nucleo comunista internazionalista
note





L’“UNICO STATO DEMOCRATICO DEL MEDIO-ORIENTE” (ISRAELE) HA COLPITO ANCORA


Non spenderemo parole di esecrazione moral-pacifista sull’ultima (sin qui) impresa di Israele; lasciamo ad altri quest’inutile incombenza “umanitaria”. Quello che si tratta di capire è che l’episodio dell’attacco alle navi cariche di aiuti alla popolazione embargata di Gaza fa parte, compresa la “spiacevole” perdita di vite umane (di terroristi e filo-terroristi camuffati, come da qualche escrementizia parte si legge anche in Italia: vedi Il Giornale di Feltri), di una precisa strategia da parte dello stato sionista e non di un disdicevole errore “tecnico” sulle cui tragiche conseguenze anche i caporioni di quello stato possono far finta di “dispiacersi”.

E va da sé che non prenderemo neppure in considerazione i “libri bianchi” attraverso i quali Israele si appresta a “documentare” di esser stata vittima di una inopinata... aggressione. Già conosciamo a sufficienza analoghi “libri bianchi” nazisti con cui si dimostrava che il Terzo Reich era stato aggredito dalla Polonia o dal... Ghetto di Varsavia, notorio covo di “terroristi”. Ne lasciamo volentieri ai Feltri od alla Nirenstein la confezione e diffusione, ed andiamo al sodo di cui sopra.

L’intento di Israele è chiaramente quello di alzare il tiro di fuoco nella regione per arrivare ad una resa dei conti armata con l’insieme crescente di forze ostili al gendarme imperialistico sionista e, a tal fine, forzare i propri amici (imperialisti) a schierarsi decisamente a proprio favore. Non ingannino i provvisori “distinguo” formali cui anche un Barak Obama è costretto di fronte all’“opinione pubblica” propria e mondiale: più si alza il tiro e più USA e sodali saranno costretti a prendere, di fatto, una posizione a favore dell’alleato-chiave israeliano, cui sono legati da una stretta comunanza di interessi. (E se Obama osasse discostarsene – cosa del tutto improbabile – sicuramente mal gliene incoglierebbe...). L’Iran è il primo obiettivo sensibile di questa manovra per arrivare ad un nuovo caso-Sarajevo. Il recente triangolo Iran-Turchia-Brasile giustamente (dal suo punto di vista) allarma lo stato sionista. E il tutto si colloca entro una cornice internazionale che vede sempre più l’emergere di potenze “aggressive” rispetto al quadro attuale di dominio imperialista mondiale a guida USA, da Pechino a Mosca all’America Latina (e non è finita qui!). La stalla va chiusa prima che i buoi scappino, ed a ciò mal si convengono misure di ordinaria amministrazione. I tempi della resa dei conti si vanno stringendo di giorno in giorno. Questo il background dell’attuale episodio. E non è un caso che la stupida prospettiva, agitata anche (o principalmente) da certe “sinistre” internazionali, sui “due popoli due stati” per risolvere il problema palestinese si stia rivelando sempre più una bufala propagandistica, oltre che di per sé reazionaria. La soluzione prospettata da Ahmadinejad, quella della cancellazione dello stato colonialista-imperialista sionista, oggettivamente si sta facendo strada nei fatti incubati dalla situazione.

Ovvio che noi non solo non siamo a favore della soluzione iraniana (molto “ideale”), racchiusa entro l’orizzonte di un “riscatto islamico” di tipo nazional-capitalistico a tinte coraniche, oltretutto irrisolvibile entro un “autonomo” processo d’area . Ovvio che per noi la soluzione s’inscrive esattamente entro un quadro internazionale ed internazionalista di classe. Non è una questione di “popoli” che possano immaginarsi di “autodecidersi” in separata sede e da un punto di vista interclassista. Smettiamola, perciò, anche noi qui di far finta di essere umanitariamente interessati alla soluzione del “particolare” caso-palestinese e cerchiamo perlomeno d’impostare il problema, non foss’altro che in termini di teoria e propaganda (premessa di agitazioni ed azioni congrue), sui suoi giusti binari.

Un alto prelato cristiano palestinese ha osato dire: in tanti, sin troppi, fanno mostra d’interessarsi di noi; vengono qui a contattarci “amichevolmente”, da quelli dell’ONU ad Obama col cagnolino OLP al guinzaglio; ci offrono anche aiuti umanitari (sempre benvenuti, beninteso), ma nulla di questo vale a risolvere il dramma, o tragedia, cui siamo sottoposti. Abbiamo bisogno di qualcos’altro. E questo qualcos’altro, lo diciamo noi, è esattamente un’azione internazionalista di classe che vada ad aggredire l’insieme della struttura imperialista che ci domina ed opprime, domina ed opprime l’intero globo. Su questo obiettivo va incardinata ogni e qualsiasi seria “solidarietà” col popolo palestinese ed il suo punto di partenza è la lotta, qui nei paesi centrali dell’imperialismo, contro il “nemico principale” che sta in casa nostra. Questa è la lotta decisiva cui potranno unirsi proletari arabi ed ebrei coinvolti nella loro non separata, non “privatistica”, “casa loro” al di fuori e contro le “proprie” sirene borghesi (e lo diciamo non sottovalutando affatto il divario e le ostilità del momento tra di essi, gli uni astretti, da oppressi che si rivoltano in una sacrosanta battaglia per la vita o la morte, alle sfiatate sirene borghesi islamiche, gli altri succubi di una propaganda nazional-imperialista che si giova della sindrome-ricatto sciovinista volta a presentale come vittime designate – in quanto “nazione”– dell’offensiva islamica. Salutiamo con entusiasmo i primi segnali di fraternizzazione che si stanno manifestando tra elementi proletari arabi coscienti della posta in gioco ed elementi “progressisti” (primo incerto accenno di quel che dovrà essere) ebrei antisionisti. I due pulcini di una stessa chioccia. E noi lavoriamo a metterli assieme e dargli forza. Non “due popoli due stati”, ma due frazioni proletarie chiamate ad unirsi. E tanto ci basta.

PICCOLO CAPPELLO D’AGGIUNTA

Quanto diciamo sopra in merito all’irrisolvibilità della “questione palestinese” concepita come separata questione medio-orientale ed a suon di “diritto internazionale” da imporre a “cattivi governi” israeliani o persino a suon di scontri armati tra “masse arabe unite” (da chi e come?) e lo stato sionista (mentre le stelle – e strisce – stanno magari a guardare) potrebbe venir artificiosamente e con parecchia mascalzonaggine interpretata come una nostra posizione “astratta e nullista”, al limite dell’“indifferentismo” (malattia dalla quale siamo, invece, superbamente vaccinati). E’ vero il contrario, e gioverà ripeterlo.

La lotta “popolare” (proletari, semi-proletari e strati non sfruttatori) dei palestinesi è per noi assolutamente degna del massimo sostegno incondizionato, così come va assolutamente difeso il loro (correttamente inteso) diritto all’autodecisione. Questa lotta, a misura che si radicalizza,obbedendo alle leggi oggettive dello scontro in atto, comporta dei mutamenti corposi dal punto di vista degli stessi rapporti di forza sociali e politici al proprio interno, nel che stanno le premesse dei passaggi successivi. Il passaggio dall’impotente (e peggio!) leadership tipo OLP a quella di Hamas (o,in Libano, Hezbollah) costituisce già di per sé un fatto di primaria importanza che solo degli inveterati “indifferentisti” possono ignorare o svillaneggiare (tanto tutti i poteri borghesi sono eguali e siccome non c’è dubbio che né Hamas né Hezbollah ne rappresentano la negazione...). Ciò che noi diciamo, conformemente all’impostazione della Terza Internazionale sulla questione nazional-coloniale, è che questo poderoso sforzo che sposta in avanti il terreno di scontro richiama la necessità di un collegamento e di una centralizzazione delle forze (nostre) in gioco attorno ad una prospettiva comunista internazionalista. Ciò che attualmente manca a tal fine non è la presunta “inconcludenza” delle masse islamiche oppresse, ma il torpore del proletariato metropolitano e delle stesse cosiddette “avanguardie comuniste”, il cui massimo segno di “solidarietà” con la loro lotta è di stampo – quando va bene – wilsoniano.

Sia ben chiaro: noi non sputiamo addosso neppure su azioni di tipo “umanitario” come quest’ultima, a misura che esse non possono più limitarsi a soccorsi caritatevoli di stampo cristianeggiante, ma implicano denunce dimostrate e portate avanti con coraggio della reale portata della questione. Certo, l’orizzonte entro cui tuttora ci si muove è del tutto inconcludente e persino deviante “di per sé”, ma il “di per sé” non è da noi interpretato come un dato fisso, astrattamente ideologico. Certo, e diciamo di più: certo “umanitarismo” alla Emergency può persino accennare a passi indietro rispetto a determinati punti di partenza con una “equidistante” presa di distanza tanto rispetto agli “esportatori di democrazia” NATO quanto al “terrorismo” interno (malamente ridotto al target talebano). Non a caso qualcuno degli oratori alla manifestazione (doverosa) pro-Emergency per i recenti fatti di autentica pirateria NATO ha potuto tracciare una linea di collegamento ideale tra l’azione di Emergency e quella di una suor Teresa di Calcutta. Crediamo che di suor Terese (con tutto il rispetto ad esse dovute) non ci sia proprio urgente bisogno negli scenari attuali. Purtroppo da troppe parti nelle stesse “avanguardie” si tereseggia ad libitum.

Sulla posizione del “nostro governo”: una volta di più la barra inclina tra piatto accodamento alla linea USA-Israele e caute “attenzioni” al “dramma palestinese” (queste ultime si sono meritate l’apprezzamento da parte non solo dell’OLP, ma della stessa Hamas, tanto per dire), magari in attesa di una politica decisamente “in proprio” (che ancora non si vede affatto) da parte di un’Europa effettivamente unita politicamente e militarmente. Da notare che, nell’ambito di questo governo, i presunti contestatori “più vicini” alle petizioni della “sinistra”, tipo Fini, rappresentano semmai l’ala più oltranzista a favore di USA ed Israele. Non vorremmo che l’ennesima contestazione al “ducetto” Berlusconi lo ignorasse o si limitasse a raccomandare o cercare d’imporre all’attuale governo un allineamento con le balbuzienti e inermi condanne di altri governi europei alla “violazione del diritto internazionale” da “suggerire” ad Israele ed all’amico Barak (l’uomo nuovo del Manifesto). Allo stesso modo non vorremmo che la via d’uscita prospettata contro il “servilismo” pro-imperialista USA-israeliano prendesse in certe “avanguardie” la piega di una risposta “europeista” “in proprio” in nome dei “nostri diritti” (dei diritti del “nostro” imperialismo di “serie B”, come ci capita talora di leggere in certi comunicati) tale da tirarci “tutti insieme” fuori dalla serie cadetta dai cui esiti dipenderebbe la stessa soluzione dei problemi medio-orientali. Lasciamo simili prospettive a forze (serissime) di neo-destra dello stampo di Rinascita, cui siamo persino disposti a riconoscere che le loro analisi di geopolitica stanno spesso al di sopra delle cieche e svirilizzate prese di posizioni di certa “ultrasinistra” (purché ben s’intenda: da uno stretto e coerente punto di vista nazional-imperialista; vecchia storia, comprese le “scimitarre dell’Islam” brandite dai fascismi e tutt’altro che senza echi nell’Islam oppresso). Dopo aver già visto all’opera dei “comunisti padani” non vorremmo risentire appelli alla costituzione di “falangi proletarie europeiste” contro l’aggressore “numero uno” USA & soci. Anche perché ne abbiamo già avuto la ben triste esperienza col 4 agosto ’14 della socialdemocrazia tedesca, con tutte le derivate del caso. Più che mai risuoni allora il grido di battaglia di Liebknecht: “Il nemico principale è in casa nostra”, ed è esso da battere nella prospettiva dell’affratellamento e della rivoluzione mondiale del proletariato chiamata a sbirillare lo stesso “imperialismo numero uno”.

5 maggio 2010