nucleo comunista internazionalista
note



SUI FATTI DI PARIGI

PIANGERE PER I “NOSTRI” MORTI
O LOTTARE PER I VIVI OPPRESSI DEL MONDO?

Anche noi, se ci è lecito, siamo rimasti sbigottiti ed addolorati per la strage di Parigi. Ogni goccia di sangue sparsa a causa delle convulsioni all’interno del presente “ordine” sociale e politico, in quanto si rivolgono contro di noi, contro la nostra classe, ci fanno orrore e rabbia. Ma già questa semplice dichiarazione attesta la lontananza ed, anzi, la forza repulsiva che ci distingue rispetto a tutti i coccodrilleschi piagnoni sulle “vittime innocenti” della barbarie (altrui, come sempre) e che, in nome di una finta indignazione umanitaria, chiamano tutti i buoni (noi ce ne escludiamo a priori) ad una comune risposta ai barbari a difesa della “nostra civiltà” offesa. Qui, l’abbiamo sentito dire dai Migliore come dai... peggiori (un po’ difficile!), non c’è destra o sinistra, clerico o laico, bianco o nero che tenga: dobbiamo metterci tutti insieme e tutti insieme presentarci, almeno idealmente, al distretto militare per arruolarci per l’imminente crociata che ci attende.

Ciò che inorridisce noi non può essere la semplice conta di tante vittime “innocenti” (e diremo poi qualcosa su questo aggettivo) anche se certamente la cosa ci risulta straziante. Perché? Innanzitutto perché, se proprio vogliamo esercitarci su questo terreno di semplice ragioneria, di simili vittime ce n’è altrove una caterva con cadenze spesso quotidiane e proprio a ragione dei “nostri” interventi nelle aree medio-orientali che oggi ci rimandano il boomerang sanguinario. Ma, senza sostare troppo sui casi arabo-islamici, di cui per principio non ci deve fregare un accidente, ripensiamo solo alla recentissima tragedia dell’aereo russo di cui, forse, ricorderete il numero delle vittime, largamente eccedente quello di Parigi. Ebbene, in questo caso nessun fremito di indignazione, nessun trasporto di solidarietà; nessuno, mentre tutti i superfessi di sinistra magari estrema scoprono che siamo tutti francesi, tutti Charlie Hebdo etc. etc., si azzarda ad abbozzare:ci sentiamo tutti russi. Anzi, seppur non detto: ben gli sta, a loro ed allo “zar” che si sono scelti. Quindi: smettiamola subito con questa panzana o diciamo chiaro e tondo quanto segue: solo noi occidentali, o meglio solo il nostro sistema imperialista occidentale con tanto dei propri cittadini al seguito, se toccato, può fregiarsi del titolo di vittima (vecchia la favola del lupo e dell’agnello, adattabile anche allo scontro tra lupi; in questo caso solo quello dell’altro branco è cattivo).

La solidarietà umana con le vittime? Noi siamo i primi ad invocarla. Ma perché essa significhi qualcosa in termini non di semplici piagnistei post festum, ma di azione attiva per evitarne la reiterazione – e non semplicemente “a casa nostra”, ma sotto tutti i cieli del mondo –, quel che ci vuole è un’energica azione contro la rete d’interessi del sistema imperialista ed il suo (logico, consequenziale) dispiegamento in armi. Da un astratto punto di vista individuale tutti i morti di Parigi sono degli innocenti, ma da un più ampio punto di vista sociale questa incolpevolezza è poca o nulla cosa. Nessuno di noi, in quanto soggetto sociale, può tirarsi fuori dalla mischia per poi dichiararsi incolpevole delle azioni “altrui”. Tutti noi, socialmente, siamo impegnati a star sulla scena, volenti o nolenti. Perciò, benissimo che alle anime buone scappi una lacrima per le vittime di Parigi e si deponga anche un fiore sui memoriali; malissimo, però, che mai sia scattato alla massa di queste anime buone l’istinto sociale di opporsi alle nefandezze perpetrate dal proprio paese, dalla propria “civiltà”. E pessimissimo che, ora, l’indirizzo dominante sia quello di una rinnovata union sacrée con tanto di à la guerre comme à la guerre sulla bocca di una massa di fetenti che meriteranno di esser colpiti di rimando da parte dell’union sacrée opposta.

La forza suasiva dell’imperialismo è tale che persino molti imam parigini si possono permettere di intonare La Marsigliese per dichiararsi “enfants de la patrie” (imperialista) e pronti a recitare la propria parte di servi stipendiati della nazione “ospitante”. Qui in Italia, ad una trasmissione televisiva, ci è capitato di assistere all’intervento di un imam milanese, dall’aspetto lombrosianamente poco affidabile, che in contrapposizione ad un sacerdote ed una medio-orientale in rappresentanza della...Lega i quali apertamente parlavano degli eventi di Parigi come di una risposta, sia pur esecranda, da parte di aree offese dal nostro Occidente, ha letteralmente sostenuto che non si tratta di alcuna offesa da riscattare, tanto meno da parte di un paese come la Francia aereobombardiera, paladina dei diritti universali, ma di un attacco criminale ed immotivato dell’Isis pilotato indovinate da chi!, da Assad (e, intuibile, da Putin). Questi gli islamici buoni che debbono piacerci e che certamente si meritano dei congrui assegni da parte di Washington e Bruxelles per i servizi resi alla “nostra civiltà”, di cui anche i cagnolini fedeli possono godere purché a cuccia.

Quanto all’Isis poche sommarie parole. Al di là della repulsione per gli atti di autentica barbarie da esso commesse, e che per altro sono connaturate alle crociate espansive di qualsiasi civiltà od inciviltà che dir si voglia, a cominciare da quelle cristiane d’antan, il motivo reale della nostra contrapposizione ad esso sta nel modello reazionario di società che esso propone, il quale, per affermarsi, deve passar sul cadavere delle stesse più avanzate sperimentazioni “moderniste” (cioè. Sottocapitaliste, dati i rapporti di forza in campo) del mondo arabo-islamico, e questo con l’avallo, per diverse ed assolutamente proprie ragioni, dell’imperialismo occidentale nella fase iniziale che prevede una mossa della pedina Isis per dar scacco a... Il che non può farci dimenticare che non si tratta semplicemente, come si può leggere da qualche parte nei nostri dintorni, di una semplice azione telecomandata da Washington, Parigi o Tel Aviv, ma di un tentativo reazionario da autentica “primavera araba” (da seppellire, però, da noi) di riscatto da uno stato secolare di soggezione di queste terre da parte dell’Occidente oppressore. E questo spiega benissimo l’eco raccolta da parte dell’Isis (come efficacemente dimostrato da Quirico nel suo recente libro Il grande Califfato) in ambienti islamici che si ridestano, sia pur per vie – ahinoi! – sciagurate, alla lotta anti-imperialista. Si cade dalla padella nella brace? Se il movimento di classe nei paesi arabi-islamici ritarda od agonizza e se qui in Occidente vale la stessa cosa in luogo di una saldatura proletaria tra “i due pulcini spaiati della stessa chioccia” è logico che questo sia il risultato. Noi semplicemente diciamo: noi, compagni comunisti internazionalisti, intendiamo raccogliere la spinta ribelle di massa da voi dell’Isis usurpata e rivolgervela contro; non con meno, ma con più spirito e programma rivoluzionario.

Capisca chi può.

17 novembre 2015



copertinaCODICILLO

Dal libro sopra citato di Domenico Quirico “Il grande califfato” (Neri Pozza editore), riportiamo un significativo estratto delle pagine 139-143.

Raccomandiamo vivamente la lettura, sempre stilisticamente viva e spedita, di questo volume, in quanto – al di là delle ovvie differenze di “ideologie” e schieramento tra noi e l’autore – molto aiuta a capire, a partire dalla Tunisia, dell’humus da cui un’esperienza come quella dell’Isis può nascere ed attrarre a sé forze potenzialmente disponibili ad una lotta in tutt’altra direzione.

Ma, come efficacemente scrive l’autore, per capirci veramente qualcosa bisogna lasciarsi dietro l’immagine di un islamismo che ci siamo inventati per non avere paure: quello “pragmatico” di cui egli parla così come quello “primaveril”- proletario che qualcuno nei nostri dintorni si è sognato e s’è speso a propagandare.





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Bisogna, per questo, lasciarsi dietro gli orizzonti dell’islamismo "pragmatico", desacralizzato dal dio Potere, la socialdemocrazia islamista dei Fratelli Musulmani, di Ennahda, che spesso, dopo le rivoluzioni arabe, ci siamo inventati per non avere paura. Bisogna camminare su tracce che non comprendiamo più, che abbiamo dimenticato, quelle dell’Assoluto, il vasto territorio del Pentimento e del Desiderio struggente.

Yusef che andrà in Siria per combattere un altro regime empio, quello di Assad, non è solo. Altri ragazzi tunisini sono già partiti. Il reclutamento in alcune moschee radicali della città, poi un biglietto aereo per la Turchia e l’armata dei ribelli «dove ci sono altri fratelli, tanti, egiziani libici algerini». Ancora le Brigate internazionali islamiche, come in Afghanistan, come in Iraq, come in Bosnia.

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Era uno di quei "teppisti" dei quartieri poveri che l’hanno tenuta dritta, la rivoluzione, nelle strade, sotto i colpi dei manganelli, nel fumo assassino dei lacrimogeni.

Noi non li abbiamo citati, preferivamo i ragazzi di internet, i figli della borghesia arricchita dai traffici del presidente Ben Ali, che la rivoluzione l’hanno gustata a parole, per noia e per snobismo.

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Paura di precipitare in una guerra crudele, spietata, senza addestramento? Di punto in bianco, senza preavviso, il ragazzo si anima come se, pronunciando inavvertitamente una parola magica, avessimo aperto la porta della grotta.

«Tu non sai niente: paura, coraggio... la mia forza non è nelle armi, è dentro. Io sono uno strumento. Noi musulmani eravamo diventati come un’erba che non può vivere senza arrampicarsi su qualcos’altro, dipendevamo dalle cose che ci date voi, che ci insegnate voi. Ora è la nuova rinascita. Avere paura dell’esercito di un tiranno? Non vedi che Dio sta già provvedendo? Dio ha confuso la mente degli americani, sì, gli americani ci aiutano, armano, finanziano, sono diventati lo strumento della santa causa».

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Non illudiamoci, il futuro è dei salafiti, gente che pensa che un solo gesto di audacia basti a modificare l’idea stessa del possibile, che vive una guerra per scelta e non per necessità e quindi una guerra che può sempre ricominciare, è sempre alle porte.

Anche Ihmed Zouhari è giovane, ha occhi chiari, di acciaio, tanto fermi e risoluti che ti pare di sentirti passare due mani sulle spalle. È uno dei capi del Partito della rinascita, che ha sede nel malfamato quartiere della Porta verde. Hizb al-Tahrir, dicono, ha struttura di setta, evita la luce, pratica una selezione ossessiva e l’entrismo nei gangli del potere e della forza, odia i Fratelli Musulmani e chi mescola l’Islam con la democrazia. «Abbiamo sperimentato tutto, liberalismo dittature nazionalismo socialismo. Cosa abbiamo ottenuto? Solo povertà e corruzione. Resta l’Islam, totale integro puro. Ecco dove i partiti come i Fratelli Musulmani sbagliano: a mescolare l’Islam con altro. Invece occorre un cambiamento radicale, creare un sistema unico, uno Stato retto dalla dottrina islamica, dal Corano, e poi riunire tutti i Paesi arabi e musulmani sotto un’unica bandiera.

«Era così prima del complotto franco-inglese. Non è un sogno, è realtà: di più, è un dovere, come la preghiera ogni giorno. Avremo un califfo assistito da un consiglio, ci saranno delegati che si occuperanno dei vari settori dello Stato, che controlleranno che il califfo rispetti il mandato divino. Governare con l’Islam ed estenderlo al mondo. E poi giudici che il califfo non potrà revocare».

Gli opponiamo una diga che sembra solida, il dubbio cioè che una dottrina nata secoli fa possa affrontare la modernità. «Voi non capite, la vostra democrazia va bene per voi, un mondo dove la gente non può mettersi d’accordo su un modo di governare, dove l’ideologia serve solo a prendere il potere e varia a seconda dell’utile. Qui ci possono essere partiti, ma solo nell’Islam. Dite che è Medioevo? Vi chiedo: forse che l’uomo nel frattempo è cambiato?»

(...)