nucleo comunista internazionalista
note




Il corteo del 12 aprile

Se la due giorni del 18-19 ottobre è stata un passo in avanti nella giusta direzione, la manifestazione del 12 aprile ha dimostrato la fragilità di quel “primo passo” e ne ha segnati due indietro.

La “giusta direzione” è per noi quella della presa in carico di un vero fronte di classe unitario, una direzione di marcia del proletariato evocata e iscritta nella realtà della crisi e dello scontro sociale.

Ciò però non significa che sin d’ora sia possibile marciare a ranghi uniti e compatti. Nè che un dato settore proletario afferrato alla gola dalla crisi del capitalismo e che ingaggi la lotta per potersene districare possa ricevere forza all’immediato dalla solidarietà, dalla partecipazione, dalla possibilità di confluire e unificarsi in un movimento generale di lotta che allo stato francamente non esiste (il riferimento qui corre all’Italia), per un proletariato da decenni in costante arretramento dalle posizioni e dall’organizzazione già conquistati.

Con il 12 aprile abbiamo la conferma che “l’unità del movimento” del 18-19 ottobre (da noi valorizzata in prospettiva e potenzialmente molto oltre la partecipazione parziale di quelle giornate) si pone in effetti molto al di qua di un’accettabile coscienza e del conseguente reale procedere verso la nostra “giusta direzione”.

Valga questo sia per quanti stravolgono il dato di una partecipazione che si è ridotta e di parecchio (e non pensiamo solo ai numeri) volendo vedere nel 12 aprile “l’avanzamento di un processo di lotta che da ottobre va avanti in continue occupazioni, nelle lotte territoriali, nell’opposizione dal basso all’austerity che si basa sul conflitto e sulla riappropriazione diretta del reddito...”; e sia per quanti criticano invece a chiare note l’insufficienza della piattaforma portata in piazza il 12 (“nei fatti una manifestazione per la casa... obiettivo legittimo ma evocato genericamente... senza indicazioni da socializzare ad altri settori sociali...”: questo lo scrive Contropiano), e mettono in discussione “la retorica della sollevazione e dell’assedio tanto romanticamente e adrenalinicamente stimolanti quanto politicamente sterili” (lo si legge in un intervento di Biagio Borretti fin troppo timido, per quanto ci riguarda, su questi tasti).

La realtà è che il 12 aprile si misura con uno scenario di stagnazione della lotta di classe in Italia, dove il capitalismo con il governo Renzi ha ingranato la sesta marcia a fronte della caduta verticale sul versante nostro di ogni residuo ricordo della mobilitazione già precedentemente data, mentre continuano a riprodursi pseudo-mobilitazioni che di fatto non riescono a opporsi al drammatico smantellamento di interi poli produttivi (vedi da ultimo Piombino).

Quanto alla mobilitazione che si è già data, ci riferiamo agli scioperi dei metalmeccanici Fiom contro gli accordi separati e l’attacco al CCNL e alla loro valenza di denuncia della politica rinuciataria della Cgil per un vero sciopero generale dell’intero mondo del lavoro; ci riferiamo alle manifestazioni promosse dal Comitato No Debito che hanno portato in piazza soprattutto nel No Monti Day moltissimi lavoratori; ci referiamo ancora agli scioperi del sindacalismo di base di cui ultimo quello del 18 ottobre. Non evochiamo questi passaggi dando a credere chissà cosa. Non si è trattato affatto di lotte travolgenti, e anche la spinta potenzialmete più incisiva, quella dei metalmeccanici, fin troppo debole è stata se si è lasciata rincondurre all’ovile dell’innocuo “raduno maestro” del 12 ottobre in Piazza del Popolo e di fatto smobilitare dalle giravolte di Landini e sodali. Vogliamo piuttosto individuare quali sono le forze del proletariato da ricomporre in unità di piazza e di lotta, perché sia chiaro cosa intendiamo quando parliamo di “un vero fronte di classe unitario”.

Ora a noi sembra un paradosso, dettato certo dall’urgenza dei bisogni ma anche dalla sfiducia nella possibilità di una vera ripresa generale di classe, che, a fronte di questa realtà di contingente paralisi proletaria, si possa credere e dire che “il movimento si allarga” solo perché “si moltiplicano le occupazioni di case”. Che nessuno resti senza un tetto sul capo e che si conquisti il migliore utilizzo sociale di tanti stabili vuoti non fa una piega, ma non si annulli nell’enfasi di certe pseudo-analisi la capacità e la volontà di contribuire alla ripresa generale di classe, cui tutti i movimenti cosiddetti specifici sono vitalmente interessati proprio per poterne ricevere forza e poter consolidare le comuni collettive conquiste.

La retorica degli assedi (soprattutto se in contesti surreali di debolezza degli “assedianti”, debolezza programmatica e politica prima che sul terreno del confronto fisico con lo Stato) è per noi ridicola. Biagio Borretti, che la definisce sterile, si sente in dovere di aggiungere “sia ben chiaro: in piazza ognuno ci va a modo proprio... e qui non si cede una sola virgola alla retorica dominante della divisione tra buoni e cattivi...”. Noi abbiamo sempre respinto (sin da Genova 2001, dove i numeri erano ben altri, ma, appunto, non di soli numeri si tratta) la retorica bolsa di “assedi”, “sollevazioni”, “dichiarazioni di guerra”, “corpi messi in gioco”..., richiamata peraltro da chi generalmente irride all’Ottobre e all’insurrezione proletaria. Senza mai aver dato destro a distinzioni tra buoni e cattivi, rivendichiamo però la necessità di comprendere e assumere le azioni politicamente utili e cestinare le castronerie, di distinguere gli azzardi senza programmi dalla necessità vitale di un programma politico. Ecco un altro punto debole del 18-19, diventano una voragine il 12 aprile, per una piazza che traduce malamente lo schifo verso una certa politica e i partiti che continuamente la riproducono (ora anche in vista delle europee) in distacco dalla politica e dal partito di cui abbiamo bisogno, con conseguente indisponibilità a ragionare di politica e propensione a considerare “fuori contesto” chiunque ne affermi la necessità.

Leggiamo tra i commenti sul 12 che “non può cogliere la potenza espressa sabato chi non sta nel processo in cui si mette la vita in comune sotto un tetto occupato, oppure ci si barcamena nell’extralegalità per riuscire a mangiare, o peggio si è disoccupato o sfruttato come bestie per un lavoro di merda”. Confessiamo di non cogliere questa potenza, come anche di non credere che “il 12 ha frantumato l’idea bugiarda che il paese fosse pacificato con Renzi”, e che “se non c’era il corteo di sabato il job act renziano non avrebbe incontrato alcuna opposizione sociale”.

Il 12 aprile, checché se ne voglia dire, conferma purtroppo il dato negativo per cui Renzi a tutt’oggi gode dell’assenza di una opposizione sociale con coefficienti di un qualche ponderabile peso. Purtroppo il 12 ha messo in piazza l’isolamento di sparuti settori che invece di lanciare un segnale credibile verso l’insieme della classe per l’allargamento del fronte di lotta, come il 18-19 si era pur fatto, hanno dato dimostrazione di marginalità politica. Il 18-19 poteva concludersi con la promessa/minaccia di una estensione del fronte di lotta e per questo il governo si mostrò prodigo di presunti dialoghi. Il 12 segna la situazione all’inverso. Ciò fa male anche ai movimenti di lotta per la casa, più forti se è in piedi un movimento che mostri di poter procedere verso la più ampia unificazione delle forze proletarie disposte a battersi, e più deboli e socialmente isolati nella opposta situazione.

La critica alla preparazione e alla conduzione del 12 aprile che leggiamo sui comunicati di Contropiano ci pare, quindi, seria e giusta nell’essenziale, fatte salve alcune nostre non secondarie riserve su quanto scrivono i compagni di Contropiano.

Essi rimproverano ai movimenti per la casa di “procedere per compartimenti stagni”, di “non sapere né volere ampliare il fronte di lotta provando a dialogare con altri settori sociali colpiti dalle politiche di austerità”. L’ “alleanza politica e sociale” che si propone è quella tra “sindacati conflittuali, movimenti sociali su casa e reddito e le poche organizzazioni politiche rimaste della sinistra anticapitalista”. Non si va oltre di questo, salvo il riferimento alla crisi che “ha scomposto e messo in crisi diversi settori della piccola e media borghesia nazionale” (tra virgolette nazionale, per una borghesia che “per identità e aspirazioni” non potrebbe neanche considerasi tale – e quindi...?! –); e salva ancora l’indicazione di questa sommatoria come “base minima di una possibile ricomposizione del blocco sociale antagonista”.

E’ questa l’unità che Contropiano ha celebrato nel 18-19 ottobre. Un’unità che va in frantumi (non a caso, diciamo noi) già ad aprile. Un’unità che, secondo questi compagni, si cementerebbe sol che si metta al centro la rivendicazione politica dell’uscita dell’Italia dall’ Euro, mentre la manifestazione del 12 ha “occultato il fattore antagonista oggi principale cioè l’Unione Europea e i suoi diktat”. Insomma, oltre alla gestione della piazza, si contesta che la questione della casa abbia monopolizzato i contenuti del 12 aprile derubricando con fastidio la piattaforma antieuropeista (bene – diciamo noi – se lo avesse fatto criticandola nel merito in direzione di una effettiva piattaforma classista, male in quanto si tratta del fastidio per ogni piattaforma politica che vada oltre il “programma” di “casa e reddito”, più che non del sabotaggio elettoralistico delle poche truppe tsiprine perunaltraeuropa).

Ma a Contropiano, che registra nel governo Renzi “un cambiamento decisamente non irrilevante, che investe d’un colpo tutto il lavoro dipendente (sotto qualsiasi tipo di contratto sia vincolato)...”, e segnala correttamente agli occupanti di case la necessità di riferirsi e rivolgersi a “un intero pezzo di società, composto da lavoratori, disoccupati, settori popolari e pezzi dei ceti medi proletarizzati oggi largamente maggioritario”, chiediamo se veramente si possa concepire la ricomposizione di queste forze attraverso addizioni quantitative di “sindacati conflittuali, movimenti sociali e organizzazioni anticapitaliste”.

Nell’ambito di un’ “unità” così concepita noi non vediamo messa al centro la prospettiva dell’unificazione di lotta di “tutto il lavoro dipendente” e della “potenziale maggioranza sociale”, la quale è aggregabile solo se e in quanto attratta dal nucleo centrale di un proletariato che torni a catalizzare e organizzare forze. Davvero non ci sorprende che si riaccendano i particolarismi dei “movimenti sociali”, se purtroppo difetta la forza di attrazione (e di disciplina di lotta) della classe operaia organizzata, del che non diamo certo colpa a Contropiano o ad altri. Né i “sindacati conflittuali” possono pensare di rappresentare “tutto il lavoro dipendente”.

Per poter unificare i “movimenti sociali” più specificamente inclini ad andare per la propria strada senza guardare ad altro, ma soprattutto per dare la giusta prospettiva generale a ogni istanza specifica e poter chiamare a raccolta le infinite energie di un proletariato oggi disperso e frammentato, occorre niente di meno che la scesa in campo della classe operaia. Occorre dirlo e misurare i compiti su questa necessaria prospettiva.

Siamo i primi a prendere atto di coefficienti di ri-partenza mai prima d’oggi così bassi, ma siamo al tempo consapevoli che la crisi capitalistica è gravida della necessità per il proletariato (e non solo per esso) di trovare la via per rimettere in moto le proprie energie. In ogni caso e per quanto erta sia la salita, non esistono scorciatoie. I compagni di Contropiano e i sindacati di base hanno il compito di impegnare e rafforzare in questa direzione la forza (parziale) che hanno il merito di aver saputo organizzare tra i lavoratori. Hanno/abbiamo il compito obbligato dell’intervento politico verso e tra la cospicua parte del proletariato che oggi è quasi del tutto narcotizzata e passiva nei sindacati confederali, così come disorientata e aggregata a ogni carro borghese di destra-destra, “sinistra”–destra e pseudo –“sinistra”. Le occasioni per farlo, per quanto ci si prodighi dal fronte avverso per rendere cronica la paralisi del nostro esercito di classe, non mancheranno e saranno i gironi infernali della crisi a crearle.

Nel nostro piccolo avevamo messo in guardia quanti nel 18-19 hanno inteso celebrare non “un passo avanti nella giusta direzione” ma le premesse di un “blocco sociale antagonista” già detto e fatto, per un coagulo segnato invece dalla parzialità delle forze chiamate a sommarvisi e dalla logica di un “movimento” fin troppo banalmente autoreferenziale. Fasulla la prospettiva del “blocco sociale” (dove annegare la centralità operaia e proletaria che noi rivendichiamo) e fasulla la sua pretesa materializzazione in quelle giornate.

Si vorrà prendere atto che saltando il nodo della necessità di una vera ripresa proletaria cui credere e contribuire con testarda pervicacia, e invece ipotizzando “più realistici” “blocchi sociali” con “settori di piccola e media borghesia nazionale” (nazionale tra virgolette...), ci si espone a un gioco dell’oca infinito, per “unità” colte occasionalmente se e quando capita e che si dissolvono alla curva successiva?

Si vorrà prendere atto che, fermo il già detto, la piattaforma antieuropeista non è in grado di collocare adeguatamente (che significa in un programma e in una prospettiva di classe) pur elementari istanze di difesa immediata?

Il duro muro della crisi capitalistica e le questioni di fondo che essa rimette sul piatto non sono aggirabili con “strategie e tatticismi raffinati” perché occorre invece una robusta linea di orientamento politico che si ponga all’altezza della situazione.

E’ quanto abbiamo inteso dire nei precedenti interventi e su questo terreno prosegue la nostra partecipazione, il nostro bilancio, il nostro contributo.

30 aprile 2014