nucleo comunista internazionalista
note



L’ECO “SINISTRA”
DEI FATTI DI PARIGI

L’effetto più micidiale dei fatti di Parigi è stato, ben al di là del tragico fatto di sangue, la ricaduta reazionaria che essi hanno registrato e raccolto (sarebbe inesatto dire causato) “a sinistra” ed anche alla cosiddetta sua “estrema” ed usiamo questi termini proprio in quanto ogni campo dà il frutto di quel che vi si è seminato e, nel nostro caso, di semente marxista mai c’è stata l’ombra.

Il primo a presentarsi sull’attenti all’ufficio militare di reclutamento è stato il PCF che ci propina da subito quanto segue: “Allorché lo Stato d’urgenza viene decretato dal governo il rafforzamento dei mezzi di polizia e di giustizia è un imperativo. Lo Stato deve trovare durevolmente i mezzi adatti per garantire la sicurezza di tutte e di tutti” (noi francesi, ovviamente, con tanto di grandeur di riferimento). E: “La Francia è toccata dalla guerra e dalla destabilizzazione che minano il Medio Oriente: la lotta contro il terrorismo chiama ad una mobilitazione raddoppiata ed a soluzioni internazionali”. Il male viene da là e da qui nessuno ci ha messo notoriamente mai mani. Chi ha mai visto attivarsi in precedenza gli arsenali militari francesi e le relative intelligences? Di conseguenza nessuno poteva qui mobilitarsi contro azioni di guerra inesistenti da parte del “nostro paese”, mentre deve ipermobilitarsi ora sotto l’egida internazionale dei bravi popoli occidentali minacciati dal terrorismo.

E va beh!, ma si tratta “solo” del PCF! Sentiamo allora l’intemerata Lutte Ouvrière. Anche qui si comincia con le calde lacrime spese per le “vittime innocenti” (e noi ci siamo già espressi sulla relatività del termine) senza alcun accenno alla molla che dall’Occidente ha fatto scattare il “terrorismo” in quanto atto di risposta logica e dovuta, per quanto di stampo diverso ed opposto a quella della nostra prospettiva e milizia comuniste. Quindi: costoro “sono i nemici di tutti i lavoratori” e “l’orrore degli attentati perpetrati a Parigi rafforza quelli che i loro autori pretendono di combattere”, ossia lo stato poliziesco e l’estrema destra. Ma davvero sono questi attentati a rafforzare la reazione Stato-estrema destra in quanto fenomeno esterno nato non si sa dove né come né perché, oppure ciò si deve al mancato attacco conseguente, su tutta la linea internazionale, da parte nostra (della nostra classe) agli ingranaggi imperialisti di casa e relative propaggini politiche, che hanno covato e importano qui la “serpe terroristica”? Dov’eravamo, dove siamo noi “vittime innocenti” del terrorismo allorché “il nostro Stato” ha perpetrato e continua a perpetrare moltiplicati tutti i suoi crimini “fuori casa”? Bene che Lutte Ouvrière non acceda espressamente al “concerto dell’unità nazionale” (e si poteva anche dire union sacrée con tanto di aggettivo “imperialista”!); passi “tutta la nostra solidarietà alle vittime” che abbracciamo di cuore nella stessa misura con cui alle vittime di altre lande, specie se toccate dall’imperialismo francese, abbiamo distrattamente voltato le spalle, e continuiamo a farlo; ma dov’è, in questo comunicato ufficiale, una sola parola sull’impegno internazionalista, rivoluzionario, contro il nemico principale che – lo disse Liebknecht una volta per tutte – sta in casa nostra e con uno sforzo di collegamento con i nostri fratelli di classe del Medio Oriente (cui ci sembrerebbe davvero troppo poco raccomandare calma e distacco dall’insidia terroristica per evitare di farci del male)?

Qualche tono più acceso troviamo nel comunicato del Nouveau Parti Anticapitaliste (eclettico assemblaggio di disparati spezzoni “antisistema”), diffuso e fatto proprio in Italia da Sinistra Anticapitalista. Perlomeno qui si identificano correttamente negli interessi imperialisti francesi e loro portaborse politici alla Hollande “i principali responsabili di questa esplosione di violenza barbara” ed altrettanto correttamente si conclude che “per mettere fine al terrorismo bisogna mettere fine alle guerre imperialiste” saccheggiatrici ed “imporre il ritiro delle truppe francesi da tutti i paesi in cui sono presenti”. Il discorso è corretto; peccato sia molto ristretto a casa propria e manchi di ogni prospezione, anche solo da “appello ideale”, se vogliamo, alle sponde “estere”. Dopo di che, però, c’è assolutamente da inorridire, a sentire le ragioni dell’anti-interventismo del NPA: “Si tratta di bombardamenti (quelli propiziati da Hollande, n.n.) presentati come contro lo stato islamico, i terroristi jahadisti, ma nei fatti, ancor più dopo i bombardamenti russi (!!), proteggono il regime del principale responsabile del martirio del popolo siriano, il dittatore Assad”. In poche parole: Hollande, a fianco dell’immancabile “zar” russo, contro la fantomatica “primavera siriana” che l’Occidente non ha voluto aiutare (l’ha solo fomentata, addestrata e finanziata prima che passasse di mano all’ISIS...). Questo squallido passaggio ci riporta alquanto indietro nel tempo, allorché “rivoluzionari” di questa risma, dinanzi ai primi assaggi bombaroli USA sull’Iraq, sostenevano che si trattava di un... appoggio protettivo a Saddam Hussein, “principale responsabile del martirio del popolo iracheno”. Con un attrezzaggio del genere non si andrà molto lontano nella lotta dichiarata ai poteri borghesi di casa propria!

In Italia la musica è pressappoco la stessa. Qualche barlume di posizioni effettivamente anti-imperialiste, anti – chauvin ed internazionaliste si avverte solo in alcune prese di posizione (anche se troppo spesso principiste in astratto) o nei residui sparuti gruppi di “sinistra comunista italiana” e certe punte trotzkiste od anche, tocca dirlo, di mini-organizzazioni di matrice mao-stalinista, fatti salvi tutti i confini che ce ne dividono per l’essenziale. E salutiamo intanto i primi tentativi concreti di ripartire con un reale movimento “no war” (meglio “no capitalism” a segnalare la radice prima dei rami) come quello registratosi a Napoli e di cui abbiamo già dato ampia e partecipata notizia. Segnali ancora flebili, ma a maggior ragione da megafonare con forza.

A parte questo nella “sinistra estrema” ufficiale siamo davvero agli ultimi rantoli e c’è solo da prenotare i meritati servizi funebri. Per esemplificare il quadro ci riferiamo al povero Paolo Ferrero (della cui onestà morale individuale non dubitiamo assolutamente, nella stessa misura in cui non dubitiamo della sua fessaggine riformistoide in politica). Anche il nostro non accenna ad alcuna fonte occidentale del boomerang “terrorista” che ci sta arrivando, ma fa di quest’ultimo un semplice accidente dovuto ad un’autoctona propensione alla “barbarie nazista” di cui noi qui, al solito, saremmo le innocenti vittime. L’ISIS “uccide e distrugge per separare e seminare odio” laddove noi uniamo e seminiamo amore. E se proprio occorre trovare in casa nostra dei legami perversi col terrorismo “falso-islamico” ecco la scoperta: “i fascioleghisti di casa nostra vogliono la guerra di civiltà come i nazisti dell’Isis” e la loro propaganda “favorisce l’Isis”. “Noi no”, si precisa subito: noi “operiamo affinché l’umanità possa vivere in pace in una libera e democratica convivenza” tra “diversi” – uguali. Noi chi e come? Noi Occidente pronto anche ad imbracciare le armi. Con una sola raccomandazione di fondo: “Il nazismo dell’Isis si può sconfiggere (da parte delle ben individuate coalizioni che già vediamo, n.n.) solo se la lotta armata contro di esso è basata su un progetto politico molto chiaro fondato sulla giustizia, sulla libertà e la fratellanza”, che sono “le conquiste fondamentali dell’umanità”. Siamo alla riedizione della “guerra democratica” della seconda guerra mondiale con i nuovi partigiani nemici dei Führer dell’Isis e dell’omologo suo nuovo Duce Salvini a servizio della coalizione dei buoni (imperialisti sì, ma...inclusivi). Il tutto condito dall’appoggio incondizionato al “popolo” curdo chiamato a fare la sua e la nostra parte nella guerra all’Isis per poter essere infine riconosciuto dalla “comunità internazionale”. Semplicemente vomitevole.

Non occorre essere degli autorevoli marxisti per far strame di simile robaccia e rimettere le cose al loro posto. Basti dare una scorsa all’intervista rilasciata da Massimo Fini ad Andrea Leoni, di cui in appendice riportiamo alcuni passaggi essenziali, in particolare quello sul messaggio sociale rivolto dai “terroristi” ai loro confratelli di fede religiosa (lo schermo ideologico) e di sofferenza materiale. Si può e si deve, ovviamente, prendere tutte le necessarie distanze da ciò che sta dietro a simili appelli, ma chi, di tutti i signorini tuttofrancesi a pretese addirittura rivoluzionarie di cui abbiamo parlato sopra ha anche solo accennato a lanciare un proprio appello alternativo in termini di classe e nella prospettiva del socialismo? E ci meraviglieremmo se un diseredato pronto alla lotta si facesse incantare dalle sirene dell’Isis che chiamano al riscatto piuttosto che dalle cornacchiate di chi, qui, parla di inclusione, giustizia e pace mentre il sistema esclude, schiavizza e bombarda i... “nazisti” islamici, con vittime civili a valanga (in guerra e in “pace”)?

C’è chi, di fronte ai fatti di Parigi, sa seguire un’altra strada. Si tratta, ahinoi! (e lo diciamo pesando gli spazi che non sappiamo occupare noi e lasciamo ad altri), dei cattolici. In questo caso ci troviamo a qualche miglio oltre lutteouvrieristi e rifondaiolzombies. State pur certi: non abbiamo nessuna intenzione di arruolarci nella Chiesa Cattolica e neppure (alla moda del Manifesto) di tentar di arruolare questa stessa Chiesa a noi. Le ricette evangeliche di illuminazione e redenzione delle anime giovano precisamente a nulla di fronte al mostro capitalista, per sua natura senz’anima e persino molto... anonimo. Ma la condanna del realcapitalismo da parte dei cattolici è assolutamente netta ed esemplare: il “terrorismo islamico” altro non è che il frutto avvelenato della guerra infinita imperialista contro ex-colonizzati da re-ipercolonizzare manovrando in contemporanea mezzi militari e “pacifici” mezzi di finanza e corrispettiva politica. Noi qui di seguito riportiamo due articoli della stampa cattolica sul tema, il primo da Famiglia Cristiana del 22 novembre, l’altro da La vita cattolica del 19 s.m. Facendo i debiti raffronti con gli esempi “da sinistra” sopra esaminati troviamo semplicemente stupendo l’avvio del primo articolo. Nessun pianto d’obbligo sulle “nostre vittime”, ma subito la verità sulle scaturigini reali del terrorismo che ci arriva addosso come risposta al mittente, “a costo di sembrare crudeli in questo momento di dolore”. Del secondo segnaliamo in particolare il “recupero” (al condizionale, certo) dei “regimi dittatoriali” direttamente rovesciati nel sangue dai nostri ipercriminali regimi “democratici”, e la bella sfottuta alla grancassa Liberté Egalité Fraternité: “Ebbene, è ora che l’Occidente faccia di questi criteri i lumi ispiratori anche della sua politica estera”. Noi diremmo: che i Lumi della rivoluzione borghese (veramente tali a suo tempo ed oggi pura Tenebra) e la politica interna ed estera dell’Occidente vengano sepolte dalla rivoluzione socialista. Tanto non possiamo chiedere alla Chiesa Cattolica che, anche con tutti i suoi Franceschi, resta dall’altra parte della nostra barricata, ma ben lo possiamo chiedere a tanti ottimi giovani cattolici ai quali mostrare sul campo il divario tra la netta ed inequivoca condanna ecclesiale dei frutti avvelenati del capitalismo e la strada per spazzarli via in uno col sistema da cui necessariamente derivano. Che la millenaria ed universalistica istituzione chiesastica alzi così nettamente la sua voce contro gli orrori dell’attuale sistema politico-economico-sociale (e vedasi anche la recente, notevole, enciclica Laudato sì, su cui contiamo di ritornare) resta comunque il segno, al di là dell’impotenza della soluzione evangelica, del precipitare catastrofico della “normalità” del dominio capitalistico e da qui si riparte. Vale a dire: dal punto da cui molte “sinistre” e sinistrissime per bene si apprestano a ripercorrere il cammino inverso.

10 dicembre 2015




Massimo Fini: “A Parigi hanno dimostrato di poter colpire ovunque. Contro questo terrorismo siamo completamente indifesi”

Intervista rilasciata ad Andrea Leoni – 15 novembre 2015


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Le prime indagini hanno già accertato che uno degli attentatori è un francese di 20 anni. Alla luce di questo fatto come giudica una delle prime misure prese dal Governo francese, ovvero la chiusura delle frontiere?

“La chiusura delle frontiere è inutile. Da informazioni che girano pare anche che uno degli attentatori sia un bianco. Staremo a vedere. Ma di certo sarà interessante capire se gli attentatori erano arabi di seconda o terza generazione che vivevano in Francia, oppure addirittura se fra loro c’erano francesi convertiti. Se così fosse si aprirebbe uno scenario ancora più importante e spaventoso. Quel che è certo, ed è il punto centrale della questione, è che l’Occidente è debole perché non abbiamo più valori, mentre quelli dell’Isis ne hanno di fortissimi, pur sbagliati che siano. Detto in altro modo: non è che uno può vivere avendo come unico scopo il passaggio dall’Opel alla BMW. E in Occidente per molti è solo questa la prospettiva di vita. Ecco perché l’Isis è così forte rispetto a noi”.


A questo proposito nel video di rivendicazione c’è un passaggio estremamente interessante. I guerriglieri si rivolgono direttamente ai diseredati: “Smettetela di farvi umiliare, di chiedere la carità, di mendicare un assegno di disoccupazione: unitevi a noi e combattete”, dicono in sostanza i protagonisti del video. E’ un messaggio con una fortissima componente sociale e che, di conseguenza, sottintende una ribellione alle ingiustizie. E’ quasi un proclama rivoluzionario. Come se non fosse più soltanto una guerra religiosa ma anche di giustizia sociale.

“Sono d’accordo. Ed è un messaggio che può far presa su molti. Penso ai migranti per fame dei Paesi del centro Africa dove c’è la miseria che abbiamo portato noi. Ma penso anche alle società occidentali, soprattutto quelle dei Paesi più ricchi, dove ci sono delle sperequazioni impressionanti fra chi ha tutto e chi non ha niente. Io già all’inizio del fenomeno Isis avevo scritto che non si trattava soltanto di una guerra di religione e questo messaggio di rivendicazione non fa che confermarlo. Un altro elemento importante, ad esempio, riguarda la ridefinizione dei territori di Iraq e Siria che, non dimentichiamolo, sono stati definiti dagli inglesi negli anni ’30. Ci sono dunque più elementi in gioco. E uno di questi è senz’altro anche una rivolta dei poveri e degli sfruttati contro i ricchi e gli sfruttatori”.


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  VOGLIAMO DAVVERO FERMARE IL CALIFFATO?

Dell’Isis, dei suoi metodi e dei suoi complici sappiamo tutto. Fermarlo è possibile, però bisogna volerlo. Mentre in Occidente...

di Fulvio Scaglione


A costo di sembrare crudeli in questo momento di dolore per la Francia e l’Europa intera, dobbiamo ammettere che i bombardamenti su Raqqa, la “capitale” dell’Isis in Siria, decisi dal presidente Hollande dopo la strage di Parigi, sono il segno non della nostra potenza ma della nostra impotenza. Quella che ci ha finora impedito di sviluppare un’azione collettiva e coordinata contro il califfato, fino a permettergli di espandersi e infine sviluppare l’ondata terroristica che ha colpito Tunisia, Egitto, Libano, Russia (l’aereo abbattuto nel Sinai) e infine la Francia.

Bombe di propaganda, quelle di Hollande, più simili a quelle sganciate da Sarkozy sulla Libia nel 2011 (con gli effetti che tutti oggi scontiamo) e a quelle di Bush sull’Iraq nel 2003 (ormai riconosciute anche negli Usa come un cumulo di menzogne e inefficienze che servì da innesco a molti degli attuali orrori del Medio Oriente) che a quelle che servirebbero per estirpare la minaccia jihadista.

Eppure dell’Isis e delle sue efferatezze sappiamo tutto da anni, non c’è nulla da scoprire. È un movimento terroristico che ha sfruttato le repressioni del dittatore siriano Bashar al Assad per presentarsi sulla scena: armato, finanziato e organizzato dalle monarchie del Golfo (prima fra tutte l’Arabia Saudita) con la compiacenza degli Stati Uniti e la colpevole indifferenza dell’Europa. Dov’erano, per esempio, i caccia francesi un anno fa, quando a morire erano i siriani e gli iracheni?

Quando l’Isis si è allargato troppo, i suoi mallevadori l’hanno richiamato all’ordine e hanno organizzato la coalizione americo-saudita che, con i bombardamenti, gli ha messo dei paletti: non più in là di tanto in Iraq, mano libera in Siria per far cadere Assad. Il tutto mentre da ogni parte, in Medio Oriente, si levava la richiesta di combatterlo seriamente, di eliminarlo, anche mandando truppe sul terreno. Innumerevoli in questo senso gli appelli dei vescovi e dei patriarchi cristiani, ormai a confronto con la possibile estinzione delle loro comunità.

Abbiamo fatto qualcosa di tutto questo? No. La Nato, ovvero l’alleanza militare che rappresenta l’Occidente, così sollecita in altre zone, si è mossa? Sì, ma al contrario: ha assistito senza fiatare alle complicità con l’Isis della Turchia di Erdogan (Paese Nato), ma si è indignata quando la Russia è intervenuta a bombardare i ribelli islamisti di Al Nusra e delle altre formazioni.

Nel frattempo l’Isis ha esportato il suo terrore. Finché ha abbattuto turisti russi (224 morti, molti più di quelli di Parigi) o sterminato gente in un mercato di Beirut, a noi, che ora parliamo di attacco contro l’umanità, è importato poco. Abbiamo fatto qualcosa? No, abbiamo continuato a fare affari con i Paesi indiziati di complicità. Abbiamo provato a tagliare qualche canale tra 1’Isis e i suoi padrini del Golfo? No. Abbiamo provato a svuotare il Medio Oriente di un po’ di armi? No, l’abbiamo riempito, con l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti ai primi posti nell’importazione di armi, vendute (a loro e ad altri) dai cinque Paesi che siedono nel Consiglio di Sicurezza (sicurezza?) Onu: Usa, Francia, Gran Bretagna, Cina e Russia.

Se vogliamo eliminare l’Isis, sappiamo benissimo dove e come agire. Facciamoci piuttosto la domanda: vogliamo davvero eliminare l’Isis?

(Famiglia Cristiana N°47 del 22 novembre 2015)






I CONTI TRUCCATI DEI GUERRAFONDAI

di Roberto Pensa


Il «terrorismo è e sarà sempre una manifestazione di disumana ferocia, che, proprio perché tale, non potrà mai risolvere i conflitti tra esseri umani». Ma «la sopraffazione, la violenza armata, la guerra sono scelte che seminano e generano solo odio e morte. Soltanto la ragione e l’amore sono mezzi validi per superare e risolvere le contese tra le persone e i popoli». Non sono parole dette oggi, dopo la terribile ondata di attentati che ha investito il centro di Parigi nella notte di venerdì 13 novembre. 129 le vittime, provenienti da ben 14 Paesi del globo, tra le quali la veneziana 29enne Valeria Solesin.vita cattolica

La citazione con cui abbiamo aperto questo editoriale fu pronunciata da Giovanni Paolo II ad un anno esatto dall’attentato delle Torri Gemelle a New York. Tremila furono le vittime allora. E tutto iniziò lì. Sì anche la follia omicida di oggi, anche l’assalto ai bistrot affollati del venerdì sera, allo stadio dove si gioca Francia-Germania e alla sala concerti del Bataclan dove si passa una piacevole serata ascoltando musica rock. Per reagire a quella ferita profondissima, gli Stati Uniti diedero il via alla dottrina della guerra preventiva. Attaccare gli «Stati canaglia» prima che i terroristi attacchino noi. Affidarci alle bombe intelligenti e ai droni che avrebbero sanato chirurgicamente le parti malate dell’umanità. Quella di Papa Wojtyla sembrava la voce di chi grida nel deserto; l’Afghanistan era quasi conquistato, la politica di Bush sembrava trionfante. Eppure l’11 settembre 2002, Giovanni Paolo II lanciò un grande appello che guardava lontano, fino ai giorni nostri.

Auspicò «uno sforzo concorde e risoluto per avviare nuove iniziative politiche ed economiche capaci di risolvere le scandalose situazioni di ingiustizia e di oppressione, che continuano ad affliggere tanti membri della famiglia umana, creando condizioni favorevoli all’esplosione incontrollabile del desiderio di vendetta». Il Papa polacco si schierò per «una cultura globale della solidarietà, che ridia ai giovani la speranza nel futuro». «Quando i diritti fondamentali sono violati – precisò – è facile cadere preda delle tentazioni dell’odio e della violenza», mentre «solo dalla verità e dalla giustizia possono scaturire la libertà e la pace. Su questi valori è possibile costruire una vita degna dell’uomo. Fuori di essi c’è solamente rovina e distruzione».

Il Tribunale della storia ha dato ragione a Papa Wojtyla e ha bocciato la dottrina di Bush. A iniziare dall’Afghanistan, dove i talebani non solo non sono stati sconfitti, ma oggi controllano la maggioranza del Paese. Per poi continuare con l’Iraq, il vero capolavoro di idiozia della politica occidentale. Rovesciato il laicista Saddam Hussein, lontano dalle lusinghe del fondamentalismo islamico, hanno consegnato il Paese alla smania di rivincita degli Sciiti prima oppressi contro i sunniti del Nord. Amnesty International ha documentato la ferocia delle milizie sciite che, con l’impunità garantita loro dal governo e dagli Stati Uniti, hanno praticamente spinto le popolazioni del Nord ad allearsi con l’Isis. Poi c’è la Libia, un Paese dittatoriale certo, ma stabile, distrutto e smembrato da una scellerata azione militare francese e lasciato alla mercé di bande paramilitari e signori della guerra, tra i quali anche quelli dell’Isis. L’ultimo «capolavoro» è la Siria, dove si è alimentata con il commercio delle armi una guerra civile che ora è senza sbocco.

E adesso? Sedicenti esperti, politici, militari dicono che l’unica risposta al Califfato dell’Isis è la guerra. L’uomo non impara mai dai suoi errori.

Proviamo invece a dare credito alle parole di Giovanni Paolo II e oggi a quelle di Papa Francesco. Non ci sarà pace finché non sarà chiaro quale assetto le potenze mondiali vogliono dare al martoriato Medio Oriente. E non basta: tale assetto dovrà essere ispirato al criterio della giustizia tra i popoli, al rispetto delle minoranze etniche e religiose. Molti oggi si stracciano le vesti dicendo che a Parigi sono stati calpestati dall’Isis i principi di «Liberté, egalité, fraternité». Ebbene, è ora che l’Occidente faccia di questi criteri i lumi isipiratori anche della sua politica estera, rinunciando a mettere un popolo contro l’altro per perseguire le sue strategie. Oggi occorre che l’Occidente persegua un equilibrio di giustizia tra Sunniti e Sciiti, tra musulmani e altre religioni (ebrei, cristiani, yazidi...); che garantisca i diritti calpestati del popolo Curdo. Lawrence d’Arabia durante la prima guerra mondiale promise loro uno Stato in cambio del loro impegno per la caduta dell’Impero Ottomano, ma poi le potenze vincitrici tradirono questo impegno. Oggi stanno pagando il tributo più alto nella lotta all’Isis, ma il fronte occidentale è assolutamente diviso sul loro destino, condizionato da una Turchia che vede come fumo negli occhi un futuro Stato Curdo. Ci stupiremmo se tra qualche anno, di fronte a un altro tradimento, saranno proprio loro ad alimentare la prossima stagione del terrore?

Le armi possono servire poi, ma solo per una utile interposizione tra le parti, come da anni fa l’Italia in Libano. Difficile, certo. Ma le ricette facili sono solo i conti truccati dei soliti «guerrafondai».

(La Vita Cattolica, 19 novembre 2015)