nucleo comunista internazionalista
note



IL PROLETARIATO DI BIELORUSSIA E LE INFAMI “ASPIRAZIONI DEMOCRATICHE”
DEI CETI BORGHESI
(“MARXISTI” BIELORUSSI IN CODA)

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Quale è il posizionamento del comunismo rivoluzionario di cui siamo portavoce rispetto al vasto movimento popolare sceso in campo in Bielorussia convocato e diretto dalle forze dell’opposizione liberal-democratica con l’obiettivo di scardinare l’ordine politico costituito di quel paese imperniato attorno al “tiranno” Lukashenko in carica da 26 anni e riconfermato dal voto plebiscitario del 9 agosto?

Posto che non ci sogniamo di questionare sulla vera o falsa “legittimità democratica” del voto stesso. Per noi, ogni potere “si legittima” in quanto ha o riesce a trovare la Forza (che non necessariamente si esprime con l’applicazione aperta della violenza, anzi) per imporsi, anche attraverso brogli, manipolazioni ed ogni sorta di altro condizionamento. Siamo comunisti appunto, e non democratici o liberali di estrema sinistra. La vera o presunta violazione di una pretesa “libera espressione della volontà popolare” non è nella maniera più assoluta motivo, nemmeno demagogicamente agitatorio, per il quale il comunismo autentico senz’altro avversa il regime borghese di Lukashenko che in quanto tale un movimento proletario di classe deve proporsi di rovesciare in coordinamento e in unità rivoluzionaria d’intenti in primo luogo coi proletari di Russia, di Polonia, di Ucraina e non con …le cancellerie dell’imperialismo democratico occidentale come è per l’attuale sedizione bielorussa.

principale motivo di contrapposizione al regime borghese “illiberale” è, per noi, il motivo di natura “economicistica”, vale a dire la contestazione di basso “tenore di vita”, bassi salari, scarse tutele sociali per i lavoratori o il progressivo smantellamento delle stesse a cui il regime è costretto in primo luogo dalla inesorabile pressione del mercato globale capitalistico che sbriciola ogni velleitario muro di pretesa semi-autarchia. Mercato globale nel quale la Bielorussia di Lukashenko è integrata e da cui non vuole né può “togliersi” se non per posizionarsi del tutto sotto l’ombrello protettivo del Grande Fratello russo il quale però è esso stesso parte della rete capitalistica mondiale, e che parte!

Questo genere di contestazione “economicistica” è fasulla, politicamente fasulla e zoppa. Lascia ad intendere ai proletari bielorussi che le loro istanze di classe – difesa dei posti di lavoro, dei salari, di un dignitoso welfare e quant’altro di “stanziamento sociale” un qualsiasi regime borghese possa garantire alle masse (sempre per sedarle! per sedare l’antagonismo connaturato alla società divisa in classi) e in specie il regime di uno Stato che non intende mettersi in ginocchio di fronte all’imperialismo democratico (1) – possano darsi e realizzarsi al di fuori, sganciate, da una politica volta allo scardinamento rivoluzionario dell’ordine globale capitalistico. Come a dire o a lasciare intendere: l’albero della cuccagna è lì, a portata di mano. In Bielorussia. Se solo si instaura, e le forze “di classe” contribuiscono ad instaurare, un “governo di vera democrazia popolare” in una comune spallata insieme ai borghesi e alla massa dei piccolo-borghesi anelanti “la libertà in Bielorussia”, governo che la pressione di massa e “di classe” si incaricherà poi di incalzare e condizionare così che la classe lavoratrice colga i frutti di quell’albero e in santa pace ne goda. In Bielorussia. (La variante proposta dai “trotzkysti” locali a questo quadro da “vera social-democrazia in un paese solo” prevede oltre alla difesa delle proprietà statizzate anche l’introduzione della “pianificazione della produzione” (non occorre dire che: di Merci!) la cui mancanza è il principale capo di imputazione addossato da costoro al regime, insieme ovviamente alla mancanza “di libertà”. Che se Lukashenko ci avesse avuto “un piano per la produzione” del sistema statizzato, saremmo stati quasi-quasi al socialismo: qui si va a finire nel grottesco!)

No, una organizzazione politica comunista rivoluzionaria non racconta simili storie ai proletari bielorussi i quali a giusto titolo possono averne le palle piene, dopo un quarto di secolo, di Lukashenko e della sua retorica di difensore e salvatore della “patria bielorussa” (un patriota che fino all’altro ieri ha procurato di rinfocolare il sentimento di un micro-nazionalismo bielorusso, punzecchiando a più riprese il Grande Fratello prima di tornare, quando l’acqua è salita alla gola, a Canossa-Mosca, mandando perciò più volte in bestia i fedeli di Santa Madre Russia).

Posta in altri termini la questione: qual è la trincea politica ed i conseguenti interessi immediati attorno cui il comunismo rivoluzionario appella il proletariato bielorusso ad attestarsi e a battersi (e certamente quindi non a starsene buono e a cuccia in prudente difesa dello status quo) in quanto sezione del Proletariato Internazionale, vale a dire coordinando e subordinando anche e se occorre i suoi scopi parziali, immediati, nazionali, al superiore interesse generale del movimento proletario internazionale a cominciare dalla trama unitaria da tessere con le sezioni di classe immediatamente e storicamente più ad esso collegate cioè appunto con le sezioni di classe russe, polacche, ucraine?

A differenza e al contrario da quanto sostengono qui “da noi” importanti raggruppamenti di classe, ad esempio il SI Cobas il quale “augura successo al grande movimento di protesta bielorusso che chiede con forza la caduta del regime”; a differenza e al contrario da quanto sostengono “da loro” taluni “marxisti bielorussi, rappresentanti dei principali gruppi, organizzazioni e partiti comunisti e di sinistra”, “marxisti” che per quanto ci è dato di intuire sono in effetti code politiche estreme della democrazia borghese i quali “credono fermamente nelle richieste di democratizzazione dell’intero sistema”, “accolgono con favore le aspirazioni democratiche del popolo” e si propongono di indirizzare la protesta popolare “per correggere la situazione attraverso una forza organizzata di lavoratori che difendono i loro veri interessi di classe qui e ora” come scrivono questi pseudo-marxisti bielorussi (2); a differenza e al contrario di questi supporters della protesta di piazza bielorussa noi giudichiamo la direzione politica retta dai ceti borghesi bielorussi (spalle ben coperte dai centri di potere occidentali) che ne detta ritmi e obiettivi non “un compagno di strada” con il quale perseguire insieme, magari solo per un tratto, la marcia verso il “cambiamento radicale del sistema” ma una postazione politica e sociale nemica di classe dalla quale si difendono interessi e perseguono obiettivi assolutamente antitetici agli interessi immediati e agli obiettivi generali del movimento proletario internazionale e della sua sezione bielorussa.

Quindi frontale contrasto e aperta denuncia del carattere contro-rivoluzionario ed anti-proletario della direzione del movimento di protesta popolare e non l’avvallo ad un indefinito “cambiamento radicale del sistema” (perfettamente definito da chi dirige la protesta) come scrive e avvalla il SI Cobas. Direzione politica della protesta che è e rimane anti-proletaria quand’anche una parte della classe lavoratrice bielorussa o (in ipotesi) addirittura la maggioranza decisiva della stessa vi aderisse e ne fosse soggiogata valutando, essa massa di lavoratori salariati, che il tempo del compromesso sociale garantito per decenni dal regime (niente affatto disprezzabile in fatto di garanzie sociali riservate agli schiavi salariati bielorussi) sia scaduto – intuizione giusta! – e “scegliendo” di appoggiare il cosiddetto “cambiamento radicale” invocato dalla piazza liberal-democratica nella convinzione che le condizioni migliori per quello stesso compromesso sociale possano darsi e perpetuarsi al meglio in ambiente di “libero mercato” (delle merci e delle “idee politiche”) magari sotto la munifica protezione dell’Unione Europea e quella a dire il vero un pochettino …”più problematica” dei missili Nato. Calcolo immediato e “spontaneo” che una massa di lavoratori può fare, illusorio e del tutto sbagliato.

Il senso della “democratizzazione” e del “cambiamento radicale del sistema” invocati dai manovratori della piazza bielorussa è inequivocabile. Si tratta degli interessi di strati borghesi e piccolo-borghesi famelici di vivere-consumare-pensare-godere “all’occidentale” (signori borghesi e piccolo-borghesi di Bielorussia: potrete forse anche prevalere – noi ne dubitiamo, semmai mettiamo in conto il compromesso con l’odiato regime per ingabbiare le istanze di classe;– ma arrivate decisamente fuori tempo massimo per godere dell’affluenza occidentale, la vostra “libertà” ha il fiato e le gambe corte!) una massa annidata soprattutto nei centri cittadini che intende affermare il suo diritto a sviluppare compiutamente e liberamente i propri business “liberando” così la società intera ingessata dal “regime illiberale e tirannico”. Non serve dire quanto sia carognesca questa istanza di “libertà” ovvero quanto sia feroce il suo marchio di classe e quanto carognesche siano le forze sociali e politiche che ne sono vettrici. Basta guardare alla condizione proletaria nei paesi “liberati” ed “ex fratelli”, condizione atroce in taluni di essi: Ucraina Romania…

Tanto inequivocabili gli scopi della protesta quanto equivoci sono i pseudo-marxisti bielorussi che invece di denunciarne apertamente e implacabilmente la direzione politica si prefiggono di piegare il movimento verso obiettivi di una “vera e compiuta democrazia sociale”, poiché di questo “fine ultimo” si tratta per codesti “marxisti”. Il fine della distruzione della macchina statale, del potere di classe e del socialismo internazionale per costoro non è che un miraggio oppure uno scopo da tenere accuratamente nascosto e che, evidentemente, pare nulla abbia a che fare con “la politica concreta di massa”. In questo sono simili all’altro genere di “comunisti” presenti sul mercato ossia i nostalgici di baffone e dei bei tempi sovietici, campionissimi in fatto di “politica concreta” (domanda retorica ad entrambi: il fine ultimo della rivoluzione proletaria per il socialismo internazionale è la stella polare verso cui orientare e subordinare l’azione e l’articolazione politica dei comunisti oppure è solo un vuoto “ideale” di cui ci si può bellamente infischiare “nel concreto”? Tanto gli uni (accodati dietro il carro “della democrazia e della libertà”) quanto gli altri (in difesa dello status quo e dell’ordine statale costituito) fanno strame di ogni principio comunista rivoluzionario, vale per entrambi la buona ragione dell’antico e coerente riformista Bernstein: “il movimento è tutto, il fine ultimo è nulla”).

lukashenkoLeggendo alcune cose diffuse dal campo dei “comunisti” nostalgici di baffone i quali chiamano i lavoratori bielorussi a serrare le fila in difesa del “governo legittimo” di Lukashenko capace di garantire per decenni condizioni di vita dignitose preservando l’indipendenza del paese (indubbiamente vero!) ci ha colpito un passaggio molto emblematico del presente e del futuro “radioso” che i “comunisti di Stato” prospettano ai lavoratori tentati dalle false sirene e dalle quinte colonne dell’imperialismo occidentale. Riportiamo dalla “dichiarazione del CC del Partito Comunista della Federazione Russa” (cfr. dal sito de L’AntiDiplomatico: “Col colpo di Stato si vuole saccheggiare la Bielorussia”):

«Nonostante il fatto che la Bielorussia sia priva di minerali, la leadership del paese, dopo il 1991, è riuscita non solo a preservare, ma anche ad aumentare il tenore di vita delle persone attraverso una gestione economica competente. L’ingegneria meccanica è stata conservata e si è sviluppata nella Repubblica. Un autocarro con cassone ribaltabile su tre nel mondo viene prodotto in Bielorussia. I trattori pesanti prodotti a Minsk operano in decine di paesi in tutto il mondo. I trattori pesanti prodotti in Bielorussia sono il “cavallo di battaglia” dei sistemi missilistici mobili Topol e Yars che garantiscono la sicurezza della Russia…»

Un autocarro con cassone ribaltabile su tre! Ah, se solo si potesse inquadrare tale mirabile sforzo produttivo dentro alla “pianificazione” auspicata dai “trotzkysti” che però, immaginiamo, prevede la riduzione della produzione di rampe missilistiche in base al principio “più burro meno cannoni”: proletari di Bielorussia, cosa volete di più dalla vita?

Che cosa ha invece da dire il comunismo rivoluzionario al proletariato bielorusso, tanto alla sua parte che aderisce alla protesta popolare quanto a quella che ancora accorda una fiducia passiva e più o meno convinta al regime e al compromesso sociale da esso garantito per un quarto di secolo?

Che il tempo del compromesso sociale è scaduto, in Bielorussia come ovunque. Che è venuto il tempo invece di far pesare la forza sociale della classe lavoratrice nella società in quanto determinante soggetto attivo e protagonista, il contrario della cadaverica passività sociale e politica coltivata dal regime che si vanta di averla difesa dalle bufere del “libero mercato” solo al patto di tenerla schiava e impotente dentro la cella bielorussa della universale galera del lavoro salariato. (Ed è questa la nostra principale “imputazione” al regime di Lukashenko) Che certamente il proletariato deve rivendicare e strappare con la mobilitazione tutti i necessari spazi sindacali e politici per la sua libertà di azione contro gli apparati di uno Stato che pretende di ficcare il naso dappertutto. Che “la libertà e la democrazia” invocati dalla piazza borghese e piccolo-borghese sono tanto strangolatorie per gli interessi immediati e storici della classe proletaria bielorussa quanto, se non peggio, della cappa oppressiva imposta dal regime sulla società. Che la soluzione alle sue istanze economiche e politiche risiede in un movimento di classe che si prefigga di debordare dai confini nazionali, in prima battuta verso gli schiavi salariati e fratelli di classe russi, polacchi, ucraini. Contro ogni pestilenza nazionalista di cui sono spargitori i ceti borghesi dell’area, ben compresi quelli che a Minsk si agitano per imporre la loro infame “libertà”, il loro infame “cambiamento radicale del sistema”.



Note

1) L’impegno sociale dello Stato bielorusso ha garantito in particolare un più che dignitoso servizio sanitario pubblico. E’ anche grazie alla sua efficienza che il problema del Covid-19 che ha investito meno intensamente il paese sembra sia stato contenuto e gestito in maniera efficace, senza ricorso a lockdown e a stati d’emergenza prolungati . I dati ufficiali (John Hoptkins University) dei contagi e dei morti causa Covid-19 in Bielorussia paiono confermare questo dato di fatto. Ma più dei dati ufficiali delle istituzioni internazionali che ognuno manipola come vuole (come i dati elettorali) è significativo il silenzio sulla questione da parte degli oppositori liberal-democratici (a parte qualche voce che però non è ripresa e amplificata dai media mainstream occidentali). Se la gestione del problema pandemia fosse stato un disastro, è presumibile che Lukashenko sarebbe messo sulla graticola, oltre che per tutto il resto, anche come “criminale che lascia infettare e morire il popolo”, alla stregua di un Bolsonaro o di un Trump. E invece stranamente silenzio sulla questione… almeno per il momento.

C’è, in tema di “prevenzione social-sanitaria”, una domanda da porre a chi controlla e manipola l’informazione mainstream cioè la frazione liberal della democrazia imperialista. Sabato 29 agosto si sono tenute due imponenti manifestazioni di piazza in Europa. L’una “per la libertà” a Berlino, l’altra sempre “per la libertà” a Minsk. L’una è stata vituperata (Berlino), l’altra benedetta (Minsk): il virus del Covid-19 si diffonde nell’assembramento di piazza di Berlino e invece NON si diffonde nell’assembramento di Minsk? Signori, mettetevi d’accordo. E’ una domanda retorica poiché vi è una perfetta coerenza politica da parte dell’imperialismo democratico e dei suoi organi di manipolazione mediatica che piega anche il problema “sanitario” ai suoi scopi che non sono quelli della tutela della salute della gente bensì della tutela del suo sistema di potere.

Ma la questione si pone anche per noi, anche per il movimento di classe. Come la sciogliamo? A nostro avviso seguendo l’esempio concreto dei nostri fratelli di classe statunitensi che, virus o non virus, hanno risposto col raggruppamento e col combattimento sociale ad un intollerabile affronto e ad una intollerabile situazione di oppressione. Hanno risposto da esseri umani dimostrando di non essere ridotti a pecore o sardine, costi quello che costi in termini “sanitari”. Il rispetto delle norme di prevenzione sanitaria contro la diffusione del virus va bene, ma esse non possono diventare un ricatto gestito dai governi per imporre ciò che vogliono.

2) I documenti dei “marxisti” bielorussi da cui abbiamo tratto i virgolettati si trovano e sono presentati favorevolmente nei siti del SI Cobas e del Pungolo Rosso. Invitiamo ovviamente i lettori e compagni a prenderne attenta visione. Ognuno poi tragga le sue conclusioni.


2 settembre 2020