nucleo comunista internazionalista
note




AGGIORNAMENTI SULL’UCRAINA

Una lieta notizia: in Ucraina si è – stando ai, senz’altro obiettivi, monitoraggi occidentali – liberamente votato e poco male che una buona fetta del paese non l’abbia potuto/voluto fare, che certi partiti scomodi non si siano potuti presentare alle elezioni e l’astensione non vi venga conteggiata e che il candidato principe alla corsa di premier designato dall’Occidente (ed Israele, ovvero di una certa lobby finanziaria e politica internazionale i cui connotati “razziali” sono solo uno: il capitale) abbia potuto godere di tutti i carri armati della “pubblica persuasione” mediatica e di tutti i mezzi, parimenti suasivi, della corruzione clientelare dell’elettorato. (Se in Russia trionfa Putin si è sempre pronti ad eccepire che da qualche parte c’è stato un voto truccato – eventualmente di qualche briciola centesimale – e che “lo zar” dispone di mezzi mediatici “esclusivi”, ad onta di tutte le centrali interne ed internazionali che giocano da “indipendenti” in nome della democrazia... USA-Occidentale. Se in Siria un voto di massa pro-Assad, incontestabile, premia “il tiranno” vale la stessa cosa. Buone, invece, le elezioni in Iraq, Afghanistan, Libia, Egitto... E se in Ucraina già si contano a centinaia i morti, civili in primo luogo, si tratta unicamente di “misure per la difesa della democrazia”. Tutto perfettamente in regola. Volete mettere con i metodi dittatoriali dello “zar” che ha osato toccare o: semplicemente sfiorare – le Pussy Riots per le loro escrementizie esibizioni su un altare? In Italia, poniamo, si agisce molto più “democraticamente”: come, ad esempio, con i sostenitori della No-TAV semplicemente messi sotto accusa per “terrorismo” od anche, se vogliamo, coi quattro fessi di Casa Pound colpevoli di non si sa quale delitto per aver divelto un’insegna comunitaria invece di pornoesibirsi sull’altare (e poi staremmo a vedere!)).

Ironia a parte (finché ci è legalmente concessa), riportiamo qui due documenti sulla questione ucraina che possono dar luogo a qualche seria ed utile considerazione.

Il primo è un intervento di Michele Basso da noi largamente condiviso (a parte la dubbia necessità di calcare la mano sul quantum e quale delle misure repressive “in generale” in Russia ed in Cina, che quando ci sono (e ci sono!) mirano a colpire direttamente ed esclusivamente la prospettiva proletaria; e saremmo più cauti anche per quel che riguarda il Brasile, al di là del riconoscimento che non siamo affatto in presenza di un governo libertador –vale anche per il Venezuela – e che i motivi per una rivolta di classe ci sono tutti, con qualche “però”, tuttavia quanto ai movimenti in corso). Benissimo la messa in guardia, rivolta ai soliti noti, contro lo schieramento “tattico”, o peggio, a favore dei presunti “anti-imperialisti” in salsa russa o cinese. Col che, però, non viene meno il dovere di solidarietà con la rivolta “filorussa” di una parte consistente di popolazione ucraina che va sì orientata nel senso internazionalista di classe, ma va anche da noi presa in carico per i motivi, perfettamente legittimi che la determinano per sottrarla alla scelta di campo nazionalista, borghese secondo i criteri d’indirizzo che traccia il Basso e noi condividiamo.

Il secondo documento è tratto dal giornale Italia Monarchica del 3 febbraio 1949 ove si dà un’ampia, precisa ed ovviamente magnificata illustrazione della lotta dei “partigiani ucraini” eredi dell’alleanza con l’Asse sin nel secondo dopoguerra e messa provvisoriamente KO dall’URSS solo agli inizi degli anni cinquanta prima di esser ripresa attualmente. Si tratta di un episodio largamente dimenticato e di cui va rinfrescata bene la memoria. Sottolineiamo del pezzo in oggetto le ultime righe: “Verso la fine del ’47 lo spirito combattivo degli ucraini si fiaccò. Temevano di essere abbandonati dalle potenze occidentali”, ma “il nuovo determinarsi della situazione politica internazionale ha ridato coraggio alle forze partigiane”. L’Occidente aveva combattuto con Stalin il nazifascismo in nome della propria fascistissima democrazia, ma, vinti Fuhrer e Duce, gli arnesi fascisti dell’Est potevano andar benissimo per mettere in regola l’ex alleato sovietico diventato “il nemico numero uno” (sempre della... democrazia), e questo la dice lunga sul valore della crociata “democratica” USA. La merdaccia borghese europea “liberata” dagli USA dall’incubo (europeista a suo modo!) dell’Asse sottoscrive e il francoisreaeliano Hollande può mettere in scena la sua turpe kermesse a ricordo dello sbarco yankee in Europa (per invaderla!) con un codazzo al seguito tra cui spiccano i nostri renziani. “I nostri liberatori di sempre!”; così recitano i cagnolini al guinzaglio addestrati alla caccia delle volpi (sovietica, cinese, libica, siriana etc.etc.: la preda da azzannare non manca davvero e si sta anzi moltiplicando!)

Al caso ucraino, qui perfettamente delineato, si possono tranquillamente aggiungere quelli del recupero della “resistenza ustascia” croata e di mille altri casi di appoggio a forze di reazione antisovietica da “guerra fredda” (scaldatasi “pacificamente” e trionfalmente col crollo dell’“impero sovietico” qualche tempo fa e tuttora in corso contro la reazione “anti-imperialista occidentale” putiniana e cinese). Anche in Croazia, giova ricordarlo, Tito dovette battersi a lungo contro certi “partigiani” con sede da “governo provvisorio” nelle cancellerie occidentali. Anche gli stessi “partigiani”ceceni avevano le loro sedi a Berlino.

Una curiosità: l’“impero sovietico”, colpevole con lo stalinismo di aver fomentato la rivolta di popolazioni costrette a pagare altissimi costi per lo sviluppo capitalistico dell’URSS (e gli ucraini certamente tra i primi), nel dopo-Stalin si è dimostrato talmente poco “russocentrico” da aver concesso all’Ucraina “pacificata” la Crimea grazie all’... ucraino Kruscev, misura poi confermata anche dall’... ucraino Breznev e ciò nell’illusione di aver sistemato tutti i debiti pregressi. Non è stato così, ed oggi lo vediamo, dato “il nuovo determinarsi della politica internazionale”. Di certo non si uscirà dall’attuale sanguinolento pantano facendo il gioco di un Asse borghese contro l’altro, ma rilanciando la lotta internazionalista del proletariato contro le grandi manovre di imperialismi grossi e piccoli (od “oppressi”?!). Il proletariato ucraino, quello russo, quello di casa nostra ed occidentale in genere: tutti, al momento, privi di un proprio indirizzo di classe; ma la partita è solo agli inizi e staremo a vedere se le sostanze esplosive che si stanno accumulando potranno essere tranquillamente imprigionate nella pentola a pressione di un capitalismo in crisi ed in prossimità di un’esplosione. Tutto sta, per quel che ci riguarda, nel fare la nostra parte.

13 giugno 2014



Il gioco delle potenze
nell’Ucraina insanguinata

Il finanziere George Soros, al Salone del Libro di Torino, ha presentato il suo libro "Salviamo l’Europa". Quando vuole salvare qualche paese, c’è da preoccuparsi seriamente. Nel 1992, in pochi giorni, fece crollare la sterlina e la lira: vendette più di 10 miliardi di dollari in sterline e la Banca d’ Inghilterra fu costretta ad uscire dal Sistema Monetario Europeo: Soros guadagnò circa 1.1 miliardi di dollari. Poco tempo dopo, fece crollare la lira. E’ ovvio, per evitare la solita retorica borghese dell’individuo che si è fatto da sé, che S. rappresenta una rete di interessi, perché il capitalista è la personificazione del capitale, ma quasi sempre i soldi sono di altri.

Alcune sue dichiarazioni al Salone del libro: "Putin assomiglia a Mussolini tra le due guerre mondiali e a Salazar, che era circondato da oligarchi". Soros può permettersi di prendere per i fondelli impunemente chi lo ascolta, perché, se c’è un oligarca, è proprio lui. A suo confronto i nostri oligarchi ( Berlusconi, De Benedetti, Elkann, Diego Della Valle...) sono dei nanerottoli.

Gli Europei, continua Soros, "non si rendono conto che siamo in un momento di emergenza e non danno all’Ucraina l’attenzione che merita, perché sono troppo concentrati sui loro problemi interni". Dovrebbero "sostenere finanziariamente e politicamente" l’Ucraina. Ecco un punto su cui sono d’accordo anche Obama e Putin: a tirare fuori i soldi per l’Ucraina deve essere la Ue, e in Europa indovinate chi?

Soros ha ascendenze ebraiche, ma non pare turbato dalla presenza in Ucraina di organizzazioni naziste. Niente di strano: i banchieri e i finanzieri, ebrei o fiorentini, genovesi o di Lione, di Anversa, della City o americani, di ieri o di oggi, hanno sempre avuto una sola patria e una sola religione, quella di Mammona. (1)

Finanza, grande industria e proprietà terriera, strettamente intrecciate, decidono delle guerre e delle paci infami, dell’economia di interi popoli, dello spread, delle campagne stampa... Obama è lo zelante maggiordomo di questo potere; se sgarrasse, in pochi giorni lo annienterebbero con qualche scandalo (vero o inventato, non importa). Poi, ci sono i parlamenti. Il capitale finanziario può sovvenzionare partiti nazisti, europeisti o antieuropeisti, liberali o di “sinistra”, confessionali o mangiapreti, cosmopoliti, regionalisti, xenofobi, correnti e giornali che danno la colpa di tutto alla Germania per assolvere gli Stati Uniti, partiti che gridano che bisogna punire i banchieri. Servono a fuorviare il malcontento, e, se per caso sono votati e portati al governo, si comportano esattamente come gli altri. Il parlamento può votare leggi avanzatissime contro le banche e la speculazione, “dimenticando” di aggiungere le norme attuative, in modo che restino lettera morta. Quanti presidenti USA, persino Bush e Obama, prima delle elezioni sostenevano la necessità di occuparsi soprattutto dei problemi interni, abbandonando il continuo e costoso (per i lavoratori e le classi sfruttate) interventismo militare perenne. Nei parlamenti e nelle dichiarazioni ufficiali si recita più ancora che a Hollywood, con la differenza che qui molti non sanno che il copione è già scritto.

Ogni anno i grandi della terra danno spettacolo, e si riuniscono al Bilderberg. Qui i veri potenti si incontrano con i politici loro servi, con i reazionari più in vista, gli uomini di paglia, i giornalisti alla moda. Serve più che altro a diffondere, spesso in maniera volutamente distorta, indicazioni già prese altrove. Ma non è qui la sede principale delle scelte; oppure qualcuno crede che aspettino Lilli Gruber, o altri giornalisti invitati, per prendere le decisioni che riguardano il mondo? I nomi dei partecipanti sono resi pubblici, ma non gli interventi. Questo serve a creare quel senso di mistero, accresciuto da ciò che filtra all’esterno, perché occorre far credere che tutto il potere risieda in qualche club esclusivo, in qualche setta, in qualche chiesa, in qualche sinagoga, in qualche consorteria. La borghesia è una classe, e al suo interno ci sono interessi diversi, conflittuali, unificati solo dalla necessità di mantenere lo sfruttamento capitalistico e l’asservimento delle classi sfruttate. I militanti di Occupy Wall Street non si sono lasciati confondere dalle dietrologie, e hanno affrontato un centro di potere determinante. E la violenza della repressione ha dimostrato che non avevano sbagliato bersaglio.

Wall Street “suggerì” : “Gli egiziani sarebbero fortunati se i loro generali avessero la tempra del cileno Augusto Pinochet, che arrivò al potere in pieno caos ma seppe coinvolgere dei riformatori liberali e introdusse una transizione democratica” (Wall Street Journal 4 luglio 2013) e i generali non se lo fecero ripetere: giovedì 15 agosto i morti ufficialmente riconosciuti erano oltre 600 e venerdì altri 173, mentre la Fratellanza parlò di 4500 morti in tutto l’Egitto (Bagno di sangue “democratico”, Combat, 17 agosto 2013).

Wall Street dichiarò che in Europa le costituzioni antifasciste erano un ostacolo, e siamo certi che i governi, a cominciare da quello italiano, faranno il possibile per non deludere le attese d’oltre atlantico.

La grande industria delle armi ha bisogno di commesse, ed ecco che, con toni arroganti, Obama dichiara che il pericolo russo è crescente, che l’Europa deve raddoppiare le sue spese militare, incurante della crisi, dei bilanci statali in pericolo. Le esigenze dell’industria bellica americana e dei suoi consoci europei sono imperiose, e s’impongono persino sulle più elementari esigenze di gran parte della popolazione. E’ il classico tema “burro o cannoni”, debitamente aggiornato. Gli F 35 si sono rivelati un disastro? Niente paura, ci sono paesi come l’Italia che sono disposti a comprarli, a classi dirigenti servili come la nostra si può chiedere questo e altro.

Di fronte allo sfrontato militarismo di Obama, attore duttile che ha cominciato con stucchevoli discorsi di pace – c’è chi vede come unica salvezza Putin, oppure una costellazione di stati denominata Brics. Ma la politica estera è la continuazione della politica interna: se pensiamo alla repressione dei minatori in Sudafrica, agli efferati delitti della polizia brasiliana per presentare, al momento dei mondiali, le strade libere da bambini diseredati, da mendicanti, abitanti di favelas e di chiunque protesti, alle condanne a morte così frequenti in Cina, e ai metodi a dir poco spregiudicati di Putin, ci rendiamo conto che non ci sono potenze liberatrici. Chi vede Putin a capo di una crociata antifascista, sogna. Vuole evitare che in Ucraina s’installi la Nato, in modo da non avere i missili al proprio confine, ma non pare propenso ad annettere l’Ucraina orientale. Se l’avesse creduto utile, l’avrebbe fatto al momento giusto, contemporaneamente alla Crimea. Vorrebbe dire accollarsi un debito enorme e rinunciare a una grossa parte dei crediti nei confronti di Kiev. Putin sa, inoltre, che sarebbe il pretesto per fare entrare nella Nato l’Ucraina occidentale, che il governo americano punta su una lunga guerra civile, e il Fondo monetario internazionale non scucirà un dollaro se il governo di Kiev non avrà il controllo dell’intero territorio. Perciò non farà mancare le armi ai russi d’Ucraina, in modo che resistano finché lo stato ucraino, senza gas e senza un soldo, non sarà costretto a venire a più miti consigli. Nel frattempo, senza tregua, la serie dei massacri, la fame, la paura.

Non bisogna mai dimenticare che la Russia di oggi è legata alla rendita petrolifera e del gas, e questo condiziona la sua politica interna ed estera. Tratta col Qatar per un’intesa tra produttori di gas e installa una linea telefonica privilegiata tra Putin e Netanyahu. Con gli USA, poi, ha l’interesse comune a tenere alto il prezzo del gas, perché, se questo crollasse, si sgonfierebbe la bolla americana dello shale gas (gas di scisto), la Russia, l’Iran, l’Australia e l’Algeria avrebbero gravi contraccolpi, il Qatar andrebbe a gambe all’aria, mentre ne trarrebbero vantaggio Cina, Germania, Italia, Francia, gran parte del resto d’Europa e la stessa Ucraina.

Abbiamo già visto che lo scopo principale delle provocazioni americane contro Russia e Cina è staccare Europa e Paesi dell’Estremo Oriente da Russia e Cina, e costringerli agli accordi capestro TTIP (Transatlantic Trade and Investment Partnership) e l’analogo trattato del Pacifico TTP (Trans-Pacific Partnership). Si tratta di una sorta di deriva dei continenti economica, di spezzare rapporti economici solidissimi con Russia e Cina e consegnare questi paesi, mani e piedi legati, agli USA. Il progetto è ciclopico, è improbabile che riesca, anche se il servilismo dei governanti europei è totale, come la loro cecità. Persino il Quisling afgano Karzai, che ha rifiutato di incontrare Obama, sembra più autonomo di loro. Comunque i blocchi continentali non sono mai durati troppo a lungo, si pensi a quello napoleonico. Una volta crollavano con le guerre e il contrabbando, oggi i capitali possono emigrare da una parte all’altra del mondo in tempo reale, e Obama non li può certo controllare. Moltissimi capitali si trasferirebbero in Russia e Cina, e i giganteschi gasdotti transiberiani potrebbero essere costruiti – somma irrisione per gli atlantisti – con capitali americani, inglesi, francesi, tedeschi, italiani e persino degli oligarchi ucraini. Gli Usa, forse, potevano tentare di realizzare un piano di integrazione con Europa ed Estremo Oriente nell’immediato dopoguerra, quando l’America era una calamita gigantesca, mentre ora è quasi smagnetizzata, e mantiene la supremazia con le armi e la politica; ma fino a quando?

In questo quadro, qual è la situazione dei lavoratori? I proletari ucraini, numerosissimi soprattutto nella parte orientale del paese, devono armarsi per difendersi, ma, poiché Putin darà armi solo ai gruppi di lavoratori che seguiranno la sua linea e non a quelli indipendenti, questi ultimi dovranno procurarsele col contrabbando. Si tratta di una situazione assai pericolosa, tutt’altro che rivoluzionaria, perché, se rifiutano di trasformarsi in strumenti al servizio di Putin, possono trovarsi contro Usa, UE, governo golpista e Putin. Per questo, occorre rompere le barriere di disinformazione e di censure che impediscono ai lavoratori americani, europei e russi, non solo di solidarizzare con loro, ma persino di essere informati correttamente. Ma non si tratta puramente di solidarietà internazionale, ma anche di salvaguardare la propria agibilità politica e sindacale. Se il capitale finanziario ha dato il via all’impiego dei nazisti in Ucraina e di Al Qaeda in Siria, non è certo disposto ad accettare che qualcuno rifiuti gli ordini in America o in Europa. Il nemico principale è in casa nostra, diceva Karl Liebknecht, e guardava alla Germania che, agli inizi della I guerra mondiale, era effettivamente uno dei tre principali centri dell’imperialismo mondiale (gli altri due erano Gran Bretagna e USA, mentre gli altri imperialismi, a giudizio di Lenin, non erano pienamente indipendenti). Oggi l’Italia è subordinata alla NATO, in una maniera impensabile soltanto pochi anni fa, è un imperialismo ’ascaro’, non ha neppure l’apparente autonomia che aveva quando era un imperialismo straccione. In casa nostra comanda la NATO, ed è il nemico da battere. Ma, sia chiaro, senza nessuna concessione ai nazionalisti, neppure se sfoggiano un linguaggio radicale, di “sinistra”.

Denunciare l’intervento in Ucraina della Cia, delle Ong finanziate da Soros, dei mercenari della Blackwater, ora ribattezzata Academi – senza nascondere che anche il regime caduto era corrotto – significa anche opporsi alla strisciante fascistizzazione dell’Europa. Per chiarire: quella tra fascismo e democrazia borghese non è una contrapposizione di classe, ma di due metodi usati dagli stessi padroni: quello che dà l’illusione alla popolazione di poter scegliere i propri governanti, che tende ad integrare e a subordinare con la corruzione le organizzazioni sindacali, ma lascia una certa libertà di parola e di critica, e quello che demolisce con la violenza le organizzazioni sindacali e politiche dei lavoratori e si manifesta apertamente come dittatura. Pretendere di combattere il fascismo alleandosi con gli attuali partiti al potere è come sperare nell’appoggio del maggiordomo del padrone contro i gorilla della sua guardia del corpo.

I lavoratori europei, se vogliono conservare e incrementare la propria agibilità politica e sindacale, e salvaguardare il diritto di sciopero, devono opporsi con tutte le forze all’interventismo Nato, consapevoli che i nostri governi, ferrati in linguaggio orwelliano, chiamano operazioni di pace le iniziative militari. Il record dell’ipocrisia e della censura va ai governi italiani: di molti bombardamenti o combattimenti a terra, in Serbia, Afghanistan, Libia, abbiamo avuto la conferma tempo dopo la loro conclusione. E, per aggiungere al danno la beffa, condiscono tutto con retorici richiami all’art. 11 della costituzione.

Una prima base d’azione è rappresentata da gruppi, già esistenti, che si oppongono al militarismo a livello locale. Il passo successivo è il loro coordinamento nazionale – operativo, continuo, con una direzione comune. Il conflitto, quando si sviluppa a livello nazionale, dice “Il Manifesto”, diventa lotta politica, lotta di classe.

Note

1) “ Fin dalla loro nascita, le grandi banche agghindate di titoli nazionali, furono pure e semplici società di speculatori privati, che si mettevano a fianco dei governi e, grazie ai privilegi ottenuti, erano in grado di anticipare loro denaro. Perciò l’accumulazione del debito pubblico non ha gradimetro più infallibile del progressivo rialzo delle azioni di queste banche, la cui fioritura piena data dalla fondazione della Banca d’Inghilterra (1694)”. Il Capitale, Libro primo, La cosiddetta accumulazione originaria, genesi del capitalista industriale. Traduzione Bruno Maffi.

(Māmōnā è una parola aramaica, passata nel greco e nel latino, significa ricchezza, guadagno, e testimonia quanto fossero antiche e diffuse le differenze tra le classi, ovviamente diverse da quelle moderne.)

Basso Michele


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partigiani ucraini

Il numero 47-38 è il nome di un reparto di partigiani ukraini. Dei partigiani dell’Ukraina si parlò molto alcuni mesi fa. Prima, come tutte le co­se che succedono in Russia, nessuno ne osava dire libera ­mente. Giravano delle notizie, con molta circospezione e sen­za nessuna garanzia. Si teme­va, come si teme, di parlare su tutto ciò che avviene dietro la famosa barriera di ferro.

Un anno fa, il 25 febbraio del 1948, qualcuno da dietro un tavolo rivelò quanto non si sarebbe mai creduto. Il se­gretario del comitato centrale del partito comunista ukraino, Nikita Kruscev, nel trentesimo anniversario della fondazione della Repubblica Sovietica Ukraina, si scagliò contro le forze fasciste esistenti in Ukraina. Queste forze, egli di­chiarò, si sono ora messe al servizio dello imperialismo anglo-americano. La storia del colore fascista delle formazio­ni non è cosa molto seria, l’ap­pellativo di fascista è dato dai sovietici a tutti coloro che non militano sotto le insegne del­la falce e martello. Nikita Kruscev ammise però l’esistenza di combattenti anti-co­munisti nella sua repubblica. Il «Journal American» di New York precisò trattarsi di fatti di grossa portata. Quasi un milione di persone organiz­zate contro l’esercito rosso. Anche i giornali italiani par­larono diffusamente della co­sa. Ma le uniche notizie sicu­re che si ebbero furono quelle date dal segretario del partito comunista ukraino.

Tra la fine del 1947 e i pri­mi del 1948 a pochi chilome­tri da Certkof vi era lo stato maggiore di un reggimento partigiano. Il vecchio colonnello Vivsianik lo comandava e il maggiore Kazidubov era il suo aiutante maggiore. Il reg­gimento 47-38 non è altro che una formazione dell’esercito partigiano nel quale sono rap­presentate le organizzazioni nazionali ukraine e le altre tendenze anticomuniste. Le lo­ro squadre sono formate da 10 uomini, i loro battaglioni da 100 uomini, i loro reggimenti da 600 uomini. Le divisioni so­no formate da quattro reggi­menti e i corpi formati da tre divisioni. Un corpo quindi ha la forza di tremila seicento uo­mini. La popolazione locale completa le unità di distacca­mento ed esclusi i polacchi, tutti possono far parte delle unità sussidiarie alla vasta or­ganizzazione: i disertori dell’armata rossa, i partigiani del generale Vlasov detti anche «vlasovzi», ex lavoratori in Germania, russi bianchi, slo­vacchi, ceki, tedeschi, lituani, estoni, quanti insomma non ukraini si ribellino al regime sovietico.

Un generale partigiano, di cui tutti ignorano il nome, è alla testa del movimento. Le basi di partenza e i comandi superiori si trovano dislocati nei Carpazi. In cima a quelle montagne i partigiani sono at­trezzati di tipografie e appa­recchi radio. Possono permet­tersi così delle sezioni di pro­paganda provviste di opuscoli, manifesti e proclami, nonché di elenchi di propagandisti che lavorano fra la popolazione. I S.I.C. sono reparti controricognizione, costituiti da vecchi e provati partigiani. I reparti con 15-20 uomini di­pendono direttamente dai co­mandi di divisione.

Il reparto 47-38 operò nei settori di Bielo-Bozniza, Cer­kov, Tulstie, Zalesciki in una zona che distava 150, 200 chi­lometri da Leopoli. I reparti armati di carabine, granate, pistole, mitragliatrici e armi automatiche in genere, lancia­mine. Le mine preparate da tecnici specializzati. Per divi­se, vestiti erariali di ogni sor­ta. Solo gli ufficiali hanno a volte una vera uniforme che portano ben di rado. Quando però i partigiani si devono battere in campo aperto, nei magazzini vengono fuori tan­te divise dell’esercito sovietico. Con quelle divise si com­batte meglio. I sovversivi del sovversivismo preferiscono pe­rò gli abiti civili, forse perchè si confà di più al loro spirito. Anche le vettovaglie vengono tenute in magazzino, benchè di magazzini ve ne siano ben pochi. Spesso si parte dalle basi con molte armi e pochi viveri: le popolazioni locali pensano al rifornimento è il sistema più sicuro preferito dai partigiani di tutto il mon­do. Anche dagli ukraini. Gli ukraini, a differenza dei par ­tigiani di tutto il mondo, pagano chi li rifornisce di viveri. La popolazione locale inoltre tiene sempre informati i re­parti ribelli; ma questo non viene pagato. Le informazioni sono sui movimenti dei reparti rossi. In base a queste ven­gono organizzate le imboscate.

Le formazioni ukraine si prefiggono di combattere il comunismo sino a quando non avranno liberato il loro paese. Vogliono il ristabilimento del potere nazionale, di un gover­no nazionale. L’Ukraina essi dicono deve essere un paese li­bero. Deve tornare indipen­dente come prima. Molti ri­cordano ancora i tempi della indipendenza e a quelli voglio­no tornare. Hanno della liber­tà una sacra venerazione. Am­mirano tutti i popoli che com­battono il comunismo. Si allea­rono con i tedeschi perchè i te­deschi combattevano Stalin, poi hanno continuato da soli. E oggi combatterebbero i tedeschi se questi li avessero voluti tenere in soggezione. Odia­no i polacchi. Ricordano anco­ra le antiche dominazioni, forse.

Nella lotta contro i russi so­vietici arrivano alla ferocia. Sono particolarmente spietati con gli appartenenti al parti­to: attivisti e giovani comuni­sti. Trattano da traditori tutti i coadiutori dei sovieti in Ukraina e combattono con tut­ti i loro mezzi il colchoz, Più di una spedizione è stata orga­nizzata per la distruzione di un colchoz. Una volta che lo hanno attaccato, tentano in tutti i modi di impedire la sua rinascita. Gli stabilimenti so­vietici sono un altro degli obiet­tivi preferiti: in essi trovano tutto quanto occorre per con­tinuare efficacemente la lotta.

Verso l’agosto del 1949 il 47-38 attaccò un aereodromo a Certkov: alcuni aerei del tipo «Y 2» vennero catturati: tutti i piloti del reparto immedia ­tamente mobilitati presero possesso degli apparecchi. Un reggimento rosso di artiglieria che si esercitava a pochi chi­lometri dall’aeroporto non ca­pì mai come sul più bello dei piloti impazziti li mitragliasse­ro senza pietà.

I sovietici stanno facendo tutto per stroncare questi fo­colai di resistenza che potreb­bero divenire sempre più pe­ricolosi. Speciali distaccamenti organizzati dal ministero degli Affari Interni vengono costi­tuiti per condurre efficacemen­te la lotta contro i ribelli. Ogni reparto è dotato di auto blinde, cannoni leggeri, lanciafiamme, lanciamine e cani. L’aviazione interviene in aiuto a questi corpi speciali. Spesso interi boschi dove si presume la pre­senza dei ribelli vengono pri­ma mitragliati e poi bruciati. Nel maggio del 1947 il noto ex partigiano maggior generale Kovpak venne inviato contro gli ukraini. Kovpak, vecchio combattente della guerra par­tigiana usò una nuova tattica. Si combattè con distaccamenti a cavallo composti di asiatici. Tutta l’Ukraina venne blocca­ta. Presso Tornapol, nella re­gione della foresta nera, accer­chiarono una divisione parti­giana e parte dello stato mag­giore della divisione. Il com­battimento durò due giorni. I partigiani persero duecento uo­mini ma riuscirono a rompere l’accerchiamento. In seguito a questa battaglia sì ritirarono sui Carpazi. Si disse fosse in quel reggimento il famoso ca­po dei ribelli, per questo oggi la lotta continua ancora. Molti sono infatti asserragliati lassù. Kovpak è ben deciso a distrug­gere questi negatori del siste­ma sovietico. Fino a pochi me­si fa aveva buone speranze di presentarsi a Stalin e dirgli: i ribelli dell’Ukraina non esi­stono più. Verso la fine del 1947 lo spirito combattivo de­gli ukraini si fiaccò. Temeva­no di essere abbandonati dal­le potenze occidentali. L’arri­vo di Kopvak non era certa ­mente estraneo a queste de­pressioni.

La popolazione locale non poteva più vettovagliare age ­volmente le forze della resi­stenza e molti tornarono alle loro case. Altri tentarono la via dell’ovest in Europa. Chi riu­scì, raccontò la loro vita.

Il nuovo determinarsi della situazione politica internazio­nale ha ridato coraggio alle forze partigiane. Il sogno di Kovpak sta svanendo. Vedran­no questi uomini che combat­tono da dieci anni l’alba della libertà?

SERGIO MALENKOW

(Da “Italia Monarchica” del 3.2.1949)