nucleo comunista internazionalista
note




BUIO A MEZZOGIORNO

(OVVERO: NUOVI LUMI “COMUNISTI”)



1 -  CHI PER LA PATRIA MUOR VISSUTO E’ ASSAI

Nell’ambito delle celebrazioni patriottiche dell’Unità d’Italia portata (quasi) a termine 150 anni fa (mancano ancora l’Istria e la Dalmazia “irredente”, per dirla con Napolitano, Nizza e Savoja e le ex-colonie AOI; ma chissà...), anche L’Ernesto ha voluto fare la sua parte dando spazio ad alcune “note introduttive su una idea-forza di fondamentale importanza” a firma Spartaco Puttini dal titolo La questione nazionale. Articolo non a caso ripreso con favore dai “fascisti rossi” in salsa varia.

“I partiti comunisti, così come si sono caratterizzati nel corso del Novecento – ci insegna Puttini – non sono affatto estranei all’idea di nazione. Lo stesso internazionalismo non significa affatto, contrariamente a quanto ritenuto da molti, negazione delle nazioni ma fratellanza tra le nazioni, cioè tra i popoli” (laddove per il nostro nazione equivale a “popolo”, classi a parte per non complicare le cose, n.), e “solamente nell’eterodossia trotzkista ed in determinati segmenti della nuova sinistra post-sessantottina il suffisso (in realtà prefisso, ma è la più innocente tra le perversioni del Puttini, n.) inter è stato sostituito concettualmente dal suffisso a (privativo, n.), fino ad arrivare a coniare slogan come “il proletariato non ha nazione, internazionalismo rivoluzione!”, uno degli slogan più pericolosi e fuorvianti che vi siano”.

Il primo pericoloso fuorviante che ci viene in mente è, naturalmente, il Marx del Manifesto che ci dice che “gli operai non hanno patria” e “non si può togliere loro quello che non hanno” e che “la prima cosa che il proletariato deve fare è di conquistarsi il dominio politico, di elevarsi a classe nazionale, di costituire se stesso in nazione”, “ancora nazionale (siamo al 1848), seppure non certo nel senso della borghesia” e in una prospettiva in cui “le separazioni e gli antagonismi nazionali dei popoli vanno scomparendo sempre di più già con lo sviluppo della borghesia” e “il dominio del proletariato li farà scomparire ancora di più. Una delle prime condizioni della sua emancipazione è l’azione unita, per lo meno dei paesi civili”; cioè: internazionalismo-rivoluzione, sino alla famosa chiusa: proletari di tutti i paesi, unitevi!, in luogo di: popoli, affratellatevi intorno alle vostre rispettive “patrie” sovrane. E siamo nel 1848!

Il Puttini l’ha facile nell’esaltare (cosa che anche noi fuorvianti facciamo) la lotta di vari popoli per arrivare da una fase pre-borghese alla “liberazione nazionale”, alla costituzione di un proprio stato sovrano. Sempre Marx: “I comunisti appoggiano dappertutto ogni movimento rivoluzionario diretto contro le situazioni sociali e politiche attuali” mettendo “in rilievo, come problema fondamentale, il problema della proprietà”; “perciò in Germania (1848) il partito comunista combatte insieme alla borghesia contro la monarchia assoluta, contro la proprietà fondiaria feudale e il piccolo borghesume appena la borghesia prende una posizione rivoluzionaria. Però il partito comunista non cessa nemmeno un istante di preparare e sviluppare fra gli operai una coscienza quanto più chiara è possibile dell’antagonismo ostile fra borghesia e proletariato, affinché i lavoratori tedeschi possano subito rivolgere, come altrettante armi contro la borghesia, le condizioni sociali e politiche che la borghesia deve creare con il suo dominio, affinché subito dopo la caduta delle classi reazionarie in Germania, cominci la lotta contro la borghesia stessa”. Se il “patriottismo” richiamato dal Puttini stesse in questi termini sarebbe il benvenuto; e, intanto, non assumerebbe questo nome, ma: conquista di un potere di classe localizzato, per il momento.

Ma per il nostro, tutto all’opposto, patriottismo uguale – testuale – “la difesa della sovranità nazionale, la lotta per l’indipendenza della propria patria”, a cominciare – tanto per essere chiari – della nostra patria-Italia imperialista sotto una sola bandiera nazionale, antagonismi ostili di classe a parte, salvo il fatto che, semmai, si rimprovera alle nostrane classi dirigenti di non saper fare fino in fondo la propria parte “svendendosi” a superpotenze estere o tradire e “lasciar cadere nel fango” le bandiere nazionali che, poi, spetta ai “comunisti” raccogliere, come da buona lezione togliattiana. Patriottismo pittiniano significa ristabilire “le prerogative sovrane degli Stati-nazione” ridando allo Stato (quale?, di chi?, n.) il ruolo di “protagonista assoluto (!!!, n.) dello stesso sviluppo economico” (Mussolini: tutto nello Stato, nulla al di fuori dello Stato). E sentite un po’: “Per gestire i problemi delle nostre società sempre più complesse non è possibile affidarsi all’anarchia del mercato, occorre avvalersi di una programmazione dirigista e chi lo fa è avvantaggiato nella competizione globale”. Patria statalizzata a servizio di una più proficua concorrenza; alla faccia, poi, della “fratellanza tra i popoli”... in reciproca competizione. Come riconosceva anche Mussolini, le classi continuano sì ad esistere e, sembrerebbe, persino su gradini dispari, ma gli interessi della Patria esigono che sia cancellato l’antagonismo tra esse una volta “corporativizzate” entro lo Stato “di tutti”. A questa stregua la “necessaria politica di giustizia sociale”, secondo il Puttini, esigerebbe “per il bene dell’intera comunità nazionale, una equa ripartizione del carico fiscale ed una capillare redistribuzione della ricchezza nella spesa sociale”. Roba da Repubblica di Salò. In un altro articolo dello stesso dedicato al caso-Libia, L’Italia è in guerra contro i suoi interessi, l’argomento centrale contro l’aggressione imperialista alla Libia consiste nel fatto che “gli interessi dell’Italia è evidente che stanno da un’altra parte” e che un corretto patriottismo in nome dell’“intera comunità nazionale” avrebbe difeso il fatto che “il rapporto stabilito con la Libia di Gheddafi rispondeva al nostro interesse nazionale” in quanto mirante all’accaparramento delle materie prime di cui il Paese ha bisogno. Tutto qui.

Non sentiamo il bisogno di svolgere ulteriormente il tema in contrapposizione con argomentazioni simili. Se lo facessimo rischieremmo di mettere una pulce negli orecchi del nostro quanto a riferimenti storici nobili del “comunismo del Novecento”. Ad esempio: che dire di un Lenin che proclamava il disfattismo (antipatriottico) e se la prendeva coi “traditori” nazional-sciovinisti della socialdemocrazia tedesca? O non avevano forse ragione questi ultimi quando proprio in nome della difesa della Patria contro il pericolo zarista chiamavano alle armi la “comunità nazionale” teutonica a difesa della minacciata “sovranità nazionale”? Come faceva Lenin a sostenere, con Liebknecht, che “il nemico principale è in casa nostra”, applicandone il principio anche alla sua stessa Russia sostenendo che la disfatta delle armate nazionali zariste costituiva il coefficiente migliore per la rivoluzione internazionale? Il Puttini si limita a definire tutto ciò “attese messianiche” “messe da parte dalla svolta realista operata da Stalin”. E si capisce benissimo! Ma,si dirà, la difesa della Russia dall’attacco delle potenze straniere all’indomani della rivoluzione? E’, per Lenin,la difesa del primo bastione della rivoluzione internazionale il cui nerbo è l’Internazionale (vergogna!) i cui partiti “nazionali” si definiscono come “sezioni”. Alla causa della “patria russa” (“al di sopra” delle classi) aderiranno volentieri i vari nazionalisti, fascisti compresi, e l’Internazionale, questa onta “antinazionale”, sarà anche formalmente cassata da papà Stalin.

Ci basta qui riprendere letteralmente dei passaggi... preputtiniani del Maestro Togliatti in cui i concetti sopra richiamati sono svolti al massimo della chiarezza:

“... si richiede però, prima di tutto, che noi ci avviciniamo a tutti gli strati e gruppi di giovani, discutiamo con loro, eliminiamo le pregiudiziali o i pregiudizi che ci tagliano la strada. Dico questo pensando in particolar modo a quei giovani che più o meno attivamente sono stati fascisti e a quelli che del fascismo non sono ancora riusciti a liberarsi. Questi giovani sono stati i nostri avversari e anche nemici. Contro i fascisti, diventati servi dello straniero, non abbiamo esitato, quando ce lo imposero le circostanze stesse, a prendere le armi... Ma se nel corso della guerra vi era fra le due parti un abisso e scorse il sangue, questo non vuol dire che tra noi e una parte di coloro che combattevano contro di noi non esistesse quello che vorrei chiamare (..) un “malinteso”. Non ci eravamo intesi, con le generazioni che furono fasciste, sin dall’inizio, cioè sin dalla fine della precedente guerra, ma non è detto che non avremmo potuto intenderci, se non fossero intervenuti l’inganno e la violenza, che hanno falsato tutto il processo di sviluppo, rompendo l’unità delle forze nazionali. Il “malinteso” consisteva nel fatto che quando una generazione di giovani aspirava alla grandezza della nazione italiana e alla felicità degli italiani che vivono di lavoro, aspirava alle stesse cose cui noi aspiriamo. Non solo, ma quando questa generazione accoglieva l’idea di una più elevata giustizia sociale, questa idea era la nostra. (..) Non abbiamo nessuna intenzione di conculcare od offuscare l’idea della patria e del sentimento nazionale. Al contrario... (...) Non è vero che sia perduto, per la causa per cui il popolo combatte, il giovane oggi aderente alle nuove organizzazioni fasciste o di tipo fascista. Al contrario, spesso il giovane va in quella direzione (perché) si illude di schierarsi per la grandezza della patria e alle volte anche per il progresso sociale. Avvicinate questo giovane, discutete, comprendetevi a vicenda...”.

E avvicinamenti, discussioni e comprensioni reciproche sono in corso. Noi felicemente esclusi.

P.S. In cerca di referenti autorevoli, non reperibili negli scaffali del marxismo, il Puttini cita (e se ne appropria) De Gaulle: “Il patriottismo è amare il proprio paese, il nazionalismo odiare quello degli altri”. Gli offriamo un ulteriore appoggio, quello del celebrato “socialista” H. De Man, di Bruxelles: “Dove l’amor patrio si può sviluppare liberamente, la grande stima dei valori nazionali non conduce necessariamente alla disistima del valore di altre nazioni” (in perfetta linea col citato De Gaulle). E, di più: “Affinché il nazionalismo non scateni nuove passioni belliche, il futuro assetto mondiale dovrà basarsi sulle nazioni, su tutte le nazioni. Specialmente l’unione europea non è concepibile che come unione di nazioni. La nazione è l’indispensabile e insostituibile elemento base di ogni sovrastruttura continentale, intercontinentale o universale” (l’evocata “fratellanza”, n.). Piccolo particolare: la citazione è tratta dal n° 1 di Scienza Europea, rivista... internazionale, vista la gamma dei collaboratori, della RSI. Com’unitarismo allo stato puro!





2 -  SVOLTE PERICOLOSE, INCIDENTI IN VISTA...

Lettera di un nostro “vecchio compagno” ad un “vecchio compagno” del GCR.
Con affetto e disappunto...


Carissimo X,

ti ringrazio sentitamente, a nome di noi tutti, per il costante ed abbondante invio di materiali utili a documentarci su un sacco di situazioni e problemi che, altrimenti, ci riuscirebbero ignoti. E ciò indipendentemente dall’utilizzo, invero assai scarso, che riusciamo a farne sia al nostro interno sia, e più, all’esterno.

Questo canale di comunicazione mi sembra, soprattutto, l’indice di un corretto atteggiamento tra compagni legati, quanto meno, da un comune sentire e da una comune finalità. Più ancora quando, come nel nostro caso, ci si è inizialmente, e per un buon tratto di strada, trovati assieme, prima nella costituzione del NLI e poi in quella, più corposa, dell’OCI. Da quest’ultima voi vi siete separati per primi, in aspra polemica con posizioni politiche collettive del centro dell’OCI di allora di cui mi assumo (e rivendico) la responsabilità “in prima persona”, per così dire. Successivamente ce ne siamo separati noi, in continuità – oso presumere – con le stesse posizioni fondanti di detta organizzazione, a nostro parere venute meno al centro ed in larga fetta della base lungo una deriva di demagogia attivistica, e questo dopo che altri se ne erano staccati per altre strade non proprio commendevoli che possono arrivare sino al www.pincopallino.org di cui ci hai fatto pervenire dei documenti “degni di discussione”.

Certo, ogni scissione è dolorosa, ma, in questa fase di circoli embrionali, non si sfascia alcun partito “compatto e potente” ed, in un certo senso, è bene che ogni segmento organizzato di compagni faccia fino in un fondo la sua parte per mettere in chiaro, in linea di teoria e di pratica, le proprie posizioni. Questa, anzi, è, o potrebbe essere, nella presente situazione, il necessario viatico preparatorio a successivi passi in avanti in direzione della costituzione di qualcosa di più serio e pesante del piccolo circolo “individuale” (capirai benissimo cosa intendo dire). Ad una condizione: che l’attaccamento al proprio nocciolo duro, che ognuno rivendica per sé, non significhi in alcun modo un atteggiamento di chiusura al confronto permanente e a malvezzi di astio (sottopolitico) rispetto ai “fratelli separati”. Per quanto ci riguarda, noi a ciò ci atteniamo: non c’è alcun “rinnegato Kautsky” in sedicesimo da flagellare tra coloro che ci hanno lasciati o che noi abbiamo lasciato, ma solo ed unicamente dei buoni compagni cui ci lega perennemente un cameratesco affetto e la speranza, oltre che lo sforzo, di un ricongiungimento a coefficienti utili e più in avanti. In questo senso salutiamo con soddisfazione lo sforzo che tu stai facendo di mantenere una giusta linea di contatto permanente.

Detto questo, purtroppo, ci incorre dire che certi materiali politici vostri ci lasciano letteralmente di stucco a testimonianza di un regresso – ci sia permesso dirlo, è la nostra franca “opinione”– rispetto alle posizioni marxiste di base, rispetto alle quali avvertiamo un cammino a ritroso anche in relazione agli stessi punti di partenza da cui vi eravate mossi in rottura con l’OCI degli esordi.

Il primo esempio lo abbiamo registrato in occasione della questione-Tibet da voi sollevata come rivolta progressiva di “liberazione nazionale” dal “giogo” cinese, in solidarietà con una presunta lotta di “proletariato” e classi oppresse tibetane (ben incarnati dal... Dalai Lama). Su questo punto abbiamo già a suo tempo largamente risposto e ci basta rinviare ai nostri scritti di allora senza bisogno di ulteriori commenti.

Ora ci giunge il vostro spillatino “Una tempesta perfetta” sul caso-Libia che aggrava, se mai possibile, il bilancio che ne traiamo. Anche voi date per certo, sulla scia dei vari PC ex-rifondaroli, che in Libia sia in corso una rivoluzione “spontanea” di “popolo”, di “masse insorte che stanno dimostrando con il loro sacrificio una indomabile volontà di riscatto, una determinazione e un coraggio che devono essere d’insegnamento per tutti i proletari, soprattutto qui nelle metropoli capitalistiche” (un faro proletario, nientemeno!). E, per non sbagliare, vi azzardate a precisare che “gli echi (di questa presunta rivoluzione, n.) si fanno sentire perfino nella repubblica iraniana”, mancando solo di affermare la solidarietà con i moti anti-Ahmadinejad di determinati strati, soprattutto “giovanili” (nuova categoria...di classe), affittati all’Occidente e, fortunatamente – per noi – combattuti, anche se non certo da postazioni comuniste, dalle masse vere che c’interessano di quel paese (che i conti con Ahmadinejad li dovranno fare sì, ma in tutt’altra direzione da quella impulsata e finanziata da Wahington e ora sottoscritta, sembra, da “volonterosi compagni”).

Per colorire di presunto rosso la cosa, non esitate a ricorrere all’armamentario truffaldino della propaganda di guerra occidentale sugli “orrori” gheddafiani: “centinaia di morti a Bengasi e in tutta la Cirenaica, uccisi dai mercenari assoldati da Gheddafi”; “sembra accertato che le “forze di sicurezza” stiano facendo uso di armi pesanti, compresi bombardamenti aerei contro le postazioni degli insorti, con un bilancio stimato di svariate migliaia di morti”. Tutto in linea con l’ex-sinistro Frattini che ve ne fornisce anche le cifre provvisorie: 10.000 morti, 50.000 feriti, a giustificazione dell’“intervento umanitario” NATO. E, intanto, secondo voi, sulla scia di false “notizie certe” diffuse dai servizi d’imbonimento occidentale, la “rivoluzione” sta giungendo “infine a investire Tripoli” (calma, ragazzi, calma!). Si tratta puramente e semplicemente delle classiche “menzogne di guerra” di chi qui ha tutto l’interesse reazionario a destabilizzare una regione calda a proprio uso e consumo. Chi volesse veramente capire cosa sta dietro l’affaire libico non ha che da andare all’ultimo numero di Limes, il cui staff è bensì interessato a detronizzare Gheddafi in nome dei nostri affari, ma, da accorto personale borghese, imperialista (attento magari, e non a torto dal suo bottegaio-imperialista punto di vista, al “pericolo giallo” incombente in Africa), perlomeno non banalizza la questione in termini di rivolta generalizzata e spontanea delle “masse insorte”. E quanto alle presunte atrocità del regime, senza dover ricorrere alla voce (sospetta?) del vescovo cattolico di Tripoli, e di qualche “volonteroso” cattolico spesso più marxista involontario di certi marxistissimi volontari della parte avversa, vi rimandiamo all’articolo di Germano Dottori, Dizinformacija, l’uso strategico del falso nel caso libico, nonché all’eccellente trasmissione RAI de La storia siamo noi, del 18 aprile, cui potrete agevolmente andare a documentarvi sulla questione.

Certi personaggi, e Gheddafi non fa eccezione, ci sono (da) sempre risultati indigesti, ma mai, anche solo “ad istinto” – ottimo viatico animale contro le bestialità subumane – non abbiamo creduto che Saddam strappasse i nati precoci dalle incubatrici o desse in pasto alle belve dei giovanotti da lui precedentemente sodomizzati (si è letto anche questo nella “libera stampa”!); che Ceaucescu avesse riempito di cadaveri civili le fosse comuni di Timisoara; che Milosevic eliminasse o deportasse (non si sa dove...) i poveri kosovari; etc.etc.

Per contro, parrebbe a qualche sinistrato dell’estrema sinistra che i ribelli di Bengasi abbiano tutte le carte in regola per assumersi ad autentici “comunardi”. L’argomento che i vari Gheddafi, Ceaucescu, Milosevic e compagnia bella (l’ultimo è Ahmadinejad, ma... la Cina è vicina) siano da combattere dalle nostre postazioni ci sta bene, salvo che questo non rappresenta un lasciapassare in bianco per chiunque lo faccia. Uno dei prossimi target delle “rivoluzioni verdi”, con larga partecipazione di “giovani”, potrà essere, ad esempio, Cuba con una possibile Comune... di Washington. Per la Libia si osa parlare di “lager” di lavoratori immigrati sottoposti al duro Arbeit macht frei gheddafiano Strano, innanzitutto, che non si veda come l’ipersfruttamento di costoro, certamente sottoscritto da Gheddafi, sia da imputare innanzitutto alle aziende imperialiste extralibiche, che mai si sogneranno di “liberarle” dalle leggi da esse stesse imposte con l’ovvio licet del regime attuale. Ma, in ogni caso, queste masse multietniche ed anche multicolori hanno trovato qui un approdo forse non più lagheristico di situazioni nostrane (su cui voi, giustamente, puntate il dito)? E, soprattutto: che sorte essi hanno trovato appresso i “comunardi” di Bengasi? Tutto, questo è accertato, salvo che una fraternizzazione di classe, che, ove fosse stata anche semplicemente avanzata, avrebbe davvero significato un percorso nella nostra direzione. In realtà, questi lavoratori sono stati allontanati, spogliati di ogni loro avere, vilipesi come “agenti di Gheddafi” (sino alla qualifica dei “neri”, e non solo, come nemici). Bella Comune! E bellissimo che i capi della rivolta bengasiana si affrettino a dire che i prossimi affari relativi al petrolio “cirenaico” vedranno i “volonterosi” come propri contraenti privilegiati (senza più “lager” per gli immigrati che vi saranno chiamati a sputare sangue?)! Fateci sopra un ragionamentino.

E’ vero che poi, sulla scia dei vari Ferrando, voi vi schierate contro l’intervento del nostro imperialismo negli affari libici perché ciò significherebbe “tradire la rivoluzione in corso”, e ne segue tutta una pappardella persino sulla “distruzione dello Stato di Israele”, ma a chi vi rivolgete? A quelli che di tutto ciò si fanno un solennissimo baffo. Molto più logica la Rossanda che, richiamandosi alla lezione della nostra Resistenza (anche da voi evocata per...Milano in un volantino “sindacale”), avverte che “le Democrazie” ci aiutarono allora a liberarci dal fascismo ed, oggi, aiutano i “ribelli” libici a farla finita con il dittatore fascista Gheddafi. A questa stregua, l’intervento NATO non può essere qualificato come “colonialista”, tanto più in quanto insistentemente richiesto dai rivoltosi e Obama non va confuso con un “satrapo”. Al massimo si può immaginare l’invio di volontari “rossi”, dei neo-partigiani, a sostegno della “rivoluzione” in atto sotto l’ombrello NATO perché essa non venga alla fin fine “tradita”. Non manca che creare degli opportuni uffici di reclutamento. Ancora negli anni trenta un socialista pacifista zimmerwaldiano poteva dire che la liberazione dell’Italia dal fascismo non si sarebbe mai dovuta affidare alle armi straniere e un Massino Fini, oggi, correttamente afferma che nessun “popolo” può presumere di “farsi liberare” da qualcun altro; nella fattispecie da imperialisti conclamati. Voi “giustamente” organizzate manifestazioni contro l’intervento del nostro (assieme ad altri) imperialismo negli affari libici. Presuppongo che nel corso della seconda guerra mondiale vi sareste battuti per tagliar fuori l’imperialismo dalla “rivoluzione proletaria” in corso. Ma gli stessi partigiani stalinizzati e, comunque, di qualche miglio più avanti dei “comunardi” di Bengasi – vi avrebbero preso a revolverate in nome del “fronte unico democratico” sotto egida russo-americana. Non si può fare della realpolitik “democratica” senza real-bombe, regal-armi e real-dollari...

Sono convintissimo sulle vostre buone intenzioni rivoluzionarie e sulla vostra intrinseca refrattarietà alle sirene imperialiste, ma, stavolta (e non per la prima volta), non avete provveduto a tapparvi le orecchie con l’opportuna cera, e ciò induce a cattivi pensieri sui successivi svolti.

Avremo modo, però, di ragionarci ancora assieme.

Fraternamente X

30 aprile 2011