nucleo comunista internazionalista
note




IL DIRITTO DI ISRAELE AD ESISTERE:
NON ESISTA IL POPOLO
CUI SI E’ STRAPPATA LA TERRA

La vulgata propagandistica vorrebbe far intendere che l’attuale operazione militare israeliana “Margine protettivo” (ad evitare che i palestinesi abbiano margini per proteggersi!) sia stata determinata dall’uccisione di tre giovani ebrei da parte di Hamas a causa del suo congenito “antisemitismo”.

Che nella triste vicenda in oggetto Hamas non abbia avuto alcun ruolo risulta abbastanza scontato a tutti gli osservatori solo un tantino rispettosi dei fatti e della logica. La paternità dell’omicidio non può essere attribuita che a frange fondamentaliste fuori controllo (come risulta anche dalla dichiarazione del portavoce della polizia di Tel Aviv, ripresa dal Manifesto del 27 luglio) o semplicemente ad un gruppo informale di palestinesi esasperati, indotti a vedere nell’ebreo in quanto tale, qualunque ebreo, il nemico. Questi gli autori di un’operazione certamente esecranda, ma la cui responsabilità prima sta a monte unicamente nel regime di sopraffazione e terrore esercitato dallo stato d’Israele contro la popolazione palestinese di cui questo omicidio non è che la (deprecabile) conseguenza. Valga per tutti quanto un lettore ha scritto al Manifesto: “Secondo le stime della Ong israeliana (si noti bene!, n.n.) BTselem, dal 2000 al 2010 sarebbero oltre 7000 le persone rimaste uccise in Medio Oriente (meglio: nell’area, n.n.), di cui ben 6000 cittadini palestinesi (..) uccisi tutti da azioni di Israele”, senza menzionare i 1500 morti a Gaza tra il dicembre 2008 e il gennaio 2009 in seguito all’operazione “Piombo fuso” (a... margine protettivo).

L’attuale operazione ha già prodotto un altro bel numero di morti, feriti e distruzioni a titolo di rappresaglia e, a questo proposito, ci vien fatto di ricordare l’episodio delle Fosse Ardeatine al seguito dell’uccisione da parte di certi “resistenti” romani di una pattuglia di “guardie dell’ordine civile” – neppur propriamente militari – al servizio dei tedeschi: il crimine per cui il “boia Kappler” è stato condannato è stato quello di aver “ecceduto” nel “diritto di rappresaglia” secondo le “leggi di guerra universalmente riconosciute” di qualche unità oltre il “legittimo” dieci contro uno. Ora, a parte che nessun “resistenzialista” attuale si sogna di attribuire all’operazione dei “partigiani” di allora un significato di “razzismo antitedesco” corrispondente all’“antisemitismo” imputato ad Hamas per la morte dei tre giovani aspiranti rabbini (à la guerre comme à la guerre! È la rivendicazione), qui siamo – attualmente – oltre il 400 contro 1, e “difatti” c’è chi parla di “risposta sproporzionata” da parte di Israele. Ciò non toglie che “Israele abbia il diritto di difendersi” ed i suoi Kappler al cubo possono dormire sonni tranquilli. E c’è anche chi, come Il Foglio di Ferrara (22 luglio) invoca: “Israeliani di tutto il mondo unitevi” e chiama i cristiani ad unirsi a questa Internazionale (dell’imperialismo) a favore di un paese “costretto ad uccidere per non essere ucciso” e perciò presumibilmente chiamato ad uccidere su più larga scala in reazione alla “minaccia islamica” (che si potrebbe risolvere con qualche bombetta atomica all’occorrenza).

Sempre un lettore del Manifesto ha trovato modo di lamentarsi per un articolo di Michele Giorgio che “si dilunga giustamente” sulle “conseguenze terribili per la popolazione palestinese” dell’attuale operazione militare israeliana, ma “senza un cenno di condanna per un assassinio atroce” (i tre di cui sopra) che ne starebbe alla base. Un bel modo di interpretare le cose, e senza una riga di commento da parte della redazione! Tutta questione di “sproporzioni”!

Più in generale notiamo che gran parte dei “compagni” la batte sul tema “umanitario” dei “civili” che, in maggioranza, soffrono della “ritorsione (di autodifesa?)” israeliana. Noi ci permettiamo di distanziarci da simili posizioni. Per due ragioni di fondo. La prima – che ha una sua logica assassina – sta nella considerazione fatta a suo tempo da una responsabile israeliana: ci accusano di ammazzare anche i bambini, ma non si tien conto che, crescendo, essi sono destinati a diventare dei “terroristi”; è vero: Israele a ciò li destina (e noi stiamo in questo dalla loro parte!). In secondo luogo, e conseguentemente: colpire “il braccio armato di Hamas” significa di per sé colpire alla radice la popolazione civile palestinese che reclama il suo diritto ad esistere e se anche Israele a tanto si “limitasse”, risparmiando donne e bambini, nulla di sostanziale cambierebbe: à la guerre comme à la guerre! Ogni “umanitarismo”, al di fuori di ciò, vale zero, ovvero serve solo a mistificare il senso delle cose.

Va da sé che noi non stiamo affatto dalla parte di quegli esecutori materiali dell’omicidio in questione come “arma di battaglia” da impugnare, e per solidissime ragioni di fondo. La soluzione cui miriamo non è certamente quella del conflitto tra arabi ed ebrei “in quanto tali”, ma quella di un conflitto di classe in grado di scardinare le attuali linee divisorie (necessariamente cruente) tra le due “popolazioni” in vista di un’unità proletaria arabo-israeliana capace di promuovere una soluzione socialista unitaria del problema; in grado, quindi, di passar sopra l’attuale stato di Israele da un lato e le micragnose borghesie arabe di volta in volta “conflittuali” con esso entro ristretti recinti “nazionali” e/o collaborazioniste con esso. (E ciò ci separa contemporaneamente da tutte le attuali dirigenze della lotta palestinese con cui è doveroso solidarizzare fino in fondo proprio perciò distanziandosi da cima a fondo dai suoi leader attuali).

Questa prospettiva programmatica non è solo nostra, ma fa parte comune del bagaglio di quanti si rifanno – più o meno decentemente – alle tradizioni terzinternazionalistiche. Una posizione analoga sul piano delle affermazioni di principio la troviamo, ad esempio, in un recente scritto di Falcemartello che abbiamo sotto gli occhi (e non sarà certo l’unico caso). Tanto basta a tracciare una linea discriminante rispetto a tante, troppe dichiarazioni verbali di solidarietà con la Palestina prive di qualsiasi programma se non quello dell’appello alle “coscienze”, alle “istituzioni internazionali” tipo ONU (buono quello!) e della rivendicazione dei “due popoli due stati”, che vorrebbe essere concretissima rispetto ai nostri “astrattismi” mentre è solo fumo negli occhi e per giunta del tutto reazionario.

Tuttavia, se questa prospettiva si trasforma in un ordine del giorno immediato che basterebbe solamente la buona volontà delle “masse” e qualche buon “dirigente” – ovviamente “trotzkista” – in più per trovare attuazione si cade nel paradosso. Leggiamo: “L’eroica resistenza del popolo palestinese potrà essere vittoriosa se si tramuterà in lotta di massa, se si collegherà alle rivolte (solo per il momento sopite) del resto del mondo arabo e riuscirà a connettersi con la crescente rabbia e insoddisfazione della classe lavoratrice israeliana, usando come ponte le mobilitazioni giovanili e contro la guerra che pure ci sono state e ci sono tuttora in Israele. (..) Una lotta degli israeliani contro il proprio governo non è un’utopia...”, etc. etc.

La resistenza palestinese è già un fatto di massa, non ha bisogno di trasformarsi in quel che è già, ma di darsi altre gambe su cui reggersi e rilanciarsi classisticamente. Con le rivolte arabe più “sopite” schiacciate sotto il tallone di ferro della reazione, come in Egitto, anche e principalmente per le proprie debolezze interne (altro che “rivoluzioni”!), per non parlare di quella libica (!!!) e siriana (!!!) – con cui certi “marxisti ortodossi” di qui non hanno esitato a solidarizzare senza poi trarre lezione alcuna dai fatti palpabili – non si tratta di “collegarsi” in astratto, ma di fissarne finalmente le necessarie direttrici di marcia a venire onde evitarne avvii ed esiti catastrofici altrimenti obbligati. Quanto poi alla “connessione” con immaginarie rivolte ebree c’è solo da registrare la loro massiccia assenza, fatta salva una frangia ridottissima di intellighentzija (soprattutto) e gioventù poco propensa a pagare le spese della guerra sulle proprie spalle e carni, cui va dato atto di un ammirevole coraggio nella situazione interna attuale, ma nella quasi totalità entro il recinto dello specchietto per le allodole dei “due popoli due stati” incapace di rimettere in causa la natura colonial-imperialista del “proprio” stato.

In questo quadro c’è poco da discettare. Hamas, o Hezbollah altrove, rappresenta attualmente la punta più avanzata della resistenza palestinese con tutte le sue micidiali tare di partenza e d’arrivo... al KO (ben evidenziate dall’attitudine assunta sul caso libico nel corso del quale si è “collegata” alla reazione imperialista, non si sa in attesa di quali riscontri utili per i propri ridotti “nazionali”!), mentre sul proscenio si affacciano altre forze “propalestinesi” a loschissime tinte jihadiste. Il tutto mentre l’ANP di Abu Mazen riconferma la sua natura collaborazionista dipendente rispetto al boja israeliano. Il compito che s’impone ai palestinesi è di mantenere e rafforzare la lotta di resistenza che attualmente si fa sotto queste bandiere per spezzarne le impotenti linee d’indirizzo separandosi dalla propria sotto-borghesia su una linea anche all’interno rivoluzionaria di classe. (Giustamente Falcemartello invita al “rovesciamento di tutti i governi della regione”, compreso quello di Hamas, che, però, non va messo sullo stesso piano di quello di Netanyau o Abu Mazen).

Il richiamo al “coinvolgimento” del proletariato ebraico nella faccenda è più che sottoscrivibile così come quello che si deve rivolgere ai proletari delle metropoli imperialiste legate a filo doppio ad Israele e, al momento, non più presenti – quando va bene! – delle classiche tre scimmiette che “non vedono, non sentono, non si muovono”. E’ la classica posizione stabilita, una volta per tutte, dalla Terza Internazionale nelle tesi sulla questione nazionale e coloniale cui rimandiamo ed alla loro riconferma inequivoca da parte della Sinistra Comunista nel secondo dopoguerra. A patto di non giocare con dadi truccati trascurando i dati di fatto attuali (il che risulta un mezzo molto comodo per rifugiarsi in astratte petizioni di principio lontane dalla realtà e, con ciò, mettere in secondo piano i terribili compiti che ci spettano per invertirne l’ordine dei fattori).

Da qualche parte si accusano i palestinesi di “antisemitismo” (termine già di per sé inesatto, trattandosi di... semiti autentici contro i quali altri, semmai, eserciterebbe l’”antisemitismo”; diciamo dunque meglio di: “razzismo antiebraico”). A tal proposito va detta una cosa che a molti sembrerà anche eretica: in una situazione in cui la pressoché totalità degli ebrei risulta schierata a favore del proprio stato oppressore e, con essa, tutta la “comunità internazionale perbene” ed a misura – non dimentichiamolo! – delle difficoltà del movimento palestinese di resistenza di darsi dei connotati un tantino più all’altezza dei compiti (sia classisti, proletari, che “semplicemente” nazionali da un punto di vista pan-arabo) l’“antiebraismo” risulta qualcosa che va compreso da parte dei comunisti (che pur stanno su altre lunghezze d’onda) e persino sottoscritto per la sua valenza di lotta pienamente legittima. Un paragone? Quello col cosiddetto “razzismo antibianco” dei “colorati” africani scesi in campo contro il colonialismo: bianco il colonialismo, tutti i bianchi con esso contro di noi, e noi neri – allora – contro “il bianco”. Razzismo? No, semplicemente un episodio di lotta di classe; “razze schiave contro razze padrone”, per riprendere la bella espressione di un bel libro sul tema (P. Basso, Razze schiave e razze signore – Franco Angeli, 2000). Non a caso la Terza Internazionale avvertiva i “compagni” francesi: l’orgoglio di razza bianca “civile” che voi osate sbandierare rispetto agli arabi e neri “incivili” (tenuti sotto osservazione, non precisamente da incivilimento... culturale dal “vostro” stato) merita che vi si scagli contro il salutare “razzismo” (risorgimentale) arabo e nero! Il che non è affatto ineluttabile se... E qui sta il punto.

Sotto certi aspetti la questione palestinese mostra persino degli arretramenti rispetto al passato.

Quando i sionisti si apprestarono a ricostituirsi (!!!) “il proprio stato” nella terra “biblica” di cui già facevano parte come minoranza nazionale, alcune correnti “socialiste” (od anche staliniste) ebraiche non ancora del tutto svincolate (almeno formalmente) dalla memoria di classe si adoperarono per trovare una via d’intesa “fraterna” coi propri compagni (di classe) arabi in nome dell’“eguaglianza” fra i due popoli. A ciò si contrapponevano, però, due elementi di fondo: l’ineluttabile logica colonialista dello stato d’Israele da una parte e l’arretratezza sociale e politica della risposta araba legata ad una difesa della propria identità nazionale consegnata nelle mani di classi arabe reazionarie (quelle stesse, magari, affrettatesi a vendere legalmente ad Israele le terre del “proprio popolo”) condannate dalla storia rispetto al rullo compressore del capitalismo israeliano storicamente “in diritto” di “farle fuori”. Con l’insorgenza di un movimento di liberazione nazionale pan-arabo finalmente in grado di mettere a profitto le lezioni della storia (anche a seguito della indubbia modernizzazione indotta nell’area da Israele) i connotati proletari di classe erano destinati a crescere e, contemporaneamente, a proiettare sulla scena un protagonismo proletario in grado di coinvolgere assieme compagni arabi ed ebrei. Rimandiamo per tutti agli esempi testimoniati nel corso del ’68 dai Quaderni del Medio Oriente pubblicati qui in Italia per 15 numeri a testimonianza di un massimo (ancorché minoritario, ma estremamente significativo) sforzo di unità proletaria arabo-israeliana sino all’ipotesi – per qualcuno – di un unico stato socialista comune ai due popoli in causa, oltre la “soluzione democratica del conflitto” richiamata nella testata.

Questa prospettiva è venuta progressivamente meno nel corso degli anni successivi tanto per la “liquefazione” della sinistra classista israeliana quanto per il richiudersi del movimento palestinese entro un’ottica micronazionalista mirante ad una insussistente “solidarietà araba” sans phrase o ad una sua presunta versione da “comunità islamica” oppure ai buoni uffici della “comunità internazionale”, come nella versione del quisling Abu Mazen sorretto da una pletora di sottoclassi palestinesi micro od anche precapitaliste che “rappresentano” il “popolo palestinese” e pesano su di esso.

L’indomita popolazione della striscia di Gaza appare oggi totalmente isolata persino rispetto ai “propri fratelli” del grosso (non)stato palestinese in perenne gestazione... abortiva. Peggio ancora rispetto al resto dei paesi arabi. Dice bene Le Monde diplomatique di luglio: “La lotta palestinese, causa sacra dei nazionalisti arabi, ha perso centralità. I regimi arabi l’hanno usata e ne hanno abusato, i movimenti islamisti vi hanno fatto riferimento, ma non l’hanno mai considerata propria. Negli sconvolgimenti regionali, è stata in gran parte dimenticata”. Ed omettiamo, ovviamente, di parlare dell’interessamento alla faccenda da parte della “comunità internazionale”!

Ciononostante, proprio adesso sta venendo il momento propizio per un ribaltamento della questione. Sono venuti a maturazione, infatti, i tempi di una soluzione di classe del problema grazie al diverso peso assunto in tutti i paesi arabi (“grazie” anche all’impulso impresso da Israele – dialettica del colonialismo “civilizzatore”! – alla modifica del quadro economico-sociale del mondo arabo). Spetta ai resistenti di Gaza di porre sul piatto il problema di una rivoluzione di classe oltre i propri ristretti confini capace di ridisegnare per via rivoluzionaria gli assetti interni a tutto il mondo arabo attraverso una reale... estate di fuoco. Noi ci auguriamo questo dilagare di una nuova intifada palestinese ed araba in grado di incendiare l’area secondo nuovi e diversi connotati di classe.

La risposta militare di Hamas al genocidio perpetrato da Israele ai danni della popolazione di Gaza assume comunque una sua valenza non da poco: per quanto si combatta ad armi assolutamente impari qualche colpo all’esercito israeliano è stato portato con (relativo) successo ed in futuro sarà meglio (o peggio, secondo altri) ancora. Si tratta pur sempre di un piccolissimo Vietnam, ma è quello che può servire a smuovere un inizio di differenziazione ed opposizione interna reale anche in Israele e, contemporaneamente, a mettere in causa la stessa linea micronazional-resistenzialista di Hamas. Se poi, sotto i colpi della crisi maturata in Occidente, si dovesse rilanciare un movimento di classe qui, nelle metropoli, verrebbe al dunque la questione del “collegamento” tra i due “pulcini spaiati della stessa chioccia” capitalista come noi già “sognavamo” (in lotta) ai tempi del buon Lenin. Per microbiche che siano al momento le manifestazioni di Parigi e Londra a sostegno della causa palestinese, con militanti indigeni ed arabi uniti, cui si affiancano anche degli ebrei dimentichi dei loro “doveri di razza” (ad essi il massimo della nostra vicinanza!), ne sono un’anticipazione: stiamo dalla parte dei palestinesi in quanto stiamo dalla nostra parte di classe. Il tutto detto senza esagerare! I francesi, soprattutto, scesi in piazza per sostenere la causa palestinese infrangendo i divieti imposti dal “loro” potere statale si scontrano, tra le altre cose, con una caratterizzazione apertamente ebraica dell’Eliseo (in continuità Sarkozy-Hollande) apertamente – e “naturalmente” – schierata a favore di Israele e degli USA per solidarietà di “razza imperialista”. C’è, sotto sotto, il pericolo di posizioni “razziste” antiebraiche? Valga quanto abbiamo detto qui sopra in proposito. In ogni caso esse andrebbero addebitate ai criminali israeliani, USA ed occidentali (non dimentichiamoci dei nostri Renzi!) che ne stanno preparando l’infido terreno.

1 agosto 2014