotta e di governo (moderni togliattiani!).

L’attuale crisi ha fatto da spartiacque. Da una parte una compagine governativa, con al proprio interno istanze “populiste”, in grado di fare effettivamente qualcosa “anche” per i lavoratori, dall’altra una “sinistra” che, dopo le misure pesantemente procapitaliste Visco–Bersani, non sa che farfugliare istanze “assistenziali” irrealistiche a favore dei “ceti deboli” in compresenza con concrete istanze a favore dei ceti forti. Ai tempi di Prodi c’era, si diceva, un “tesoretto” da amministrare in questo senso. Che fine ha fatto? E in tempi di crisi, quando visibilmente la macchina capitalista si è inceppata, che ci sarebbe da “ridistribuire” dei tesoretti sfumati? Occorrerà, in tutta evidenza, rilanciare l’economia vedendo di salvaguardare, nel frattempo, il salvabile per i lavoratori in termini di protezione dei posti di lavoro in pericolo, di cassa integrazione, di misure welfaristiche assistenziali etc. etc. L’attuale governo, nei limiti ad esso capitalisticamente concessi, e pur sempre entro un quadro di necessaria compressione del “valore” del lavoro salariato, non si è tirato indietro da questo obiettivo, necessario al mantenimento della “pace sociale”. Al G8 è proprio Berlusconi a lanciare l’appello: “Non lasciamo nessuno indietro”; non per “umanitarismo” (del tipo encicliche “sociali” vaticanesche da chiacchiera), ma per un preciso, ed intelligente, calcolo d’investimento.

Ovviamente hanno ragioni da vendere i compagni (con o senza virgolette) che sottolineano il peggioramento delle condizioni di vita dei lavoratori salariati, che noi per primi riconosciamo. Cessano di aver ragione quando attribuiscano ciò ad un’”anomalia” connessa ad una sorta di “cattiva volontà” del centro–destra cui si dovrebbe rispondere con programmi di “redistribuzione” (dei... disutili), di assistenza a pioggia in quanto misure perequative all’interno del sistema capitalista presente, che “un’altra politica”, sempre interna e conseguente a questo stesso sistema, sarebbe in grado di garantire. Invece di aggredire il sistema, con tutte le regole ad esso conseguenti, ci si attacca ad “etiche” del tutto incoerenti con esso. Ferrero può “spiegare” che per uscire dalla crisi presente, fermo restando il capitalismo, ma “moralmente migliorato”, si dovrebbero riempire i portafogli operai così che da questi si rilanci la spesa (e la produzione di conseguenza, e di conseguenza un “sano” profitto). Il PD, a parole, non se ne discosta di molto, ma stando assai attento alle richieste della Confindustria, della Confcommercio, della Confartigianato etc. che richiedono per sé investimenti selettivi da parte dello Stato. Bisognerebbe “investire” di più nel settore produttivo (leggi: il capitale). Investire i soldi, le risorse, di chi? Dei non capitalisti, dei “cittadini”, si presume, ovvero dei proletari chiamati a soccorrere il sistema in crisi. Però, al tempo stesso, si finge di voler dare a questi ultimi un di più “caritatevole” mentre in realtà gli si sottrae il già poco di cui essi dispongono a favore della “causa nazionale” (da cui essi, corporativamente, dipendono). Chiedete sia a Franceschini che a Bersani quale sarebbe il loro reale piano d’intervento economico sulla base della contabilità data e su quella dei “superiori obiettivi” nazional–borghesi–concorrenziali sul mercato mondiale, e dopo ne riparleremo. Idem per la CGIL, la quale critica la manovra anticrisi del Governo, ma per proporre che cosa? Il solito “coinvolgimento di tutte le forze sociali” attorno al famoso “tavolo di confronto”: siamo cioè ad una critica che è chiacchiera pura.

Il governo attuale, si dice, “non ha previsto la crisi”. L’aveva forse prevista Prodi? Sì, in parte, se si tien conto delle massicce iniezioni anzitempo (quando la crisi ancora non c’era) per un capitalismo che pur faceva utili (né Berlusconi si sarebbe diversamente comportato). Il governo attuale “non prende misure appropriate contro la crisi”; e ci si appella alle lamentele della Confindustria, di Draghi etc. Piccolo particolare trascurato: che tipo di misure invocano costoro? Berlusconi farebbe bene a dichiararsi disposto ad accontentarli. Ecco, “sinistra d’opposizione”, accogliamo il tuo invito: maggiore deregulation, compressione dei diritti operai, riforma secca del sistema previdenziale, delocalizzazioni selvagge, aumento dei tempi e dei ritmi di lavoro etc.etc. Magari come in certe socialdemocrazie che aumentano l’orario di lavoro a parità di salario o promuovono il mese di lavoro gratis per salvare l’azienda (Germania, Inghilterra...) e sempre fatto salvo il patto union sacrée tra lavoratori e capitalismo nazionale contro la concorrenza (operaia in prima fila) altrui.

Si diceva una volta: come mai come mai sempre in culo agli operai? Sempre corporativamente parlando, molti operai, stavolta, si sono parati il didietro più grazie all’iniziativa statalista (sinonimo, per qualcuno, di socialismo!) di certe forze di governo, Lega innanzitutto, che ai propri presunti tutori “postmoderni”. (Cosa, per noi, tutt’altro che degna d’applauso ed anzi schifosissima, ma a misura della superschifezza dell’opposizione). La combinazione governativa è stata (ricetta Bonanni, ad esempio): massicce iniezioni rinvigorenti al capitale, ma messa contemporaneamente in opera di un sacco di paracadute protettivi per la massa, almeno, dei lavoratori (e si confronti un po’ quest’elemento coi parametri USA dello “splendido” Obama), anche attraverso misure strutturali di condizionamento delle imprese in questo senso (provvidenze per chi reinveste e non licenzia, freno alla delocalizzazioni, un certo protezionismo bipartisan insomma). Con ciò –occorre ripeterlo– non si affievolisce, ma si rafforza il senso di marcia capitalista, lo sappiamo benissimo, ma senz’altri plausibili piani “alternativi” che non siano quelli antagonisti rivoluzionari. Non molti secoli fa il Pulcinella–Bertinotti asseriva che sulle classiche ipotesi “correttive” riformiste era calata un’irrevocabile fine. Vero, ma sembra che “proprio perciò” anche il servo di due padroni oggi si limiti a far concorrenza, e non sempre da sinistra, agli attuali gestori del capitalismo.

LA SINISTRA ATTACCA, DA DESTRA

Tutti gli altri temi dell’”agenda politica” seguono lo stesso decorso.

Primo: l’immigrazione. Si parla di “diritto all’accoglienza” e si tuona contro le leggi, certamente bieche, del centro–destra. Ma se ne parla in quanto “inefficaci” contro il pericolo, comunemente sentito (a parte certe anime belle, pronte ad aprire le proprie case ai clandestini; o no?), dell’”immigrazione irregolare”. Bersani e Franceschini: sareste sinceramente disposti, specie in questa fase di contrazione dei posti di lavoro, ad aprire indiscriminatamente le porte all’immigrazione, congruità delle misure governative anti a parte? Oppure vi stanno bene le misure “congrue”, ma non... berlusconiane, degli Obama, dei Zapatero (416.000 respingimenti nell’ultimo anno, stando alle statistiche ufficiali), dei Brown e della Merkel, per non parlare dei “colleghi” neoborghesi dell’Est “desovietizzato” che poco ci manca ricorrano alle fucilate?

(“Novità”: il centro–sinistra di Rovigo vara per primo in Italia l’aiuto agli immigrati divenuti superflui per le spese di rientro nei paesi d’origine onde evitare di mettersi in situazione irregolare: i media di sinistra salutano questa misura come un “venire incontro ai bisogni” –di chi?–, solidale, umanitaria. Questo stesso centro–sinistra stanzierebbe dei fondi per gli arrivi dei disperati a Lampedusa che “umanità” vuole non siano ricacciati indietro?)

Anche in questo caso il gioco si risolve a favore della destra: qui nessuno, a cominciare dalle Lega, è contro l’immigrazione utile (che può benissimo, a tale stregua, venir “integrata” –vedi il caso emblematico di Treviso, primo in tale classifica–), purché entro questo quadro, cui aderiscono anche i nostrani salariati una volta deprivati dei loro connotati di classe (di unità anticapitalista indigeni–immigrati: l’ultima cosa cui possa pensare il PD, ed anche le sue code “estreme”). E, soprattutto, da che parte politica si avverte una “critica” attiva contro il sistema mondiale che obbliga masse sterminate del Terzo Mondo ad abbandonare i propri paesi in cerca di una soluzione “individuale” ai propri problemi esistenziali in direzione dell’Occidente (fatto del tutto individualmente legittimo, ma succubo al sistema imperialista)? Un movimento comunista si porrebbe insieme per una lotta rivoluzionaria nei paesi dell’esodo e la stessa qui, nell’unità tra lavoratori autoctoni ed immigrati in una prospettiva internazionalista; parliamo di “ideali”, “futura umanità”, ma di questioni concrete che verranno, siatene certi!, e contro tutta questa feccia, di destra e “sinistra”).

Secondo: arrivano le misure governative “per la sicurezza” e l’unica cosa che si sa dire è che queste sono inadeguate perché ci vogliono più Stato, più polizia, più magistratura (buona questa!) badando bene ad evitare ogni attivizzazione dal basso. Non confondiamo quest’ultima con le “ronde” dei “cittadini” promosse in senso reazionario e... statalista “dal basso”. Gli è che la necessità largamente sentita nella popolazione più esposta, quella degli sfruttati, di entrare in scena in prima persona è un’esigenza che un partito comunista rivendicherebbe contro il sistema poliziesco–giudiziario arma del sistema e contro il sistema stesso nel suo complesso. Ad esempio, di fronte al caso di autentico schiavismo imperante al Sud, in particolare, nei confronti della manodopera immigrata, ovviamente “irregolare”, ci starebbero davvero male delle ronde proletarie in luogo di finte inchieste occasionali da parte del PD e del sindacato rinviate ai “tutori dello Stato”?

E andiamo avanti. Brunetta svillaneggia i lavoratori del pubblico impiego e la Gelmini quelli della scuola (con l’aggiunta di massicci sfoltimenti d’organico)? Vero, ma per carità non attacchiamoci alla difesa dell’esistente di questi due baracconi succhioni di plusvalore proletario. Salvare il lavoro salariato ed i servizi sociali è un conto; salvare le piovre burocratiche e le somaropoli è un altro. Queste sono stalle da spazzare, non avamposti “sociali” da conservare (fatto salvo –ovvio!– che i Brunetta e le Gelmini mirano a preservare nelle loro funzioni politico–sociali le prime).

Infine: la questione morale. Non scherziamo! Intere fette del paese del paese erano state o restano/vengono conquistate alla “sinistra” su basi di sistemi clientelari senza confini destra–sinistra, in particolare al Sud. Mentre al Nord si può ancora parlare di un “blocco” (sempre per noi schifosissimo) “produttivo”, che disgraziatamente affascia capitalisti–lavoratori, in molte parti del Sud siamo al “camorrismo” puro e semplice. Bari è conquistata grazie all’apporto UDC cui Vendola apre le porte, così come le apre alla tutt’altro che limpida frazione Siamo Sud della Poli Bortone, come partito “compagno di strada” . E di che si tratta? Un passo ancora e conquisteremo Palermo con... Totò Cuffaro. Altro che “veline”! (Lo stesso valga, ovviamente, per il PDL, concorrente nell’impresa comun–concorrenziale). Non a caso una supporter del PD come Miriam Mafai di Repubblica, riluttante a trangugiare questo vomito, ha recentemente dichiarato: al Sud il PD è un partito delle tessere, e di molte tessere!, assolutamente clientelare (per non dire mafioso –traduciamo noi–) e se l’esempio da seguire è quello del “bassolinismo” meglio lasciar perdere!

LA “QUESTIONE DEL NORD”
COME PARAMETRO (BORGHESE) NAZIONALE

E qui si apre un problema essenziale: quello della divaricazione tra Nord produttivo ed un Sud, frutto della costruzione “combinata e diseguale” del capitalismo italiano a partire dal Risorgimento, “fuori regola” (ovvero secondo le regole ad esso date).

Nel PD, in effetti, il problema di fondo che si presenta (e si presenta anche prepotentemente al centro–destra) è quello Nord–Sud. Ancora una volta: per noi comunisti questo problema si porrebbe nel senso dell’unità di classe contro il capitalismo “nazionale” per una lotta unitaria; ma questa è opzione di noi pochi matti. Per le forze politiche presenti sulla scena è, invece, quella del riferimento ad interessi “locali”, con intenti –da parte dei localismi “deboli”– di una conservazione capitalisticamente arretrata o –da parte dei localismi “forti”– di svincolamento da essi (non nel senso della loro “estromissione” dal sistema, ma di adeguamento dipendente da esso in seconda linea). Nel PD “del Nord” la questione sta letteralmente esplodendo. (Non solo nel PD, ma anche nel PDL, e ne riparleremo, ma qui, per intanto, ci manteniamo all’oggetto in questione) Le tematiche di un Cacciari o di un Chiamparino, o, in passato, di Illy, e via dicendo, possono benissimo essere all’immediato, sul piano delle contrapposizioni (provvisorie) politiche, contrarie a quelle della Lega (ancorata, a sua volta, ad una provvisoria alleanza con “questo” PDL), ma, di fatto, stanno sulla stessa linea d’onda prospettica. Per tutto il Nord “produttivo” Roma è ladrona ed il Sud succhione e da questa morsa esiziale bisogna staccarsi. Non si tratta, sulla carta, di “dividere il paese”, ma di (eventualmente) (ri)unificarlo attorno a parametri di efficienza capitalista “nordista”.

Le esigenze di blocco elettorale, nominalmente unitario, attorno al PD non potrebbero in alcun modo sopportare poi l’alleanza stabile, al di là di particolari contingenze momentanee e locali (per le quali ci si può alleare col diavolo e sua madre), con formazioni tipo l’UDC, basato su un vecchio cliché clientelare e, diciamo pure, mafioso (senza bisogno di tirare in ballo dei capibastone: andiamo alla sostanza). La vittoria a Bari? Vada pure, vista la stoccata all’avversario Berlusconi, ma il modello su cui essa si è costruita non ci riguarda; diciamo pure che ci fa un po’ schifo. La questione di fondo è quella del blocco sociale cui mira un certo PD del Nord, quello dei “produttori” (mussolinianamente intesi: padroni dinamici ed operai uniti; ognuno al suo posto, ovviamente: fascismo o democrazia le cose non cambiano). Questo l’asse trainante, che non è detto non possa trovare echi in settori “dinamici” del Sud. La Lega è partita all’attacco con la rivendicazione delle “gabbie salariali” a tutela del Nord produttivo (padroni ed operai insieme). Mai più, dicono nominalmente PD e CGIL del Nord, obbiettivamente pressati “dal basso” del Nord in questo senso, ma poi tirano fuori dal cappello i “contratti regionali”, con semplice cambio di espressione.

Opzione aperta, e qui citiamo Polito, del Riformista, “terrone” anagraficamente, ma di buon animo “polentone”. In una recente performance televisiva, costui così ha disegnato il quadro di coloro che tuttora votano ed aderiscono al PD dal punto di vista della collocazione sociale (testuale, vi preghiamo di crederci, o altrimenti andate all’archivio della 7): a) “quelli che ancora non lavorano” (i giovani in cerca di occupazione, purché “passabile”), b) “quelli che non lavorano più” (i pensionati): c) “quelli che lavorano poco e male” (la marea del pubblico impiego). Chiaro che il sciùr Polito miri a qualcos’altro: quelli che lavorano sul serio (padroni e operai, su un piede di... equità), e, geograficamente, diciamolo pure, sopra la Linea Gotica (sotto la quale, come diceva la Mafai, c’è solo melma da ripulire, e lo facesse una buona volta un “moderno partito riformista”!)

CONTESE TRA “LEADER” DA OPERETTA

Il duello in programma è quello tra Franceschini e Bersani, ma questa è appena appena una facciata dei problemi reali che agitano il PD e, ripetiamolo, anche il PDL, egualmente scosso tra spinte nordiste –penetrate sin nell’intimo di certa ex–AN “territorializzata”– e vecchi richiami “italianisti” dietro cui si mascherano vecchie sporche clientele fuori tempo massimo rispetto alle esigenze “razionalizzatici” del capitale, incompatibile col vecchio sistema delle elargizioni clientelari alle “aree depresse”. Di tutto questo, naturalmente, non si parla a viso aperto, ed entrambi i contendenti non sanno tuttora che pesci prendere, ma questo è, e lo vedremo di qui a non molto, con interessanti novità sul piano degli “organigrammi”.

“Blocco progressista”, si dice. Contenuto? Quello che qualche serio analista ha stabilito per la politica USA o GB (ed oltre): ci siano in campo due frazioni concorrenti dello stesso partito, il partito unico del capitale. (Ci piacerebbe vedere, in proposito, le misure concrete di un PD al governo “conscio della crisi” e intenzionato a “reagire ad essa”!) Su questo punto le vie possono essere tatticamente diverse: fare da soli o costruire un blocco di alleanze antiberlusconiane ad hoc. Veltroni non era stato del tutto fesso nel disegnare la prima ipotesi, che non significava “restare da soli”, ma fungere da collante non condizionato da veti di soggetti diversi, “ultrasinistra” compresa, purché normalizzata al proprio interno. L’idea di rilanciare un blocco di alleanze multicolori non ci sembra destinata ad esiti, anche solo elettoral–governativi, migliori. Una metà dell’ex–“ultrasinistra” si sta già acconciando a farsi parte costituente (sia pur “critica”: la critica senza nerbo è concessa a qualsiasi imbecille purché “nel rispetto delle regole”). Vendola e Bertinotti si sono già mossi in questo senso. Quanto all’altra metà di vetusti falcemartellisti quotidianamente sputazzati dal Manifesto, la porta è egualmente aperta: Ferrero non fa altro che invocare, appellandosi ad una presunta “sinistra” del PD, la (ri)costituzione di un blocco antiberlusconiano, probabilmente battendosi il petto per averne già fatto saltare uno a salvezza della propria anima, di nuovo offerta in affitto. Ma come metterla con l’IDV che al PD contrappone di continuo una campagna “giustizialista” senza capo né coda, se non quella di una sorta di populismo da Uomo Qualunque? E l’UDC? Buoni i suoi voti a supporto del “blocco”, ma poi? Come gestirli a vittorie conseguite sul piano elettorale? Ciò significherebbe semplicemente impantanarsi in programmi in controtendenza con le necessità del capitalismo attuale, e i primi a staccarsene sarebbero proprio i “nordisti” conseguenti del PD. Lo stesso PDL (necessità fa virtù) si è liberato dalla logica UDC del “voto di scambio”. Figuriamoci se Milano, Torino, Verona, Venezia etc. potrebbero ritrovarselo in casa PD! (Questa schifezza di partito escort, pronto a prostituirsi sia a destra che a sinistra, a seconda delle convenienze, ha comunque mostrato, nelle recenti elezioni, una sua tendenza a scomporsi a seconda di interessi legati al “locale”, dividendosi esso stesso tra pulsione “nordista” e clientelarismo sudista vecchio stile. Tutto, dunque, fuorché una forza autonoma di un non meglio definito “centro” aggregatore. L’UDC non è un calamita, ma è calamitabile. Ne tenga conto chi vuol “trattare” con esso)

PD E POLITICA ESTERA:
UNA VOCAZIONE GREGARIA

Ultima nel nostro elenco, ma primissima per importanza: la questione della politica estera. Qui davvero, se ci sentissimo “sinceri patrioti italiani” disposti ad intonare commossi l’orribile Inno di Mameli, ci toccherebbe stare –su questo versante– più con Berlusconi che coi suoi oppositori. Il “progressismo” demente e venduto della “sinistra” non trova qui di meglio che rimproverare a Berlusconi. A) (aspetto folklorico) la “politica del cucù”, cioè le messinscene autocentrate del “personaggio” in vena di (reali) manie napoleoniche, ma: B) (aspetto sostanziale) la sua “sfacciata” frequentazione dello zar Putin, del “dittatore beduino” (Libero sottoscrive), del “sanguinario Jiu Jntao irrispettoso del Nobel Dalai Lama. Una sorta di “asse del male”.

I pidini, in buona compagnia con ex fan di “estrema sinistra” delle “patrie del socialismo” URSS–Cina e fieramente terzomondisti, hanno da rimproverare a Berlusconi proprio l’avvio di una politica nazionalborghese svincolata dall’abbraccio mortale col padrone USA e le sue appendici europee nonché da una cooperazione in sottordine con la concorrenza europea interna. Certo, questo avvio avviene per vie tortuose, contraddittorie, sempre nello stile italiota del piede in due staffe, e senza una reale coesione all’interno del blocco governativo, ma nondimeno disegna un obiettivo capitalisticamente urgente. Alternativa “sinistra”? L’eterno stare alla catena delle maggiori potenze imperialistiche (USA in primis, specie ora che c’è il “nostro” Obama!). Solita tendenza alla svendita al bandito più forte –e altro che zar moscoviti!–, come fu già ai tempi della Resistenza (irresistente all’invasione USA). A tal fine non si ha vergogna di usare contro la Libia, ad esempio, espressioni di inequivocabile sapore colonialrazzista. PD, Libero, Manifesto... tutti “resistenzialmente” uniti!

Per chi, da borghese, serio e non prevenduto però al “miglior committente” superiore della banda, voglia capirci qualcosa rimandiamo all’articolo –come sempre– esemplare, da questo punto di vista, di Sergio Romano sul Corriere dell’8 luglio: con tutti i suoi limiti (vedi sopra) la politica estera italiana promossa da Berlusconi è a nostro profitto e va sostenuta. E chi si commuove per le feroci critiche al (purtroppo!) nostro premier da parte di certa stampa estera senza accorgersi, o non voler accorgersi, che queste muovono non da esigenze di critica alle sceneggiate di Berlusconi, ma da esigenze di concorrenza spietata per metterci come paese nella condizione di dipendente di serie B, dimostra o di non aver capito nulla o di essere a priori un venduto. Se il Guardian si interessasse amorevolmente dei casi nazionali nostri si preoccuperebbe di darci una mano a liberarci da Berlusconi per rafforzarci come paese, non per declassificarci come tale. Cave canem. L’intervento borghesemente inceppabile di Romano si è già meritato i rimbrotti del Manifesto, allineato alla campagna della banda affaristica Repubblica–Espresso pur di togliersi di mezzo il... Duce ed Agnoletto alla TV inneggia a Di Pietro intento a gettar merda sul paese (sempre a nobili fini antiberlusconiani) per offrirlo, “ripulito”, al miglior offrente “democratico” sul mercato estero.

PARTITO “RIFORMISTA” LEGGERO
O PARTITO COMUNISTA PESANTE?

L’attuale PD è un “partito leggero” perché non ha nulla di pesante cui riferirsi secondo un programma organico. L’ipertorfia burocratica di cui esso soffre non è che la necessaria traduzione di questa mancanza di orizzonti cui si vorrebbe sopperire secondo i vecchi, e non più proponibili, metodi del consociativismo PCI–DC a base di reciproci scambi “salvatutto”. Solo che in tempi di boom ciò era ancora plausibile; non lo è più di fronte ad una crisi destinata a ridisegnare l’intero scenario capitalista (e, ne verrà il momento, anticapitalista). A questa stregua l’unità fittizia tra burocrazie di partito particolari ed in perenne rotta di collisione tra esse è destinata a saltare. “Ci” salveranno le “nuove leve”, una frotta di giovincelle Serracchiani? In realtà la questione non è quella di un “ricambio generazionale”, di modi nuovi di far politica, ma di contenuti. E su questi i giovani all’anagrafe non sono meno afasici ed impotenti dei vecchi.

Siamo a questo punto: il PD capitalizza ancora un residuo di adesioni, sempre più passivizzate e stanche, nel mondo del lavoro; una parte consistente di esso è passata all’altra parte e al Nord che conta dal punto di vista economico strutturale soprattutto alla Lega, e qui in maniera attiva. Un errore ottico da parte degli “ignoranti” (come ha lasciato intendere Liberazione, che vi contrappone la “coscienza antiberlusconiana” dei soggetti di cui Polito)? L’importante è capire che, se errore ottico c’è (e c’è, come c’è stato in mille occasioni, anche tragiche, in passato), ciò avviene in presenza di una risposta purchessia da parte della destra a domande vere, dietro cui restano intatte tutte le ragioni dell’antagonismo tra le classi. C’è un problema di riorientamento della nostra classe che non può prescindere da ciò e men che mai risolversi in controprogetti corporativi “da sinistra”. E’ ora che i comunisti autentici ne traggano tutti i motivi atti a rilanciare il proprio programma rivoluzionario sulle proprie basi, a tutti i livelli (teorico, programmatico, organizzativo) dismettendo un volta per tutte qualsiasi tentazione di aggregazione “tattica” al carro di ogni e qualsiasi “sinistra” istituzionale in campo. Il tentativo di resuscitare (rifondare...) mosche cocchiere “critiche” del sistema attuale può solo portare al disastro. In questa insidiosa pania sono sin qui rimasti intrappolati fior di “compagni” (indubbiamente sinceri e di buona volontà). E’ ora di smetterla finalmente! La linea Bertinotti–Vendola di immissione nel PD, o in un sua fetta “depurata” (“compagni di strada” tipo UDC a parte...) ha un senso, sull’esempio delle varie “frazioni”, persino “trotzkiste”, conviventi nel Labour Party abilitate ad alzare il ditino critico restando nei ranghi (e ranghi sempre più ferocemente borghesi!): le forze politiche interne al sistema debbono centralizzarsi, così come quelle economiche che ne dettano le leggi. Nessun senso ha, invece, quello dei vari Ferrero e Diliberto che giocano a far la parte dei separati in casa epperò estremamente diligenti nel prestar servizio alla casa stessa. Nessun senso. Precisiamo meglio: salvo quello di gettare ulteriore smarrimento demagogico nella classe, sia nella parte “amministrata in proprio” che in quella già altrove trasmigrata provvisoriamente. Né chiederemmo a costoro di “cambiar rotta”, perché essa è stata definitivamente tracciata da conseguenti percorsi controrivoluzionari intrapresi da lunghissima data ed oggi destinati a venire al dunque.

I “soggetti comunisti” ne prendano buona nota (e non si sognino Baffoni che avrebbero d’arrivenì; d’arrivenì è il marxismo calpestato dai vari Baffoni Palmiri ed Enrichetti da evacuare dal proprio intestino assieme alle ultime caccole “estreme” da costoro derivate).
13 luglio 2009